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Autore: FreDrachen    30/03/2021    1 recensioni
Luca aveva davvero tutto nella vita. Era una promessa del calcio, popolare tra i suoi coetanei tanto da essere invitato a ogni festa, ed era oggetto di attenzione di ogni ragazza e non.
Insomma cosa si poteva volere dalla vita quando si aveva tutto?
Basta, però un semplice attimo, un incidente lo costringerà a una sedia a rotelle, e per questo sarà abbandonato dalle persone che un tempo lo frequentavano e veneravano quasi come un Dio.
Con la vita stravolta si chiude in se stesso e si rifiuterà di frequentare la scuola. Sua madre, esasperata da questa situazione, riesce a ottenere la possibilità, dalla scuola che Luca frequenta, di lezioni pomeridiane con un tutor che avrà lo scopo di fargli recuperare il programma perso.
E chi meglio di uno dell'ultimo anno come lui può riuscire nell'impresa?
Peccato che Luca sia insofferente agli intelligentoni e non sembra affatto intenzionato a cedere.
Peccato che Akira non sia affatto intenzionato ad arrendersi di fronte al suo carattere difficile.
Due ragazzi diversi ma destinati ad essere trascinati dall'effetto farfalla che avrà il potere di cambiare per sempre le loro vite.
[Storia presente anche su Wattpad, nickname FreDrachen]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 8


Mi hanno sempre detto che ho gli occhi di un colore tra il grigio e il blu con il risultato di uno mai visto, e i capelli del vero colore dell'oro, con alcune ciocche rischiarate dai colpi di sole che solitamente andavo a far fare dal parrucchiere.

Quello che vedevo riflesso era il pallido riflesso di una persona che poteva diventare qualcuno, con gli occhi spenti contornati da occhiaie spaventose e i capelli ormai tornati del loro colore naturale.

Vi passai una mano per sistemarli di lato come mi era solito fare fino a prima dell'incidente. Chiarendomi con Akira mi sembrava di essere diventato un'altra persona, non quello di prima ma neanche lo svogliato che aveva solo voglia di fare il nulla o al massimo insultare il mondo.

Quel giorno mi presentai alle nostre lezioni in un'ottica del tutto diversa e con un sorriso di accondiscendenza che fece insospettire subito Akira.

«Sei di buon umore oggi»disse stando all'erta, al che il mio sorriso si allargò.

«Ho deciso di sotterrare l'ascia di guerra. Tra noi adesso non ci saranno piú alcun tipo di avversioni».

«Le "avversioni" di cui parli provenivano solo e unicamente da te»sottolineò lui al che agitai la mano con fare noncurante.

«Questo è un dettaglio trascurabile. Forza, che mi spieghi oggi?»

Lui aggrottò le sopracciglia sempre più confuso.

«Temo che se non hai ascoltato fino a ora ti verrà veramente complicato seguire quello che dovremo fare da adesso in poi».

«E che vuoi che ti dica? La prima lezione hai spiegato gli amminoacidi, poi sei passato a...»

Con intima soddisfazione spiegai abbastanza sinteticamente tutto quello che mi aveva insegnato in quel periodo e mano a mano che andavo avanti Akira sgranava sempre di più gli occhi, come se fosse sorpreso da quello che mi stava uscendo di bocca. Che cinese di malafede.

Quando terminai gli scoccai un sorrisetto soddisfatto.

«Che mi dici? Mi manca qualcosa per poter continuare le tue lezioni?»

Lui rimase a fissarmi per un tempo che mi parve abbastanza infinito, facendomi pensare che fosse svenuto in piedi, anche se non ero certo che potesse accadere.

Ma alla fine parlò anche se le parole gli uscirono a scatti come se ancora non si capacitasse di quello che era appena successo.

«Chi sei e che cosa hai fatto al Tremonti svogliato che non prestava attenzione?»

Feci spallucce. «Quando si vuole studiare il minimo indispensabile l'unica cosa da fare è affinare la memoria».

Akira alzò gli occhi al cielo ma non ribattè. Non poteva smontare una metodologia così fine e favolosa. Infine si decise a continuare da dove si era interrotto due giorni prima.

