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Autore: Mordekai    02/04/2021    0 recensioni
''Il destino della Fiamma d’Ambra era incerto.''
Una nuova avventura per i nostri due giovani eroi di Huvendal ha inizio, ma il destino ha deciso di farli separare. Arilyn, dopo il breve incontro con suo padre, Bregoldir e Rhakros, si addormenta con il sorriso sulle labbra in quel regno ultraterreno. Essendo viva e non uno spettro, i suoi ricordi saranno molto confusi. Solo uno shock violento permetterà alla giovane Thandulircath di recuperare i ricordi, ma fino ad allora lei si ritroverà in un regno diverso dal solito, minacciato da oscuri presagi che impregnano d'odio, terrore e violenza la terra bronzea.
Genere: Angst, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La Fiamma d’Ambra mi aveva punito per il mio desiderio immorale. Percepivo ogni fibra del mio corpo inchinarsi alla sua energia ancestrale, indebolirmi a suo piacimento e mostrarmi eventi di atroci agonie di popoli ormai estinti. Il mio corpo si ricoprì di vesciche, graffi e pustole che mi tramutarono in una orripilante creatura deforme. Il Recluso, però, restò con me. Decise di guarire ogni giorno le mie ferite conoscendo la natura della Fiamma. Condividemmo le nostre conoscenze ma non potevo competere con lui, testimone di mille nascite e cadute di popoli. Quando sorse l’alba di quella fatidica Guerra dei Tre Rovi, cercammo di donare il nostro aiuto ai Rovi Rossi, il popolo che dimostrava fin da subito umiltà d’animo. Maeris la Creatrice di tutte le creature terrene ed ultraterrene discese sul campo di battaglia, ella stessa ci punì con l’immortalità. Osservammo inorriditi come l’umanità mostrasse la sua vera natura: sanguinaria, barbara e violenta. La Terra si nutrì di quella linfa, di quei corpi mutilati e delle loro protezioni, tingendosi di un nero intenso.
La Dama delle Tenebre si impossessò di quel luogo.

’Per la vostra avidità di conoscenza ed aver tradito il vostro regno, vi condanno all’immortalità. Tramutate i vostri cuori in pietra, così da evitare di piangere alla morte di cari conoscenti. Non temete, non sarete gli unici a pagare questo tormento. Almeno, non con sofferenze evidenti.’’
Un terzo testimone si unì al nostro viaggiar senza meta, un uomo di mezz’età ricoperto di bende sporche di sangue secco. Herl Jevul era il suo nome, ma preferiva Hrjelvul per abbreviare. Narrò di aver ricevuto anch’egli l’immortalità, non completa, e di come tutte le anime dei defunti vennero rinchiuse nel suo di corpo ricoprendolo di piaghe dolorose ogni volta che si avvicinava ad un qualcosa di magico o creato da Esseri Divini. Un giorno le nostre strade si separarono, senza addii smielati e commoventi. Ci disse che la sua presenza ci avrebbe solo rallentati e così andammo per sentieri diversi.

‘’Un giorno imparerai ad accettare questo ‘dono’ e starai meglio.’’- ripeteva il Recluso, inespressivo. Non rivelò molto del suo passato prima di diventare ciò che era. Continuavo, ad ogni modo, a non fidarmi ciecamente di lui e-



 
Documento incompiuto e rovinato dal tempo, dunque impossibile da comprendere se questa confessione sia stata scritta prima della follia della Peccatrice oppure una sua fantasia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Vhertal ju kev Prekkhejt (Confessioni di una Peccatrice, antico); Origine Sconosciuta.
 
Lynmes Alno, Concilio delle Sette Sorelle. Tardo Autunno in nome di Luqnera, mattina.
 
Una ragnatela di fulmini rossi si diramava in un cielo di nubi color antracite, raffigurandosi come un corpo ricoperto di vene cremisi pronte a infondere vita in un essere ignoto nascosto nel cielo. Una fragorosa esplosione, accompagnata da una scossa sismica, destò con irruenza la giovane Thandulircath dal suo sonno profondo. L’erba e la terra sotto di lei erano pietrificate e vedeva in lontananza ombre danzare, vorticare o strattonarsi. Uno scoppio improvviso dissolse quelle ombre, rischiarando l’oscurità abissale nella quale Arilyn era piombata per poi lasciare spazio alla Fiamma d’Ambra che si presentò nuovamente alla ragazza con fare ‘astioso’. Quella creazione divina assunse una forma corporea avvolta da fasci di luce cremisi e amaranto simili ad un abito che brillavano intensamente:

‘’Sono alquanto sorpresa dalla tua determinazione, dalla tua tenacia con la quale combatti al fianco dei tuoi nuovi compagni. Sono anche meravigliata che il tuo potere riesca ad eguagliare il mio e che il Recluso sia in grado di compiere gesta indescrivibili ma ho un quesito da porti, figlia dei Thandulircath.’’- disse l’entità, camminando lentamente, disegnando un cerchio intorno Arilyn.

‘’Ovvero?’’- domandò lei, infastidita da quel comportamento presuntuoso; entità divina o meno, detestava coloro che si poneva al di sopra degli altri. La Fiamma d’Ambra pronunciò qualcosa in una lingua sconosciuta e la ragnatela di fulmini, lentamente, iniziò a immobilizzarsi nel firmamento plumbeo formando dei rombi. Ci fu un sibilo sommesso che lentamente diventò assordante finché all’interno di quei rombi astratti si infranse qualcosa simile al vetro, per poi mostrare reminiscenze di eventi passati. Arilyn era in ognuno di quei ricordi opachi, intenta a compiere gesta audaci per coloro che amava. In uno di quelle rievocazioni comparve Arilyn che si allenava con suo padre o che combatteva al suo fianco, costringendola a serrare le labbra per soffocare la tristezza.

‘’Che cosa vuole da me, Fiamma d’Ambra?’’- chiese la giovane Thandulircath, tentando di essere cordiale e mascherare la sua tristezza. Affidava ogni fibra del suo corpo all’autocontrollo, evitando di manifestare il suo potere e scagliarlo sulla creazione divina. I rombi che mostravano i ricordi scomparvero, seguiti dalla ragnatela di fulmini, lasciando solo un cielo colmo di nubi scure.

‘’Vorrei comprendere perché combatti guerre che non sono tue, come questa dei Tre Rovi. Hai giurato di proteggerli, ma sei un mero essere umano dotato di un potere sorprendente. Le tue promesse sono state e, tutt’ora, sono vane.’’- rispose la Fiamma, rivolgendole uno sguardo colmo di apprensione nei suoi confronti. Da quel terreno pietrificato sorse una colonna di basalto con venature arancioni pulsanti, che emanavano un intenso calore e fuliggine dalle spaccature ai lati. Sul capitello di quell’inconsueta costruzione vi era un uomo dai lunghi capelli bianchi, con indosso una corazza acuminata e solcata dalle stesse venature del pilastro mentre su di essa vorticavano piccole lingue di fuoco. Discese senza emettere alcun suono e sorrise, ma la perfidia tradiva quel gesto cortese sotto mentite spoglie. Non servì alcuna presentazione per Arilyn, dato che quell’uomo già lo conosceva:

‘’Una delle caratteristiche degli umani: fare promesse che non possono essere mantenute. Ciò che ti ho sempre detto e tentato di farti intuire Arilyn dei Thandulircath, non è così?’’- domandò Gallart, con le braccia conserte dietro la schiena.

‘’Non ti intromettere Gallart, non è il momento!’’- sibilò la ragazza, folgorandolo con lo sguardo ma inutilmente. Il Re della Prima Fiamma rise di gusto al tentativo, infantile, di essere minacciosa della giovane e replicò con la stessa malvagità che non lo aveva abbandonato:

‘’Mi intrometto perché tutto questo è solo una facezia, priva di qualsiasi logica, cara Thandulircath. Quante persone sono vive per le tue promesse mantenute? E quante ne sono morte? Bregoldir ti ha consigliato di non fidarti perché la fiducia è fragile quasi quanto l’amicizia, ma tu continuerai imperterrita ad agire seguendo le tue emozioni più selvagge.’’

Un fascio di luce accecante colpì parte dell’armatura di Gallart, scalfendola e facendo rimbalzare i riflessi ovunque creando mosaici variopinti. Il bagliore si intensificò, generando delle lingue di fuoco dalle sfumature amaranto che serpeggiavano in ogni direzione, sorprendendo il Re della Prima Fiamma Arcana.

‘’Non osare darmi la colpa per la morte di coloro che amavo! Io combatto per tutti, non per me. Quando Huvendal è stata sottomessa per troppi anni dalla Regina di Ghiaccio e mi sono unita all’esercito reale, non l’ho fatta per la gloria ma per quelle persone che non erano in grado. Lo stesso nel Deserto dell’Epirdo. Io porterò a termine il conflitto nato dai Tre Rovi e voi due non mi ostacolerete.’’- asserì con fermezza e asprezza Arilyn, richiamando la sua luce.

‘’Io ti ho avvertito. Hai giurato di proteggere coloro che ami? Perfetto, ma se dovessero morire, la colpa sarà solo tua.’’- corrispose Gallart, con il suo tipico ghigno funesto e scomparve in una gigantesca sfera di fuoco. La Fiamma d’Ambra non sembrò infastidita da quelle parole e cercò di dissuadere la ragazza dai suoi ambiziosi propositi, fallendo.

‘’Arilyn Saavick, figlia ed ultima dei Thandulircath, non starò qui a ripetermi nuovamente. Sappi solo che sei destinata a fallire, come tutti prima di te. Questa guerra è inarrestabile e continuerà ad esserlo per altri cicli.’’- annunciò l’entità, scomparendo nell’abisso di quel regno onirico. Tutto iniziò a vibrare, a vorticare furiosamente ed una calda luce gialla fece breccia tra le varie fenditure vitree di quel cielo. Una fragorosa esplosione destò da quell’incubo la ragazza, nuovamente nel suo letto e madida di sudore. La luce gialla che distrusse quell’oscurità non era altro che il sole, caldo ed accogliente.

‘’Ti sei svegliata, finalmente. Andiamo, ci sono aggiornamenti da parte del…Recluso e da parte del Concilio.’’- esordì la voce impastata ma cristallina di Iridia, seduta su una poltrona a pochi passi dal letto. Disorientata e ancora scombussolata dal singolare evento, Arilyn chiese:

‘’Da quanto tempo siamo qui dentro?’’

