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Autore: Rota    28/03/2021    0 recensioni
Casa, per Trey Clover, era un’isoletta distante dieci chilometri dalla terraferma, ben due villaggi di pescatori e diverse serre di fragole, nonché ben sette fattorie a gestione familiare; persino due scuole costruite da poco tempo e una chiesetta. Nato e cresciuto in quel posto, non aveva mai osato pretendere di più, come invece aveva fatto il suo amico d’infanzia.
Alchemi si prese la confidenza di una burla.
-Non potevo certo permettere che queste piccole meraviglie rimanessero confinate in pochi metri quadri!
-Sei come al solito esagerato.
-Nient’affatto, amico mio. Con le tue capacità e un buon diploma di pasticceria, potresti avere tutto ciò che vuoi!
Lo guardò allusivo, sporgendosi verso di lui e sollevando le sopracciglia.
-Basta solo attraversare il mare-
-Ancora con questa storia? Te l’ho detto un sacco di volte. Sto bene qui.

[TreyJade // Mermaid!Au]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jade Leech, Trey Clover
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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*Titolo: The storm
*Fandom: Twisted Wonderland
*Personaggi: Trey Clover, Jade Leech, Alchemi Alchemivich Pinka
*Avvertimenti: AU, Shonen ai
*Generi: Introspettivo, Fluff, Hurt/Confort
*Rating: Verde
*Settimana/Prompt: Settima settimana/Faro abbandonato (M3)
*Parole: 7031
*Note: La fic parte da un presupposto abbastanza banale, in una location molto cliché. E penso che questo sia il suo bello kijuhygfcvbgn Non ho scritto su questi due per poco più di tre settimane e già ne sentivo l’enorme mancanza.
Buona lettura a tutti!
 
 
 



 
 
 
Il giovane Deuce prese anche l’ultima delle casse dal piccolo furgoncino bianco, la posizionò sulle braccia della macchina e poi ne prese il comando, per salire col proprio carico sulla nave attraccata a quel piccolo molo. Ace lo aiutò a scaricare, in modo da fare più in fretta e quindi poter partire prima. L’aurora stava già stiracchiando i primi raggi solari oltre l’orizzonte e loro avevano ancora un bel pezzo di strada da fare, per tornare alla sede centrale.
Dopo essersi assicurato che i suoi assistenti facessero tutto per bene e non creassero problemi, Alchemi rivolse un sorriso largo e ferino al proprio interlocutore.
-Ti ringrazio, Trey.
L’interpellato rispose al suo sorriso, e per nascondere un poco l’imbarazzo si sistemò gli occhiali sul naso, celando quasi gli occhi d’un colore dorato brillante.
-Scherzi? Siamo noi a doverti ringraziare, piuttosto! Senza di te, la nostra attività si sarebbe limitata a questa piccola isola!
Guardò solo con la coda dell’occhio il logo della propria famiglia sul furgoncino – una piccola spesa extra che suo padre si era permesso per festeggiare il nuovo commercio allargato.
Casa, per Trey Clover, era un’isoletta distante dieci chilometri dalla terraferma, ben due villaggi di pescatori e diverse serre di fragole, nonché ben sette fattorie a gestione familiare; persino due scuole costruite da poco tempo e una chiesetta. Nato e cresciuto in quel posto, non aveva mai osato pretendere di più, come invece aveva fatto il suo amico d’infanzia.
Alchemi, o altrimenti detto Che’nya per via di quei piccoli dentini appuntiti sul davanti che lo facevano assomigliare a un gatto furbo, si prese la confidenza di una burla.
-Non potevo certo permettere che queste piccole meraviglie rimanessero confinate in pochi metri quadri! Tutti devono assaggiare i tuoi dolci!
-Sei come al solito esagerato.
-Nient’affatto, amico mio. Con le tue capacità e un buon diploma di pasticceria, potresti avere tutto ciò che vuoi!
Lo guardò allusivo, sporgendosi verso di lui e sollevando le sopracciglia.
-Basta solo attraversare il mare-
-Ancora con questa storia? Te l’ho detto un sacco di volte.
Il suo sorriso del giovane uomo con i capelli verdi si fece morbido, trattenendo un velo di arrendevolezza. Alzò appena le spalle, mentre nascondeva le mani nelle tasche larghe della giacca.
-Sto bene qui.
Alchemi pensava di intuire molte, moltissime cose dell’amico. D’altronde, era cresciuto assieme a lui e aveva quella sicurezza nei suoi confronti per cui si sentiva forte di una sensazione di comprensione onnisciente. Non infierì di più, preferendo una piccola ritirata.
-Mi dispiace insistere sempre in questo modo, ma il tuo mi sembra talento sprecato.
-Ti ringrazio perché ti preoccupi per me.
-A cosa servono gli amici, sennò?
Si sorrisero ancora.
Uno dei suoi marinai tentò di richiamarlo, che ormai era tutto pronto per partire. Alchemi allargò le gambe e salì sulla piccola nave, in punta di stivale. Con agilità degna di un felino, si aggrappò a una delle corde e si tese nel vuoto, appena sopra il livello del mare.
-Vuoi una scorta fino a casa tua?
Trey scosse la testa con gentilezza, e fece un cenno in direzione Ovest, dove si allungava una scogliera alta e bianca e dove si allargava una delle poche zone dell’isola ancora disabitate. Non aveva perso quell’abitudine a stare da solo neppure durante gli anni, sembrava.
-No, grazie. Andrò sulla spiaggia a fare una passeggiata. Ho qualche giorno libero, domani c’è la pausa mensile prima della festa per la Regina di Cuori.
Il marinaio gli sorrise un’ultima volta e lo salutò con il cappello, come si faceva con le persone importanti.
Diede anche un’occhiata al cielo, giusto per sapere se sarebbe stata una traversata tranquilla oppure no.
-Sta attento al tempo. Ci sono delle nuvole in avvicinamento.
Ormai di spalle, Trey si limitò ad alzare un braccio e sventolarlo: sarebbe stato veramente ironico per l’abitante di un’isola lasciarsi sorprendere da una tempesta forte che proveniva dal mare.
 