Durante la lezione per la prima volta cominciai a prendere appunti, muovendomi sulla sedia alla ricerca di una posizione comoda. Avevo sempre avuto problemi a stare fermo per un certo lasso di tempo e prima dell'incidente scaricavo tutta quella energia iperattiva in campo. Ma ora l'unico modo che avevo era cambiare posizione quasi ogni minuto.

«Sei per caso stato attaccato dalle formiche?» mi domandó Akira dopo un po', fissandomi con quel suo sguardo intenso e preoccupato.

«No, é che soffro a stare fermo anche per poco tempo. É un problema che ho sempre avuto fin da bambino».

Akira si sedette sulla sedia di fronte a me e appoggiò i gomiti sul tavolo e il mento sui palmi delle mani.

«Avevo sospettato che da piccolo non fossi propriamente un angioletto» scherzò, le labbra che si stirarono in un sorrisetto divertito.

Mi finsi offeso e incrociai le braccia al petto.

«Ero un agioletto, solo un po'...movimentato».

«Mi dispiace per i tuoi. Sono certo che li avrai senza dubbio fatti impazzire».

«Quello si»ammisi, ricordandomi poi di un evento che pensavo di aver dimenticato ma che a distanza di tempo mi faceva ridere al solo pensarlo. «Una volta quando avevo nove anni ero salito su un albero abbastanza alto. Era un qualcosa che facevo da sempre, e quel giorno mi ero prefissato a scalare quella quercia maestosa che svettava su tutti gli altri alberi che mi parevano quasi i significanti. Da bambino, stupidamente ingenuo, credevo che se fossi riuscito ad arrivare fino in cima sarei diventato famoso e tutti si sarebbero ricordati il mio nome».

«Avevi manie di protagonismo anche da piccolo».

«Ero già consapevole di quanto sarei diventato grande» replicai con fibra modestia.

«Un gran...»sentì mormorare Akira ma mi persi l'ultima parola.

«Come?»

Lui di tutta risposta scosse la testa divertito. «Niente, pensieri miei. Ma ti prego continua. Ora sono curioso di sapere come va a finire».

«Inutile sottolineare il fatto che non sono morto» precisai al che gli strappai una risata. Mi piaceva di più quando era allegro e senza la nube di tristezza che pareva portarsi dietro e che avevo percepito quando sentiva di non essere osservato.

«A meno che non sia un fantasma é poco ma sicuro».

Gli feci una linguaccia e continuai con il mio racconto.

«Mia madre mi beccò quando ormai ero a metà strada e mi ha intimato in preda a quello che pareva un attacco di panico di scendere, minacciandomi che mi avrebbe messo in punizione. Ovviamente mi ha traumatizzato a tal punto che ho ubbidito. Solo che non la smetteva di urlare, manco stesse cascando il mondo, e questo suo comportamento mi ansió non poco. Per questo a meno di tre metri da terra ho messo un piede in fallo e sono cascato di faccia per terra».

Akira mi fissò sgomento al che continuai. «Per fortuna non mi sono rotto il naso ma mi é uscito un po' di sangue e ho pure perso un dente...da latte per fortuna» terminai realizzando solo in quel momento che molto probabilmente di tutto questo ad Akira non importava nulla. Senza dubbio aveva fatto finta di ascoltarmi per cortesia. E poi perché gliel'avevo raccontato? Fino al giorno prima lo avevo trattato cone se fosse il mio peggior nemico e ora gli raccontavo un qualcosa del mio passato.

I suoi occhi scuri mi scrutavano attenti, e mi metteva non poco a disagio. Distolsi lo sguardo poggiandolo sul banco e posizionandomi a cercare una posizione comoda, difficoltoso se dovevi fare a meno delle gambe e la presa dei piedi a terra che avrebbe facilitato il tutto. Era un qualcosa di scontato, un movimento semplice come l'atto respiratorio ma ci si rende conto di queste piccole cose quando ci vengono strappate via.

«I tuoi genitori come si sono comportati in quel momento con te?»mi domandò Akira con una punta di curiosità bella voce.

Riportai lo sguardo su di lui ed effettivamente era molto interessato. Era davvero tutto strano se davvero dava retta ai miei discorsi.

