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Autore: Emmastory    01/04/2021    4 recensioni
Muovendosi lentamente, anche ad Eltaria il tempo ha continuato a scorrere, dettando legge nella selva, al villaggio e nelle vite dei suoi abitanti. Il freddo inverno ha fatto visita a sua volta, e solo pochi giorni dopo un lieto evento che cambierà le loro vite per sempre, in modi che solo il futuro potrà rivelare, la giovane fata Kaleia e Christopher, suo amato protettore, si preparano ad affrontare mano nella mano il resto della loro esistenza insieme, costellata per loro fortuna di visi amici in una comunità fiorente. Ad ogni modo, luci e ombre si impegnano in una lotta costante, mentre eventi inaspettati attendono un'occasione, sperando di poter dar vita, voce e volto al vero e proprio rovescio di una sempre aurea medaglia. Si può riscrivere il proprio destino? Cosa accadrà? Addentratevi di nuovo nella foresta, camminate assieme ai protagonisti e seguiteli in un nuovo viaggio fatto di novità, cambiamenti, e coraggiose scelte.
(Seguito di: Luce e ombra: Il Giardino segreto di Eltaria
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-IV-mod


Capitolo XXIII 
 
Due uomini per una fata 
 
La notte era stata lunga, ma alla fine c’eravamo tutti addormentati. Christopher ed io l’uno accanto all’altra, i bambini proprio in mezzo a noi, e Cosmo e Willow sul tappeto che ancora insistevo nel tenere steso nella nostra stanza. Ci aspettavamo una nottata tranquilla, ed era vero, ma nonostante le nostre speranze, nulla di tutto ciò. Ormai erano passate ore, e il sole già faceva capolino oltre le nuvole e attraverso il vetro della finestra chiusa, ma ancora stanca, proprio non riuscivo ad alzarmi. Non l’avrei mai detto ad alta voce, chiaro, ma la colpa, se così poteva essere chiamata, era tutta da imputarsi proprio ai bambini. Gemelli, certo, che in quanto loro genitori amavamo alla follia, ma che tuttavia non potevano essere più diversi. C’era Delia, più tranquilla, rilassata e incline al gioco quando era sveglia, ma anche molto legata a me e già abituata a stare in braccio e a chiedere attenzioni, anche quando non aveva alcuna fame, o a dirla tutta, nessun bisogno particolare. Soltanto quello di essere cullata unito alla voglia di giocare con un ormai famoso, colorato e rumoroso sonaglio, che, non mi costava ammetterlo, solo nella notte appena trascorsa dovevo aver agitato per lei almeno un milione di volte. Al solo pensiero, ora sorridevo, e il mio sorriso non accennava a svanire, neanche ora che la guardavo starsene lì, sdraiata nel nostro letto nella tipica posizione fetale, con gli occhioni chiusi e il pollice in bocca. Una scena adorabile, c’era da ammetterlo, dalla quale per più di un istante non riuscii a staccare gli occhi. Fu questione di istanti, e la vidi scalciare leggermente, per poi, con la solita lentezza di chi era davvero spossato, svegliarsi. “Ciao, tesoro.” La salutai, parlandole piano e con dolcezza. Nel farlo, le accarezzai piano il visetto, e restando a guardarla, la vidi sorridermi a sua volta. Felice, come se ogni volta per lei vedermi fosse una sorpresa, e fra tante, quella migliore di tutte. Nonostante questo però, un gran silenzio, spezzato solo dal sibilo di un vento leggero, che finestra chiusa o meno, sentivo chiaramente oltre le mura di casa. Un modo come un altro per la natura di dirmi che si stava svegliando, proprio come me e i miei piccoli. In altri termini, e parlarne mi divertiva, l’esatto contrario di Christopher, che del tutto privo di energie, riposava ancora. Intenerita, lo osservai senza una parola, poi mi alzai, avendo nel mentre cura di non disturbarlo. Abituato al mio modo di fare, Cosmo non perse un attimo di tempo, e