Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Fujiko_Matsui97    01/04/2021    4 recensioni
Chi conosce bene Ciel Phantomhive, sa che ha un'unica debolezza: il suo dovere verso la Regina.
Chi conosce bene Sebastian Michaelis, sa che anche lui ha un'unica debolezza: Ciel Phantomhive.
Cosa succede quando queste due debolezze si uniscono, creando il Pesce d'Aprile più grosso del secolo?
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Sebastian/Adult!Ciel/Adult!Lizzy
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Elizabeth Middleford, Regina Vittoria, Sebastian Michaelis
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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[DOPOTUTTO, LO SANNO ANCHE I DEMONI CHE LA PRIMAVERA È LA STAGIONE DELL’AMORE!]
 


 -Come, prego?-
Sebastian Michaelis era sicuro di una sola cosa nella sua vita: che era, senza dubbio, un diavolo di maggiordomo. E i demoni, si sapeva, non erano sordi.
-Oh, forse la voce mi è uscita un po’ roca…- e se la schiarì la signorina Elizabeth, tossendo in un modo che, più che ad una persona, sembrava appartenere ad uno scoiattolo. L’altro, interdetto al centro del salone, la fissò: era avvolta in un pomposo abito di tulle e nastri rosa, come spesso accadeva quando raggiungeva la villa per il thè delle cinque. Il signorino era sempre stato legato alle tradizioni, soprattutto se condivise con la sua fidanzata.
-Dicevo…- riprese a parlare poi, squillante e radiosa: -… che io e il mio Shieru ci sposiamo giovedì prossimo! Non te l’ha detto?-
Sebastian pensò che no, assolutamente non gliel’aveva detto. Eppure, era talmente attonito che non riuscì a risponderle; era come se un gatto gli avesse mangiato la lingua, anche se era altamente improbabile: i gatti che nascondeva in giardino –lontano dagli occhi del suo padroncino, ovviamente- erano creature nobili e graziose, e di certo non avrebbero perso tempo a fare scherzi ad un diavolo di maggiordomo.
Al riflettere su quelle creature meravigliose, Sebastian si preoccupò della loro salute; poi, si ricordò che aveva dato loro da mangiare, ed infine si disse che non era il momento adatto per pensare a dei felini.
-Signorina Elizabeth, non credo di capire.- si azzardò, e gli riuscì veramente difficile il sorriderle.
-Sebby, insomma!- sbottò lei, assumendo la stessa espressione dei passerotti quando, colti alla sprovvista, capivano che un diavolo di maggiordomo li avrebbe incendiati col lanciafiamme di Bard; Sebastian non si sentiva in colpa nel farlo: dopotutto, il cuoco voleva che quell’aggeggio fosse utile a qualcosa, e lui gli aveva dato vita nuova. Aveva fatto una buona azione. E poi, i passeri entravano sempre dal comignolo spento e, con le loro zampette sporche di cenere, passeggiavano sulle pietanze perfettamente sanificate del signorino.
Era giusto liberarsene, e spacciarli per carne di piccione quando riusciva a farne un buon arrosto: il signorino non si accorgeva di niente ed era contento, i servitori erano contenti, lui era contento e quegli uccelli erano morti. Dopotutto, lui era il diavolo: doveva pur fare qualcosa di malvagio per continuare ad essere definito tale.
E comunque, si chiese ancora, chi cavolo era ‘Sebby’?
-Mi sembra di essere stata piuttosto chiara, non posso ripetertelo fino a stasera!- proseguì crucciata. Come se una viziata senza cervello come lei avesse di meglio da fare, pensò sarcastico Sebastian.
-Ho parlato con la Regina Vittoria e, ora che Shieru ha diciott’anni, vuole accelerare le nostre nozze! Il Conte ha bisogno di entrare in società con la sua contessa e fresca sposa, ovvero io!- concluse la ragazza, ritornando pienamente soddisfatta.
Sebastian sentì che avrebbe potuto vomitare le fiamme dell’inferno: la felicità era, senza dubbio, la piaga più inestirpabile dell’umanità. Senza trattenere il nervosismo, piantò il coltello nella torta di meringhe.
Forse, a giudicare dall’espressione spaventata che gli rivolse la signorina, l'aveva fatto un po’ troppo violentemente.
-Intendo dire, signorina…- assottigliò quel nomignolo sulla lingua, sorridendole velenoso: -… che non c’è alcuna fretta. Non serve che vi sposiate per mantenere a galla i vostri affari, ormai lei viene qui sempre più spesso e…-
-Appunto, se avessimo una casa nostra non verrei così spesso.- lo interruppe lei, petulante: -E potremo avere dei figli! Oh, te li immagini che dolci?!-
Sebastian, pur di distrarsi, decise che avrebbe spolverato mentre quel confetto ambulante gli parlava: preferì non immaginare niente, tanto meno le gambette dei neonati, simili a salsicce, e la loro faccia paffuta e grinzosa. E, se solo provava a pensare a dei figli, al caratteraccio che avrebbero preso dal signorino e alla vocetta stridula che avrebbero ereditato da Elizabeth, il disgusto diventava tale da fargli aumentare la nausea. A breve sarebbe dovuto correre alla ricerca del bagno per vomitare sul serio, pensò contrariato.          
-Il signorino è molto giovane.-
-I miei genitori e anche quelli di Ciel si sono sposati appena maggiorenni.-
Sebastian si stava iniziando ad innervosire. Elizabeth, invece, mantenne sul volto quel solito sorriso irritante.
-Signorina Elizabeth, capisco l’entusiasmo ma non c’è il tempo per organizzare un matrimonio. L'1 Aprile è fra pochi giorni.-
-Allora fa’ del tuo meglio.- fece spallucce lei, gongolando: -Sei o non sei un perfetto maggiordomo? Se Ciel non ti ha detto delle nozze, significa che non si preoccupa di come lo organizzerai e che ha fiducia in te.-
O forse che mi vuole morto, pensò ottimista il maggiordomo, salvo poi ricordarsi che non aveva un cuore e che, per questo, non poteva morire. Allargò le narici, furioso, ma l’altra non vi badò e, anzi, si congedò con un inchino.
-Ti farò avere il menu’ delle nozze! Spero che sarai felice per noi, Sebby…- si voltò con un occhiolino enigmatico, prima di uscire dal salone principale: -… dopotutto, lo sanno anche i demoni che la primavera è la stagione dell’amore!-
Che cavolo voleva significare?, pensò confuso il demone. Tuttavia, non avrebbe potuto domandare nulla, poiché la ragazza era sparita, lasciandolo solo nell’enorme stanza che sfoggiava la ricchezza dei Phantomhive.
Sebastian Michaelis si disse tante cose: ripercorrendo la sua storia, le sue radici in quella casa, realizzò che il tempo era passato senza che lui potesse cibarsi di quello che più agognava, dell’anima deliziosa del suo padroncino; la vendetta di Ciel Phantomhive non si era compiuta e, il demone doveva ammetterlo, la colpa non era stata solo delle circostanze. Era stato lui a modificarle, le circostanze: approfittando della distrazione del Conte per gli affari incompiuti del suo defunto padre, Sebastian aveva abbassato volutamente la guardia. Si era dedicato sempre più al suo lavoro di maggiordomo e sempre meno a quello di spia, di combattente, di assassino al servizio di Ciel Phantomhive.
Com’è che dicevano alle volte gli umani?, si chiese. Oh, sì, si era rammollito: con gli anni, anni che egli non sentiva pesare sul suo corpo –sempre perfetto come quello di una creatura immortale- aveva deciso che non gli piaceva molto l’idea di uccidere Ciel e di divorare la sua anima; aveva compreso che non gli dispiaceva discutere con lui di politica, di affari, di eventi organizzati solo per salvare le apparenze; che non gli dispiaceva quando il Conte lo rimproverava per gli errori fatti dal resto della servitù o quando, mangiando un pezzo di dolce, scattava con lo sguardo verso di lui come se ancora, dopo tanti anni, fosse stupito del suo essere un così bravo pasticcere.
Il demone, confuso, restò al centro del salotto con lo spolverino a mezz’aria.
Sebastian Michaelis era sicuro di una sola cosa nella sua vita: che era, senza dubbio, un diavolo di maggiordomo. E i demoni, si sapeva, non erano sordi. E, si sapeva anche quello, non erano cechi.
Allora come mai Ciel Phantomhive era tanto cresciuto, e lui nemmeno se n’era accorto?
 
