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Autore: bimbarossa    28/03/2021    3 recensioni
C'è un fenomeno che imperversa in città, una campagna pubblicitaria di intimo che sta spopolando, le cui protagoniste assolute sono ragazze bellissime, modelle irraggiungibili e dall'identità misteriosa.
Difficile non cadere vittima del loro fascino, e ancora più difficile scoprire che sono molto più vicine a noi di quanto potremmo mai credere.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ayame, Jakotsu, Kagome, Rin, Sango | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: sì, anche a quel furbetto di InuYasha piacciono le riviste per adulti

 



 

La curiosità aiuta. A vendere.

 

 

 

“Questo sarebbe il mio regalo per San Valentino?”

L'espressione sul volto di Kagome era una via di mezzo tra l'incertezza e l'irritazione trattenuta, con in più un sottile velo di delusione.

“Non fare quella faccia! Neanche ti ricordi che questo è il posto dove ci siamo incontrati per la prima volta, ammettilo.”

Con una manovra di destrezza possibile solo per qualcuno dal sangue demoniaco come lui, InuYasha estrasse un cestino da picnic e una coperta.

“Ho fatto preparare da tua madre i cibi che ti piacciono di più.” Si godette quindi il cambiamento repentino del volto della sua ragazza, la bocca spalancata e le guance che diventavano a poco a poco rosse come piaceva a lui. “Non sapevo cosa regalarti, sai, io non sono un esperto in queste cose, così ho preferito non un cosa ma un dove. Non sei arrabbiata, vero?”

“Certo che no. È meraviglioso. Mi dispiace solo che il mio regalo in confronto al tuo risulterà un po' misero, temo che la torta al cioccolato che ti ho fatto si sia un pochino bruciata. Non sei arrabbiato, vero?” Gli fece il verso tirando fuori la piccola lingua rosata e InuYasha, che già da casa aveva avuto sentore di tale tragedia culinaria (quella mostruosità nella borsa di Kagome puzzava come legno affumicato) ma non ne aveva fatto parola per cavalleria, sentì un fremito lungo la spina dorsale.

Si sedettero sopra la coperta, accoccolati e felici di stare insieme, e forse era per il fatto che il freddo vento di febbraio non riusciva del tutto a coprire il calore dei raggi del pallido sole intento a sfidare le poche nuvole, ma ogni dettaglio in quella giornata pareva perfetto.

Mentre mangiavano si mise ad osservarla di sottecchi, le guance arrossate e l'aria sbarazzina mentre divorava le rape croccanti, e non gli era mai parsa più bella.

“InuYasha, devi fissarmi ancora per molto prima che tu ti decida?”

“D-decida di fare c-cosa?”

Si sentì tirare per il bavero della giacchetta di jeans, e prima che le labbra di Kagome diventassero complementari alle sue, la sentì sussurrare: “A baciarmi, scemo.”

 

Si baciarono a lungo, lui e Kagome.

Mai avrebbe pensato di trovare la sua lingua così morbida, gommosa, di una densità talmente dolce che i mugolii gli si fermavano in gola per l'impossibilità di fermare quei baci.

“Kagome, dovremmo smettere.”

Sentiva il collo rigido e non solo, anche un'altra parte del suo corpo sentiva rigida, inoltre le parole gli uscivano a stento e temeva che la gola gli si spaccasse dalla tensione.

“Perché?”

“Perché siamo in un luogo pubblico, e se continuiamo così...”

“D'accordo, come vuoi.”

Chissà perché l'arrendevolezza di Kagome e il fatto che fosse stata tanto veloce a tirarsi indietro gli fecero quasi male.

“Scusa InuYasha, ma dove stai andando?”

Si era caricato coperte, cestini e immondizia, dirigendosi tutto impettito fuori dal parco.“Ti sto portando a casa, no?”

“Non ci pensare nemmeno.” InuYasha non poteva crederci, Kagome stava prendendo l'iniziativa proponendogli quello che gli stava proponendo! “Al parco ci possono essere effettivamente occhi innocenti e vecchie bigotte barbose, ma se mi porti a casa tua mi farò perdonare per il dolce che ho bruciato. Ti darò un vero regalo di San Valentino.”

 

 

“È stata una commissione abbastanza difficile, lo ammetto, ma almeno la paga si è rivelata buona.”

Aveva invitato Sango in un locale in centro dopo un lavoro di esorcismo in una vecchia casa nel quartiere più antico di Tōkyō, ed ambedue si erano ritrovati stanchi, infreddoliti e bisognosi di una buona tazza di the bollente per riprendere le forze.

“Grazie di avermi chiamata.”