‘’Sei. Io mi sono addormentata nell’attesa che tu ti destassi dal sonno e, a giudicare dalla posizione del sole, è quasi mezzodì. Lesta, Thandulircath.’’- replicò il Comandante, sbadigliando leggermente per poi dirigersi all’uscita dell’alloggio. La ragazza si riprese completamente dal sonno, indossò la sua divisa e, brandendo la spada, si diresse nella sala del trono dove attendevano tutti il suo arrivo. Le Sette Sorelle erano già sedute sui loro rispettivi troni, più in basso vi era una creatura lupesca inginocchiata con la testa abbassata e il Recluso a pochi passi dietro di lui; molti soldati li avevano accerchiati, con le loro armi già sguainate e pronti a colpire se necessario. Non appena le due donne si presentarono al cospetto, la Sorella Maggiore prese parola per prima chiedendo alla bestia inginocchiata la ragione della sua presenza nel Lynmes. Il mammifero osservava con i suoi occhi grigio-verde quelle lame affilate e i giavellotti che minacciosi puntavano nella sua direzione, così costringendolo a tentennare nel rispondere. Le Sorelle delle Corone impartirono un ordine e i cavalieri indietreggiarono di qualche passo così da non intimorire l’essere vivente.

‘’Scappavo dalla peste nera che ha ucciso metà del mio popolo. Cercavo un riparo tra gli alberi ma uno dei vostri soldati mi ha ferito gravemente, come potete vedere da queste…orribili bende.’’- rispose la creatura, tastandosi il fianco in preda ad una dolorosa fitta. Tutti si sorpresero nel sentire il mammifero parlare nel linguaggio umano, confermando così il dubbio di Arilyn sulla sua esistenza di krinxs ibrido.

‘’Qual è il tuo nome?’’- domandò la Seconda Sorella Hallothel, incuriosita dall’essere.

‘’Murwaka, sono una creatura della notte che preferisce luoghi privi di questa luce accecante. Ho fatto una piccola eccezione per Voi e per avermi in parte guarito, il resto lo devo al Recluso e ad un’altra ragazza che era con lui. Non ho alcun rancore nei confronti del soldato che mi ha ferito.’’- rispose, volgendo i suoi occhi in direzione della donna che lo aveva interpellato, per poi voltarsi in direzione del Recluso e tentò di riconoscere la ragazza tra la moltitudine di cavalieri. La Quinta Sorella, Erthaor, ancora una volta si apprestò a posare le sue mani sulle tempie del mammifero per constatarne la veridicità ma il Recluso si intromise, schioccando le dita e generando una sfera biancastra che mostrò gli eventi del dì precedente: erano raffigurati la creatura, lui e quattro donne, tra le quali Arilyn.

‘’Mi sono permesso di scavare nei suoi ricordi. Murwaka è nato dall’unione di un Krinxs e di un Huerdakhal, ecco perché la sua stazza è ben diversa da tutti gli altri.’’- disse il Recluso, facendo scomparire la sfera tra le dita con un sonoro scoppio. La Sorella Maggiore strinse le mani sui braccioli di marmo, percependo il breve ma intenso potere emanato dall’entità.

‘’Dunque è la verità. Un superstite, figlio dell’unione di una coppia di razza diversa che è capace di esprimersi nel nostro linguaggio. Inconsueto da parte loro, ma se è stato l’amore ad unirli noi non possiamo dir nulla al riguardo.’’- esordì, dopo un lungo silenzio, la Terza Sorella Mylgred. In quel momento, un clangore metallico, distolse l’attenzione del Concilio dal Recluso e dal mammifero. Dall’ascensore che conduceva alle segrete, giunse una delle sentinelle in livrea grigia che trascinava con una corda un uomo dal viso ricoperto di lividi e gonfio. I suoi abiti bianchi e il simbolo su di essa testimoniarono la sua appartenenza ai Rovi Bianchi.

‘’Inginocchiati!’’- sibilò il soldato, colpendolo alla gamba per farlo cedere. Si udì uno scoppio secco, e il ginocchio del soldato si piegò lateralmente finché non assunse una posizione innaturale; dal pantalone di tela scivolò via la protesi di legno con il rinforzo in gomma per impedire che la pelle si irritasse. Uno dei Legionari riconobbe i vari disegni che costituivano quella divisa, affermando il grado di tenente del prigioniero.

‘’Pensate che tenermi prigioniero in questo luogo privo di sfarzo possa fermarci? Noi Rovi Bianchi vi calpesteremo come si fa con i vermi nella fanghiglia!’’- sbraitò il tenente, impassibile innanzi alla sua disabilità e contravvenendo all’ordine regale nel Concilio. Arshile intervenne colpendolo con forza inaudita al volto, spaccandogli il labbro e i capillari nell’occhio destro tramutandolo in un coagulo di sangue scuro. La Sorella Maggiore del Concilio arrestò sul nascere l’ira della Legionaria, ringraziandola per aver riportato l’ordine e prese parola:

‘’Lo sfarzo di un regno non è sinonimo di forza e strategia, tenente. Per quale ragione Lei e i suoi uomini stavate assediando uno dei nostri avamposti minori? Cosa vi ha spinto a raggiungere quel luogo così vicino il nostro regno?’’
Il tenente sputò un grumo di sangue ed un dente nella direzione della donna, mostrando un ghigno rabbioso come la sua risata. Cercò di alzarsi ed arrancare usando le sue mani, ma vennero entrambe schiacciate dal randello ferroso di Veldass. Cercò di liberarsi, ma l’arma pesante glielo impedì rendendolo simile ad un cane storpio. Arilyn osservava disgustata quel comportamento, posando in automatico la mano sull’elsa della spada.

‘’I vostri cosiddetti avamposti sono indegni, prede facilissime da stanare. Il vero obiettivo erano quelli maggiori e questo regno insulso, così da poter schiavizzare gli uomini e violare la purezza delle donne. Sì, quello era il nostro intento. Tutto questo per far vedere al nuovo comandante che sono i veterani a capeggiare i plotoni, non lui!’’- rispose l’uomo, riuscendosi a liberare dal pesantissimo bastone di ferro, ritrovandosi le mani viola e deformi.

‘’Il nome e gli intenti del comandante?’’- chiese la Quarta Sorella, Largorthel, trattenendosi dal non lasciare il suo trono e strangolare quel viscido essere fino a vedere i suoi occhi sbiadirsi e la bava colargli dalla bocca.

‘’Il nome? Al diavolo i nomi, si è solo numeri e gradi in guerra. L’intento è quello di sradicare ogni fondamento cavalleresco del nostro regno per renderlo migliore. Siete già spacciati in ogni caso. Voi cortigiane con i vostri miseri condottieri, una creatura mezzosangue e quella Thandulircath non potrete far nulla! Nemmeno il Recluso può.’’- replicò nuovamente il tenente, ormai allo stremo delle sue forze. La Sorella Maggiore ordinò, senza preavviso, ad Arilyn di avvicinarsi al loro cospetto per evitare che qualcuno potesse origliare.

‘’Dopo un lungo consulto con le mie sorelle, abbiamo deciso di non usare i ricognitori per sorvegliare il Recluso in quanto dispone di un potere superiore alle loro capacità. Invece, l’odio di quella vile canaglia e i suoi meschini ed impuri desideri vanno puniti con la morte. Sei in grado di eseguire tale compito, Arilyn dei Thandulircath?’’- chiese Daernith, prendendole la mano e guardandola intensamente negli occhi. Anche le altre donne la osservavano con interesse misto a perplessità.

‘’Per la sua brama di sangue e voluttà verrà punito…’’- disse la Sesta Sorella Rivaltnith, lasciando continuare la Settima Sorella Rivornith:

’Con la morte.’’- furono le parole che sibilarono dalle sue labbra, e solo il Recluso fu in grado di sentire quella condanna. La giovane condottiera tentennò, facendo guizzare i suoi occhi sulle sette donne e poi sul prigioniero, ma non avendo altra scelta estrasse la sua spada e scese lentamente le scale dei troni. La lama vibrò appena prima di ricoprirsi di un accecante fulgore dorato con lingue di fuoco danzanti.

‘’Sciocca ragazzina, non vedi che sei una pedina di una scellerata scacchiera? Combatti qualcosa che non ti riguarda…’’- le parole del tenente gli morirono in gola quando la lama incandescente gli trapassò il petto, iniziando a far brillare le vene e a bruciare la sua carne. L’odore nauseante si propagò nella sala, disgustando alcuni soldati.

‘’Io combatto per eradicare dall’esistenza esseri come te.’’- disse Arilyn, non mascherando la sua rabbia e facendo sprofondare la lama fino alla guardia. Il tenente emise solo un ruggito iracondo prima di esplodere in un cumulo di cenere lucente, lasciando parte della divisa bruciata sul pavimento. Dal nulla comparve Morkai con un messaggio proveniente dalla Cittadella che annunciava la successione di Signuva al comando e l’invito a raggiungere un luogo che solo una persona conosceva, scritta all’interno del documento.

‘’Per raggiungere quel luogo ci vorranno settimane.’’- affermò la Seconda Sorella, Hallothel. Il messaggero sorrise a quella perplessità e rispose:

‘’Ci vorranno solo poche ore. Le gallerie sono quasi ultimate, mancano solo i collegamenti con gli avamposti Pharossa e Lekethra. Ho notato che i binari sono stati modificati dalla magia di un nostro ospite.’’- e si voltò in direzione del Recluso, impassibile che osservava il danzare della cenere nell’aria. Il Concilio fu sorpreso nel constatare le buone intenzioni di quell’essere leggendario. Venne ordinato ad alcuni soldati di gettare via gli indumenti carbonizzati del tenente, di condurre Murwaka e il Recluso nelle segrete nuovamente, dandogli cibo e acqua e di aggiornarle sulle condizioni del prigioniero Falko. Non appena furono eseguiti tali richieste, la Sorella Maggiore con un lieve sorriso annunciò ai Legionari:

‘’A seguito degli eventi degli ultimi mesi è con effetto immediato che proclamiamo, come membro dei Legionari, Arilyn dei Thandulircath. Il suo costante aiuto si è rivelato prezioso quasi quanto il vostro.’’
Arilyn si meravigliò di quella decisione, tanto da farla ammutolire nonostante gli altri membri si congratulavano e le stringevano la mano in segno di rispetto; l’unica che restò in disparte ad osservarla fu Iridia, contraria a quei gesti amichevoli.

‘’Credo che sia presto per renderla un membro di noi Legionari. Ha dimostrato grandi abilità, è vero, ma è ancora acerba.’’- disse il Comandante rivolgendosi alle Sette Sorelle che la scrutarono pacate.