 
 
Dopo un intenso pomeriggio trascorso assieme al suo fidanzato, Elizabeth Midford venne scortata alla carrozza da Tanaka; non appena captò i passi del vecchio servitore rientrare in casa, Sebastian pensò che la strada era sgombra da ostacoli, e che finalmente avrebbe potuto parlare col suo signorino: aveva atteso a lungo quel momento mentre, chiuso nelle cucine, stava lavorando ad un nuovo dolce che avrebbe potuto allietare le papille gustative di Ciel Phantomhive. E poi, gli serviva una scusa per interrompere il suo lavoro.
Ormai, egli era cresciuto e aveva smesso di chiudersi ogni tanto ad esaminare documenti: ogni sera lo faceva, pretendendo di non essere disturbato per nulla al mondo. Sebastian avrebbe disobbedito a quella sacra regola.
Soddisfatto della sua opera appena sfornata, il maggiordomo spinse il carrello addobbato di posate d’argento, fiori freschi e piattini in ceramica lungo il corridoio che conduceva allo studio Phantomhive; appena fu arrivato, ascoltò: nessun rumore proveniva da dietro la porta. Bussò. Era stranamente nervoso.
I diavoli non erano mai nervosi.
-Avanti.- seguì la voce di Ciel dall’interno e Sebastian obbedì, aprendo la porta; ciò che si trovò davanti fu quello che vedeva ogni giorno, eppure per qualche strana ragione gli fornì una sensazione del tutto differente: il ragazzo che, appoggiato su una scrivania in mogano, lavorava senza sosta e solamente con una lampada ad illuminare le scartoffie. E lui, nel vederlo, provò una fame implacabile. Quell’istinto lo turbò.
-Sebastian.- si stupì il Conte e, probabilmente, fu la prima volta in cui Sebastian notò quanto effettivamente fosse cambiata la sua voce da quando aveva tredici anni: da stridula ad arrogante era passata a profonda… ed arrogante.
-Sto lavorando.- ammise, lasciando andare seccato i documenti. L’altro gli sorrise, inchinandosi affabile: -Chiedo venia, signorino. Ma, dato che ho saputo delle nozze, vorrei che assaggiaste questa torta: se è di vostro gradimento posso farne una a più strati e offrirla al ricevimento.- argomentò. Ciel, tuttavia, si era gelato all’inizio della frase, dimenticando di sentire il resto: -Elizabeth ti ha detto del matrimonio.- indovinò.
-Qualcuno doveva dirmelo, sì.- confermò Sebastian, non nascondendo troppo la sua irritazione.
Era la prima volta che, dopo aver usato il sarcasmo, Ciel non sembrò sull’attenti ma, anzi, parve piuttosto turbato: era in difficoltà, l’altro lo comprese da quanto si era irrigidita la sua mascella. Ormai, con l'età matura, la sua mascella era diventata più squadrata e donava al suo volto un’aria particolarmente affascinante: Sebastian lo conosceva bene, e poteva vedere nella sua espressione smarrita i residui di quella stessa insicurezza che lo coglieva, alle volte, quand’era ancora un ragazzino. Era quel Ciel, comprese, che a lui piaceva. E, con il peso del lavoro, dei doveri, di una fidanzata sciocca, quel Ciel non compariva da parecchio tempo.
-Capisco.- borbottò infine il giovane. Era evidente che non poteva arrabbiarsi, pensò Sebastian, poiché quello avrebbe significato dare implicitamente la colpa alla sua fidanzata; nonostante fosse parecchio immaturo da parte sua, e non fossero nemmeno affari suoi, il maggiordomo si stizzì ancora di più: da quand’era che Ciel aveva iniziato a permettere ad Elizabeth di fare tutto?
-Signorino, in quanto suo tutore principale, mi permetta di esporle la mia preoccupazione.- iniziò, fingendo indifferenza: -Ci sono tante cose che lei dovrebbe sapere prima di intraprendere la vita matrimoniale.-
Ciel rimase piuttosto intrigato; sollevò un sopracciglio: -Ad esempio?- domandò, e la sua voce era piena di sarcasmo. Si era persino adagiato allo schienale, a braccia conserte per ascoltarlo meglio.
Lo sguardo di Sebastian s’infiammò, come le braci ancora attive di un camino. Maledetto moccioso, pensò: voleva metterlo in difficoltà, era evidente.
-Ad esempio, i doveri di un marito.-
-So viziare la mia donna anche se non è ancora moglie, Sebastian. Non credevo che la mia vita sentimentale ti interessasse tanto.-
Sebastian avrebbe voluto strangolarlo con le sue stesse mani. Magari, pensò, se Ciel avesse smesso di respirare l’anima sarebbe uscita fuori da lui, ed egli avrebbe finalmente potuto divorarla: aveva accantonato in parte quel desiderio, poiché alla villa si sentiva a proprio agio, eppure in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per cambiare rotta ed uccidere quel ragazzo. Per non sentirlo più parlare e dire cose tanto insulse.
-Non mi interessa, signore.- sibilò, velenoso. La sua ombra demoniaca, alle sue spalle, colorò il muro come la pelliccia inconsistente di un mostro della notte; tuttavia, l’altro non ebbe paura.
-E allora?-
-E allora, non mi sembrate il tipo da fare qualcosa solo perché lo vogliono gli altri. Lei non vuole sposare Elizabeth, e lo sappiamo entramb…- venne interrotto, poiché il Conte scagliò una mano sulla scrivania in modo talmente violento che il colpo lo mise a tacere. I suoi anelli tintinnarono, segno che quel gesto aveva ferito la sua pelle nivea. Sebastian, rispettosamente, tacque.
-Prego?- mormorò Ciel, la voce sottile come un fischio e le guance rosse di rabbia: -Come osi anche solo insinuare che io non voglia sposare la mia fidanzata? E ‘gli altri’, come li chiami tu, sono nient’altro che la Regina Vittoria in persona. Io le devo la mia vita, così come gliela doveva mio padre, e farei qualsiasi cosa per ripagare il mio debito. Sono vicino ai miei obiettivi e, se per essere rispettato da lei e dalla cerchia dei reali devo sposarmi, allora mi sposerò.-
Sebastian ascoltò con attenzione le sue parole. Chissà perché, si domandò alla fine, aveva pensato di poter vincere quella battaglia: molte cose erano cambiate da quando il Conte era cresciuto, ed una di queste era la sua capacità di poter vincere. Non era più un tutore, ormai, perché Ciel se la cavava da solo; non era più un maggiordomo, poiché il giovane restava sempre chiuso nella sua stanza e raramente aveva bisogno di lui; non era più un confidente –ammesso che quelle di Ciel fossero confidenze- perché egli l’aveva relegato in un angolo dimenticato della sua vita. Allora, cos’era?
Sebastian Michaelis aveva vagato per il deserto, tentando l’intentabile per quaranta giorni, e non si era smarrito; aveva viaggiato per mondi inesplorati, dimenticati o ancora nascosti, e non si era perso; era sceso nel mondo degli umani, incontrato mille volti senza mai dimenticarsi della propria natura.
Eppure lì, davanti a Ciel Phantomhive, si sentì per la prima volta perduto: non aveva più uno scopo, un compito a cui adempiere. O, forse, sì: l’unico rimaneva quello stupido ed insensato matrimonio, nonché l’errore più grande della vita del suo signorino. Avrebbe voluto continuare a parlare, convincere l’altro del suo punto di vista; eppure, più fissava il ragazzo in volto ed esaminava la bellezza dei suoi lineamenti, più non gli veniva in mente niente da dire. Era la seconda volta che gli capitava, da quella mattina.
Ciel, comunque, non gli diede modo di riprendersi; ammorbidendo i suoi tratti, ma sempre stando sull’attenti, riprese in mano i documenti che aveva lasciato andare.
-Direi che è tutto, Sebastian.- ammise, seccato: -Ora va’, e fai del tuo meglio per organizzare il miglior ricevimento che Londra abbia mai visto. Il mio matrimonio dev’essere ricordato da tutti. È un ordine.-
Sebastian vacillò. Fu solo per un attimo: la sua natura lo contrastava nei suoi desideri, poiché non poteva disobbedire. Arrendendosi, s’inchinò, ammettendo la sua sconfitta.
-Yes, My Lord.- gli sorrise amaro e, prima di uscire dall'ufficio, indugiò sul candelabro all'ingresso: -Dice di essere grande, ma ancora lavora al buio come se fosse un bambino. Se non ci fossi io ad accenderle altre candele, lei si rovinerebbe la vista. Buonanotte, signore.- e se andò, lasciando Ciel da solo, a riflettere sulle sue parole.
 