stiracchiandosi come il gatto che non era, cosa che a volte irritava la sempre silenziosa Willow, si affrettò a portarmi le pantofole, spingendole con il naso nella mia direzione finché non le indossai. “Grazie, bello, ora spostati.” Gli dissi, per poi sollevare una mano e immergerla in quel pelo tricolore. Bianco, nero e azzurro come i miei occhi e i suoi, che ogni volta mi stupivo di vedere, sempre così profondi e attenti al mondo circostante. Non c’era da meravigliarsi, e lo sapevo, ma mi era ancora incredibile. Ricordavo ancora il giorno in cui era arrivato a casa nostra, tutto solo, tremante e spaventato dopo ciò che aveva visto e vissuto nella foresta, mentre adesso eccolo, completamente diverso, eppure sempre sé stesso. Non più un cucciolo, ma un cane, no, un Arylu adulto ma con le sue stesse caratteristiche di pasticcione, che mai avrei corretto né voluto veder svanire. Ad ogni modo, finalmente si fece da parte, così, già in piedi, mi incamminai verso la porta. Al contrario di Delia, Darius dormiva beato, dimostrandosi sin da allora una perfetta copia del padre in quanto a stanchezza e, o almeno così speravo, non pigrizia. Divertita da quel pensiero, ridacchiai sommessamente, e fra un passo e l’altro attutito dalla morbidezza del tappeto sotto i miei piedi, la quiete si spezzò. A distrarmi fu qualcosa di tanto soffice quanto rumoroso. Confusa, ispezionai il pavimento per qualche istante, per poi sospirare e passarmi una mano sul viso, in un misto di noia e incredulità. “Cosmo! Tu e i tuoi giocattoli!” mi lamentai a bassa voce, sentendo la gola dolere e pizzicare, anzi quasi bruciare per lo sforzo. Chiamato in causa, il mio amico mi guardò con occhi pieni di tristezza, e sicuro di essere colpevole di quel misfatto, si coprì il muso con una zampa. “Scusa, non lo farò più.” Sembrò voler dire, sincero eppure comico come sempre. Non riuscendo ad arrabbiarmi, decisi per l’ennesima volta di non badare a quell’innocente marachella, ma ormai era troppo tardi. “Kia? Che... che è stato?” chiese Christopher, svegliandosi e sbadigliando stancamente, stiracchiandosi quasi di malavoglia. “Scusa, ho calpestato qualcosa. Torna pure a dormire, non preoccuparti.” Risposi soltanto, vergognandomi perfino più di Cosmo, che ora se ne stava seduto composto, come in attesa di nuovi ordini. Nel farlo, guardò alternativamente me e la porta della stanza chiusa, per poi avvicinarsi e spiccare un breve balzo, tentando di afferrare la maniglia. “Spostati.” Gli ripetei, lasciandomi sfuggire un ghigno divertito mentre tentavo di restare seria. Quasi annuendo, l’Arylu mi fece di nuovo spazio, e abbassata la maniglia, lasciai la stanza. Intanto, sveglia ma ad occhi chiusi, e sicuramente annoiata da tanto rumore per nulla, Willow saltò giù dal letto, e veloce come un fulmine, saettò fuori, per poi calmarsi e riprendere a camminare per il corridoio. “Però! Qualcuno ha fretta!” commentò il mio amato, che intanto aveva assistito alla scena. “Direi di sì, amore. Resta dove sei, io arrivo subito.” Replicai appena, pregandolo di non muoversi. Scivolando nel silenzio, lui annuì a malapena, poi posò di nuovo la testa sul cuscino. Fermandomi a guardarlo, per poco non sbadigliai, e subito dopo capii. Lo conoscevo, sapevo che non era davvero pigro, e che se davvero faceva così fatica ad alzarsi e a stare sveglio, doveva esserci un motivo. Preoccupata, mi affrettai a lasciare la stanza, ma prima che potessi farlo, qualcosa mi bloccò. Un ricordo, quello dei nostri figli. Due ancora minuscole forme di vita che dipendevano da noi in tutto e per tutto, così fragili da indurmi ogni volta a sfiorarli con la massima cura. Far loro del male era una paura costante, dovevo ammetterlo, specie durante la notte, quando