‘’Così come un frutto matura con il tempo, anche la giovane Arilyn lo sarà grazie anche al vostro aiuto e supporto. Tu stessa Iridia sei stata un frutto acerbo ma poi sei maturata in un qualcosa di sublime. Adesso, andate a prepararvi, entro il tramonto vi dirigerete alla Torre Solitaria.’’- rispose la Sorella Maggiore, alzandosi e lasciando la sala dei troni con il suo seguito. Il Comandante serrò le labbra, restando in silenzio.
 
Profondità. Terzo Frammento d’Ambra.

Nei meandri oscuri ove risiedevano il Re delle Spine con i suoi figli, il Frammento d’Ambra si tinse di rosso cremisi solcato da lingue di fuoco nel suo nucleo. Il muschio che ricopriva i mattoni della parete venne colpito da alcune scintille del frammento, trasformandosi in lucciole di fuoco. Pheros, il primo genito del Re, osservava affascinato quella danza di fuoco e morte prodotta dall’artefatto mentre le sue mani sfioravano una spada dalla lama nera e acuminata. I suoi due fratelli, invece, si occupavano degli ennesimi cadaveri da trasmutare in seguaci assetati di sangue donandogli aspetti grotteschi e terrificanti.

‘’Una lama di eccellente fattura intrisa di grande potere. Questo ragazzo cova dentro di sé tutto l’odio che annega queste terre spoglie, profondo. Derivante dall’abbandono e dalle peripezie affrontate. Lui è il mio degno avversario. Provate solo a combattere contro di lui e troverò il modo per estirparvi l’immortalità.’’- esordì il demone, tornando ad osservare la spada e analizzandola, facendo guizzare le fiamme oscure sopra di essa. Dall’entrata del salone giunse Liedin, avvolta in una corazza di elbaollite nera, con un manipolo di crisalidi aracnoidee gorgoglianti che secernevano liquidi ambrati e argentei. La donna usò la punta della spada per ordinare a quegli strani essere di svuotare le loro membrane e riversare sul gelido pavimento i futuri soldati. Ossa, carne putrefatta e cadaveri freschi affollavano in un nauseante ammasso informe la stanza ed Ignea sorrise estasiata dal vedere quel sangue scuro misto all’argenteo di krinxs mutilati.

‘’Provengono dall’ultimo assedio compiuto da Pheros?’’- chiese Ignea, recuperando quel poco di sangue rimasto sui cadaveri e mischiandolo freneticamente ad altri fluidi, tra cui l’ambra fusa proveniente dal nucleo del Frammento.

‘’E non solo.’’- rispose Liedin, tirando dall’ammasso di defunti, soldati in una pesante armatura scura con arti e parti del corpo mancanti. Sul metallo temprato vi erano profondi graffi, segni di denti, ammaccature e scheggiature derivanti da una spada molto resistente. Terbius si avvicinò per studiare i corpi e, sfiorando le ferite, percepì un potere sopito che lo disgustò:

‘’Questi soldati sono stati sbranati da degli animali sotto influsso magico. Alchimia dei nani. Ma la nostra di magia è più forte.’’
E in quell’istante, Ignea e Terbius cosparsero di essenze e ambra liquida i cadaveri corazzati e Terbius, con un semplice colpo spezzo quella spada dalla lama nera e la gettò tra gli ammassi di carne vibrante. L’oscurità latente che permeava nell’acciaio generò creature dall’aspetto terrificante, con occhi rossicci che guizzavano senza controllo in ogni angolo della stanza e il metallo che li ricopriva venne rinforzato da rovi di pietra nera. Dalle loro bocche deformi nacquero denti lunghi quanto un pollice e i loro ventri lerci si ricoprirono di scolopendre pronte a saltare sui volti dei nemici per entrare nelle loro gole e cibarsi della carne.

‘’Loro sono perfetti. Il resto gettatelo nelle catacombe, ove Ryre è in preghiera. Sehher avrà un lauto pasto non appena si desterà da suo sonno.’’- esordì il Re delle Spine, illuminato dal fuoco che emanava il Frammento alle sue spalle. I nuovi guerrieri, gigantesche barriere di metallo e carne rancida, spostarono con tutto il loro peso le carcasse verso la botola per i rifiuti che conducevano nel sottosuolo. Il Re delle Spine, compiaciuto dell’operato, decise di discendere la scalinata delle catacombe nel totale buio dell’antro terrestre come se fosse in grado di orientarsi percependo il fervente potere che emanava la divinità malvagia rilegata nelle catacombe; udiva una cantilena riecheggiare nel minuscolo tempio illuminato da un fulgore violaceo e spire di fumo provenire da esso.
Inginocchiati vicino ad un piccolo altare con una reliquia simile ad un dito pietrificato vi erano le aberrazioni ipnotizzate dalle parole incomprensibili per una persona normale, mentre un uomo con una tunica da chierico muoveva le mani freneticamente. La sua voce si trasformava da un gorgoglio sommesso ad un acuto strillo. Non vedendo risultati, quel monaco decomposto imprecò aspramente.

‘’Sii paziente Ryre. Lui è ancora molto debole, ha bisogno di corpi freschi per potersi rigenerare. Vuoi offrirti volontario?’’- chiese il Re delle Spine, sottolineando il suo losco intento.

‘’Sono già morto due volte nel corso degli ultimi mesi, gradirei vivere. Si fa per dire.’’- rispose l’uomo, sistemandosi brandelli di carne decomposta sull’osso mandibolare come se volesse coprire una nudità fin troppo evidente al suo nuovo Signore. Uno dei fasci violacei danzò sulle spalle di una creatura, per poi spostarsi sul volto di uno informe ed infine scelse la sua preda, infilandosi nelle sue narici e penetrando nel corpo con irruenza. Ci fu un lungo gemito e la bestia assunse lo stesso colore per essere assorbita dal manufatto. Il dito pietrificato prese vita e dalla carne ammuffita si generò una fiamma incorporea, solcata da stelline bianche e argentate che esplodevano e si fondevano, muovendosi e vorticando. La fiamma si tinse di nero, i minuscoli sfavillii argentei si fusero insieme dando vita a due occhi demoniaci che osservavano torvi i due uomini:

‘’Deboli ma possono sfamarmi. Quanto tempo è trascorso, Re delle Spine?’’- chiese quella fiamma nera, e il suo tono di voce così profondo e sibilante fece rabbrividire Ryre. Le bestie esultarono alla comparsa della divinità ma vennero incenerite da alcuni fasci purpurei e assorbite dalla fiamma: si materializzò altra pelle decomposta, parte del cranio e delle robuste corna simili a quelle di un montone e al centro del suo petto comparve una gemma d’ossidiana sferica.

‘’Tre millenni, Dio Sehher. L’esercito è quasi pronto, stiamo solo attendendo che entrambi i popoli si indeboliscano.’’- rispose il Re delle Spine, con un freddo ghigno sul volto. Il fulgore purpureo della divinità vibrò e sibilò, facendolo gemere di piacere.

‘’Percepisco morte e devastazione proveniente da Jossul. Quell’avamposto è stato distrutto, non è così? Perfetto, ma non basta. Dovete assediarne il più possibile e, constatando dai vostri nuovi accoliti, il compito sarà facile.’’- asserì l’entità, prima di ritornare a riposare, annidandosi in quello che sembrava essere un trono. In quel momento giunse una delle orride creature annunciando l’arrivo del cadavere di un mezz’elfo, proveniente dall’avamposto in rovina. Il Re delle Spine e il suo seguace tornarono nel salone principale, trovando l’ennesima preda che giaceva eviscerata sul pavimento privo di qualsiasi eleganza.

‘’Il sangue di un mezz’elfo è impossibile da poter usare. Troppo puro per corromperlo, troppo denso da poterlo sfruttare.’’- affermò Ignea, disgustata dalla visione di quel cadavere. Pheros estrasse dal suo abito la punta della lama che aveva trafugato al giovane comandante, lo immerse in uno dei tanti intrugli di sua sorella, avvolse la piccola scheggia d’oscurità e la posò al centro dove le due parti del mezz’elfo giacevano. Si udirono le ossa ricomporsi ed unirsi in disgustosi scricchiolii, la carne sembrò essere frustata mentre si fondeva con le interiora mentre il resto del corpo veniva scosso da violenti spasmi e tremori. Lo squarcio che lo aveva diviso a metà e quello presente sul braccio vennero ricuciti con dei rovi oscuri, gli occhi vacui grondarono un liquido rossiccio che tinse la pelle pallida che si ricoprì di scaglie di legno.

‘’Benvenuto, la morte ti ha ricompensato con un grande potere, giovane mezz’elfo. Inchinati e rivelaci il tuo nome.’’- disse il Re, sedendosi al trono e creando una piccola sfera di luce rossa con una mano.

‘’Ebirre Kraigo, Capitano dell’avamposto Jossul…o meglio ero capitano finché quel maledetto Darrien non mi ha reso storpio per poi essere ucciso dal suo lacchè. Deve pagare per la sua insolenza.’’- replicò il mezz’elfo quasi ringhiando al solo pronunciare il nome del comandante che lo aveva destituito.

‘’Non temere Ebirre. Tutti noi siamo spinti dalla bramosia di vendetta e sangue. Desideriamo ardentemente di ricongiungere i Frammenti della Fiamma per riportarla alla sua ancestrale essenza e renderla nostra, ma la vera natura dovrà attendere finché i Rovi Rossi e i Rovi Bianchi appestano la terra.’’- corrispose l’uomo, con un sorriso freddo mentre si specchiava sul piatto della sua spada, pregustando una pioggia di cremisi intenso e dal profondo della sua gola si levò una cupa e prolungata risata di pura perfidia che coinvolse i presenti, mentre i loro abietti gracchiavano e mugolavano in coro.
 
Draal In'llolus Gaeur, Regno dei Rovi Bianchi. Tardo Autunno in nome di Luqnera, primo pomeriggio.

Dopo la lunga notte d’allenamento, il giovane comandante si risvegliò sotto un frassino, frastornato e disorientato avvolto da vivaci foglie di ogni sfumatura del rosso; alcune foglie rimasero impigliate nella trama della sua camicia e tra di loro, formando un magnifico mantello dai colori autunnali contrastando la sua natura di Predone dell’Oscurità. Accecato dal sole e dal sonno, si mise seduto su un macigno lì vicino per riprendersi finché i suoi occhi non si abituarono all’ambiente circostante e notò innanzi uno strano figuro dalla corporatura robusta, avvolto in una corazza leggera con una cotta di maglia zaffiro. Sul fianco gli pendeva una spada bastarda abbastanza lunga da sfiorare l’erba ai suoi piedi, mentre sulla schiena aveva uno scudo ricavato dalla ruota di un timone di una nave ricoperto d’oro, poggiato su un mantello azzurro e bianco. Il viso spigoloso presentava una leggera peluria bionda che risaltava i suoi occhi neri.