 
 
                                                                
 
Nel frattempo, Elizabeth Midford era scesa dalla carrozza e si era diretta saltellando verso l’ingresso di casa propria. Paula la attendeva con una coperta riscaldata davanti al camino poiché, anche se era primavera, l’Inghilterra era nota per il suo clima umido. Non appena entrò, tuttavia, comprese che il relax avrebbe dovuto attendere: c’era una lettera per lei, e lei aveva già intuito chi fosse il mittente.
Gentile Sig.rina Midford,
al momento mi trovo con mio marito Alberto sulla neve, ma non potevo non rivolgere un pensiero a lei e alla sua idea geniale. Mi è giunta voce che oggi sarebbe stata ospite di Ciel e che avrebbe rivelato alla sua servitù del matrimonio.
 Lo sa, quando è venuta come mia ospite a Palazzo, proponendomi di aiutarla ad organizzare uno scherzo per il Conte Phantomhive, ho pensato che fosse uscita di senno. Poi, quando mi ha spiegato che è da quando lo conosce che non ha mai visto gli angoli delle labbra del Conte andare all’insù, mi sono detta che aveva proprio ragione. Anche io, che l’ho visto crescere, non l’ho mai visto sorridere, figurarsi ridere di gusto!
Mi sembra quindi che la sua idea di fingere delle nozze sia fantastica, e le rinnovo la mia benedizione ed il mio aiuto: immagino già la faccia che farà il Conte dopo che le avrà detto il Grande Sì e scoprirà che si trattava di uno scherzo! Come ben sa, ho scritto subito a Ciel di sbrigarsi a concretizzare il rapporto con lei.
Quel ragazzo mi è così devoto che, per me, farebbe qualsiasi cosa.
E mi sembra di capire che anche lei nutre, nel cuore di Ciel, una posizione altrettanto particolare.
In attesa di rivederla nel giorno delle finte nozze, le rinnovo i miei saluti.
Regina Vittoria
Elizabeth lesse avida quelle righe. Alla fine della lettera, un sorriso furbo increspò le sue labbra: uno scherzo, pensò, era proprio un ottimo espediente per vedere Ciel sorridere. E lei non vedeva l’ora di proseguire quella farsa, approfittando della fine del Giorno del Pesce d’Aprile per rivelargli la verità.
 