***
 
Il sole era stato inglobato già dalle nuvole grigie e basse, e si sentivano i primi tuoni provenire dal mare aperto. Nonostante questo, Trey Clover sorrideva ancora: vedere quegli spazi aperti e l’orizzonte infinito, quel confine insicuro tra cielo e mare, gli dava una reale sensazione di benessere.
Dovette però procedere con attenzione sul sentiero sterrato, per evitare che i sassi e le buche di quella via in disuso non facessero danni al furgoncino di famiglia. Stava per arrivare al suo posto preferito, e non vedeva l’ora di parcheggiare la macchina.
Salita quella piccola collinetta dolce, poi il terreno scendeva ancora per un lungo campo aperto, dove c’erano molti conigli e altri piccoli animali che erano l’unica fauna locale ancora selvatica. Proprio nel punto più prominente, poco prima di uno strapiombo che cascava giù nell’acqua, c’era quel vecchio faro abbandonato tanto caro a lui, che nei giorni in cui poteva concedersi un poco di solitudine andava a occupare. Per leggere, per rilassarsi, anche solo farsi una dormita in tranquillità. In più, c’era un piccolo orticello di fragole che adorava coltivare, nell’angolo più riparato del giardino interno.
Il vecchio custode – ormai in pensione da quando avevano inventato cose più all’avanguardia per comunicare tra terraferma e navi, e da quando avevano spostato il molo nel centro cittadino – gli aveva ceduto la copia delle chiavi in cambio della torta più grande e più bella per il matrimonio della figlia.
Era il suo rifugio, il suo luogo non segreto dove nessuno andava a disturbarlo.
Parcheggiò a ridosso del muro, non distante dalla porta d’ingresso. Eppure, invece di entrare al riparo, decise di chiudersi nel proprio cappotto e scendere davvero sulla spiaggia, per godersi quelle poche ore che ancora gli rimanevano di bel tempo. Non l’avrebbe fermato certo un po’ di pioggia, ma nel caso le cose fossero cambiate troppo in fretta, poteva rientrare velocemente.
Il sentiero di roccia e sabbia scendeva in obliquo, in modo non troppo ripido. Trey sapeva come mettere i piedi per non forzare troppo le gambe e non scivolare su quei tratti dove c’era solo la nuda roccia, godendosi il vento forte che gli spettinava tutti i capelli e gli gonfiava i vestiti pesanti. I gabbiani annunciavano la tempesta imminente, volando a cerchio nel cielo, sopra i loro nidi costruiti negli incavi delle rocce, lontano dall’acqua e dalle onde più alte.
Spiaggia di sassi e cocci, che cozzavano sotto i suoi scarponi a ogni passo. Trey sentiva l’aria pregna di salsedine e dell’odore di alghe, di mare aperto.
Ogni tanto si chiedeva se il suo rifiuto di andare nell’entroterra fosse dovuto a quella sua spinta, a quell’attrazione che provava per il mare. Non se ne voleva separare troppo, e temeva che allontanandosi da quel posto forse avrebbe perso il legame speciale che sentiva d’avere con l’elemento marino.
O forse, tutto quello era solo una scusa, e Trey temeva in qualche modo di dover affrontare un destino incerto, che avesse confini troppo precisi e troppo stretti per lui.
Non riusciva ancora a barattare la promessa di una gloria con la spuma del mare.
I suoi passi seguirono il filone della sabbia, che costeggiava la scogliera alta. Passò davanti alla grotta dove lui, Alchemi e Riddle da giovani giocavano spesso a nascondino, ora diventata un rifugio per le murene – il ponte di scogli e tronchi lo portò dall’altra parte, in un posto ancora più isolato e lontano. Era l’alta marea a ripulire quelle zone altrimenti selvatiche, rendendo facile il passaggio.
Tra i sassi grossi, vedeva scappare granchietti e altri piccoli molluschi. Superò anche il cadavere di una povera medusa spiaggiata, forse arrivata fin lì dopo aver perso il senso dell’orientamento. Capitava ormai spesso, negli ultimi tempi, a causa di inquinamento e di cambi delle temperature.
Alzò lo sguardo al cielo alla vista di un lampo rapido, che aprì poi le nubi in un tuono profondo. Si rese conto di essersi estraniato da tutto ed essersi allontanato con la mente e il pensiero a tal punto da non notato la pioggerella che stava già cadendo. Il suo giubbotto era bagnato su cappuccio e spalle, e le ginocchia non erano in buone condizioni, così come neanche i suoi scarponi.
Poco male, aveva un ricambio nel furgone, e una volta accesa la piccola cisterna per l’acqua calda che c’era al faro si sarebbe fatto un bel bagno rilassante.
Tornò indietro un poco più velocemente, mentre già il mare si ingrossava e le prime onde risalivano sulla spiaggia.
Superata la grotta delle murene era quasi già buio, perché il grigio perlato che aveva nascosto il sole aveva poi lasciato spazio a nuvole piene di pioggia e tuoni, fulmini a volontà. Trey chiuse gli occhi di scatto a un lampo piuttosto vicino, e in un gesto del tutto istintivo tentò di proteggersi con il braccio; si rese conto di essersi spaventato per nulla, si sistemò ancora gli occhiali sul naso.
E poi lo vide, che a fatica stava risalendo dalla spiaggia e si allungava, si allungava sempre più in un corpo che pareva infinito, e cadeva su quelle che sembravano braccia umane per rantolare calmo tra i sassi della spiaggia. Un altro lampo ne illuminò il profilo e le pinne dorsali, in quello che sembrava un corpo a metà tra il pesce e l’uomo.
Trey provò ancora ad avvicinarsi, molto lento. Quella cosa lo sentì dal gracchiare dei sassi, girò soltanto la testa: uno dei suoi occhi brillava di color giallo acceso, come le luci ingannatorie dei pesci degli abissi. L’uomo con i capelli verdi impiegò davvero un attimo a capire il motivo della sua difficoltà, appena vide il sangue che gli colava dal fianco, sotto le aperture che sembravano essere le sue branchie. Guardò il mare mosso e quell’anello di scogli che formava una barriera a pochi metri di distanza dalla spiaggia; era probabile che si fosse ferito lì, forse perdendo l’orientamento come tanti altri pesci, e non fosse più riuscito ad allontanarsi. Metterlo in mare in quel momento lo avrebbe condannato a morte certa.
Provò ad avvicinarsi, mentre le prime onde alte si scontravano contro la scogliera sempre più vicino a loro. La creatura non azzardò neanche una mossa, ma continuava a fissarlo. Trey allora prese coraggio e abbracciò il suo petto, se lo issò sulla schiena e cominciò a trascinarlo per il sentiero, diretto verso il faro abbandonato.
 