“Prego. Sapevo che quei soldi ti servivano, e poi sei la miglior sterminatrice che conosca.”

La fissò mentre si massaggiava con gesti lenti e suadenti le spalle. “In effetti con questi soldi posso pagare alcune bollette urgenti. Che ne dici se per ringraziarti ti invito a cena? Mio fratello resterà fuori fino a tardi, e posso cucinarti qualcosa, e poi magari...”

“Mi dispiace, Sango, ma non posso proprio. La tua offerta mi lusinga, ma ecco...ho un appuntamento.”

Mannaggia, come avrebbe voluto accettare!

Ogni volta che posava gli occhi su quella ragazza, a Miroku veniva una specie di sensazione di calma irrequieta, alla stregua di un mare liscio come l'olio durante una tempesta. Un sentimento di surrealtà, di vertigine, di costante voglia di palparle il sedere, farle una carezza nei capelli e baciarla fino a non avere più fiato, tutto contemporaneamente.

E non perché Sango fosse semplicemente bellissima, nonostante quegli abiti informi e pratici che portava quasi sempre per lavorare meglio.

Miroku sapeva benissimo di provare qualcosa per quella ragazza. Eppure sapeva altresì benissimo che quel rapporto non avrebbe portato da nessunissima parte.

Come aveva detto ad InuYasha, lui e Sango erano troppo diversi, e soprattutto cercavano cose diverse. Inoltre in questo momento lei non se la passava certo bene, aveva appena perso il padre e doveva far fronte ad importanti problemi economici e di bilancio famigliare.

Aggiungere anche un monaco impenitente come fidanzato sarebbe stato deleterio, e lui ci teneva troppo per farle questo.

Così si era imposto di starle lontano, almeno da quel punto di vista, cercandola solo in caso di lavori in vista che potessero aiutarla e come spalla di sostegno.

E poi...poi c'era la ragazza Osuwari.

Lei sì che era perfetta per lui.

Sicuramente una come lei era abbastanza disinibita, intraprendente e frivola da non ritenerlo indegno o depravato, una di larghe vedute, moderna, di certo molto lontana dall'educazione avuta per esempio da una come Sango, rigida e formale.

Con la ragazza Osuwari sarebbe stato tutto più facile, come piaceva a lui, se solo l'avesse trovata.

“Allora è così. C'è una ragazza che ti piace.”

Sango ci stava provando a fare la vaga, tirando su con noncuranza il suo frappè tramite una sottile e rumorosa cannuccia, questo Miroku lo aveva capito benissimo. Tuttavia doveva darci un taglio netto, non darle speranza. A lei e a sé stesso.

“Si, ho una ragazza che mi piace, che mi piace molto anche. Credo che sia quella giusta per me.”

“Capisco.”

La vide stringere la borsa che portava con se fino a farla scricchiolare, per poi alzarsi e pagare la sua parte. “Sei un vero amico, hōshi-sama, non so cosa avrei fatto se non mi avessi chiamato, e scusami se sono stata ficcanaso con la tua vita privata. Ora vado, non ti trattengo oltre.”

Si inchinò rispettosamente, e Miroku non dovette neppure sbattere gli occhi che era giù uscita e sparita tra la folla congelata ed asettica di Shibuya.

 

Rientrare a casa non poté dirsi proprio una meraviglia.

Il tempio era ghiacciato perché i riscaldamenti erano ancora spenti, e scuro come il suo umore dato che le candele votive non erano ancora state accese. Prima di prepararsi per la notte ebbe la spietata tentazione di fare una bella ramanzina ai suoi accoliti l'indomani, per poi ritrovarsi ad ammettere che no, non ne aveva la voglia. In realtà non aveva voglia di fare niente, si sentiva svuotato come un vecchio otre messo da parte.

Perché provava una tale depressione? I suoi sentimenti per Sango non erano così intensi ed esasperati, giusto?

Doveva concentrasi sulla ragazza Osuwari, su di lei soltanto.

Lei era reale, Sango era un sogno impossibile.

 

 

“Come mai non sei andata a casa?”

Aveva sentito l'odore di Rin non appena era uscito dall'ascensore per tornare in ufficio a prendere alcuni rapporti diventati improvvisamente urgenti prima di portare fuori a cena Kagura, e si era stupito, visto l'ora tarda, che lei si trovasse lì. Credeva che fosse già andata via da parecchio.

“Sapevo che le servivano queste carte extra da revisionare, così sono rimasta oltre l'orario per prepararle.”