 

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Giorno 1 di preparazione del matrimonio (-4 giorni alle nozze)
È da quando ho parlato col signorino delle sue nozze che non lo vedo, né che tanto meno riesco a parlarci: alle volte lo incrocio nel corridoio, ma lui ha sempre la testa bassa e si affretta a rientrare in studio.
Non capisco come intende sposarsi se nemmeno si misura un completo. Spero che tutti gli abiti, nel giorno in cui dovrà sposare la signorina Elizabeth, gli vadano larghi. Se poi saranno mangiati dalle tarme, non mi dispiacerebbe. Farò in modo che i suoi pantaloni vengano messi vicino a quegli insetti.
Tanto, del bucato si occupa Mey Rin, non io.
In fede,
Sebastian.
 
Giorno 2 di preparazione al matrimonio (-3 giorni alle nozze)
La scorsa notte, nella fretta di finire, mi sono dimenticato di dire perché sto scrivendo questo diario: il giorno successivo alla notizia delle nozze, ero così sconvolto che ho deciso di rivolgermi ad un terapista. Certo, non uso i soldi umani, ma mi è bastato spaventarlo un po’ e far sì che non veda mai più allo stesso modo le lamette da barba perché lui si offrisse di aiutarmi gratis. Credo che abbia mandato la moglie ed i figli in un’altra casa per tenerli al sicuro da me, ma è solo un sospetto.
Ad ogni modo, lui mi ha detto che sono molto stressato per il mio lavoro e che devo scrivere ciò che provo su un’agenda, in modo che io possa rileggere a mente lucida le mie emozioni. Gli ho provato a spiegare che sono un diavolo, e che per questo non ho emozioni, ma lui mi ha solo dato una pacca sulla spalla e non mi ha risposto nulla.
Ho avuto l’impressione che provasse pena per me ma, come per il fatto di sua moglie e dei suoi figli, è solo un sospetto.
Oggi è stata una giornata terribilmente noiosa: Mey Rin è scappata piangendo dalla villa perché il signorino ha trovato i suoi pantaloni bucati dalle –mie- tarme, Finny è andata a recuperarla e, dopo un’ora di ricerche per tutta Londra, ha scoperto che era ancora alla villa. Era nascosta, ovviamente, e stava parlando coi gatti che nascondo al signorino. Chi diavolo è che parla coi gatti? A parte me, il diavolo, intendo.
Ad ogni modo, tutto è finito bene e il signorino l’ha riaccolta in casa, quasi soffocando per l’attacco allergico ai peli. Ha costretto Mey Rin a lavarsi con la spugna di ferro chiodata per togliere ogni singolo pelo di gatto dal suo corpo.
È davvero senza cuore il mio signorino. È per questo che è il mio signorino.
In fede,
Sebastian.
 
Giorno 3 di preparazione al matrimonio (-2 giorni alle nozze)
Oggi, mentre ero dal fioraio a disgustarmi per l’amore che condividono le coppiette felici, mi sono chiesto perché mostrare la loro lingua, per gli umani che si baciano, è così importante. L’ultima volta che ho visto lingue così lunghe ero alla Villa di Alois Trancy. Ancora prima, ero allo zoo dalle giraffe: quelle creature hanno la lingua più lunga che io abbia mai visto. A parte quella di Alois, intendo.
Come loro, noto che gli umani (perchè Alois non può essere considerato un essere umano) quando sono innamorati aprono la bocca come se fosse un buco nero senza un fondo e si scambiano germi e saliva senza pudore, cacciando fuori metri e metri di lingua per baciare l’altro. Lo trovo assolutamente disgustoso.

Poi, mi sono ricordato che il mio padroncino non è così. Lui non ha mai baciato Elizabeth, a parte qualche volta, e quando lo faceva lo faceva con molto distacco, quasi come se non volesse toccarla.
A quel punto, quindi, ho capito: se tutte le coppie felici si fingono giraffe, e Ciel ed Elizabeth si baciano boccheggiando come pesci rossi, loro due non sono una coppia felice.
Devo salvare il mio signorino da questo matrimonio.
In fede,
Sebastian
 
Giorno 4 di preparazione al matrimonio (-1 giorni alle nozze)
D’accordo, forse non è per il signorino che sto facendo tutto questo.
Forse, infatti, è per me. Dopo una notte insonne, ho capito finalmente che voleva dire la signorina Elizabeth con quella maledetta frase: “Dopotutto, lo sanno anche i demoni che la primavera è la stagione dell’amore!”.
Che frase stupida ed inconcludente, proprio come la sua padrona.
Eppure, in qualche modo ha una componente geniale: è la primavera ad avermi fatto male, mentre di solito si pensa che faccia del male solo agli umani. La primavera è la stagione dell’amore, è qualcosa che tocca chiunque, grandi, piccoli, dei della morte e persino i demoni. Grell Sutcliff è una creatura immortale, neutra, eppure si è innamorato, quindi perché non potrebbe capitare anche ad un demone? Certo, le mie sono solo teorie.
Tuttavia, Sutcliff ha perso la testa per me e, per conquistarmi, si è reso ridicolo.
È così che il signorino mi vedeva, mentre cercavo di convincerlo a non sposarsi? Ridicolo?
Forse non lo saprò mai davvero finchè non glielo chiederò, finchè non potrò guardarlo negli occhi: è da tanto tempo che non lo faccio, che non vedo quel contratto che mi vincola a lui per l’eternità. Che se ne fa il signorino di uno stupido anello, quando il vero legame –e magico, che non si può spezzare- lo abbiamo noi?
Gli umani sono creature idiote, ma Ciel è differente. Non permetterò che si abbassi allo stesso stupido livello di Elizabeth, seppur per accontentare la Regina.
Forse non saprò mai cos’è che voglio da lui, ma sono in attesa di scoprirlo. Al matrimonio, Ciel non potrà evitarmi: fermerò le nozze e gli parlerò, costi quel che costi.
In fede,
Sebastian
 
Giorno 5 di preparazione al matrimonio (0 giorni alle nozze)
Oggi è il giorno delle nozze. Non ho tempo di scrivere il diario. Mi toccherà spaventare di nuovo il mio terapista per convincerlo che era per una causa importante. Stavolta, invece che con le lamette da barba, proverò con un corsetto.
In fede,
Sebastian
                  