 
Una volta che fu riuscito ad aprire la porta di ingresso, Trey si accasciò al suolo assieme alla creatura che aveva trascinato fin lì, per riprendere fiato. Gli faceva male completamente la schiena, mentre le sue braccia tremavano per colpa dello sforzo appena sostenuto. La creatura era fradicia almeno quanto lui, per merito della pioggia, e sembrava ancora abbastanza calma e tranquilla – forse ancora troppo debole e frastornata per reagire a quanto le stesse accadendo.
Il vento urlò, accompagnato dal suo della tempesta che infuriava.
L’uomo con i capelli verdi si alzò a fatica e accese l’interruttore della luce, illuminando quel piccolo atrio spazioso e i pochi ambienti abitabili alla base del faro. La creatura si arricciò su se stessa, esprimendo molto fastidio.
-Forza, entra qui-
Andò a recuperare anche la sua coda, per spingerla dentro l’abitazione. A occhio e croce, doveva essere lungo più di due metri, e pesante almeno un centinaio di chili; la sua fortuna era quella di essere abituato al carico e scarico del suo furgoncino, o sarebbe morto strada facendo. Ma dovette fare ancora diversa strada per riuscire a portare quella cosa alla vasca da bagno, dove la depositò con poca grazia e molti improperi. Si ritrovò seduto sul pavimento, schiena contro il bordo della vasca, a guardare il soffitto e chiedersi per quale assurda idea stava facendo tutto quello nei confronti di una creatura che aveva tutto l’aspetto di essere capace di ammazzarlo una volta riprese le proprie forze.
Controllò la sua ferita, guardandola alla luce. Non sembrava molto profonda, ma continuava a perdere sangue e la pelle squamosa della creatura aveva cominciato a ritirarsi in un modo strano ai suoi bordi, come se avesse perso uno strato protettivo. La creatura mosse la mano per coprirsela, cercando di fermare la perdita di fluidi in qualche modo; si muoveva a stento, ormai.
Trey pensò veloce. Doveva controllare che fosse pulita e poi cucirla, non aveva altro che una piccola cassetta per le emergenze da qualche parte con un piccolo ago e del filo sterile. Corse verso l’angolo cottura, recuperando la cassetta dall’armadietto sotto il fornello, e quando tornò sempre di corsa vide la creatura che era strisciata per metà fuori dalla vasca, in una posizione tutta attorcigliata. Forse stava cercando di fuggire, forse era solo dolorante.
Trey si tolse i vestiti sporchi di fango, strappati in più punti, e si lavò le mani alla fontanella accanto alla vasca, dove di solito riempiva secchi e pentole per cucinare. Prese poi dei panni puliti, li imbevette di acqua limpida e cominciò a strofinare con attenzione ai bordi della ferita, per togliere tutta l’eventuale sporcizia.
La creatura scattò: strinse i denti appuntiti contro la spalla dell’uomo, ringhiando un poco e stringendo appena contro la sua carne. Era un avvertimento, non aveva le forze di fare altro.
Trey, istintivamente, sorrise.
-Non ti devi preoccupare, non voglio farti del male.
Il suo tono doveva essere stato abbastanza convincente, perché pur non smettendo di fissarlo, la creatura mollò la presa e tornò a distendersi sul bordo della vasca, lasciando che lavorasse sul suo fianco. Allargò gli occhi però quando vide ago e filo, temendo un attacco di qualche tipo.
Trey sapeva che nel momento in cui la creatura avesse sentito di nuovo dolore c’era la più alta probabilità che lo avrebbe attaccato di nuovo, per difendersi. Cercò di parlarle ancora, per creare un contatto e un minimo d fiducia.
-Devo farti questo, per guarirti…
Si avvicinò lentamente al suo fianco, rallentando qualora la creatura ringhiasse. Dopo aver fatto il primo foro, la creatura si limitò ad agitare la lunga coda; Trey si mosse sempre lentamente, sotto il suo sguardo vigilissimo, e riuscì a cucire così la ferita. Applicò anche della crema disinfettante delicata, sperando che facesse effetto su quella cosa come faceva effetto anche sugli esseri umani. Dopo aver applicato la garza, non poté più fare nulla.
Così, sorrise alla creatura.
-Ce l’abbiamo fatta!
 