‘’Non ha un bell’aspetto, signor comandante. Mi ricorda uno dei vecchi ubriaconi della bettola dell’avamposto da dove provengo.’’- esordì l’uomo con voce pacata, ridacchiando a quell’insulto.

‘’Lei, invece, mi ricorda un giullare con pessimi gusti bellici e incapace di vestirsi propriamente.’’- replicò Darrien, con freddezza a quell’uomo sfrontato. Il soldato rise nuovamente per poi tendergli la mano in un gesto cortese scusandosi per la sua lingua da serpente.

‘’Duilius, capitano dell’avamposto navale Thern Lodìr.’’

‘’Darrien, comandante dell’élite Merfolk di Huvendal e neo comandante del vostro pacchiano regno. Mi è stato detto che lei si occuperà insieme ad altri suoi colleghi dei vari confini è così?’’- chiese il ragazzo, spostando di tanto in tanto gli occhi sullo scudo. Il Capitano notò la curiosità del suo nuovo commilitone e narrò la storia di quell’oggetto ricoperto d’oro:

‘’Questo scudo è stato ricavato dal canino di una bestia marina, uccisa durante una spedizione con la mia flotta. La parte superiore, invece, è presa dal vecchio timone della mia nave. Posso usarlo come arma d’attacco grazie alla punta e difesa grazie ai raggi ravvicinati, garantendomi di disarmare l’avversario. E fidati che non è leggero da quello che vedi.’’- e così dicendo lo porse tra le mani di Darrien che, non appena afferrò le cinghie di cuoio, avvertì l’elevato peso trascinarlo in basso; percepì anche, tastandone la superficie, da quale bestia marina derivava lo scudo.

‘’Era un wraisk, adulto e uno dei più famelici tra i serpenti marini.’’- disse il ragazzo, suscitando stupore nel capitano che si complimentò per la conoscenza del rettile. Prima che Duilius potesse riprendere il filo del discorso, dal palazzo si udì un clangore di corni che annunciavano l’arrivo di qualcuno di importante.

‘’Torniamo a palazzo, sono giunti gli altri capitani. Un consiglio: non guardare negli occhi le guardie del corpo di Vesta e Lochlann, sono molto irritabili e sfociano in violenza insensata.’’- e detto questo, i due uomini tornarono a palazzo. Il capitano navale consentì a Darrien di rivestirsi con la sua armatura ed elmo, prima di congedarsi per unirsi ai suoi commilitoni. Percorsi i lunghi corridoi, sull’uscio della sala del trono potevano scorgersi gli stendardi dei regni d’origine di ogni capitano presente: azzurro e bianco di Thern Lodìr, rosso e marrone per l’avamposto Pyroh Icherione e il porpora e nero per l’avamposto Ilgoros. Un vassallo del Re invitò ai restanti soldati di lasciare la sala, così da permettere al sovrano di entrare e svolgere i suoi compiti:

‘’Solo i capitani possono restare in questa sala, mentre i sottoufficiali e soldati sono pregati di accomodarsi all’esterno. Nessuno escluso.’’

‘’Loro restano con noi, non vanno da nessuna parte.’’- rispose una donna in una armatura a scaglie dorate e con l’elmo da testa di drago, incrociando le braccia restando impassibile. Il vassallo, imbarazzato, balbetto nuovamente la richiesta ma una delle guardie del corpo si mosse, stringendo tra le mani una grossa ascia bipenne che luccicò minacciosa. Dal grande elmo si materializzò un fulgore rossastro che terrorizzò il servo, costringendolo a fuggire terrorizzato con le braghe umide, suscitando risate di scherno nei suoi confronti.

‘’Ti ringrazio Lilith per il tuo supporto.’’- disse la donna, inchinando il capo verso la sua amica con indosso un elmo ricavato dal teschio di un qualche animale sconosciuto, diverso dall’alto figuro che le stava vicino. Un altro clangore attirò l’attenzione dei presenti, che si voltarono al Re appena entrato con una sfarzosa corazza tempestata di gioielli che risplendevano grazie ai raggi del sole che filtravano dalle vetrate. A pochi passi da lui vi erano la sua compagna e la principessa che andarono a sederi sui loro rispettivi troni.

‘’Nonostante la caduta di Jossul, sono riuscito ad eliminare gli assedianti e a tramutare un vecchio villaggio in rovina nel nostro nuovo reparto militare. La cattedrale verrà assegnata ai Capitani Lilith e Melanthios con il loro seguito, ove potranno creare infusi per difendere i loro e i nostri soldati. La piccola fortezza che contiene l’intero villaggio, invece, verrà assegnato al Capitano Vesta.’’- esordì il Re con un gesto plateale, tra applausi fin troppo concitati e indifferenza degli altri.

‘’Perché non vi sono lividi o ferite che testimoniano la tua presenza a Jossul?’’- domandò Darrien, con voce distorta dal suo elmo. Gli applausi si tramutarono in unico suono confuso, suscitando perplessità e curiosità nei presenti, fatta eccezione per il Re palesemente infastidito da quella presenza.

‘’La mia pelle coriacea funge come una seconda armatura, quindi non ho ferite. E ricordiamoci che io ti ho salvato la vita da morte certa.’’- rispose Galeren, con presunzione. La Regina intimò a Darrien di fermarsi comunicando attraverso lo sguardo, fallendo.

‘’Quanti soldati sono morti per il tuo deretano pesante Galeren? Quanti?’’- ripeté con un sibilo, evocando il suo potere che assunse la forma di una cascata di denso fumo nero. Si udirono risate trattenute a stento e sospiri sorpresi, mentre il viso del Re si tramutava in una maschera di rabbia e vergogna, impossibilitato a rispondere.

‘’Centosettanta uomini. Centosettanta vite distrutte per la tua cupidigia e negligenza. Non sei nemmeno l’ombra di un vero re, per questo ho distrutto parte del tuo trono e ordinato di inviarmi rinforzi ma la tua bocca si apre solo per ingozzarti e formulare bugie per il popolo. Egregi Capitani, per cortesia, chiedete al vassallo pauroso di condurvi nella biblioteca. Vi raggiungo a breve.’’

‘’Volevo godermi lo spettacolo, ma gli ordini sono ordini.’’- esordì il capitano di Ilgoros, avviandosi controvoglia alla porta. Quando furono usciti tutti, Galeren sfogò la sua rabbia tentando di afferrare il collo di Darrien e strangolarlo per la sua presunzione, ma il suo naso si ruppe contro il duro metallo dell’elmo d’ariete. Non soddisfatto, sfoderò le sue spade ed eseguì diversi affondi e montanti con l’intento di ferire mortalmente il suo figliastro. La Regina si intromise, facendo da scudo ad entrambi ma venne scostata da una spallata del ragazzo che colpì il fianco privo di protezione di Galeren, facendolo accasciare con un gemito. Il violento impatto ruppe un paio di costole dell’uomo ma non gli impedì di reagire, afferrando la gamba del ragazzo e gettandolo al suolo. Stavano per colpirsi nuovamente, quando una spada si frappose tra loro con fare minaccioso.

‘’Può bastare.’’- disse Batkiin, con insolita rabbia nella sua voce. Quando il loro umore si placò, notarono l’armatura ammaccata in diversi punti, sporca di fango e sangue rappreso, con alcuni licheni che si staccavano come cenere dalle spalline. I suoi occhi erano due fessure dalla quale traspariva solo odio represso e qualcosa di indecifrabile.

‘’Che cosa vuoi, Batkiin?’’- domandò Galeren, tenendosi il fianco e respirando a fatica per le fratture. La spada volse nella sua direzione, investita dalla luce del sole che illuminò il metallo e le gocce di sangue.

‘’L’avamposto Tara è stato distrutto. Siamo sopravvissuti in dieci e Lei, vecchio Re, è la causa di tutto questo. Mi disgusta, signore.’’- fu la risposta dell’uomo, digrignando i denti simile ad un predatore feroce. Afferrò un pugnale dalla sua cintura e cancellò il simbolo dei Rovi Bianchi sulla corazza, per poi scagliarlo contro l’armatura dorata del Re conficcandosi nel metallo scadente. Dal trono più piccolo, Malrin decise di unirsi a suo fratello.

‘’Anche tu Malrin hai deciso di unirti a loro? Il tradimento è una tradizione di famiglia?’’- domandò sarcastico il re, sputando del sangue. Darrien si tolse l’elmo e accennò un consenso a sua sorella che replicò:

‘’Questo non si tratta di tradimento, padre. Si tratta solo di fare la cosa giusta per il regno. Il nostro regno. Niente più nobili ubriaconi, niente feste dove si intravedono nudità o effusioni erotiche. Da oggi, mi occuperò io del Draal e voi, con effetto immediato, diverrete i miei sottoposti.’’
Un fascio di luce oscura serpeggiò verso Malrin, tentando di avvolgerla ed insediarsi nel suo cuore per soffocarlo ed impedirle tale scelta, ma la ragazza contrattaccò quella subdola pugnalata sfruttando il suo e bloccandola sul trono l’artefice di quel vile gesto: la Regina. Nello stesso istante, dodici soldati si presentarono al cospetto della giovane, attendendo nuove istruzioni.

‘’Impeditegli di lasciare il Regno, sorvegliate le uscite principali e secondarie, scortateli nel loro alloggio. Per questioni commerciali, uno di voi assolderà un vassallo che porterà i telegrammi al Re che dovrà solo occuparsi di firmare.’’- impartì la ragazza, sorprendendo Darrien che qualche mese prima la considerava fragile. Una volta eseguite le istruzioni, Batkiin e Darrien raggiunsero i vari Capitani in attesa, mentre la ragazzina venne scortata da uno di quei corazzieri all’esterno del palazzo.
Entrati in biblioteca, le guardie del corpo di Vesta esultarono colpendo i loro scudi e complimentandosi per la lezione impartita al Re.

‘’Finalmente qualcuno che impartisce una sonora lezione a quell’imbecille.’’- esordì il vice Lochlann, un uomo dalla pelle bronzea e dagli occhi color ardesia, poggiando i piedi sul bordo del tavolo. I due negromanti, invece, si limitarono ad un flebile applauso e si tolsero i loro elmi mostrando volti simile tra loro: tratti delicati, occhi azzurri e pallore caratteristico dei negromanti, eccetto i capelli di Lilith che erano lunghi e corvini. Anche Vesta decise di togliersi l’elmo, mostrando i suoi lineamenti decisi e dei lunghi ricci castani che ricadevano sulle spalle.