Nonostante non avesse alcun dubbio, Sebastian non credeva di aver mai visto tanta gente tutta assieme.
Gli umani erano fastidiosi, certo, ma mai come in quel giorno sembravano un ammasso di stupide formiche che andavano da tutte le parti, che ridevano, mangiavano come maiali e si sventolavano sotto il sole cocente. Le mattinate di primavera, in Inghilterra, erano terribilmente afose.
Il suo signorino era lì, a soli pochi metri da lui: a Sebastian sembrava impossibile non poterlo raggiungere come previsto, prenderlo da parte e dirgli… dirgli che cosa? Non aveva la minima idea di cosa avrebbe potuto dirgli. Tuttavia, era sicuro di volerlo fare.
Nonostante ciò, era inchiodato lì, a sorridere come un ebete dalla paralisi facciale –affascinante, perlomeno- agli ospiti che passavano per il tavolo e richiedevano un calice di champagne: il signorino gli aveva ordinato di rimanere lì e di mettere di nuovo in scena la coreografia con i bicchieri che tanto era piaciuta quando avevano ospitato Arthur Conan Doyle. Prima che iniziasse a morire gente, almeno.
Stavolta, il Conte era stato categorico: sì allo champagne, no alle morti inutili. Sebastian si era subito detto che Elizabeth fosse una morte utile ma, non appena il signorino aveva visto la sua strana espressione subdola, si era subito corretto, togliendogli il divertimento: non doveva morire nessuno, chiarì.
Agli ordini, Sebastian non poteva disobbedire. E, dato che Ciel era talmente nervoso per le nozze che gli aveva parlato come un fiume in piena, non era nemmeno riuscito ad interromperlo: ormai era tardi e, se si fosse mosso dal buffet contravvenendo agli ordini, il dolore fisico sarebbe stato talmente atroce da fargli staccare un braccio, o peggio da rovinargli la messa in piega ai capelli. L’aveva sperimentato in passato, e non era stato piacevole.
L’operazione per interrompere il matrimonio doveva aspettare.
Fortunatamente, l’arrivo in pompa magna della Regina Vittoria distrasse abbastanza gli ospiti da prolungare la corsa degli sposi verso l’altare: ella aveva una figura bassa e simpatica, ma con vestiti tanto lussuosi sembrava la donna più ricca del pianeta. Sebastian, nel vederla camminare sul tappeto rosso disteso apposta per lei, la guardò intensamente: approfittando della distrazione generale della folla, rimasta a bocca aperta per quell’entrata solenne, i suoi occhi s’illuminarono di cremisi e s’inchiodarono alle scarpe di Vittoria, non lasciandole andare nemmeno per un passo. Ciel fu l’unico ad accorgersene: la Regina camminava troppo piano, come se qualcuno avesse impostato un rallentatore alla scena. Sembrava una recita comica fatta male.
Non appena notò lo sguardo infiammato di Sebastian, Ciel comprese che stava succedendo: strinse gli occhi furioso. Non disse nulla.
Un’ora dopo, il diavolo era esasperato: in quel breve lasso di tempo, per rimandare le nozze e per non disobbedire agli ordini allo stesso tempo, aveva utilizzato i suoi poteri per far spuntare delle cavallette nei mutandoni del sacerdote, per far crollare un albero proprio sulle poltrone riservate agli ospiti –se occupate o no non aveva importanza- e per far prendere fuoco ai capelli della Regina Vittoria. Nonostante gli invitati parlassero già del matrimonio più sfortunato dell’anno, a nulla erano serviti i suoi interventi: il sacerdote aveva cambiato mutande ed era tornato operativo, erano state messe altre poltrone lontane dagli alberi, e si era scoperto che quella della Regina era una parrucca, e che nella carrozza ne aveva altre dieci. Una volta che si era scelta una a forma di pannocchia e ricoperta di festoni rosso sgargianti, nessuno aveva più detto niente.
Sebastian era stanco. Fare il maggiordomo era difficile, sì, ma mai quanto fare il diavolo: tutti ti chiedevano quanto fossi cattivo, pensava, e mai nessuno che ti chiedeva come stavi e se volevi da bere come il resto degli ospiti. Pensò che gli serviva una vacanza, ma che doveva prima bloccare le nozze.
-Signori e signore!- prese la parola la Regina, interrompendo i suoi pensieri pigri e seccati; si alzò in piedi e, sorridendo entusiasta alla folla, indicò gli sposi: -Prego, miei adorati, andate verso l’altare. E al resto degli ospiti, dico: sapete da quanto conosco questi giovani? Anime pure, incorrotte, che lavorano incessantemente sul loro amore… e su ciò che io chiedo, ovviamente!- e scoppiò a ridere, talmente tanto che la scollatura le sembrò esplodere. Poi, smise e riprese fiato: -Insomma, è da tanto che aspetto di vederli così innamorati e felici. E finalmente questo giorno è arrivato. Che inizino a leggere le promesse!- tuonò.
Alle sue parole, seguirono uno scroscio di applausi entusiasti. Sebastian, che avvertiva dentro di sé un’angoscia ed una rabbia montare prepotenti, assistette ai due ragazzi che, obbedendo alla proposta della vecchia baldracca, si avvicinarono impacciati ed emozionati all’altare: dalle loro tasche, presero dei fogli accuratamente piegati e li aprirono. La prima a parlare fu Elizabeth.
-Mio dolce Shieru, sappi che darei tutto per farti sorridere.-
Lui non vuole sorridere, idiota, lui vuole il potere eterno!”, pensò, stizzito, Sebastian.
-Oggi diventerò la tua sposa, e non c’è niente che io possa prometterti più di quello che ti prometto già ogni giorno da quando ci conosciamo: renderò la tua vita uno spasso!-
Uno spasso ricoperto di fiocchi e brillantini e terribili arcobaleni. Vomitevole.” pensò ancora Sebastian.
Grazie al cielo, o meglio grazie all’inferno, Elizabeth aveva terminato con una frase stucchevole che lui non aveva sentito e tutti, nel giardino, erano in visibilio. Il diavolo, dopo tanti anni di servizio verso i Phantomhive, ancora non si capacitava di come potesse piacere qualcuna come lei: un’oca a cui avrebbe volentieri tolto la voce come la strega dei mari aveva fatto con quella sirena delle fiabe; ricordava di aver letto spesso al signorino quella favola, prima che lui gli dicesse di piantarla perchè era per femmine.
Era il turno di Ciel, e Sebastian giurò che le mani gli sudavano molto più che a lui: nell’istante in cui il giovane rivolse gli occhi al foglio con quella sua adorabile espressione corrucciata, infatti, il proprio cuore aveva iniziato a combattere nel petto. Il diavolo era insensibile, eppure quel muscolo sbatteva contro la gabbia toracica, pulsava, s’arrabbiava e voleva uscire da lì e cantarne di tutti i colori al suo signorino.
Tuttavia, il maggiordomo non si mosse. Per ordine del signorino, non poteva. Sebastian comprese a pieno la sua gelosia solamente quando lo vide, quando guardò sul serio quel ragazzo, e realizzò per la prima volta cosa significava che lui fosse all’altare con Elizabeth: vicinanza. E non si trattava più del semplice passeggiare fianco a fianco che quei due si riservavano nei giardini, bensì il camminare davvero l’uno accanto all’altra, il sostenersi in ogni scelta e il dipendere da una volontà che non sarebbe stata più singola, ma di coppia.
Sebastian invidiò una vita del genere, seppur fosse orribile e facesse venire l’orticaria solo a pensarvi; la bramò perché non si trattava di vivere quella vita, ma di viverla con Ciel. Seppur fosse consapevole che la sua ombra sarebbe stata presente nella vita del signorino, comprese che essa sarebbe stata messa sempre più in un angolo, fino a farla sparire. Non poteva tollerarlo.
-Ciel, le tue promesse.- lo incitò Elizabeth, abbastanza ad alta voce da farsi sentire dagli ospiti e anche dalla servitù. L’altro quasi sussultò, ma lo mascherò bene: -Sì… sì, ci sono.- borbottò. Poi, tornò a fissare quei fogli, ma lo fece in modo così smarrito che, da un occhio esterno, pareva che le parole si stessero mescolando e scambiando sulla carta e che lui non stesse capendo nulla. Sebastian era perplesso, e non solo lui.