muovendomi a tentoni nel buio rischiarato solo dalla flebile luce emessa dalla polvere magica sulle mie ali, o dal ciondolo dal quale non mi separavo mai, spesso non riuscivo a vedere bene cosa facevo, né a distinguere ciò che avevo intorno. Scuotendo la testa, tornai al presente, e poco dopo, rieccolo. Di nuovo Cosmo, che con un flebile uggiolio cercava di attirare la mia attenzione. “Allora? Andiamo o no?” fra tante, soltanto l’ennesima delle sue potenziali frasi, tutte rivolte sia a me che a Christopher, e che parlando avrebbe sicuramente pronunciato. “Dammi un attimo, bello, arrivo. Tu inizia ad andare, forza.” Mi limitai a dirgli, indicandogli con lo sguardo il corridoio da lui ancora inviolato, oltre il quale la compagna gatta era già sparita. Mantenendo il silenzio, il caro Arylu non fece che guardarmi, poi, voltandosi, sparì a sua volta. “Chris?” chiamai poco dopo, rimasta da sola con lui e con i piccoli. “Sì?” rispose subito lui, sforzando la voce arrochita dal sonno. “Ti senti bene?” provai a chiedergli, sinceramente preoccupata. Non che gli fosse successo nulla, probabilmente era soltanto stanco dopo una notte passata come me a prendersi cura dei bambini, ma la prudenza non era mai troppa, e a giudicare dall’espressione che aveva dipinta in volto, la risposta non poteva essere che negativa. Scivolando nel silenzio, attesi, e proprio allora, la risposta che in parte mi aspettavo e in parte non avrei voluto sentire. “No, tesoro, non oggi.” In quattro parole, una semplice e dura verità. Essere genitori era bellissimo, forse la cosa migliore che ci fosse capitata in quanto coppia, ma allo stesso tempo, almeno per il momento, un compito arduo, se non addirittura deleterio. Avvicinandomi, ebbi modo di osservarlo meglio, e tornando a sedermi, al suo fianco sul bordo del letto, gli regalai un lieve sorriso. “Eppure tu non sei messa meglio, sai?” pochi istanti dopo, un commento che non anticipai, e che proprio per questo mi fece ridere. “Sei sempre il solito.” Gli risposi, trattenendo a stento una piccola risata. Era anche per questo che lo amavo. Prestava attenzione alle piccole cose come quella. Altri non l’avrebbero fatto, parte di me ne era sicura, e fermandomi a guardarlo, sollevai una mano per accarezzargli il viso. Tranquillo, lui mi lasciò fare, e in un attimo gli sfiorai una guancia. Insolitamente calda, c’era da dirlo, ma a dire il vero non mi preoccupai più di tanto. Chiudendo gli occhi, mi concentrai al meglio, e lasciando lavorare i miei poteri, riconobbi in lui i sintomi della comune febbre. Nulla di troppo grave, per fortuna, una scoperta alla quale reagii prontamente, quasi fossi stata un’infermiera, oltre che una fata. “Quando pensavi di dirmelo?” scherzai, sinceramente divertita. “Forse mai, signorina. In fondo sappiamo entrambi quanto ti preoccupi, vero?” Non tardò a rispondere lui, sincero come sempre. Fra una parola e l’altra, parve prendermi in giro, ma non ci badai. Ora come ora aveva solo bisogno di riposare, ma da brava fata, o creatura naturale, come una volta Major mi aveva chiamata, ero già pronta e piena di risorse, nonché decisa ad aiutarlo, e perché no, forse anche guarirlo. “Vero.” Risposi appena, riducendo la voce a un sussurro innamorato. “Ma è sempre così quando si tratta di te.” Una replica sincera tanto quanto lui, alla quale non pensai e che liberai semplicemente, sdraiandomi lentamente al suo fianco senza disturbare la bambina, che ormai sveglia, ci guardava alternativamente ora l’uno ora l’altro, mentre il fratellino ancora sonnecchiava. Forse troppo, lo sapevo, ma a dirla tutta era ancora mattina presto, e chi avrebbe potuto biasimarlo dopo un’intera notte passata a piangere? Non io né Chris, quello era più che certo. Così, il