 
L’acqua della vasca era poca, rispetto al fondale marino, ma a Trey sembrava che la creatura lo apprezzasse lo stesso. Si era immersa per quanto possibile, lasciando solo la parte superiore del petto fuori dalla superficie – le branchie sotto, che respiravano lente.
Non gli aveva ancora staccato gli occhi di dosso. Né quando si era lentamente spogliato e tolto anche il resto dei vestiti sudici, né quando si era lavato con l’acqua dei secchi e alcune spugne, togliendosi di dosso tutta la sporcizia e tutto il freddo della tempesta.
Più che controllare che stesse facendo, l’uomo con i capelli verdi aveva l’impressione che fosse incuriosito da lui. Come se si stesse chiedendo come mai un essere umano l’avesse tratto in salvo.
Acceso il camino e anche la stufa a legna, lo guardò per qualche secondo di silenzio e poi provò ancora a parlare.
-Beh, io… cucino.
Nessuna risposta, ovviamente. La creatura continuò a fissarlo mentre si allontanava un poco; nel cambiare stanza, lasciò la porta aperta, in modo che lo vedesse muoversi verso i fornelli.
Di solito, cucinava per sé cose semplici. Un po’ di brodo e carne secca, oppure dei biscotti con affettati e un po’ di formaggio stagionato. Provò anche ad aprire del pesce in scatola e lo mise sopra una fetta di pane tostato: lo portò alla creatura, un poco indeciso.
-Ecco, assaggia questo…
La creatura prima guardò lui, poi il piatto. Annusò quella strana cosa, ma come si era sporta in avanti subito si ritirò, piuttosto schifata. Non sembrava apprezzare moltissimo, per qualche strana ragione. Doveva essere colpa dell’olio.
Trey ridacchiò un po’ a disagio, pensando che quantomeno ci aveva provato e non poteva avere molti rimorsi in tal senso.
Forse, le creature marine riuscivano a sopravvivere anche se rimanevano qualche giorno a digiuno: la vita selvaggia era molto dura, dopotutto.
Bevve la sua zuppa in lattina, con pochi sorsi che gli ustionarono la gola. Quando aprì la confezione di funghi sott’aceto e provò a mangiarli con qualche cracker, la creatura mosse le pinne della testa in modo quasi curioso, che attirò la sua attenzione. Doveva aver fiutato un odore che gli piaceva. Trey quindi tornò nel piccolo bagno e provò ad allungargli un piccolo funghetto tutto bianco – la creatura quasi azzannò anche le sue posate, da tanta la fame che aveva.
L’uomo fece un balzo indietro per la sorpresa e guardò quel che restava della forchetta tra le proprie dita.
-Accidenti, sei terribile!
La creatura lo guardò ancora, forse aspettandosi dell’altro. Sembrava che gli fosse piaciuto molto. Sospirando, Trey andò a recuperare il resto della confezione: quella sera lui si sarebbe dovuto accontentare di un po’ di pane, a quanto sembrava.
La creatura mangiò di gusto tutto quello che lui gli diede, tenendolo con le mani prensili. Fu mentre quella cosa consumava il proprio pasto che Trey si accorse del colore diverso della sua pelle.
Subito pensò fosse per la ferita, ma non vedeva sangue nell’acqua. Provò a toccare la creatura sulla spalla e si accorse che era molto, molto fredda. Un po’ troppo fredda, anche per essere una creatura marina.
Pensò velocemente. Non poteva mettere acqua calda dentro la vasca, perché aveva paura di cuocere la carne di quella povera creatura. E d’altronde non poteva neanche avvolgerla con una coperta o qualcosa del genere.
Andò a prendere la stufa elettrica, ma si ricordò troppo tardi che nel faro c’erano solo due prese, entrambe abbastanza lontane dal bagno, e nessuna prolunga.
L’acqua calda sembrò davvero una valida alternativa, finché non gli venne un’altra idea. Cominciò di nuovo a spogliarsi, lasciando i propri vestiti in ordine sull’unico appendiabiti dello stanzino. Nel mettersi nella vasca con la creatura, fece uscire dell’acqua che andò sul pavimento – poco male, perché quella si poteva recuperare. Quindi, abbracciò l’essere marino, nella speranza che si potesse riscaldare con il suo calore corporeo.
Quello lo strinse con le proprie braccia e avvolse la coda attorno alle sue gambe, per prendere tutto il possibile suo calore: sembrava aver capito e gradiva molto. Sul suo viso, Trey vide qualcosa che assomigliava a un sorriso umano, fatto di labbra curvate dolcemente e un’espressione gentile.
A quel punto si rese conto, dalla mancanza di mammelle sul petto e da una protuberanza abbastanza corposa che gli premette contro il ventre, che quella cosa era molto probabilmente di sesso maschile. E che lo trovava attraente.
Provò a ridacchiare, intrappolato nel suo abbraccio.
-Sei piuttosto strano per essere un sirenetto, eh!
Almeno, però, sembrava stare un poco meglio.
 