-Ciel, stai bene?- gli domandò la sua futura sposa, apprensiva. L’altro sbuffò: -Sì, ci sono. Ora ci sono.- e si schiarì la voce, ma il suo volto era così rosso da sembrare un pomodoro appena colto.
-Elizabeth Midford…- iniziò, e partì bene, ma la voce si assottigliò lungo la via. Tossì di sbieco: -Io… io prometto…- proseguì, con pause piuttosto eloquenti; si fermò del tutto. Gli ospiti erano nervosi e non osarono intervenire, forse comprendendo l’emozione che vi era alla base; tuttavia, dopo pochi secondi in cui Ciel non spiccicava parola, presero a borbottare fra loro. Il giardino si riempì di brusii.
Il signorino non aveva per nulla una bella cera. Improvvisamente, la preoccupazione per la sua salute stava letteralmente spazzando via l’infantile gelosia che provava Sebastian: prima Ciel era rosso, ma ormai era divenuto pallido, tremante come se la sua temperatura fosse calata a picco tutta d’un botto. Sarebbe svenuto?, pensò il diavolo ma, all’immaginarsi con Ciel fra le braccia, non gli parve una prospettiva così malvagia. Si sforzò di pensare al bene del ragazzo.
Ragazzo che, d’un tratto, sembrò accettare i suoi limiti; si staccò dal foglio, quasi rigettandolo, e rilasciò un sospiro lungo e stanco quanto una folata di vento: -Io non posso farlo.- ammise, liberatorio.
Nel giardino, ogni brusìo tacque.
Elizabeth s’irrigidì, mutando totalmente espressione: -Eh?- le sfuggì.
-Non posso sposarti. Io…- e si fermò ancora Ciel, per nulla felice di quella rivelazione; tuttavia, fece l’errore di non abbassare lo sguardo, ma di puntarlo direttamente sugli ospiti: su uno in particolare.
Sebastian, ancora col vassoio fra le mani, rimase senza fiato: il signorino stava guardando proprio lui!, pensò, come se una campanella gli stesse risuonando nel cervello; non stava sognando e, anche quando Ciel distolse lo sguardo per l’imbarazzo, qualcosa nella folla mutò. Elizabeth aveva capito, e gli altri avevano capito che lei aveva capito: ella iniziò a tremare, ad arretrare, e il diavolo condannò quella messinscena con il cuore in gola, desiderando qualsiasi cosa purchè quella festa venisse annientata all’istante, così che lui avrebbe potuto parlare finalmente con Ciel. Ormai, sapeva bene cosa dirgli, e non gli interessava se il suo terapista gli avrebbe detto ancora che soffriva di attacchi di rabbia e narcisismo ben radicato: il Conte era la soluzione a tutti i suoi problemi, l’averlo tutto per sé, il poter tornare a quello che erano un tempo.
Magari, con qualcosa in più.
-Tu..!- sbraitò Elizabeth, subito infastidendogli le orecchie; il volto le si stava gonfiando di lacrime come una spugna, e quasi non riusciva a parlare dallo shock.
-Com’è possibile tutto questo?!- proseguì, devastata: -Era solo uno scherzo, era solo uno stupido scherzo! E tu mi stai lasciando sul serio!-
Sia Sebastian che Ciel, da due punti del giardino differenti, sollevarono un sopracciglio: uno scherzo?, si ripeterono nella testa, ritrovandosi ancora più confusi di prima.
-OGGI È l’1 APRILE, CIEL!- quell’urlo squarciò l’ambiente circostante e, poi, calò il silenzio.
L’illuminazione suprema raggiunse la mente del ragazzo, e subito dopo quella del diavolo, mandando via le nubi dal loro cervello: il primo boccheggiò, con gli occhi sgranati e, nella gola, aveva solamente l’umiliazione che stava provando nell’aver mandato tutto in fumo; il secondo, invece, e molto meno paziente –anche secondo il terapista- comprese che stava rischiando di perdere l’amore della sua vita immortale solamente per uno stupido Pesce d’Aprile –per giunta organizzato in maniera oscena, in tutta fretta e con porcellane e portate adatte più ad un picnic dei poveri che ad un matrimonio- e si arrabbiò non poco. In lui, si infuriò sia la sua parte impeccabile da maggiordomo che quella egoistica del diavolo. E, in concomitanza con la sua rabbia che cresceva, e cresceva, anche qualcos altro aumentò: il maltempo.
Inizialmente, ci fu solo un calice di champagne che si rovesciò dal vassoio che Sebastian stava reggendo, cadendo sul terreno. Egli non fece in tempo a corrugare la fronte, perplesso. Improvvisamente, fece buio su tutta la terra, e quell’oscurità divenne vera e propria tenebra nel giro di pochi secondi: un tuono, due tuoni, poi gocce che divennero grandine. Sebastian si disse che sì, era vero che stava provando parecchia rabbia, ma che Ciel non si era più sposato e che quindi non era poi così arrabbiato.
Alzò quindi gli occhi al cielo, sospettoso: non era a causa sua che gli ospiti, ormai dimenticatosi del teatrino fra Ciel ed Elizabeth, avevano alzato il sedere dalle poltrone ed erano corsi via fra mille strepiti, come tanti polli che raggiungevano il loro pollaio. Era a causa di qualcun altro.
Sebastian lanciò uno sguardo verso il Conte che, totalmente immobilizzato dalla tempesta, era rimasto senza Elizabeth e si proteggeva il volto con un braccio: -SEBASTIAN, FA’ QUALCOSA!- urlò, sperando di farsi sentire in mezzo a tanta rivolta naturale. Il diavolo, costretto ad obbedire ma anche volenteroso di farlo, cercò di pensare mentre le ultime poltrone rotolavano via, dirigendosi verso un tornado che, dopo non molto, li avrebbe raggiunti. Lui era immortale, ma Ciel?, pensò Sebastian, angosciato: doveva proteggerlo.
Aveva desiderato l’Apocalisse solo pochi minuti prima, eppure si pentì di averlo fatto: quando si voleva qualcosa, quasi mai si veniva accontentati. E, l’unica volta in cui Sebastian era stato ascoltato dal cielo, il suo signorino rischiava di morire. Quasi stava per disperarsi ma poi, come un fulmine, venne l’illuminazione: certo, il cielo!, pensò. Per quelli come loro il cielo non esisteva ma l’inferno sulla terra…
-Papà, sei tu?- alzò la voce, rivolgendosi al tornado che, furioso, aveva iniziato a lanciare fiamme verso gli alberi. Ciel non l’aveva sentito in tutta quella grandine: -DICI A ME? CHE HAI DETTO?- strepitò.
Sebastian lo ignorò; con tutte le sue forze, tentò di entrare in contatto col signore delle Tenebre che, in mezzo alla natura, sicuramente stava controllando l’evento apocalittico.
-Papà, lo so che ti ho chiesto la fine del mondo, ma posso aver cambiato idea?! Ora ho una nuova vita, non è male fare il maggiordomo!- alzò di più la voce e, dato il modo minaccioso in cui s’illuminò l’interno ventilato del tornado, comprese che il padre non solo era davvero lì, ma che non era affatto d’accordo con lui. Sebastian sospirò, scocciato: era da quand’era nato, circa quattrocentododici anni prima, che aveva dei genitori più lunatici ed immaturi di lui, che si divertivano a fare i drammatici e che andavano a dormire senza darsi il bacio della buonanotte.
Tuttavia, era il momento di darci un taglio con quei problemi familiari che non gli appartenevano più.
Inspirò profondamente aria, più che potè, e poi spalancò la bocca: -Papà, lo so che ho mancato le ultime duemilaetrecentocinque cene di famiglia ma ti prego, questo non è il momento di litigare!- urlò.
Un boato, e poi un grugnito colmo di delusione, illuminarono il tornado come delle luci natalizie; dopo aver lampeggiato, esse raggiunsero il cielo, sciogliendo in un enorme fascio biancastro la grandine, e poi calmando il vento, ed infine cessando la pioggia. In pochi secondi, tutto tacque.
Il cielo, poco alla volta, si sgombrò dalle nubi, lasciando il posto all’arancio del crepuscolo.
Il signorino, ancora aggrappato all’altare per non essere trascinato via dai fenomeni metereologici, aveva l’espressione stravolta ed i capelli che avevano preso la forma di un’onda da surfisti; annaspava, forse colto da un attacco d’asma, e sembrava tornato innocente ed indifeso come un tempo, seppur sempre ribelle e combattente. Sebastian, ancora scosso dall’accaduto, lo guardò.
Ciel, lentamente, ricambiò lo sguardo. Il giardino era deserto. Erano rimasti soli.
 