Come la prima volta che lo aveva sentito, nell'intimità della sua anima di demone, quel senso di fastidio che qualcuno (ma non lui!) avrebbe chiamato senso di colpa e che associava sempre a Rin quando le faceva fare gli straordinari, o le dava compiti poco prima che fosse finito il suo turno, o le correggeva i pochi errori dovuti più che altro all'inesperienza, lo pungolò in un punto strano, un punto che stava tra i polmoni e lo stomaco, un punto che prima non sapeva neppure che esistesse e che potesse reclamare qualche attenzione.

“Vai a casa. Per quelle posso aspettare.”

“Ma no, mi ero preparata.” Con un gesto elegante del braccio che non lui non mancò di notare tirò fuori una scatola del bento. “Lei ha già cenato? Possiamo dividerla.”

Non si diede nemmeno la pena di rispondere, prese una sedia e si mise di fronte a lei, indifferente al fatto che quello non fosse un posto a lui congeniale ma l'ufficio della sua segretaria.

“Spero che sia di suo gusto. Non sono brava come Sango, ma me la cavo. Ho dovuto imparare fin da piccola se non volevo morire di fame.”

Rin non diede altre spiegazioni sul significato tetro di quella frase, e lui non gliene chiese.

Mangiarono quietamente, in silenzio, il rumore delle bacchette che pareva piovessero ossa dal cielo.

“Sesshōmaru-sama, posso farle una domanda?”

“Chiedi pure.”

Rin mangiucchiò qualche verdura prima di trovare il coraggio di parlare, mentre Sesshōmaru nel frattempo si godeva il piacere di poter osservarla da vicino forse per la prima volta, la delicata curva del mento, le spirali delle piccole orecchie, gli occhi scuri e profondi dove, se avesse voluto, avrebbe potuto trovare una pace completa, una pace che non necessitava di conquistare o distruggere cose e persone.

Sì, quella ragazza gli piaceva, ed essendo Sesshōmaru quello che era, questo poteva volere dire tutto e niente, ma qualsiasi considerazione fosse stata raggiunta sul mistero che era l'umana Rin sarebbe comunque rimasta ben chiusa dentro di lui, custodita tra i quei freddi silenzi per cui era famoso e le poche parole e dichiarazioni che gli uscivano a fatica di tanto in tanto.

“Ecco, se mi è permesso, quella donna, Kagura, è un'importante avvocato, si dice che sia una specie di squalo del foro. Le carte che sto preparando sono per lei, giusto? Sesshōmaru-sama, stiamo per caso facendo causa a qualcuno? Perché se è così non invidio quel poveretto.”

Per un attimo pensò di non rispondere, anzi, i suoi scrupoli quasi lo stavano indispettendo.

“Sei curiosa, vedo. Va bene, te lo dirò, anche se tra poco sarà di dominio pubblico. Conosci le ragazze Osuwari?”

“Certo, le conoscono tutti in città.”

Raramente nutriva la voglia di mettere acido nelle poche parole che usava con Rin o in sua presenza, tuttavia questa volta la frase che gli uscì ne era talmente piena da essere quasi piacevolmente scivolosa sulla lingua. “Ebbene, si ritroveranno molto presto senza lavoro.”

 

Rientrato nel suo buio appartamento di città, Sesshōmaru facendo il bilancio della giornata si annotò due cose. Primo, l'aver dato buca a Kagura non gli procurava il minimo senso di colpa. E secondo, la faccia di Rin quando aveva nominato le ragazze Osuwari gli aveva messo addosso una nuova sensazione, mai provata prima per un essere umano.

Una viscerale, inspiegabile, insoddisfatta curiosità.

 

 

“Adesso anche Kōga conosce il mio piccolo problema durante il novilunio. Se vado avanti in questa maniera gli affari miei li sapranno tutti quanti.”

“Ma dai! Questo vuol dire solo che hai tanti amici.”

Le voci di Kagome e di suo figlio si allontanarono per poi perdersi lungo il corridoio della grande villa fuori dalla capitale.

Sì, era proprio così, pensò Inu no Taishō seduto alla scrivania del suo studio privato mentre controllava carte su carte accumulate in quell'anno di permanenza all'estero.

InuYasha era cambiato radicalmente in quel periodo, mostrando un comportamento molto meno introverso, meno brusco, meno sfiduciato del mondo, e il Generale aveva il vaghissimo sospetto che tutto questo fosse opera di Kagome e della sua forte, e gentile, influenza al fianco del suo secondogenito.

Quella villa, un tempo vuota e fredda dopo la partenza di Izayoi, non era mai stata così piena di gente, che schiamazzava, rideva, svuotava frigo e armadietto dei liquori.

Umani, demoni lupo, sacerdotesse.