 
Il difficile fu staccarsi da lui. Era molto forte e l’istinto lo portava a non lasciare le cose che gli erano utili – men che mai una fonte così prospera e generosa di cibo e salvezza.
L’uomo con i capelli verdi dovette aspettare che si appisolasse un poco, vinto dalla stanchezza e dalla spossatezza, per scivolare via e uscire dalla vasca. Era coperto da una strana sostanza vischiosa, dal corpo della creatura marina era passato alla sua pelle durante il loro stretto abbraccio. Viscido e molle, non lasciò fortunatamente traccia quando si pulì con un panno umido, né odori particolari sulla pelle.
Sospirò e si sistemò gli occhiali sul naso.
La tempesta infuriava ancora, fuori dal faro. Si sentivano i tuoni e i fulmini, e anche il fragore delle onde alte che si abbattevano sulla scogliera alta. Di norma, quei suoni naturali riuscivano a cullare il suo sonno, perché capaci di coprire qualsiasi cosa – persino i suoi pensieri più molesti.
Ma in quella situazione, non c’era davvero nulla che riuscisse a distrarlo dalla presenza di quella creatura.
Notò come avesse le palpebre socchiuse; provò a passare una mano davanti al suo viso, ma gli occhi dai colori diversi rimasero immobili. Sembrava stesse già dormendo, poco attento a quello che gli capitava attorno. Doveva fidarsi di lui, dopo tutto quello.
Trey ne fu felice, perché quel genere di cose poteva venire in aiuto in diversi problemi di comunicazione.
Si permise di guardarlo più attentamente, notando alcuni particolari del suo viso così simile a quello umano, eppure tanto diverso. Mai avrebbe pensato che tutte le leggende sugli abitanti del mare, che le vecchiette dei villaggi di divertivano a raccontare in favolose storie a nipoti e bambini, potessero avere un qualche tipo di fondamento.  Non poteva essere un caso, d’altronde: la gente di mare conosceva le profondità degli oceani meglio di chiunque altro. Si chiese se fosse qualcosa da mantenere segreto, oppure se il popolo del mare fosse in qualche modo pericoloso per la razza umana.
A vedere quella creatura dormiente, l’unico sentimento che provava era di tenerezza, ma allo stesso tempo dubitava che in altre situazioni sarebbe stato uguale. Quei suoi denti e quella sua forza potevano davvero uccidere pesci e anche altro.
Sospirò, abbastanza indeciso. Non aveva però rimpianti d’aver salvato quella creatura, perché aveva agito in un modo che riteneva più che giusto. Qualsiasi fosse stato l’esito di quella scelta, questo non cambiava affatto.
Sovrappensiero, noto un ciuffo scuro di quelli che sembravano capelli sul suo capo, appena più lungo degli altri. Gli cadeva sulla parte sinistra del viso, tutto scombinato; provò a rimetterlo un poco in ordine, ma quando toccò il viso della creatura, quello si risvegliò di soprassalto, e finì con l’appoggiare il suo viso sopra il palmo aperto della mano di lui. Quasi fosse una carezza.
Trey si imbarazzò per qualche strano motivo, mentre la creatura lo guardava piuttosto sorpresa a propria volta.
-Non volevo- i-io non-
Si allontanò in fretta, tenendosi la mano incriminata come se scottasse o dovesse cadere a pezzi da un momento all’altro. Non era certo neanche che l’altro lo capisse, era però abbastanza sicuro di capire cosa animasse il suo sguardo languido.
-Direi che è ora di riposare, per tutt’e due!
Recuperò il proprio pigiama e una coperta, allontanandosi in fretta.
Tenette le porte delle stanze aperte, così da poter controllare il bagno e il suo contenuto anche disteso sul divano del piccolo salotto. Peccato che, sempre per colpa dell’imbarazzo e del fatto che la creatura non gli aveva ancora tolto gli occhi di dosso, Trey si girò con il viso contro i cuscini dello schienale e si rifiutò di girarsi da lì in poi.
 
 
Si svegliò da solo, aprendo gli occhi all’improvviso: un incubo gli aveva lasciato una sensazione addosso di angoscia che continuò a turbarlo parecchio. Lo turbò ancora di più girarsi verso l’entrata del bagno e vedere che non c’era nessuno nella vasca – ancora molto, molto di più accorgersi poi delle macchie di bagnato sul pavimento, in lunghe strisce e impronte di mani e gomiti. Seguendo gli indizi, capì che la creatura aveva dapprima cercato di uscire dalla porta d’ingresso, ma trovandola chiusa era poi salita sul faro, forse attratto dal rumore della tempesta.
Balzò in piedi e senza neanche recuperare i propri scarponi cominciò a salire. Accese tutte le luci possibili e inciampò lo stesso sulla polvere, andando quasi a sbattere col mento sullo spigolo di uno dei gradini.
Per sua fortuna, la creatura non aveva fatto molta strada, e lo fissò un poco sorpreso appena lo vide arrivare. Trey prese un profondo respiro di sollievo, si appoggiò alla parete con la schiena e scivolò sul pavimento.
-Ma cosa stai combinando, si può sapere?
Si era dimenticato gli occhiali e non vedeva molto bene attorno. Vide però il suo occhio sinistro brillare di giallo, la coda muoversi appena. Il sirenetto respirava piano, senza troppa difficoltà.
E l’uomo con i capelli verdi si chiese se avesse mai visto il mare da un punto alto, oltre la terraferma.
Si alzò in piedi, di nuovo, e lo prese in braccio, caricando sia la sua lunga coda sia il suo busto sulle proprie spalle.
La creatura si aggrappò a lui, benché non avesse la minima idea di cosa volesse fare. Guardò le sue strane gambe con silenziosa curiosità: intuiva sarebbero state quasi inutili nell’ambiente marino, ma erano in grado di sprigionare così tanta forza nell’ambente terrestre. Provò ad allungare una mano verso le sue cosce, e finì con il palpare la natica sinistra dell’uomo, che sobbalzò e ridacchiò a disagio.
-Ohi! Quella è una zona privata!
La creatura sembrò abbastanza divertita dalla sua reazione e provò ancora a toccarlo – nessun animale marino aveva quel genere di muscolo, era quantomeno buffo. L’uomo però mosse il proprio bacino in modo da farlo allontanare dalla sua presa, nel tentativo di fuggirgli. Il sirenetto emise alcuni gorgoglii con la gola, in quella che sembrava essere una risatina divertita.
Trey sospirò, verso gli ultimi gradini del faro.
Davanti alla botola che dava all’esterno, dovette fermarsi. Appoggiò la lunga coda della creatura marina per terra, mentre tentava di fare forza con mani e braccia per aprire la protezione di metallo: erano diversi anni che non veniva sollevata, forse ruggine e sporco avevano riempito gli spazi vuoti dei suoi bordi e facevano da tappo resistente.
La creatura sentiva la pioggia vicina, il rumore del vento, e intuì che quella piccola porticina fosse l’unico ostacolo tra loro e l’aria aperta. Aiutò Trey con la coda, frustando all’improvviso il coperchio e rompendolo. Soddisfatto, poi, scodinzolò pure.
-Non c’era bisogno di essere tanto violenti…
Ma la lingua umana era incomprensibile per lui, e quindi Trey sospirò ancora.
Salì la piccola scala di metallo, per uscire sotto una cupola bassa. Il vetro dei lati era rotto in diversi punti e faceva entrare sia il vento sia la pioggia della tempesta. La creatura sentì il suono delle onde e vide poi l’orizzonte scuro, scorgendo solo in un secondo momento il mare in tempesta. Quando l’uomo dai capelli verdi emerse completamente dalla botola, lo spettacolo davanti ai loro occhi era selvaggio e terribile, meraviglioso.
Il mare aperto si stendeva oltre la scogliera e la barriera di scogli aguzzi che seguiva la linea della terraferma. Si poteva vedere quanto maestoso fosse l’oceano – e quanto alte le sue onde, quanto immensa la sua furia.
Trey sentì l’eccitazione nella presa della creatura, che serrò le dita attorno al suo corpo fino quasi a fargli del male. Per lui, quella era casa, e ammirarne la potenza da un punto di vista così diverso lo lasciava sbigottito e stupefatto, davvero eccitato.
Urlò: un suono alto e acuto, potente quanto un tuono e capace, sotto i mari, di viaggiare per chilometri e chilometri. Trey si accasciò a terra per il dolore e la creatura smise subito di parlare, cadendo a terra accanto a lui.
-Ma cosa ti salta in testa?
L’altro stava ancora ridacchiando, tra i cocci delle mura del faro. Sembrava piuttosto divertito dalla situazione. Un lampo illuminò il suo volto contratto, ferino, ma fu di nuovo la notte di una terribile tempesta quando si mosse di scatto verso di lui e lo afferrò con entrambe le mani.
Per qualche istante, Trey pensò che volesse mangiarlo, nel senso più brutto del termine. Avvicinò la bocca e i denti aguzzi al suo viso, dopo averlo immobilizzato con braccia e coda; sperò che almeno fosse veloce a ucciderlo, per masticarlo poteva impiegarci tutto il tempo che desiderava.
Tuttavia, la creatura marina attaccò la propria bocca alle sue labbra, premendo quel ghigno angosciante contro di lui.
All’inizio seppe di pesce, e non fu una splendida sensazione. Ancora meno lo fu quando sentì qualcosa scivolare sulla sua lingua, temette un altro attacco più interno e istintivamente tentò di scappare. Si paralizzò a una sua carezza, comprendendo solo in un secondo momento che la creatura stava imitando il gesto che gli aveva visto fare qualche ora prima, quando era immersa nella vasca. A quel punto, allora si rilassò, e lasciò che lo avvolgesse di nuovo. Era un bacio dopotutto gentile, carezzevole, persino attento.
La creatura ridacchiò un’altra, appena si allontanò dalla sua bocca. Trey si chiese se stesse in qualche modo rimediando all’incapacità di comunicare in modo appropriato, così faceva gesti che potessero lasciar intuire felicità, gratitudine, riconoscenza. Aveva una mimica facciale simile a quella umana, così come alcuni bisogni basilari.
Ma abusava del contatto fisico e continuava ad arrotolare la sua dannata coda attorno alle sue gambe, in un gesto dal significato assolutamente sconosciuto a lui.
Sospirò, stanco.
-Ora dobbiamo scendere…
 