‘’Mi sono permesso di lasciare una pietra comunicante nella sala del trono, così da assistere a quella punizione. Noi abbiamo accettato l’incarico di Capitani solo per la grossa somma che ci ha dato. E no, non siamo mercenari.’’- disse Duilius, comparendo alle loro spalle e mostrando quella pietra dalle sembianze di una punta di freccia.

‘’Quante monete vi ha donato?’’- domandò Darrien, sedendosi a capo tavola dove ad attenderlo vi era una mappa già segnata da vari simboli e tratteggi.

‘’Dieci monete di platino a testa.’’- rispose il Capitano Lilith, lanciando sul tavolo il documento ufficiale firmato dal Re che attestava le informazioni date. Il giovane comandante imprecò e strappò la lettera, per poi incendiarla tra le sue mani. Una volta terminato l’intermezzo tutti esposero il loro parere sui vari confini da proteggere o da rinforzare, prendendo in considerazione l’eventuale attaccò a sorpresa di uno o più avamposti dei Rovi Rossi così da poterli indebolire e far prigionieri. Gli occhi zaffiro del comandante si posarono su un disegno in particolare: una torre posta al centro di diversi confini che si incrociavano, con altre quattro strutture più piccole ai lati. La discussione si spostò sull’attaccare uno dei loro distaccamenti e uccidere i pochi soldati all’interno e tendere una imboscata ai Rossi per eliminare anche loro. Il secondo capitano negromante, Melanthios, alzò la mano generando un vortice violaceo che balzò verso l’alto e colpì il tetto. Un gemito di dolore accompagnato da un insulto eruppe da quell’oscurità serpeggiante per poi cadere come un sasso sul tavolo della stanza. La nube oscura si dissipò, rivelando un Dolmihir dolorante.
 
I Quattro Confini, Torre Solitaria. Tardo Autunno in nome di Luqnera, tardo pomeriggio.
 
Il messaggero del Concilio si occupò personalmente di condurre i Legionari nelle gallerie, prossime ad essere completate. Venne costruito un grande macchinario che consentiva di caricare e scaricare i carrelli dalla rotaia principale che si estendeva in diverse biforcazioni a tridente. A pochi metri dal macchinario fu eretta una gru alimentata grazie all’ebollizione dell’acqua in un recipiente sferico e tre manopole per regolarne la temperatura. Da una delle tre gallerie giunsero sfrecciando alcuni carrelli con un solo soldato che fece rapporto al suo superiore:

‘’Bisogna rallentare nella quinta galleria che giunge sotto la Cittadella degli Abbandonati. Vi è un gigantesco deposito roccioso che vi fa da ponte naturale, ma è molto fragile al peso e ai suoni e dato che è al di sopra di un profondo baratro, attraversatelo con cautela.’’

‘’Lunghezza del ponte e come raggiungerlo?’’- domandò Iridia, sedendosi nel carrello mentre l’elmo di rovi viventi cominciò a ricoprirle la testa. Il soldato prese la mappa che indicava scorciatoie per raggiungere in fretta i luoghi, ma non era presente la Torre Solitaria, la meta del loro peregrinaggio.

‘’Come raggiungiamo il Prymvis?’’- chiese Arilyn, con cortesia attendendo la risposta del suo sottoposto, ma scosse la testa amareggiato. Pervenne il momento del lungo viaggio e tutti si apprestarono a sedersi nei carrelli. Un sistema di recupero permise di rimetterli in posizione e attesero l’arrivo di qualcuno per poter esser spinti. Arilyn vide due occhi luminosi provenire dall’oscurità, riconoscendo le iridi a punta: Vidthar, il Titano d’Onice si rivelò essere l’aiuto aggiuntivo.

‘’Pur non essendo la mia guerra questo luogo è stato creato dalla Fiamma d’Ambra, una delle figlie della Dea del Cosmo e per altro nostra alleata. Tenetevi forte.’’- disse il Titano, prima di posare le mani e spingere con estrema facilità il carrello che prese immediatamente velocità. Le gallerie, illuminate in parte da lanterne e in parte da un particolare muschio arancione, si susseguivano così rapidamente da perderne il conto. Iridia ed Arilyn erano sedute in testa al gruppo diviso da coloro che detestavano i vari scossoni come Veldass ed Elurek che si stringevano alle loro armi e al carrello, chi come Allric restava impassibile con Hilder che dormiva sulla sua spalla oppure Olfhun e Arshile in ascolto di eventuali suoni diversi dallo sferragliare metallico.

‘’Reggetevi!’’- urlò il Comandante dei Legionari, azionando la leva del freno; centinaia e centinaia di scintille formarono delle ali luminose sotto le ruote e sulle rotaie, come se il carrello fosse pronto a spiccare il volo. Grazie a quell’azione repentina della donna, il carrello poté svoltare senza inclinarsi e capovolgersi entrando così in una grande galleria ghiacciata colma di licheni luminosi, diminuendo la velocità. Il ghiaccio che ricopriva la roccia creava sculture illusorie di giganti o altre creature imprigionate sottoterra, una creazione imponente che sorprese i viaggiatori.

‘’Chi siete?’’- domandò qualcuno a gran voce, appollaiato come uno sparviero su una delle formazioni rocciose e quasi impossibile da poter esser visto. Olfhun lo individuò poco sopra le loro teste e indicò agli altri la sua posizione, pronti ad attaccare se necessario. L’essere che li guardava dall’alto era robusto, ricoperto di scaglie simili a quelle di draghi, quattro occhi, fauci come quelle di un troll e tra le sue possenti mani stringeva dei macigni grandi come il carrello dove viaggiavano i Legionari. La belva balzò dalla sua posizione e atterrò a pochi metri da loro senza emettere alcun suono, mostrandosi in tutta la sua imponenza.

‘’Sei il custode di questa grotta?’’- chiese Iridia, poggiando la mano sull’elsa della spada minacciosamente.

‘’Prima rispondete alla mia domanda, viaggiatori.’’- ribadì la creatura, bloccando l’avanzata con una delle sue mani. Nonostante il corpo simile a quello dei krinxs, quella belva del sottosuolo aveva un che di affascinante, soprattutto per le scaglie che vibravano sul suo corpo ad ogni respiro mostrando piccoli luccichii provenire da sotto. Nessuno riusciva a rispondere finché Arilyn non prese parola:
‘’Siamo i Legionari dei Rovi Rossi, proveniamo dal Lynmes Alno e siamo diretti alla Torre Solitaria. Non siamo ostili.’’- terminò, ricevendo un rimprovero sommesso da Iridia.

‘’Siete del Regno di Sopra, dunque. Non percepisco in voi alcun tipo di ostilità, ed è raro per uno Shayrkko non incontrare esseri ostili. Potete proseguire.’’- replicò la creatura, poggiando le sue braccia sulla parte posteriore del carrello per spingerlo e far proseguire il viaggio. Si susseguirono altre grotte simili a quella congelata, altre ricolme di minerali tra cui pietre di fuoco, androkite e germogli ossei finché non raggiunsero un bivio costringendoli a frenare e a consultare la mappa. A malincuore, una macchia oleosa e scura impediva di leggere il luogo ove i Legionari arrestarono la loro avanzata e, peraltro, impedendo così di comprendere come proseguire. Iridia, visibilmente infastidita, impartì un ordine:

‘’Io e la Thandulircath entreremo in questa galleria, mentre voi restate di pattuglia. In caso di pericolo, avete il corno d’allarme.’’
Una volta entrate nella grotta, Arilyn convocò il suo potere così da mostrare il sentiero e le pareti ricoperti di insetti fossilizzati, ricevendo un semplice cenno del capo da Iridia. I loro passi echeggiavano nella galleria, accompagnata dal costante scrosciare di acqua dalle pareti, ma un pensiero attanagliava la mente di Arilyn:

‘’Cosa vuol dire che sono acerba?’’- chiese con risolutezza, fermandosi e attendendo la risposta del Comandante.

‘’Non è il momento, dobbiamo proseguire e comprendere se questa galleria è sicura o meno.’’- rispose Iridia, voltandosi e permettendo all’elmo di ritirarsi nell’armatura.

‘’Assolutamente no. Non avanzerò oltre finché non mi dirai il motivo del tuo disaccordo con il Concilio.’’- s’impose la giovane Thandulircath, mostrando la sua fierezza. La donna avanzò incrociando i suoi occhi scuri con quelli smeraldi di Arilyn trasmettendo tutta la sua collera per quell’affronto, ormai giunta al limite della pazienza.
‘’Cosa speri di ottenere dalla tua presunzione, Thandulircath? Io sono il Comandante dei Legionari, ed essendo anche tu un membro di tale gruppo, dovrai rispettare gli ordini ed ubbidire! Non tollero determinati comportamenti nella mia unità, specialmente la testardaggine come quella di Tyarjes.’’- disse lei, in preda alla collera ed inizialmente ignara di aver nominato qualcuno che non aveva voce in capitolo. Quando si rese conto di aver pronunziato il suo nome, sferrò un violento gancio alla parete facendone cadere alcuni frammenti polverosi.