tempo sembrò riprendere a scorrere, e dopo qualche istante di silenzio, lui mi sorprese ancora. “E non dei piccoli?” chiese, riprendendo quel piccolo litigio da dove l’avevamo lasciato. Fintamente indignata, sferrai un pugno al cuscino, e incapace di trattenermi, scoppiai di nuovo a ridere. Contagiato, anche lui rise con me, e insieme, vicini e mai lontani, ci abbracciammo. Da allora in poi, il silenzio cadde nella stanza, solenne ma non pesante, anzi, leggero come una e mille piume. “Christopher Powell, io ti odio...” sussurrai, sarcastica e affatto convinta. Scherzavo, era vero, ma d’altra parte non volevo certo rovinare quel momento. “Così tanto da arrivare quasi a baciarmi?” ancora una volta, una delle sue solite repliche, tutte sempre piene di quel sarcasmo che più volte mi aveva dato sui nervi. Imponendomi la calma, però, restai a guardarlo, per poi convincermi e realizzare il suo desiderio. Lenta, gli coprii le labbra con le mie, e in un istante, dimenticai ogni cosa. Quel contatto fu più breve di quanto mi aspettassi, ma non per questo meno intenso, specie quando lo sentii giocare con le dita fra i miei capelli. Tranquilla, lo lasciai fare, e con il cuore già impazzito, dovetti costringermi a staccarmi, bisognosa d’aria. “Esatto.” Gli dissi poi, quasi senza fiato. Sorridendomi, Christopher non aggiunse altro, indicandomi però qualcosa, o meglio, qualcuno, accanto a noi. Sempre Delia, sempre la bambina. Confusa, non seppi cosa pensare, e di lì a poco, capii. Non riuscivo a crederci, ma più divertita che sorpresa, risi sommessamente. Fu quindi questione di un attimo, e un odore più che caratteristico mi investì le narici. “Cielo, piccola...” sospirai, sconvolta. Com’era possibile che una bambina così piccola fosse capace di un odore del genere. Proprio come il fratello, anche lei era appena una neonata, e c’era d’aspettarselo, e forse lo stesso valeva per il dover aprire la finestra. Grazie al cielo Christopher mi risparmiò anche solo quel pensiero, mentre, con le pantofole portatemi da un’ora scomparso Cosmo di nuovo indosso, mi rimisi in piedi. Una volta fatto ripresi in braccio la bambina, e prima che potessi anche solo pensare di lasciare la stanza e chiudermi in bagno per cambiarla, ecco che qualcos’altro mi distraeva. Qualcuno stava bussando, e dato il momento, non avevo tempo né voglia di ricevere ospiti. “Non è il momento Willow, non grattare la porta!” quasi urlai, alzando la voce per farmi sentire. “Willow? Non mi riconosci neanche più, adesso, piantina?” rispose una voce oltre il legno, seria e speravo fintamente offesa. “Scusa!” mi limitai a rispondere, sicura che si trattasse di mia sorella. Dopo quanto accaduto alla grotta, viveva ancora con noi in attesa di una particolare svolta nella sua vita, ma nonostante fosse logico pensarlo, non dava alcun fastidio, anzi il contrario. Poteva sembrare sciocco, forse infantile o addirittura folle, ma fra lei e i bambini, la casa era letteralmente piena. Piena dei piccoli e delle loro risate, dei loro pianti e dei loro giochi, e allo stesso tempo anche della sua silenziosa, algida presenza. Quel carattere apparentemente freddo poi era diventato nel tempo un vero marchio di fabbrica, e no, non l’avrei certo cambiata con niente e nessuno al mondo. Eravamo diverse sotto tanti aspetti, se non addirittura tutti, ma eravamo comunque sorelle, e a entrambe, anche se lei non l’avrebbe mai ammesso né detto ad alta voce, andava bene così. Lento, il tempo continuava a scorrere, e tornata ai miei doveri di madre, finalmente avevo raggiunto il bagno e il fasciatoio. Non era la prima volta che cambiavo un pannolino a un neonato, e lo sapevo bene, ma nonostante tutto, a volte provavo una strana sensazione. Una sorta di