Inu no Taishō un pomeriggio, passando per una delle stanze dove si radunavano i ragazzi, aveva perfino scoperto un cucciolo di demone volpe bellamente addormentato su uno dei suoi divani, un vassoio di pesci smangiucchiati accanto e una piccola trottola solitaria insieme ad altri giocattoli sparsi per tutto il pavimento.

Ma in fondo ne era felice. Quella era la vita che aveva sempre voluto per lui, con persone accanto che gli avessero voluto bene e lo avessero accettato per quello che era.

Sfortunatamente a una di queste persone lui aveva arrecato offesa, e adesso doveva rimediare come era giusto che fosse.

La trovò che pranzava al tavolo messo a disposizione degli Yōrō nel ristorante all'interno del concilio, sola, i codini neri che contrastavano in modo strano con le pellicce bianche del clan del nord.

“Posso?” chiese prima di sedersi accanto ad Ayame di soppiatto.

Vista da vicino era una ragazza davvero molto bella.

“Certo.” La sua voce non era fredda, quanto piuttosto priva di calore.

“Vorrei porgerti le più sentite scuse per il mio comportamento di qualche tempo fa. Sono stato maleducato e brusco, ma a un demone vecchio come il sottoscritto si può perdonare un atteggiamento un po' burbero qualche volta, spero.” Le fece un sorriso che voleva essere incoraggiante, ma chissà perché ebbe quasi l'impressione di non essersi spinto oltre una pallida smorfia malinconica.

Che effettivamente non sortì l'effetto sperato.

“Inoltre devo confessare che mi sono anche trattenuto con te. Devi vedere come ho trattato la principessa Abi laggiù,” con il capo fece un impercettibile segno verso il tavolo dei signori dei corvi, “sostenendo che sua madre dovrebbe cambiare dieta ed evitare i ragni velenosi. O quando ho rinfacciato a Joka l'intrattabilità del suo turbolento clan.”

Con sollievo si rese conto che all'estremo della bocca di lei stava spuntando un mezzo sorriso trattenuto a tutti i costi.

“Insomma, da quando è tornato si è fatto molti amici.”

Risero in contemporanea, stupendosi entrambi di quanto fosse piacevole farlo.

“Va bene, diciamo che la perdono.” Con un'alzata di spalle fintamente sostenuta chiese disinvolta il conto prima che potesse farlo lui.

Nel momento in cui divenne consapevole che lo stava congedando, provò la netta sensazione che quella fosse l'ultima cosa che voleva.

“Sta piovendo,” il tempo fuori era talmente burrascoso e scuro che anche l'aria pareva di un grigio solido, “posso accompagnarti a casa?”

“Non ce ne bisogno, anche se la ringrazio molto per la gentilezza. Qui da voi al sud, la pioggia è tiepida e leggera.” Con una giravolta, la ragazza lupo di nome Ayame cominciò ad avviarsi senza il minimo cenno di disagio, senza ombrello, senza qualcosa che le coprisse il capo già umido.

I codini resi subito lisci e pieni d'acqua parevano lacrime scure.

“Al nord invece quando piove anche il più coraggioso cerca riparo, perché ogni singola goccia è gelida e ostile come il più coriaceo e vecchio dei demoni.”

Lo aveva detto con un'intonazione semplice, di una dolcezza attutita dalla pioggia battente, e anche se avesse voluto saperlo, non poteva essere sicuro che ci fosse qualche riferimento personale.

Tutto quello che voleva era rivederla ancora.

“Ayame?” Si voltò verso di lui poco prima di sparire dalla sua visuale, lì nei giardini diventati di un verde liquido del concilio. “Di solito queste riunioni per la manovra finanziaria sono spesso lunghe e noiose. Che ne dici se qualche volta pranziamo insieme?”

 

Tornò a casa con uno stato d'animo molto diverso da come vi era uscito.

Subito fu investito da odori che rimandavano a facce e nomi che conosceva appena.

“Avverti in cucina che preparino la cena per i nostri ospiti,” il maggiordomo annuì prendendo il suo soprabito di pelle. “Ah, e non dimenticarti di far preparare le trote allo spiedo.”

L'odore del cucciolo di volpe era uno tra i più persistenti, nella casa. “È ora che io conosca le persone più importanti che fanno parte della vita dei miei figli.”

 

 

 

 

Fatemi ringraziare tutti quelli che hanno recensito questa storia lasciando delle bellissime parole di apprezzamento che sono state il mio sostegno per continuare, davvero, siete incredibili, non mi sarei mai immaginata tanto affetto, e non scordo nemmeno quelli che l'hanno messa tra le preferite e le seguite, grazie di cuore anche a voi. Sperando che questo nuovo capitolo vi piaccia.

 

 

bimbarossa

  
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