‘’Ecco perché mi hai definito acerba. Non vuoi che io possa deluderti e ferirti come ha fatto Tyarjes, e così essere parte di questa unità…’’- asserì con un sorriso mesto Arilyn, sciogliendo finalmente quel nodo di curiosità amara che l’affliggeva. Senza proferire parola proseguirono fino alla fine del tunnel, sbucando in un gigantesco antro colmo di acqua gorgogliante posto sulla sua profondità mentre vi era una insolita costruzione di legno illuminata da diversi bracieri e lanterne. Tre abitazioni erano collegate fra loro da un ponte che si divideva a croce, scendendo verso il basso sfiorando l’acqua sottostante. Il vapore proveniente da quello specchio gorgogliante permetteva ad un macchinario posto sulla terra di recuperare cibarie dal fondale, come pesci dalle forme strane o altri mammiferi marini di piccola taglia:

‘’Questo luogo non è segnato sulla mappa, vero?’’- chiese Arilyn, studiando il perimetro e restando affascinata dal colore splendente di quell’acqua calda ed invitante. Anche Iridia volse il suo sguardo su quelle terme naturali, finché non si rese conto di qualcuno che vi nuotava al suo interno e strattonò Arilyn per nascondersi ed impedire di essere scoperte. Dalle calde acque, emerse una donna avvenente dai lunghi capelli scuri e ricci che contrastavano la sua pelle bianca come la neve, occhi azzurri e ipnotici che la rendevano simile ad una dea dei mari; la pelle ancora umida contribuì a renderla così seducente, tanto da sbalordire Arilyn e Iridia che arrossirono. Quando quella donna coprì il suo corpo nudo, recuperò da alcuni stracci cuciti tra loro una lancia uncinata. Ripulì la punta di ferro con alcune incisioni, fece volteggiare l’arma un paio di volte e con tutta la sua forza la scagliò in direzione delle due Legionarie, spaccando la roccia che fungeva da riparo.
‘’Elophete!’’- urlò l’avvenente condottiera, impartendo poi un ordine in una lingua sconosciuta a qualcuno nascosto nelle tenebre. Dei passi pesanti e frenetici provennero da un altro antro, accompagnati da un cupo ruggito che si tramutò in un sibilo prolungato. Arilyn ed Iridia sguainarono le loro spade, pronte ad affrontare il prossimo nemico: una creatura fatta di pietra e ferro, armato di una clava dentata, spada retrattile ed uno scudo fuso con il suo ‘petto’ comparve dalla sua tana. I suoi occhi luminosi e gialli lo rendevano inquietante e pericoloso. Il Comandante, però, non appena vide la creatura restò interdetta:

‘’Aspetta…Elophete? Budicca!?’’- esclamò, mostrandosi alla luce delle lanterne e riconoscendoli. La condottiera impartì un altro ordine alla creatura e replicò sorpresa anche lei.

‘’Iridia Dewdrop? Per tutti gli astri, ho rischiato di ucciderti.’’- corse sul ponte, ignorando i suoni che i suoi piedi bagnati producevano ad ogni passo compiuto. Le due si scambiarono saluti amichevoli, scusandosi a vicenda per aver quasi ingaggiato un combattimento. Budicca notò poi Arilyn, che indossava gli stessi colori dei Legionari e si presentò:

‘’Io sono Budicca, una guerriera nomade proveniente dall’estreme regioni orientali, amante delle sfide. Lui, invece, è il mio fedele compagno Elophete. Sei un nuovo membro dei Legionari?’’

‘’Non per mia decisione, ma da parte del Concilio delle Sette Sorelle. Io sono Arilyn Saavick, ultima dei Thandulircath. Questo è il tuo rifugio?’’- chiese Arilyn, notando l’estrema cura con la quale le strutture si reggevano senza problemi.

‘’Rifugio temporaneo per l’inverno. Grazie alla sorgente termale, l’intera grotta è sempre calda. Se ti domandi anche come rimedio viveri e bevande, il fondale della sorgente è una galleria di un chilometro che raggiunge l’esterno, sfociando in un piccolo laghetto di un villaggio.’’- rispose la donna avvenente, recuperando la sua lancia e ripulendola dalla polvere.

‘’Ci siamo fermati ad un bivio. Ora, sapendo che in questa non si prosegue, sai se l’altra è sicura per avanzare?’’- domandò Iridia, mostrando a Budicca la mappa leggermente danneggiata dall’umidità e dall’olio. La condottiera esaminò quel foglio grazie ad una delle lanterne e confermò la sicurezza dell’altra galleria ma di tenere comunque gli occhi aperti e le orecchie ben tese a causa di strane creature viscide e ricoperte di una melma appiccicosa nascoste nell’ombra.

‘’Dove siete diretti e perché siete in armatura?’’- chiese Budicca, prima che le due donne andassero via. Iridia non rispose, così da permettere ad Arilyn di rispondere.

‘’Siamo diretti alla Torre Solitaria e temiamo che l’Epoca Oscura, credo si chiami così, possa tornare. Le creature che hai visto ricoperte di melma sono krinxs corrotti dai Rovi Neri e…’’

‘’Basta così Thandulircath, è abbastanza!’’- s’intromise Iridia con asprezza nella voce e richiamando all’attenzione la ragazza che, amareggiata, salutò la condottiera.

‘’Beh, posso solo augurarvi buona fortuna e che gli astri siano dalla vostra parte.’’- replicò Budicca, impartendo poi un ordine al suo compagno che chiuse l’entrata della grotta grazie ad un pesante macigno. Quando le due Legionarie si ripresentarono al gruppo, tutto era rimasto intatto eccetto la noia e il sonno di alcuni di loro. Il Comandante riferì di aver incontrato una loro vecchia conoscenza e che la galleria adiacente non presagiva pericoli da dover affrontare. Sfortunatamente il carrello sulla quale viaggiavano era fermo, di meccanismi di spinta nemmeno l’ombra e serviva qualcosa di abbastanza pesante da poter muovere il metallo su ruote. Veldass, senza alcun preavviso, lasciò il suo randello nel carello saltando poi all’esterno:

‘’Salite, penserò io a spingerlo finché non sarò esausto.’’- disse, preparandosi a compiere l’impossibile. Quando il gruppo si riunì Veldass poté spingere il carrello con disumana forza, cigolando e cozzando fino a raggiungere una buona velocità. Tentò di risalire, ma temeva di potersi inclinare e provocare un grave incidente. Arshile, notando la difficoltà lo afferrò per il bavero della divisa, riuscendo a potarlo al suo interno.

‘’Ecco perché amo indossare la divisa sopra l’armatura leggera!’’- asserì l’uomo, tra un respiro affannoso e l’altro. Tra le varie curve, gallerie e giganteschi dirupi, il gruppo restava vigile nonostante vedessero meravigliose creazioni fatte dalla natura come spirali di ferro che si estendevano verso l’alto, archi di androkite grezza che emanava cupi lampi dalle sue fenditure e meravigliose sfere di pharite scintillante azzurra. Le rotaie cominciarono a brillare di verde scuro e il carrello aumentò la sua velocità, stridendo e ad emanare scintille; per volere del destino si ritrovarono sul ponte di pietra, descritto dal soldato prima di partire, che vibrava e perdeva diversi frammenti dai suoi lati.

‘’Siamo quasi all’entrata della prossima grotta, reggetevi saldamente al carrello. Non appena varcata la soglia, saltate!’’- ordinò Iridia, tirando nuovamente la leva del freno aumentando le scintille e l’assordante clangore. Una delle ruote si ruppe e il carello s’inclino in avanti di qualche centimetro prima di entrare nella grotta. I Legionari saltarono dal loro trasporto che deragliò e si schiantò contro un qualcosa di invisibile, dissolvendosi come polvere.

‘’Una barriera difensiva simile alla mia.’’- disse Arilyn, percependone l’energia magica che emanava minuscole saette danzanti.

‘’Una barriera difensiva contro gli invasori.’’- rispose la voce di una donna da dietro la barriera. Comparve in una armatura a piastre nere e blu, con il volto scoperto che mostrava un viso segnato dagli anni e dalle guerre, capelli castani scuri sfumati da alcune ciocche bianche. Con ostilità brandiva uno spadone a doppio taglio che terminava con una punta a falce di luna, ben salda tra le dita e pronta a sferrare l’offensiva. Iridia tentò di dissuadere la condottiera ma si ritrovò ben presto a contrastare un violento affondo. I due Legionari più robusti si catapultarono sull’aggressore, respinti da un turbine di rocce evocate dalla spada della donna; una di quelle rocce riuscì a piegare il randello di Veldass, rendendolo inutilizzabile. Allric, il Paladino d’Acciaio, si mosse lesto con la sua Striscia riuscendo a mettere in difficoltà il cavaliere per un breve lasso di tempo prima di essere afferrato per la visiera dell’elmo e gettato contro gli altri Legionari che avanzavano.

‘’Gli invasori non sono il benvenuto. Vi consiglio di andarvene se volete vivere.’’- sibilò la donna, puntando nuovamente la spada contro di loro. Una lama di fuoco dorato si abbatté su di lei, facendola indietreggiare e posizionarsi in assetto difensivo. Arilyn colpì nuovamente usando il suo potere permettendo ai suoi amici di recuperare le forze, così da avanzare e colpire con il guanto di ferro il volto della donna. Dalla spada di ferro nera si sprigionò un fulgore ambrato che investì i presenti, rendendoli deboli e incapaci di rialzarsi. Solo Arilyn non ne subì gli effetti:

‘’Come è possibile? Questa spada è stata in grado di neutralizzare vari nemici grazie al suo potere, come quello di infondere paura e debolezza. Simile alla Fiamma d’Ambra!’’- ruggì la condottiera, pronta a sferrare un montante ma la giovane Thandulircath colpì il suo polso, facendole perdere la presa.

‘’Sono stata a contatto con così tanti artefatti e divinità dall’immenso potere distruttivo che l’imitazione del potere della Fiamma d’Ambra ha fallito. Nemmeno la Fiamma d’Ambra in persona è riuscita ad indebolirmi.’’- rispose, avvolgendosi in una nube luccicante di stelle bianche e fiamme dorate. Prima che potessero fronteggiarsi nuovamente, si udì una voce provenire dalle loro menti:

‘’Brunhilda, lasciali passare. Sono i Legionari dei Rovi Rossi, un regno di grande rispetto ed umiltà.’’

‘’Come desidera, Anima dell’Ultimo.’’- replicò la condottiera che, battendo le mani e intonando un incantesimo sommesso, permise alla barriera di aprirsi e lasciar passare attraverso un portone di pietra i Legionari. Brunhilda richiuse la barriera e il portone con un altro incantesimo, azionò una leva e si udirono diversi fischi accompagnati da stridii metallici. Sopra le loro teste si accese un titanico lampadario circolare tenuto saldamente da sbarre di ferro ad ogni lato che si curvavano verso l’alto ad incastrarsi in colonne d’alabastro screziato, così grandi da rendere minuscoli i Legionari. L’oscurità venne dissipata lentamente da altri lampadari delle stesse dimensioni, mostrando mosaici e sculture di possenti creature mai viste prima intente a compiere gesta eroiche o di mondana vita. Giunti ad una sala circolare, Arilyn restò meravigliata dall’enormi statue di quattro creature dal fisico, seppur asciutto, imponente poste rispettivamente sui loro piedistalli e con i rispettivi colori.