 
La prima cosa che entrò nella Villa Phantomhive, quella sera, fu una schiena.
E non una qualunque, bensì del padrone di casa: era stato Sebastian Michaelis, il diavolo di maggiordomo, che l’aveva spinta contro il primo muro che lui e Ciel avevano incontrato una volta varcata la soglia.
Non se ne pentiva. O meglio, non poteva pentirsene quando, oltre all’umido fresco della sera, ciò che lo stava accogliendo era proprio lì, in quella schiena, in quel corpo acerbo ma cresciuto avviluppato al suo, in quelle labbra roventi come metallo lasciato sotto il sole. Durante l’Apocalisse –che nessuno, in futuro, avrebbe mai chiamato così poiché era solo Sebastian a sapere la verità- non erano solo fuggiti gli aristocratici, ma anche la servitù: dispersi chissà dove, forse a pregare per la salvezza o a dondolarsi mentre fissavano traumatizzati un punto fisso, avevano abbandonato la Villa. Ciel e Sebastian l’avevano tutta per sé, almeno per qualche ora: sia lui che il suo padroncino, pensò il maggiordomo, avevano il cuore nero come l’inchiostro. Probabilmente, nemmeno si sarebbero preoccupati di ritrovarli.
Tuttavia, ora che il signorino aveva lasciato Elizabeth all’altare, doveva evitare di dare ulteriormente nell’occhio in società, almeno finchè le acque non si sarebbero calmate… e lasciar gironzolare come nomadi i suoi servitori rientrava esattamente nel rango di cose che non doveva fare.
-Spero che tu abbia imparato che non devi più darmi problemi, da oggi in poi.-
Sebastian lo fissò infuocato, lasciando che il marchio bollente di un sorriso gli delineasse la mandibola: alla fine, quando erano rimasti soli non era servito che si dicessero niente. E lui non poteva fare a meno di avere quell’espressione maliziosa quando Ciel gli diceva qualcosa di sgradevole, perchè lo faceva con un tono totalmente eccitante, in grado di mandargli il sangue alla testa… e non solo.
-In realtà, visto com’è andata, direi che ho imparato esattamente l’opposto, mio signore.- osservò compiaciuto, sfilandosi il cravattino. Ciel lo squadrò dalla fronte alla gola e, quando notò quel nastro scivolare via, si morse distrattamente le labbra; ancora non aveva staccato le braccia dalle sue spalle, né intendeva farlo per le successive ore.
-Sei il solito stronzo.- rimarcò, prima di attaccarsi alle sue labbra come una ventosa al muro; Sebastian gli tenne ferma la testa, spingendolo contro la parete mentre si faceva strada sulla stoffa dei suoi abiti fradici di pioggia, e sotto ancora, in cerca della pelle. La sentì calda, peggio dell’inferno. Il suo bacio era morbido come velluto e sapeva dei fiori della primavera; forse erano velenosi, ma il diavolo non poteva morire. Sebastian si staccò da lui, prendendo aria: -Lei dovrebbe imparare a pulirsi la bocca da queste parole…- lo rimproverò, ma il suo tono era tutt’altro che risentito: -… ma, prima che io glielo insegni, le dico quello che ho imparato io da questa storia: “che, dopotutto, anche i demoni sanno che la primavera è la stagione dell’amore”.-
Sebastian si godette a pieno, piuttosto divertito, l’espressione confusa che gli rivolse l’altro.
-E che diamine dovrebbe significare?-
-Lo scoprirà quando entreremo là dentro.- il demone, sorreggendolo fra le sue possenti braccia, gli indicò con lo sguardo fiammeggiante la camera alle loro spalle. Era una stanza molto personale.
Ciel ebbe un tremito che si raccolse sull’osso sacro e sciolse i suoi muscoli, spingendolo a mostrarsi debole all’altro. Tuttavia, non voleva permetterlo; non prima di aver risolto una piccola questione.
Furente, battagliero come un cavallo da corsa, spinse via il suo maggiordomo, ritornando coi piedi a terra, e ben lontani dai suoi. E, prima ancora che Sebastian potesse chiedergli spiegazioni…
-Giurami che non c’entri nulla col Pesce d’Aprile organizzato da Elizabeth e dalla Regina. Dimmi la verità, è un ordine.- comandò, imperioso: era stato un evento troppo ben organizzato per provenire da una mente poco incline ai giochi e alla logica come quella della sua –ormai ex- fidanzata. E lui, che nei giochi era il migliore, non accettava di essere stato battuto, senza nemmeno che quelle due avessero ricevuto l’aiuto di un diavolo.
Eppure…
-Glielo giuro, My Lord.- rispose, sintetico, Sebastian. Sorrideva nel dirglielo, si poneva la mano sul cuore, ma non perché lo volesse prendere in giro: anche lui, come il Conte, era stato raggirato, ma la situazione si era ribaltata senza preavviso e nel migliore dei modi. Era questo quello che contava, ma non per un’anima inquieta e capricciosa come quella di Ciel che, nella sua prepotenza, non era mai cresciuto.
Si avvicinò a grandi falcate, afferrando il volto del suo servitore con la violenza delle sue dita da pianista, affusolate e bianche come fiocchi di neve: doveva odiarlo davvero tanto, pensò Sebastian, o forse era esattamente il contrario.
-Io non ti credo.- sibilò, grondando di rabbia. Poi, come se si fosse stancato di quel gioco e volesse buttarlo via, lo lasciò andare; il diavolo rimase lì, al lato dell’ingresso, mentre il ragazzo gli dava le spalle e si sbottonava la camicia, dirigendosi verso la stanza dove avrebbero entrambi compreso cosa Lady Elizabeth intendeva dire sulla primavera.
Oh, che sciocco, pensò Sebastian: era ovvio che doveva credergli per forza, poichè per contratto non poteva mentirgli. Forse, Ciel voleva solo aggiungere più pepe alla pietanza che era la sua anima, pronta per essere mangiata in modi più interessanti. Il diavolo lo desiderò ardentemente, più del solito.
Pregustando già il suo prossimo e delizioso pasto, nonché di gettare quella stupida agenda del terapista, iniziò anch’egli a sfilare i bottoni dalle asole. In quel momento, un tuono ritornò dall’inferno, illuminando per un istante l’uscio fino alle scarpe del diavolo.
Sebastian scosse la testa, arrendevole mentre fissava il soffitto: non comprendeva se suo padre adorasse Ciel Phantomhive oppure se, in quanto debolezza di un diavolo di maggiordomo –ovvero di suo figlio- lo odiasse profondamente. Suppose che di lì a poco, una volta varcata la stanza da letto del Conte, lo avrebbe scoperto.
E, dopo aver trascorso circa quattrocentododici anni a cercare un’anima come Ciel Phantomhive, decise che non aveva alcuna intenzione di aspettare. Ignorò quindi i capricci del Signore Supremo delle Tenebre.
-Fa freddo, stasera. Vuole del latte caldo?-
-Non sono più un bambino, Sebastian!-
Come previsto, udì quell’urlo saccente dalla camera; un secondo prima di varcarla e di raggiungere l’altro, che era già disteso sul letto a gambe incrociate, Sebastian allargò il suo sorriso, rendendolo penetrante come la lava di un vulcano.
-Io non ho detto quale tipo di latte.-
Gli fece l’occhiolino, e richiuse la porta alle loro spalle.
Il Signore Supremo delle Tenebre, nascosto nel cielo sopra di loro, si abbandonò ad un ennesimo grugnito, ma tanto era inutile: a nessuno dei due importava più dell’Apocalisse.
 