ansia mista alla paura di far loro del male, a lei come al fratellino. Scuotendo la testa, m’imposi di non pensarci, e qualche minuto dopo, mi ritrovai a stringere fra le braccia la mia dolce pixie, ora pulita e profumata. “Visto? Abbiamo finito, ora puoi smettere di scalciare.” Le dissi, notando che continuava ad agitarsi e a muovere le gambette. Dolcissima, la bambina sorrise e basta, limitandosi a guardarmi e a sollevare una manina per portarsela in bocca. Paziente, la spostai perché non potesse farlo, e sicura di aver finito, tornai alla mia stanza. Era lì che tenevo le sue tutine e quelle del fratello, e non avrei certo potuto lasciarla lì in quelle condizioni. Sospirando, mi feci forza, e fatti pochi passi, sentii qualcosa. Di nuovo qualcuno che bussava, e dopo qualche istante, la porta che si apriva. “Guarda chi ti ho portato?” disse una voce alle mie spalle, cogliendomi di sorpresa. Confusa, mi voltai, e fu allora che capii. “Chris, no, non anche lui...” mi lamentai, ancora stanca. “Rilassati, me ne sono occupato io. Ha mangiato e fatto il ruttino, sono venuto a darti i vestiti di entrambi. Basta cambiarlo. Ti do una mano, se vuoi.” Parole semplici, ma che in quel momento di stanchezza furono per me una vera panacea. “Sarebbe fantastico. Delia qui sarà anche piccola, ma non sta ferma un attimo.” Risposi, lasciandomi poi andare a quel commento tranquillo e divertente. Dovette esserlo, poiché vidi il mio amato ridere, anche se il suo sorriso svanì nel momento in cui, occupando lo spazio lasciato libero dalla bambina, posò Darius sul fasciatoio. Silenzioso come al solito, si astenne dal lamentarsi, e da bravo padre, portò a termine anche quel compito tanto ingrato. In breve, entrambi furono vestiti, e le tutine, pulite e bellissime, sembrarono renderli felici. In fondo cosa c’era di meglio che rinfrescarsi e cambiarsi d’abito prima di iniziare al meglio la giornata? Nulla, o almeno così pensavo. “Che ore sono?” chiesi poco dopo, sprovvista di un orologio. “Ora di colazione per tutti e quattro, Kia. Ora vieni, o Sky finirà per offendersi.” Mi rispose Christopher, mentre sollevava il piccolo Darius per prenderlo in braccio. Sorridendogli, lo ringraziai senza una parola, e insieme, ci avviammo verso la cucina. Bastò un attimo, appena il tempo di arrivare, che fummo subito accolti dalla voce di mia sorella. “Ce l’avete fatta, vedo.” Ci disse, come al solito sempre pronta a prenderci in giro. Non voleva essere cattiva, ormai l’avevamo capito, e guardandola, non riuscii a non sorriderle. “Sì, Sky, visto? Scusaci, ma avere dei figli comporta anche far tardi a colazione.” Le feci notare, emulando il suo tono e sistemandomi meglio Delia fra le braccia, mentre con la testina sulla mia spalla, osservava il mondo da tutt’altra prospettiva. A pochi passi da me, Chris faceva lo stesso, e poco dopo, fu Sky ad avere l’idea perfetta. Muta come un pesce, si congedò da noi per qualche istante, e al ritorno, non fu da sola, portandosi infatti dietro entrambe le carrozzine dei piccoli. “Ecco, ora potete lasciarli andare. Riposatevi, e state tranquilli.” Disse poi, sorprendendoci con la sua gentilezza. “Però, grazie!” si affrettò a risponderle Christopher, decisamente sollevato a quella sola idea. Annuendo, finii per imitarlo, e sedendomi, aspettai. “Allora, che ci hai preparato?” chiesi, curiosa oltre che affamata. Stando a quanto ricordavo, non era mai stata brava in cucina, fra noi due ero l’unica a fingermi cuoca da piccola, e proprio per questo mi ero divertita a prenderla in giro, ma sicura che il tempo di scherzare fosse finito, decisi di darle un’occasione. “Toast al formaggio.” Si limitò a rispondere lei, precisa e tranquilla. “Anche se non sono riuscita a far funzionare