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Autore: Moriko_    31/03/2021    1 recensioni
[Cells at Work! BLACK] [J-1178]
"Quella panchina era diventata il simbolo di un legame che si era spezzato troppo presto: era il simbolo di un’assenza che non avrebbe potuto essere colmata in alcun modo, nemmeno ora che il mondo che avevano tanto amato era diventato migliore."
Una panchina, legata al ricordo di due persone che non ci sono più.
[Spoiler! Capitolo 23 e 39 del manga di Cells at Work! BLACK] [Missing moment, What if?]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'A tale of a warrior'
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Fanfiction

Sommario. 

"Quella panchina era diventata il simbolo di un legame che si era spezzato troppo presto: era il simbolo di un’assenza che non avrebbe potuto essere colmata in alcun modo, nemmeno ora che il mondo che avevano tanto amato era diventato migliore." 

Una panchina, legata al ricordo di due persone che non ci sono più.

[Un missing moment ambientato dopo il capitolo 39 e basato sugli eventi accaduti nel capitolo 23 del manga di Cells at Work! BLACK. Per tale motivo si sconsiglia la lettura a chi ha visto solo l'anime o non è ancora giunto alla lettura dei suddetti capitoli.]

 

 

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Una panchina. 

Era lì dove si sedevano quei due, una coppia di anziane cellule che l’avevano presa in simpatia. 

La piccola guerriera la stava fissando imperturbabile: uno sguardo che contrastava con quei sentimenti che, in realtà, giacevano nel profondo dell’anima. 

Ogni volta che passava in quella zona per la sua ronda quotidiana, il suo cuore si stringeva in una morsa. Era in quel momento che riaffiorava il rimorso di essere stata debole, di non essere riuscita a fare nulla per salvare quelle due cellule anziane, per farle allontanare dal loro quartiere prima che il virus li avesse colti di sorpresa. 

Era proprio su quella panchina che li aveva incontrati prima che morissero. Era lì che aveva scambiato due parole con loro, rinnovando la promessa di proteggerli: lei si sentiva abbastanza forte per farlo, e loro abbastanza furbi per riuscire a fuggire da qualsiasi pericolo, arrivando a nascondersi in un bunker che avevano costruito per fronteggiare qualsiasi emergenza. 

Le loro ultime parole rimbombavano nella sua mente, ogni volta che i suoi occhi fissavano quella panchina. 

«Prendetevi cura di voi stessi, e non pensate a noi: comunque non ci resta molto da vivere.» 

Eppure, la leucocita avrebbe voluto proteggere anche loro. Per lei ogni vita era preziosa, anche la loro: soprattutto loro, proprio perché erano i più fragili, dovevano essere i primi a essere protetti; loro, che l’avevano conosciuta solo per poco tempo ma abbastanza per affezionarsi a lei e dirle di porre al primo posto la sua vita, non la loro. 

Anche lei si era affezionata molto a loro. Si era sempre rivolto a loro con il termine occhan: la dimostrazione del profondo affetto che la legava a quei due anziani, un affetto che l’aveva portata al punto di non riuscire a dare loro il colpo di grazia quando avevano attaccato lei e le sue compagne, in preda agli effetti di quel virus che li aveva infettati. 

Ogni volta che i suoi occhi fissavano quella panchina, si ricordava del momento in cui aveva versato lacrime per loro, stringendo tra le braccia il cadavere di uno di loro, lamentandosi del fatto che proprio le cellule più instancabili – proprio come loro – erano le prime a essere assassinate, nel modo più crudele. 

Una morte che non meritavano di ricevere. 

Quella panchina era diventata il simbolo di un legame che si era spezzato troppo presto: era il simbolo di un’assenza che non avrebbe potuto essere colmata in alcun modo, nemmeno ora che il mondo che avevano tanto amato era diventato migliore. 

Lacrime amare corsero lungo le guance della leucocita, mentre lei continuava a osservare quella panchina. 

In quel momento le venne da pensare che se loro fossero sopravvissuti, avrebbero visto quanto anche lei fosse diventata più forte... 

 

«Qualcosa non va?» 

La piccola guerriera sussultò e si voltò nella direzione di quella voce. Le si affiancò un giovane eritrocita dai capelli corvini: con le mani nella tasca puntò lo sguardo prima su di lei, e poi su quella panchina. 

«Ti ricorda qualcuno, vero?» chiese con tono mite. 