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Note dell’Autrice
OR BENE (cit.) ho finito di scrivere alle tre e un quarto di notte e ho dovuto ricorrere a mezzi strani per far risultare la pubblicazione l’1 di Aprile ma non mi pento di NIENTEEEE! *cheerleader intensifies*
So che fa strano vedere il mio nome accanto ad un rating verde e soprattutto ad un titolo così lungo e trash. Mi spenderò in poche parole: THIS IS PURE  #T R A S H# , dal titolo agli eventi e ai pensieri (ovviamente comici perché il genere è quello) di Sebby. Non ho voluto mettergli l’OOC perché sono perlopiù pensieri, ma se sarà il caso lo aggiungerò in un secondo momento ^^
L'ultima volta che ho scritto qui mi dedicai alla Pasqua, stavolta ho optato per il Pesce d'Aprile (e che PesceMLMLLMAOOO bene la smetto.) Questa fic l’ho voluta fare fortemente con un solo scopo, ovvero quello di divertirmi e anche di improvvisare, come mi è accaduto col papino (lol) di Sebby. Troppe volte mi sono dovuta impegnare al massimo nella scrittura di fic, sia perché avevano una trama elaborata, sia perché sono fatta così. Invece, divertirsi è fondamentale.
Quindi, stavolta ho voluto tentare una scrittura semplice, immediata, senza pretese anche di rating. Come se fosse scritta al livello di una favola per bambini… con qualche doppiosenso. :D è rating verde? è giallo? è oscena? beh ragazzi, chiamatemi pure la vostra madre dal dubbio gusto, io sono qui per farvi crescere così come sono cresciuta io leggendo fic rosse a dodici anni XDDD
Che dire, spero comunque vi sia piaciuta!
Non so se le dirette interessate leggeranno mai, ma ci tengo a dedicare almeno col pensiero questa storia a due persone per me molto speciali (per differenti motivi) che si meritano di ridere in questo periodo più di ogni altra cosa al mondo!
Mad e Shi, il mio cuore e la mia mente vanno a voi <3
Un abbraccio stritolante,
 
-FM. ❣✿
   
 
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