quel coso.” Aggiunse poco dopo, con lo sguardo rivolto al bancone poco distante. “Quel coso, carina, si chiama tostapane.” S’intromise Christopher, molto più esperto di noi in materia e invenzioni umane. “Carina? Io sono bellissima, ti ringrazio.” Non tardò a replicare lei, pungente e quasi aggressiva. “E anche modesta, direi.” Commentai, tutt’altro che sorpresa. “Kaleia...” mi richiamò lei, con voce bassa e grave. Confusa, mi fermai a guardarla, poi capii. Scherzavo, ma aveva ragione. “D’accordo, scusa.” Le dissi allora, regalandole un sorriso. “Non fa niente.” Mi fece capire, ricambiando quel lieve gesto e stringendosi nelle spalle. Scivolando nel silenzio, prese un toast anche per sé, e riempito un bicchiere di succo di frutta, si sedette. “Sapete...” ricominciò, dopo qualche boccone e pochi, piccoli sorsi. “Sì?” azzardò Christopher, mentre a sua volta gustava quella creazione. “Fino a qualche tempo fa c’era davvero qualcuno che lo pensava.” Poche parole, un discorso semplice, che ascoltai in silenzio e con un improvviso peso sul cuore. Provando pena per lei, le posai una mano sulla spalla, e sorprendentemente, lei mi lasciò fare. In circostanze normali si sarebbe stretta nelle spalle o allontanata, ma ora non l’aveva fatto, e preoccupata, aspettai che riprendesse a parlare. Non sapendo cosa fare, Christopher mi rivolse uno sguardo colmo d’eloquenza, e sempre in silenzio, scossi la testa. E così, attesi per qualche altro istante, ma quando nulla accadde, mi ritrassi. Ognuno al proprio posto in cucina, uno sdraiato sul pavimento, l’altra sul cuscino di una delle sedie, anche il cane e la gatta si fermarono a osservarla, e per poco non risi quando, nello sguardo di Cosmo non lessi altro che un buffo tentativo di farla sorridere. Poteva sembrare strano, ma aveva come incrociato gli occhi, e non ero riuscita a trattenermi. Scottata, lei mi fulminò con un’occhiata, e dopo un altro morso al suo toast al formaggio, buono per una principiante, dovevo dirlo, sembrò calmarsi. “Credo che sia arrivato il momento.” Disse poi, riprendendo finalmente la parola. “Per cosa?” non potei evitare di chiedere, più confusa di prima. Mi conoscevo, sapevo di non farlo apposta, e nonostante sapessi che avrebbe potuto pensarlo, era la verità, e davvero non la seguivo. “Sì, Sky, Kia ha ragione, spiegati.” La pregò Christopher, sperando di non innervosirla. Stando ai ricordi di entrambi, era già successo, e in un periodo per lei così delicato non volevamo che accadesse ancora. “Per decidere, protettore. Mi è ricapitato fra le mani il messaggio di Major, e diciamo che non ha tutti i torti, ecco.” Ancora una volta, un discorso chiaro, che nonostante tutto non riuscivo a seguire né a comprendere a fondo. A dirla tutta non sapevo bene perché, forse era davvero solo colpa della mancanza di sonno, ma annuendo, mi sforzai quanto possibile. “Devo, farlo, o presto non sarò più capace di usare i miei poteri, o peggio.” In quel momento, un’aggiunta particolare, che in attimo parve risvegliarmi i sensi, facendomi dimenticare di tutta la mia stanchezza. Non mancando di notarlo, Christopher fu lì per stringermi la mano, e nel mentre, anche accarezzarla. Un gesto più che normale, al quale fra l’altro ero abituata, ma che in quel momento ebbe un significato più profondo del solito. “Sono qui, non preoccuparti.” Sembrava dire, affidando a quel gesto ogni parola. Non proferendo parola, mi limitai ad annuire, e nello spazio di un momento, così come si era seduta, Sky si rialzò da tavola. Ormai poco le importava di mangiare, della colazione o di quanto fosse presto, anche se l’orologio appeso al muro segnava appena le nove del mattino. “Sapete cosa? Basta aspettare, io direi che è meglio se andiamo.” Dichiarò, decisa