 
La tempesta corse via così com’era arrivata, la mattina seguente. Lasciò spazio nel cielo a nuvole chiare e un azzurro intenso, che risaltava la luce brillante di un sole vivace.
Trey fu svegliato per la seconda volta da una brutta sensazione, che gli spalancò gli occhi e subito lo portò a guardare verso il bagno. La creatura marina era ancora appisolata contro il bordo della vasca riempita a metà, teneva la lunga coda tutt’attorcigliata sul fianco. L’uomo fece appena in tempo a sospirare: mancata la presa sui cuscini, cadde con un tonfo sul pavimento che svegliò anche la creatura.
Dolorante, l’uomo con i capelli verdi gattonò fino al tavolo del salotto, dove erano appoggiati i suoi occhiali. La coperta era l’unica barriera contro il freddo dell’aria, perché aveva dovuto mettere da lavare anche il proprio pigiama; svicolò per terra quando si alzò con poca grazia, cercando di superare il dolore alla testa. Quando la creatura vide il suo corpo nudo, spalancò gli occhi: era così sorprendentemente simile a lui. Sorrise e poi si abbassò veloce, guardandolo con solo metà del viso oltre il bordo. Sembrava davvero un ragazzino umano alla prima cotta.
Trey stropicciò le palpebre sugli occhi dorati prima di inforcare gli occhiali e vedere di nuovo il mondo. Recuperò la copertina di lana e le ciabattine pelose, sbadigliò e prese un’altra confezione di funghi, che la creatura riconobbe subito. Ridacchiò.
-Oggi sei piuttosto vivace, sembra…
Mise i funghetti sopra un piattino, perché non dovesse lottare contro il vetro – o rompesse la confezione nel tentativo di prenderli e mangiarli tutti. Mentre la creatura si cibava, lui poté vedere la ferita al fianco: i segni dei punti erano ancora evidenti, ma la pelle si era di nuovo incollata ed era tornata del proprio colore naturale.
-Dovete avere una capacità di guarigione notevole…
Lo colse come alla sprovvista, guardandolo di nuovo. La creatura fermò i propri movimenti con alcune dita in bocca, mentre finiva di mangiare i suoi adorati funghi; mosse le pinne lungo il profilo del viso, quasi a chiedergli cosa ci fosse di così sorprendente in lui.
Tutto era così sorprendente: dalla sua semplice esistenza a qualsiasi cosa lo riguardasse, al suo modo di fare così semplice e quasi bestiale, persino quella maledetta coda che continuava a scodinzolare felice.
Sistemandosi di nuovo gli occhiali sul naso, Trey si accucciò e appoggiò al suolo le proprie ginocchia, in modo da reggersi con gli avambracci sul bordo della vasca e poterlo guardare da vicino. Non aveva più alcuna paura e la creatura lo sentì, gli sorrise gentile – gli offrì anche uno dei suoi preziosi funghi, Trey dovette per forza di cose riconoscerlo come un atto molto significativo.
-Grazie, sei davvero gentile.
L’altro ridacchiò, ma quando aprì la bocca Trey temette che volesse urlare come aveva fatto la sera prima e quindi si tappò le orecchie d’istinto. La creatura non urlò affatto: emise un suono breve, articolando i suoni in quella che sembrava a tutti gli effetti una parola.
Stava tentando di dirgli qualcosa, ma l’uomo dai capelli verdi non capiva affatto.
-Mi dispiace, non-
Scosse la testa, la creatura capì e si corrucciò. Fece anche un movimento con le labbra che assomigliava a un brontolio.
Trey rise.
-Sei adorabile!
 