‘’Chi sono queste creature?’’- chiese la Thandulircath, cercando di attirare l’attenzione di Brunhilda. Non vi fu risposta finché tutti non si ritrovarono al centro di una pedana con incisioni e mosaici minuscoli, con un foro dalle dimensioni di una lama. La condottiera inserì la spada in quella fessura per metà della lunghezza, le fece eseguire un giro completo e la pedana si azionò con uno scossone, poi Brunhilda rispose:

‘’Vi trovate nel Prymvis, la Torre Solitaria del Capitano Nephele, ove dimora anche l’Anima dell’Ultimo. Questa torre fungeva da edificio dei Quattro Signori che vedete sui piedistalli. Il primo è il Re dei Giganti di Ghiaccio, Bergelmir. Seppur un gigante bellicoso, rispettava gli umani e i suoi fratelli condividendo le sue conoscenze per sopravvivere ai rigidi inverni. Al suo fianco vi è il Re dei Giganti di Pianura, Rheldreum, un gigante benevolo in grado di rinvigorire le terre spoglie e usare i loro frutti per unguenti benefici. Il terzo, nel lato opposto della sala, è il Re Khurga dei Giganti Verdi, amanti delle foreste rigogliose…’’- s’interruppe la paladina reprimendo un ringhio di disgusto nei confronti dell’ultima statua, distrutta in più punti e ricoperta di licheni rossi scuro; era l’unica ad avere dei rubini come occhi che brillavano cupi alla luce degli immensi lampadari. Più i Legionari salivano, più si udiva il vento soffiare impetuoso dagli spifferi della torre facendo entrare del pulviscolo biancastro e provocando la caduta di alcuni frammenti di pietra.

‘’Mi auguro solo che questo capitano possa donarmi una nuova arma, visto che il mio randello è stato distrutto.’’- disse Veldass, sedendosi e guardando con occhi torvi il cavaliere. Arilyn gli diede una pacca per confortarlo e si avvicinò ad Iridia domandandole se stesse bene.

‘’Perché vuoi saperlo, Thandulircath?’’- domandò il Comandante diffidente dall’invadente curiosità della giovane.

‘’Forse è perché non ti considero solo un comandante. Ti considero anche un’amica. Perdonami se ho chiesto.’’- replicò Arilyn con lo stesso tono, scuotendo la testa. Stava per aggiungere altro, ma la pedana arrestò la sua salita incastrandosi perfettamente ad un piccolo ponte di granito rinforzato da volte in bronzo. Rimossa la spada dalla pedana, la paladina ordinò ai Legionari di seguirla fino alla dimora del capitano, in cima. Saliti per una scala a chiocciola in ferro, giunsero all’alloggio di Nephele.

‘’Vi stavo aspettando, prodi Legionari. Entrate e chiudete la porta.’’- disse una voce femminile dall’altro lato della porta anticipando il loro bussare. Entrarono tutti, compresa Brunhilda che si inchinò innanzi al suo capitano: una splendida donna dai lunghi capelli bianchi legati in una treccia, un viso solcato da rughe ma che non guastavano la sua bellezza ed occhi vispi color del mare. Indossava una semplice armatura di cuoio nera e blu, fatta accezione per il petto e gli avambracci protetti da lucenti piastre di elbaollite, decorate da rune e piccole gemme.

‘’Ti ringrazio per i tuoi servigi Brunhilda, puoi congedarti.’’- asserì Nephele, consentendo alla condottiera di riposarsi.

‘’La ringrazio, padrona.’’- rispose l’altra donna, dissolvendosi in una flebile luce bianca sorprendendo nuovamente i Legionari. Una volta soli, il Capitano si apprestò a rivelare dettagli fondamentali per l’offensiva contro i Rovi Bianchi porgendo loro una rudimentale mappa del loro regno e i loro avamposti. Ognuno di essi era evidenziato da un colore che riportava la descrizione di quali punti rinforzare, altri costruire nuovamente e altri che richiedevano solo una truppa di sentinelle ben addestrate. Iridia afferrò quella mappa e la gettò via:

‘’Non servono tutti questi consigli. I nostri avamposti, insieme a quelli minori, sono difficili da abbattere anche con un vasto esercito!’’- replicò furibonda il Comandante, sbattendo il pugno sulla scrivania del Capitano. La donna, impassibile, invitò Iridia ad osservare fuori dalla finestra; con il dito indicò gigantesche nubi di denso fumo e fiamme alte quanto gli alberi provenire da nord-est. Il Comandante deglutì nervosamente e chiuse gli occhi, conoscendo benissimo cosa significassero quegli incendi all’orizzonte.

‘’L’avamposto Lekethra, a malincuore, è stato assediato e distrutto da un vasto esercito comandato dai Rovi Neri. Nessun superstite e tutti i cadaveri sono stati divorati da strane crisalidi con zampe spinose.’’- decretò Nephele, rabbrividendo non appena nominò le viscide creature. Alcuni dei Legionari vollero vedere di persona ciò che vide il Capitano, limitandosi solo alle vorticanti colonne di cenere. Iridia strinse i pugni, l’armatura di rovi si tinse di rosso vibrante così intenso da sembrare una fiamma vivente:

‘’Quando è accaduto?’’- chiese, amareggiata per non essere intervenuta in tempo. Nephele portò l’indice e il pollice alle labbra, sforzandosi di ricordare esattamente quando la prima colonna di polvere si librò nel cielo pomeridiano. Chiuse gli occhi e si concentrò nuovamente, scavando nei meandri più oscuri della sua mente finché non confermò il tragico epilogo del luogo:

‘’Non appena il sole ha baciato la terra ed il mare, accogliendo la sua compagna nel cielo.’’

‘’Dopo il tramonto, dunque.’’- diede la sentenza finale Arilyn, ricevendo un cenno del capo dal Capitano. Quest’ultimo, però, volse il suo sguardo curioso sulla Thandulircath che indossava i colori dei Legionari, chiedendosi come potesse essere possibile conoscendo il lungo ed intenso addestramento adempiuto da ognuno di loro.

‘’Indossi i colori dei Legionari dei Rovi Rossi, possiedi la loro spilla e hai combattuto contro Brunhilda contrastando il suo potere. Non sei del Lynmes, vero?’’- domandò il capitano sedendosi di fianco alla ragazza, imbarazzata da quella domanda. Prima che potesse rispondere, Iridia le interruppe nuovamente chiedendole come raggiungere in fretta l’avamposto Ynfelha evitando strade tortuose o facilmente esposte ad imboscate.

‘’Quando vi troverete all’esterno, procedete in linea retta fino a giungere ad una ripida radura. Una volta superata, noterete una cinta muraria difendere l’intera montagna, con torri di vedetta e sentinelle armate fino ai denti. Tenete ben visibile lo stemma, così da non avere problemi.’’- rispose Nephele, alzandosi e dando le spalle ad Arilyn che poté riprendere fiato. Il Legionario Veldass si ricordò della sua arma distrutta durante lo scontro con la sua sottoposta e ne chiese una nuova per compensare i danni. La donna gli indicò una piccola stanza dove erano custodite armi degli antichi popoli, tra cui anche archi lunghi e ad influsso magico:

‘’Ci sono anche pugnali o armi bianche? Inoltre come avete fatto a notare quelle bestie e l’avamposto? E, a proposito, quanto antichi?’’- chiese Hildel, notando l’assenza delle sue armi, ma soprattutto assetata di conoscenza.

‘’Antichi come i Quattro Signori. Risalgono alle prime civiltà delle Terre del Nord, dell’Ovest e del Sud. La mia essenza magica permette a Nephele di osservare ciò che l’occhio umano non può.’’- rispose agli interrogativi di Hildel la stessa voce udita prima nella galleria. Dalle fessure del legno e della pietra si formarono lunghi fasci di luce azzurra che si riunirono fino a formare un globo brillante, colmo di stelline bianche e sfavillanti. Dopo lo stupore dei presenti, l’essere incorporeo prese nuovamente la parola:

‘’Io sono l’Anima dell’Ultimo Gigante che ha popolato queste vaste terre. Il mio corpo, un tempo coriaceo, ora è solo un guscio di ossa vacue. E tu, giovane Thandulircath, discendente ed ultima della propria razza nata dai Thandurs, hai dentro di te un grande potere, una fiamma che arde diversamente dalle altre. Tuo padre Vorshan, ovunque egli sia, ha cresciuto una nobile figlia e guerriera. Adesso, prodi Legionari, proseguite nel vostro cammino. Il tempo della conversazione è giunto al termine.’’- terminò, scomparendo in un flebile sibilo riuscendo a ravvivare gli animi dei soldati. Recuperati alcuni oggetti utili e le armi per Hildel e Veldass, uscirono all’esterno della torre. Un vento gelido soffiava dalle montagne che si stagliavano al cielo, preannunciando l’imminente arrivo dell’inverno.

‘’Fermi!’’- disse il Legionario Olfhun, estraendo subito la sua spada e tenendola alta fino al volto. Dal terreno comparvero krinxs e altre mostruosità coperte di rovi neri e melma viscida che attaccarono senza alcuna esitazione il gruppo.

‘’Brunhilda, ti unisci anche tu?’’- chiese Elurek, con il suo atteggiamento da donnaiolo seppur rotto dal terrore nel vedere quegli esseri indescrivibili.

‘’Non è la mia guerra. Buona fortuna.’’- rispose la condottiera, scomparendo e evocando nuovamente la barriera magica della torre. Non appena una delle creature si avventò su di loro, si ritrovò decapitata da un fendente di Iridia, seguita a sua volta da colpi di altre spade e di un randello con anelli di ferro per rinforzarlo e chiodi in acciaio. Teste, membra ed arti venivano sbalzati dalla furia dei Legionari che evitavano di farsi ferire dal loro sangue acido e dagli artigli. Una creatura informe, dalla stazza di un albero di faggio, cercò di trafiggerli con le sue spine, ma Arilyn trapassò il suo ventre usando la spada incandescente.

‘’Così sei un membro di questi patetici condottieri Arilyn? Huvendal non era sufficiente per il tuo orgoglio?’’- domandò qualcuno a gran voce dalla radura circostante. L’Istinto della Thandulircath echeggiò con furia dentro di lei e, rapida, la sua spada colpì il metallo di un’altra: il sorriso perfido, gli occhi colmi d’ira e quelle impercettibili linee azzurre sotto le palpebre dello sfidante riportarono alla mente di Arilyn vecchi ricordi.

‘’Huvendal è casa mia. L’orgoglio non c’entra e non mi riguarda, Liedin.’’- replicò la ragazza, respingendo la sua avversaria con un lampo di luce. La sua vecchia nemica evocò dei rovi dalle spine acuminate e dure come la roccia che le impedirono di muoversi oltre.