come mai l’avevo vista. “Cosa? E dove?” chiesi, incerta sul da farsi. “Non lo so, Kia, ovunque siano. Questa faccenda va risolta, e presto, o io...” provò a dirmi, ma invano, poiché la frase le morì in gola, proprio come era accaduto a me con mille altre. “Sky!” gridai, preoccupata. Fu inutile. Da parte sua nessuna risposta, solo il leggero tonfo del suo corpo che ricadeva sulla sedia come privo di vita. Per poco non scivolò a terra, ma solo perché con un colpo di magia non esitai ad aiutarla, ma anche con il mio incantesimo, e istanti dopo la sua fine, nulla. Paralizzata, quasi non riuscii a muovermi, mentre il tempo scorreva e il terrore prendeva lentamente possesso di me. Era incredibile. Fino a ieri stava bene, e ora sembrava essere svenuta. “Sky, Sky, ti prego, rispondimi!” implorai, precipitandomi da lei. Per mia sfortuna, neanche un rantolo, e anzi, il più completo, perfetto, e in quel caso macabro silenzio. Respirando a fondo, cercai di calmarmi, ma ogni tentativo si rivelava vano. Sconvolta, guardai Christopher, ma anziché coraggio, nei suoi occhi non notai altro che pura confusione. “Kaleia, tesoro, ascoltami, starà bene, d’accordo? Starà bene. L’abbiamo salvata già una volta, il che significa che possiamo rifarlo.” Anche in quel caso, parole sincere delle quali avrei voluto e potuto fidarmi, ma che nonostante tutto non calmarono i miei improvvisi tremori. Spaventata, feci saettare lo sguardo in più direzioni, poi ricordai. Avevo ancora il mio ciondolo con me, lo avevo sempre, e forse un incantesimo curativo avrebbe fatto al caso suo. Scuotendo la testa, cercai di restare calma e respirare a fondo, ma all’improvviso, un ricordo mi bloccò e annebbiò la mente. “Fate, folletti e altre creature, generalmente spiriti buoni, vengono costantemente cambiati, segnati e formati dall’ambiente che li circonda, e lo stesso può accadere al loro vivere, reso in circostanze negative, infauste e sfavorevoli progressivamente più arduo. Sin dalla sua creazione e dall’ingresso in questo mondo, la creatura in questione è come destinata a creare dei legami con coloro che la circondano. Se accade, allora ha fortuna, ma questa scema quando e se si spezzano. Lentamente, in special modo per ciò che riguarda gli esseri leggiadri e alati, la luce dentro di loro si spegne, e dopo un ultimo respiro e un morente sfavillio, forse ultima richiesta d’aiuto o spasmo di vita, nient’altro da fare.” Una delle tante frasi scritte nel libro di magia della famiglia di Christopher, parte di uno dei capitoli che più mi erano rimasti impressi, e che ora mi faceva sperare e al contempo sudare freddo. “Chris, so cosa fare, tu aspettami.” Dissi, nuovamente fiduciosa. Mantenendo il silenzio, lui non fece che annuire, e veloce come un fulmine, mi precipitai nella nostra stanza. Era lì che tenevo il cristallo ricevuto in dono da Marisa prima della nascita dei bambini, proteggendoli dai poteri degli spiriti della foresta, e se avevano aiutato me, allora avrebbero potuto farlo anche con lei. In parte ne dubitavo, ma valeva la pena tentare. Grazie al cielo era ancora lì, sul davanzale della finestra dove l’avevo lasciato così che i raggi della luna lo facessero risplendere ogni notte, proteggendo me, Christopher e i piccoli. Agendo d’istinto, lo afferrai senza pensare, e trafelata, tornai in cucina. Da allora in poi, il tempo parve fermarsi ancora una volta, e inginocchiandomi accanto a un’ancora incosciente Sky, le presi la mano per poi richiuderla, così che stringesse quel gioiello. Memore di un incantesimo in quel preciso istante, lo recitai in silenzio, e dopo un tempo infinito, rieccola. Stanca e confusa, certo, ma di nuovo sveglia e ancora con noi. “Kia, che... che è stato? N-Non... ricordo...” balbettò, la