 
Il sirenetto continuava a tenere arrotolata la coda al suo busto, stretta stretta, anche se la discesa verso la spiaggia di faceva ripida e la carriola che Trey spingeva era sempre più traballante sui sassi duri.
Si poteva vedere il mare calmo fare la spuma chiara sulla cresta delle onde, stendersi e poi ritirarsi in un moto perpetuo e perfetto. Si vedeva anche la barriera di scogli poco distante, che però alla luce del giorno facevano un poco meno paura.
Non si sarebbe più disorientato.
Appena arrivati in spiaggia, il sirenetto cominciò ad agitarsi. Non aspettò che Trey fosse abbastanza vicino all’acqua, scese con un balzo dalla carriola e strisciò sui sassi con le braccia, trascinando anche l’uomo con sé.
-E-ehi!
Appena toccò le prime onde, parve prendere di nuovo vita. La sua pelle divenne luminosa e le sue pinne tornarono vivaci. Si muoveva nei flutti con quella grazia di chi ci aveva abitato da sempre, stessa parte dell’elemento liquido.
Trey piantò i propri piedi tra i sassi, e quella leggera resistenza fu sufficiente perché il sirenetto lo lasciò andare; lo guardò nuotare un poco, fare anche un balzo oltre la superficie marina come se fosse stato un delfino, e poi tornare da lui. Gli stava sorridendo.
Trey si sedette tra le onde, dove l’acqua non arrivava oltre il suo ombelico. Lasciò che il sirenetto gli si avvicinasse ancora, e dopo essere arrivato sopra le sue gambe si arrampicò su di lui e lo fece distendere, mettendosi tra le sue cosce. L’uomo dai capelli verdi rise, senza voler pensare che avrebbe dovuto lavare quell’ennesimo paio di vestiti.
Si rese conto solo in quel momento che l’occhio sinistro del sirenetto era dello stesso colore del suo.
La creatura si chinò su di lui, socchiudendo gli occhi per l’ultimo bacio. Intrecciò le dita squamose con le sue e respirò piano – aveva il sapore del mare libero, quell’irresistibile fascino che attraeva così tanto Trey e che lo turbava nel profondo. Gli sembrò di poter toccare il tesoro più prezioso degli abissi e di poterne, solo, godere di quel privilegio.
Sentì qualcosa di duro in bocca, che la creatura gli fece scivolare tra le labbra. Lo spinse via per vedere di che si trattasse: una piccola perla sferica, perfettamente bianca.
La creatura gliela mise in bocca e si tuffò in acqua, aspettando che lui facesse lo stesso. Trey si alzò e lo seguì per un tratto, mentre la creatura nuotava a cerchio attorno a lui sul fondale basso. Non riusciva a capire cosa volesse.
Così, la creatura si alzò sulla propria coda, fino ad arrivare alla sua altezza. Gli prese il collo e lo guidò in basso, fino a immergere la sua testa nell’acqua – a quel punto, Trey sentì la sua voce.
-Grazie, umano. Ti sarò perennemente grato di quello che hai fatto per me.
Sbalordito, spalancò la bocca e perse la perla preziosa. Per fortuna il sirenetto la recuperò subito e gliela restituì ridacchiando; aveva una voce meravigliosa, nell’acqua, così aggraziata e gentile.
Trey immerse di nuovo il viso in acqua, ma quella volta il sirenetto non disse nulla. Vide allora che si stava allontanando, vide anche una creatura al di là della barriera degli scogli, che emergeva con tutto il petto dal pelo dell’acqua. Era similissimo a lui e lo stava aspettando.
Trey, prima che quella creatura sparisse per sempre, immerse di nuovo il viso e spinse la perla contro la guancia, per non farla cadere più. Quando parlò, le sue parole si trasformarono in versi strani, l’acqua divenne come ossigeno.
-Come ti chiami?
Voleva sapere il suo nome, solo il suo nome, per tenerlo caro in cuore.
Poco prima di superare la barriera, la creatura emerse dall’acqua e lo guardò, quasi per salutarlo.
-Jade dei gemelli Leech.
Sparì di nuovo, e la creatura che lo stava attendendo oltre gli scogli si immerse, probabilmente per raggiungerlo.
L’uomo con i capelli verdi lo chiamò per l’ultima volta, speranza vana che lo sentisse.
-Io sono Trey!
Nulla però gli rispose: il mare si allungava e si ritirava in onde dall’acqua cristallina, come sempre, nella litania di flutti eterni.
 