«Mia madre è andata nel panico. Lei é molto paranoica. Mentre mio padre, non appena siamo tornati a casa, mi ha urlato contro di tutto. Devi sapere che già a quei tempi giocavo a calcio, ma sai quel tipo di sport più divertente, tra bambini. Mio padre però aveva già deciso che sarei diventato un calciatore a livello professionale. Inoltre era più che convinto che un buon calciatore oltre che essere bravo nel gioco doveva anche essere, diciamo, dotato di bellezza, piú piacevole da vedere in campo. Quindi puoi ben immaginare che vedermi incerottato e con un dente mancante é andato su tutte le furie».

Lui mi fissò in silenzio e con intensità.

«Quindi tuo padre aveva già deciso il tuo destino».

C'erano delle accuse sottintese celate in quelle parole.

Feci spallucce. «Penso che lui avesse già capito che il pallone ce l'avevo nel sangue. Gli sono grato di avermi indirizzato lungo quel cammino. Solo che ho pensato più volte che forse se non mi fossi impegnato e non fossi arrivato a un passo a giocare in serie A, di certo non avrei sofferto come sto facendo ora»ammisi tristemente.

A nessuno avevo rivelato questi miei pensieri. Nessuno era riuscito a farmi abbassare la guardia in quel modo. Con nessuno mi ero messo così a nudo.
Perché con Akira? Perchè proprio lui?
Mi sentivo a disagio e disorientato. Mi ero messo in testa che non avrei avuto bisogno dell'aiuto di nessuno ma a quanto sembrava soffrivo a non poter parlare a cuore aperto con qualcuno.
In fin dei conti ero contento che quel qualcuno fosse lui.

Come se mi avesse letto nel pensiero lui mi sorrise prima di parlare. «Sono contento che ti sia confidato con me. Tenersi tutto dentro a volte fa male».

«A volte non si parla perchè chi si ha di fronte non può capire».

«Bè, sono felice che abbia voluto farlo con me» disse e mi regalò un sorriso, ben diverso da quelli a cui mi ero abituato, quelli sarcastico e distanti.

Non che io fossi tanto meglio, quel comportamento era del tutto legittimo come arma di difesa contro il mio pressoché odioso.

«Mi dispiace» dichiarai all'improvviso tanto da lasciarlo spiazzato, lessi tutta la sorpresa nei suoi occhi scuri.

«E di cosa?»

«Per essermi comportato come uno stronzo patentato. Tu non c'entravi nulla e mi sono accanito su di te. É solo che...». Mi bloccai un attimo alla ricerca delle parole giuste per potergli spiegare al meglio i drammi interiori che mi affliggevano e di cui nessuno era a conoscenza. «Ero arrabbiato con il mondo, con il destino che mi ha lasciato completamente solo e con una realtà distorta della mia vita. Sai, all'inizio ancora non ci credevo, e pensavo vivessi la vita di in altro e che quando mi sarei svegliato tutto sarebbe andato a posto. Ma i giorni sono passati e la vita mi comprimeva con tutta la sua sana crudeltà». Chiusi gli occhi per non incrociare i suoi, altrimenti ne sarei rimasto dilaniato. Quelle iridi gridavano molto più che la voce, parevano quasi il riflesso di quello che dicevo e non volevo. Akira non meritava di provare un dolore simile, eppure il suo coinvolgimento emotivo mi fece per un attimo sospettare che anche lui aveva provato qualcosa in passato che si era inciso sulla sua anima come un marchio indelebile.

«Per quello avevo deciso di arrendermi alla mia nuova condizione per paura di perdere ancora. Mi era stato strappato via tutto: una vita pressoché perfetta, un futuro roseo. Tutto, tutto perso in una manciata di secondi. E per questo avevo ripromesso a me stesso che mai avrei provato di nuovo un'esperienza simile. Meglio essere nessuno e senza aspettative che qualcuno e sempre a un passo dal baratro».

«Ma quello non sarebbe vivere»disse lui al che riaprì gli occhi. Si era sporto dalla sedia su cui era seduto aiutandosi con i gomiti poggiati sul banco e che mi fissava con il suo modo intenso e penetrante come se volesse mettere a nudo la mia anima. Ed era quello che stava facendo, tanto da farmi sentire imponente.

Non sapevo se fosse consapevole del potere che esercitava su di me e che mi faceva quasi avvertire una sorta di speranza anche in questa vita crudele.