voce venata di dolore e corrotta dallo sforzo. Con un velo di lacrime a coprirmi gli occhi, mi sforzai di guardarla senza piangere, sentendo nel mentre il mio cuore stretto in una morsa. Il libro dei Powell non mentiva, lo sapevo bene, e grazie al cielo la mia tecnica aveva funzionato. Grata, guardai il cielo oltre la finestra, e senza una parola, ringraziai. “Tranquilla, Sky, ora non muoverti, hai bisogno di riposo. I cali come questo possono essere pericolosi.” Le spiegò Christopher, serio come mai prima. “Riposo? No, no, sentite... devo...” provò a rispondere lei, ma invano, dato che le forze le vennero meno. Spossata, sentì le palpebre pesanti, e con gli occhi a chiudersi senza che volesse, non fece più un fiato. Ansiosa, mi morsi e torturai il labbro inferiori fino a lasciarvi i segni dei denti, e preoccupato quanto e forse più di me, Christopher non tardò ad avvicinarsi. In un istante, le nostre mani si sfiorarono, e il mio ciondolo prese a brillare di luce propria. Come tante, un’altra cosa che non accadeva da tempo, e alla quale non riuscii a non prestare attenzione, specie quando lo vidi sorridere. “Visto, amore? Che ti dicevo?” sussurrò, soffiandomi sulle labbra quelle poche parole. “La verità, tesoro mio, adesso lo so.” Risposi, con il cuore pieno d’amore e fiducia. Senza dire altro, lui si voltò verso Sky, che ancora una volta, cercava di svegliarsi. “Risparmia le energie, cara, ti serviranno.” Si limitò a dirle, serio e sincero come al solito. Sorridendole, annuii senza aggiungere altro, e aprendo la bocca per parlare, anche mia sorella si ridusse al silenzio. Aveva appena vissuto un calo di magia, qualcosa di diametralmente opposto a ciò che accadeva a me quando soffrivo di eccessi, così pericolosi che anche il vecchio e ormai perso libro nero li citava, eppure lei sembrava non volersene curare. Era mia sorella, la conoscevo e capivo, comprendevo benissimo quanto potesse essere difficile tacere emozioni così forti. Lo stesso era accaduto a me grazie a Christopher, e al solo pensiero delle battaglie che avevamo combattuto insieme, al contempo reali e metaforiche, sorridevo. Strano, lo sapevo, ma a farmi sorridere era la consapevolezza che ce l’avevamo fatta, che nel tempo non ci eravamo mai separati neanche quando la strada si faceva lunga e il cammino arduo, ed ero certa, mentre Sky riposava sul divano, al quale l’avevo portata grazie a un rapido trucco di levitazione, che anche lei avrebbe lottato e vinto, impetuosa come il vento che era capace di controllare. Fra centinaia, forse migliaia di noi, l’unica che conoscessi così a fondo e che avesse un carattere come il suo. Buona ma forte, decisa e sensibile, e ora divisa in due metà perfettamente identiche, come ad un bivio nonostante a guidarla ci fossero la mente e il cuore, poiché nessuno avrebbe potuto prevedere cosa sarebbe successo fra lei, Noah, e Major, o come un giorno avrei ricordato, guardando metaforicamente indietro alla fine di tutto, fra due uomini e una sola fata.  




Buonasera, miei lettori. Sono finalmente riuscita a tornare e ad aggiornare questa storia, e prima che ve lo chiediate, no, non è un pesce d'Aprile, nonostante la data. Qualcosa di completamente diverso, infatti, il prosieguo per cui vi ho fatto aspettare che è arrivato con un ritardo del quale mi dispiaccio, ma stavolta la stesura non è stata affatto facile, complici mancanza d'ispirazione come di tempo. In realtà avrebbe dovuto essere perfino più lungo di così, ma alla fine ho deciso di spezzarlo, conservando il resto per il prossimo. Come sempre, grazie del vostro supporto, e in questo caso della pazienza, e a presto, spero,


Emmastory :)
 
   
 
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