***
 
Doppio carico, quel giorno: non solo Deuce e Ace avevano dovuto fare il doppio lavoro, ma anche Alchemi e Trey avevano dato loro una mano, per riuscire a rientrare nelle tempistiche giuste. Sulla terraferma, molte famiglie stavano già aspettando per fare una buona colazione con tutti i dolcetti della linea Clover: le loro brioches e i loro croissant erano stati più e più volte celebrati da idol importanti, ormai era diventato un brand molto alla moda.
Dopo aver assicurato anche l’ultima cassetta di piccole confezioni di plastica con una corda spessa, il capitano della nave si concesse un’espressione stanca e un lungo sospiro di sollievo.
-Accidenti. La festa della Regina di Cuori è sempre così spaventosamente faticosa-
-È una delle nostre feste nazionali, è anche normale che si festeggi in grande!
Accanto a lui, l’uomo con i capelli verdi alzò la mano al viso per sistemarsi gli occhiali sul naso. Non riusciva neppure a fare il suo solito sorriso di circostanza, i suoi vestiti erano tutti bagnati di sudore e i lineamenti del volto provati.
L’amico d’infanzia approfittò del momento di debolezza per punzecchiarlo un poco.
-Parteciperai anche quest’anno alla giostra cittadina?
La giostra cittadina era composta da diversi giochi e competizioni, nonché un grande picnic condiviso dove si consumavano alcuni piatti tipici del luogo.
La corsa con gli asini, però, era un trauma che aveva segnato tutti i piccoli abitanti dell’isola di tutte le generazioni. Alchemi sogghignò, mimando il movimento che facevano da bambini in sella su quei piccoli destrieri.
-Tutti sugli asini! Al galoppo!
L’altro rise, un po’ a disagio nel vedere quei precisi gesti ripetersi sotto i suoi occhi.
-Sono un po’ troppo cresciuto, temo! Non vorrei mai far del male a un povero ciuchino!
-Era la parte più divertente della festa!
-Mi limiterò a godere il buon cibo e la buona compagnia…
Risero assieme, almeno finché Alchemi non decise che fosse il momento giusto per fare la propria mossa – e subito Trey lo interruppe, prima ancora che terminasse la frase.
-Sai, ci sono molte cose buone da mangiare anche-
-Lo so! Cioè, lo posso immaginare! E sarò contentissimo quando ti deciderai a portarmene qualcuna tu!
Lo guardò in viso, per una volta serio.
Non aveva smesso di sorridere, ma non aveva ancora smesso di pensare che il suo amico meritasse qualcosa di più di pochi metri quadrati in cui vivere, un piccolo forno e soli sei aiutanti per i suoi dolci.
-Non vuoi proprio venire, eh? Neanche se ti dicessi che potresti aprire una catena di pasticcerie, con l’aiuto di alcuni miei amici?
Trey abbassò lo sguardo, per un imbarazzo sottile che sfociava nella commiserazione, di nuovo.
Guardò il mare, come sempre lo aveva guardato: in quella linea infinita che sembrava dividere il cielo dall’acqua e che segnava, solo per lui, l’infinita possibilità delle cose e della vita. Jade, dopotutto, rappresentava tutto ciò che davvero voleva per sé.
Alchemi si rese conto che i suoi occhi erano diversi dal solito quando tornò a guardarlo e, come sempre, declinò la sua gentile offerta.
-Che’nya. Qui c’è davvero tutto quello di cui ho bisogno.
Il sorriso di Alchemi cambiò un poco. Si arrese, dopo tutto quel tempo, ma perché era arrivato a un punto in cui davvero aveva compreso l’amico e non pensava soltanto di farlo.
-Non te lo chiederò più, allora. Il tuo sguardo mi dice che hai qualcosa di davvero prezioso, qui.
-Sì, è possibile…
Si congedarono con alcune pacche affettuose sulle spalle.
Trey scese dalla nave mentre la piccola imbarcazione salpava, dando con un colpo di sirena il proprio saluto all’Isola delle Rose.
Ma prima che si allontanasse troppo, l’uomo con i capelli verdi si ricordò di dover chiedere un’ultima cosa. Alchemi era un uomo di mare, d’altronde, doveva essere a conoscenza per forza di certe cose – e ormai era troppo distante per fare domande scomode.
-Ah, Alchemi! Che tu sappia, cosa significa quando un pesce ti si attorciglia addosso?
-Un pesce?
-Sì, tipo una murena!
Il capitano ci pensò qualche istante, prima di rispondergli. Sospettò qualcosa e volle provocarlo, per vedere la reazione di lui. Non che le informazioni che gli diede fossero false, ma certo potevano significare molte cose – dipendeva dal contesto, e il contesto che Trey gli diede era ben preciso.
-Da quello che so, le murene si attorcigliano attorno ai propri partner! È un atto molto, molto intimo!
-Molto intimo…?
-Più o meno come per noi corteggiarsi.
-Oh, bene…
Dalle reazioni dell’amico, Alchemi finalmente capì.
Come mai il mare, come mai quell’isola, come mai proprio Trey. Sorrise, contento, perché a quanto pare l’amico aveva trovato qualcosa di davvero prezioso.
Sventolò il proprio cappello bianco al suo indirizzo.
-Cerca di non lasciarglielo fare troppo, altrimenti finisce che ti da una pietra in bocca e sei fidanzato per sempre! Sono terribilmente insistenti, quelle creature!
Trey a quel punto capì che anche l’altro avesse capito; divenne rosso da capo a piedi, stringendosi nelle proprie spalle.
-Farò molta attenzione, grazie!
Ma ormai la nave era troppo lontana: non sentì neppure la risata divertita di Alchemi, mentre i suoi marinai stavano cominciando a chiedersi se fosse definitivamente impazzito.
Trey sospirò, affranto e sconsolato. La verità era che da quel giorno non aveva mai posato la perla che il sirenetto gli aveva regalato, e anche in quel momento la teneva al collo, avvolta dal fil di ferro dorato e appesa a un filo sottile; sotto il maglione, per essere discreto ed evitare troppe domande incuriosite.
Doveva ancora essere pronto per richiamarlo a sé, ma lo sarebbe stato presto – quella volta, finalmente, avrebbe davvero risposto al richiamo del mare.
Si incamminò verso il furgoncino bianco con il logo della pasticceria di famiglia, contento. Un ultimo sguardo all’orizzonte, come sempre, e poi sospirò, chiudendo la portiera del conducente.
   
 
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