Lei annuì. «Due cellule che sono state colpite dal virus. Forse hai sentito parlare del casino che ha coinvolto questa zona...» 

«Sì, me l’hanno detto. È accaduto un po’ di tempo fa...» 

La leucocita abbassò lo sguardo triste. «Non sono stata abbastanza forte da proteggere anche loro...» 

«Non puoi farci niente. È il ciclo della vita... ed è un po’ brutto da dire, ma prima o poi dobbiamo morire tutti. Mi dispiace solo che a loro sia accaduto in un modo così crudele. Chiunque fossero stati, non se lo meritavano.» 

L’eritrocita le posò una mano sulla spalla, e tornò a guardarla. «Sono abbastanza certo che loro non avrebbero voluto vederti così triste. Anzi... immagino che se fossero qui, sarebbero orgogliosi di te...» 

«Dici davvero?»  

La guerriera lo guardò negli occhi, sconvolta. Era vero che lei era diventata più forte di prima… però lo era diventata abbastanza per proteggere tutti? Per impedire che altri innocenti, come loro, perdessero la vita?  

«» rispose l’eritrocita con un fermo sorriso. Rivolse nuovamente lo sguardo verso la panchina e aggiunse: «La vedi anche tu: quella panchina è vuota, non c’è nessuno seduto… però, se guardi bene, li vedi ancora. Sono proprio seduti là, che ci stanno osservando con un sorriso e ci salutano, continuando a guardarci anche quando ci allontaniamo da loro. Io non so se una cosa del genere sia possibile… però mi piace immaginarlo. Se penso che le persone care siano ancora accanto a noi, che ci guardano e continuano a incoraggiarciil dolore per la loro perdita non scompare… però diventa più sopportabile. Spero che sia davvero così…» 

La leucocita spalancò gli occhi. Il ricordo dei sorrisi di quelle cellule era ancora vivido nella sua mente, e il pensiero che in qualche modo loro stessero vegliando su di lei le era stato un poco di conforto. 

Il suo compagno aveva ragioneNon avrebbe mai potuto cancellare il grande dolore dovuto alla loro scomparsa, ma avrebbe potuto imparare a conviverci col tempo, provando a seguire il piccolo consiglio che le era stato datoimmaginarli ancora là, seduti su quella panchina, pronti ad ascoltarla e condividere con lei ciò che era accaduto durante la loro giornata con un caldo sorriso. 

L’eritrocita la prese dolcemente per mano, rivolgendosi di nuovo a lei con tenerezza«Ti va di sederti? Così mi racconti anche un po’ di loro. Sono curioso di saperne di piùdelle loro vite, di cosa facevano…» 

La ragazza annuì, asciugandosi gli occhi lucidi. Chissà: forseil ricordare di quei brevi momenti colmi di gioia e serenità avrebbe potuto donarle un pizzico di sollievo al suo animo affranto. 

 

«D’accordo.» 

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

Ci sono delle storie che non sono programmate. E questa è proprio una di quelle.

Mai come in questo momento mi sono sentita vicina a J-1178: un personaggio in grado di affezionarsi non solo ai suoi simili, ma anche ad altri individui che non condividono con lei stretti legami di parentela, ma comunque così affettivi al punto di considerarli come parte della sua famiglia.

Il capitolo 23 del BLACK è uno di quelli che adoro, proprio per questo motivo: è incentrato sul rapporto che lei ha avuto con due normali cellule, che ha sempre chiamato con il termine "occhan" 「おっちゃん」, un modo informale e allo stesso tempo dolce di dire "ojisan" 「おじさん」, "zio" nella lingua giapponese. Chi ha letto quel capitolo ha già visto la sua disperazione per la loro perdita... e vi confesso che mentre ho scritto questa storia mi sono ricordata dell'esistenza di questo mini-comic di なひがら nel quale lei fissa quella panchina, la stessa dove quelle due cellule si sedevano, e si ricorda delle loro allegre conversazioni mentre pensa «Volevo davvero proteggervi...»

Un'ultima cosa: chi ha letto il manga può facilmente immaginare chi è l'eritrocita che si affianca alla protagonista verso la fine della storia. Non a caso, ho scritto "ambientato dopo il capitolo 39"... :3

Spero che questo breve testo vi sia piaciuto, alla prossima!

--- Moriko

 

 

   
 
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