«Vivere per sopravvivere é diverso che dal vivere davvero. In quest'ultima situazione si inciampa in tragedie ma poi ci si rialza. Ciò che conta é avere la forza per reagire».

«Parli come se avessi esperienza».

Stavolta fu lui a distogliere lo sguardo, stringendo un poco le labbra prima di parlare con voce rotta. «Ti consiglio solo quello che non ho avuto il coraggio di fare per non farti ripetere il mio stesso errore».

A quelle sue parole così dolorose rimasi inchiodato al mio posto, e alla vista di un rivolo di lacrime che gli scivolò lungo la gote avvertì il mio cuore straziarsi.

Un momento, ma di cosa stava...

Feci per chiedergli spiegazioni quando la porta dell'aula si aprì ed entrò con prepotenza Amanda con tutta la sua civetteria e scarsa intelligenza. Meno male che quella era solo la seconda volta, dall'inizio del tutoraggio con Akira, che la vedevo.

«Hai finito qui Akira? Devo assolutamente raggiungere le mie amiche e ho bisogno di un passaggio...»

Continuò a dare aria alla bocca e pareva infischiarsene dello stato d'animo in cui riversava il suo ragazzo. O aveva un serio problema alla vista oppure era una strega che non le importava nulla dei suoi sentimenti.

Strinsi involontariamente la mano a pugno e il mio sguardo si addombrò. Come si permetteva quella stupida oca a trattarlo in quel modo? E perchè lui non si ribellava? Aveva a che fare con le parole che aveva pronunciato poco fa?

Feci per parlare ma sfortunatamente Amanda si accorse che ero presente.

«Ancora qui Tremonti? Quanto tempo ti ci vuole per recuperare manco due argomenti?»

«E a te quanto tempo ci vuole a diventare intelligente? Ah ma senza cervello non andrai molto lontano. Almeno avrai la fortuna in un'apocalisse zombie di sopravvivere dato che con te non avranno granché da mangiare».

Amanda strinse le labbra come oltraggiata dalle mie parole. Allora non era poi così completamente decerebrata. Poi stirò le labbra in un sorriso tirato. «Ora capisco perché Agnese ti ha lasciato per Ippolito».

Non doveva più importarmi di quello che faceva Agnese, in fondo era quello che avevo ormai accettato da tempo eppure perchè mi ero sentito così punto sul viso dalle sue parole?

Stavolta Akira si intromise. Forse il lasciarmi insultare liberamente la sua ragazza era una sorta di rivincita che si prendeva dopo che lei lo trattava peggio di uno zerbino.

«Lascialo in pace Amanda. Andiamo».

Eh no, era come era successo il primo giorno, solo che stavolta m'importava di lui e della sua presenza. D'istinto allungai la mano verso di lui e lo trattenni per la manica. Lui si voltò verso di me e ciò che lessi fu la completa assenza di emozioni. Sembrava che la tranquillità e la tristezza provate poco prima fossero scivolate via dal suo bel volto, lasciando solo un viso completamente amorfo.

«Ci vediamo domani Luca»mi salutò, la sua voce un po' più gentile in netto contrasto dall'aurea che emanava.

Si liberò gentilmente dalla mia presa e uscì dalla stanza seguito subito a ruota da un'Amanda vittoriosa.

Avvertì un senso di nausea all'altezza dello stomaco all'idea di loro due insieme, così come un senso di possessione misto a protezione nei confronti di Akira. Non era normale che provassi tali sentimenti nei suoi confronti. E se prima erano ancora gestibili stando al suo fianco, imparandolo pian piano a conoscere ed apprezzare diventavano più intensi.

E non ne capivo il motivo.



Angolino autrice:

Buonsalve 😍 siamo arrivati all'ottavo capitolo 😍

E qualcosa pian piano emerge (e ovviamente siamo sempre interrotte sul più bello😱😂) 😏🙈

Spero che vi sia piaciuto :3

Nel prossimo succederà una cosa molto buffa che lascerà Luca in modalità shock (ma non vi anticipo nulla 🤐😂)

Vorrei ringraziare tutti voi che mi seguite in questa avventura 😍😭❤️

A presto con il capitolo 9 😍

FreDrachen

   
 
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