‘’Se il ghiaccio non mi ha permesso di tenerti ferma, saranno questi splendidi rovi a farlo. Muori, maledetta Thandulircath!’’- corrispose Liedin, prima di afferrarle il collo e stringerlo con forza. Ignara che Arilyn avesse una mano libera, continuò a stringerle la gola con forza ma si ritrovò nuovamente a carponi dopo il violento pugno sferrato sul naso. Entrambe gemettero per il dolore e restarono ferme per un breve lasso di tempo:

‘’I miei complimenti, hai molte risorse dalla tua parte e sei più sveglia. Nonostante tutto, la morte mi ripagherà non appena le consegnerò la tua anima.’’

‘’In guardia!’’- asserì Arilyn, sferrando un montante che generò una falce di luce infuocata. La donna si ricoprì di rovi e scagliò le loro spine in direzione della falce di luce, inutilmente. Lo scontro imperversava ed Iridia, una volta sopraffatto i suoi nemici, corse verso Arilyn per aiutarla: estrasse dalla cintura un pugnale da lancio che usò per colpire il collo dell’aggressore. Liedin la intimorì di farsi indietro e di non intromettersi, ma il Comandante dei Legionari non temeva alcun rivale e si avventò su di lei riuscendo a distruggere quella corazza di legno.

‘’Ho detto: non intrometterti!’’- ruggì la condottiera dei Rovi Neri, colpendo Iridia al petto e facendola volare lontano come un sacco di piume, fortunatamente non causandole alcun dolore.

‘’Non sarà un banale colpo come quello ad uccidermi.’’- punzecchiò in tono orgoglioso il comandante, rialzandosi ed avanzando.

‘’Vedremo.’’- sibilò rispondendo Liedin, per poi scomparire in una nube polverosa assieme alle creature. Arilyn sistemò la sua divisa ed armatura, avviandosi per prima seguendo le indicazioni fornite dal capitano. Il suo sguardo di delusione misto ad altre sensazioni difficilmente descrivibili non passò inosservato e il Comandante decise di parlarle durante il tragitto:

‘’Hai dimostrato fegato, Thandulircath. Sono sorpresa dalla tua tenacia con la quale hai affrontato quella donna, ma era piuttosto debole…’’

‘’Taci Iridia, per una buona volta! La donna che hai affrontato, Liedin, non è uno dei tuoi soliti avversari. Io l’ho già affrontata prima di te e conosco bene il suo potere. Cosa è in grado di fare. Potrei apprezzare il tuo aiuto se fosse stato rapido, ma non è così. Sono delusa, non tanto perché tu non mia voglia come Legionaria, ma perché non ti sei rivelata ciò che speravo. Usa di meno l’orgoglio e di più il cervello.’’- furono le parole di Arilyn, ferree e pungenti come spine. Tutti restarono esterrefatti e non si mossero.

‘’Legionari, proseguire. Resterò nelle retrovie. Muoversi!’’- ordinò Iridia notando i suoi sottoposti fermi come se si fossero pietrificati. Durante il tragitto in linea retta vi furono altri brevi incontri con quelle bestie che Arilyn sconfisse facilmente, preda della rabbia, riducendoli in cenere con il suo potere. Superata la ripida radura, in lontananza si potevano scorgere i fuochi di posizione provenire dall’alto della cinta muraria atta a proteggere la montagna; per non usare nuovamente la sua luce, la giovane Thandulircath impresse energia a sufficienza in un ciottolo tramutandolo in un proiettile luminoso che usò per illuminare il sentiero una volta lanciato il più lontano possibile. Quel ciottolo terminò il suo viaggio contro un qualcosa di solido, provocando un fracasso ed una piccola esplosione di luce che costrinse i Legionari ad accelerare il passo. Ai piedi delle mura ove capeggiavano gli stendardi dell’avamposto i segni dell’impatto causato dal ciottolo di luce e, sul camminamento di ronda, un ragazzo notò il loro arrivo.

‘’Avvertite il Capitano che i Legionari sono qui. Sono lieto di rivederla, Arilyn.’’- disse il giovane, salutandola e mostrando le sue mani di metallo che fungeva da protesi.

‘’Falko? Ora si spiega la tua assenza in questi giorni. Lo stesso vale per me.’’- rispose lei, riconoscendolo e ricambiando il saluto.

‘’Aprite il cancello, parlerete dopo.’’- si intromise il Comandante, avanzando e superando il gruppo, ignorando anche Arilyn nonostante la rabbia mal celata dai suoi occhi castani e dall’armatura che si tinse di un rosso vibrante, da tramutarla in una fiamma vivente. Varcate le mura, uno scudiero sbarrò loro la strada con un carretto colmo di indumenti:

‘’Dovete indossare queste giacche prima di salire, sono le leggi dell’avamposto.’’- disse lui, impassibile innanzi alla mole di alcuni di loro. Eseguita tale richiesta, i Legionari vennero scortati ad una funivia in legno con un soldato già pronto ad azionar il marchingegno. La protezione della pedana venne rialzata e poté finalmente muoversi verso l’alto, attraversando il gelido vento che sferzava imperioso. Il torpore emanato da quella giacca bordata di pelliccia, condusse Arilyn a sedersi vicino la protezione della pedana e chiudere brevemente gli occhi: nella sua mente si materializzarono solo cruenti scenari, orrende e informi creature che dilaniavano la carne dei soldati e la terra inumidirsi del loro sangue.
La funivia giunse alla meta con un forte scossone, destando dal suo sonno la giovane Thandulircath; disorientata per il brusco risveglio, chiese cosa fosse accaduto ed Hildel le rispose che erano giunte all’edificio del capitano. Arilyn cercò di alzarsi, sentendosi pesante e debole tanto da non riuscire a stare dritta. La preoccupazione dei suoi amici era ben visibile nei loro volti:

‘’Portatela immediatamente dentro al caldo! Buscarsi la febbre su queste montagne è fatale.’’
 
Draal In'llolus Gaeur, Regno dei Rovi Bianchi. Tardo Autunno in nome di Luqnera, sera.

‘’Melanthios, vecchia serpe sei diventato più forte.’’- esordì Dolmihir riprendendosi dalla sua paralisi causata dal negromante. Le ossa scricchiolanti gli procurarono diverse fitte di dolore, facendolo imprecare e rinvangare il suo passato da giovane nano. Il fracasso dei suoi arti meccanici disturbò il sonno di alcuni dei presenti, soprattutto dei berserk del Capitano Vesta che si avvicinarono ostili contro il nano.

‘’Perché ci stavi spiando Dolmihir? Non dovevi essere qui ad origliare la nostra discussione.’’- rispose Darrien, assonnato e dagli occhi arrossati per la luce delle candele e per il troppo tempo rimasto con gli occhi fissi sulla carta topografica. Il nano di montagna recuperò una bisaccia da dietro uno scaffale e lo consegnò al ragazzo con un sorriso carico di orgoglio, rivelandogli che al suo interno vi era un qualcosa di estremamente speciale e costruito solo per lui. Una volta aperta, Darrien trovò un femore con diverse scanalature orizzontali sull’impugnatura che combaciavano perfettamente con le sue dita. L’intero epifisi prossimale era stato rimosso e smussato, dalla quale pendeva un anello sottile di ferro, mentre la fossa intercondiloidea dell’epifisi distale presentava quattro sporgenze in ferro e al centro si sprigionavano piccoli sfavillii violacei.

‘’Ora, ricordi perché ti ho chiesto di donarmi un po’ del tuo sangue?’’- chiese Dolmihir, notando l’espressione perplessa di Darrien innanzi a quell’arma. Il ragazzo rispose con un cenno del capo, facendo sorridere il nano.

‘’Perfetto. Quest’arma è solo tua. Ti appartiene. Al suo interno vi scorre il tuo sangue e parte della tua essenza, o maleficio come la definisci tu. Brandiscila ed evoca la lama!’’- asserì nuovamente il nano, gonfiando il petto d’orgoglio e sorridendo con sicurezza. Darrien brandì quell’arma ed immediatamente gli sfavillii si tramutarono in una spessa lama d’energia oscura che, alla luce delle candele, risultava terrificante persino al Capitano Duilius. Quell’evento suscito ammirazione da parte dei negromanti, stupore nei berserk di Vesta che rimase impassibile come Lochlann. Tutto tornò alla normalità e il giovane ringraziò il nano con una vigorosa stretta di mano:

‘’Sei un nano costruttore eccellente.’’

‘’Esperto nano costruttore e scienziato, anatomista e alchimista e molto altro. Per tutto il ferro del dio Steinär, non imparerai mai giovanotto.’’- rispose leggermente stizzito, dandogli un piccolo pugno sul ginocchio. Da una delle entrate della biblioteca giunse Batkiin, con indosso la stessa armatura macchiata di sangue rappreso e nella mano stringeva un rapporto proveniente da una spia alleata; sul foglio vi era anche la firma di Edsel Denholm la mercenaria liberata da Darrien.

‘’Ci sono solo i Legionari dei Rovi Rossi e i soldati dell’avamposto del gelo, quindi sono in svantaggio numerico. Attendiamo il tuo ordine, comandante.’’- disse Batkiin, sedendosi al tavolo e rinfoderando la spada scheggiata, con un sorriso d’intesa nei confronti del ragazzo.

‘’Attaccheremo a mezzodì. Useremo il sentiero interno che conduce dal capitano Phorcys, sfrutteremo per un breve tratto la foresta di mangrovie e invieremo dei ricognitori per guidarci verso il nemico. Da lì in poi elimineremo chiunque si opponga.’’- replicò il giovane dei Varg, brandendo la spada e convocando il suo potere. Il fulgore dell’unica candela rimasta accesa e quello emanato dalla lama, dipinsero sul suo volto una maschera di pura rabbia e freddezza, tanto da impressionare anche Batkiin. Ripulito il tavolo dalle scartoffie, pedine e inchiostro, i Capitani si congedarono per rifocillarsi e riposare in vista dell’imminente scontro sulle montagne gelide ove i loro nemici erano appena giunti.

‘’Sei sicuro di star bene, Darrien?’’- chiese il vecchio soldato del Re, preoccupato per il drastico cambiamento avvenuto in pochi mesi dal suo arrivo. Quella domanda si rivelò essere un distruttivo proiettile contro l’impenetrabile barriera eretta dal giovane:

‘’Dimostrare di essere un prode comandante, di non far trapelare alcun segno di sconforto o terrore è estenuante, caro Batkiin. Il Re ha tentato di uccidermi, mia madre si è rivelata essere la peggior codarda che possa esistere e questo continuo, imperterrito massacro ha risvegliato qualcosa che attendeva solo di poter essere liberato. Ho perso le speranze di ritrovare la mia amata Arilyn e di poter ritornare ad Huvendal. Se è questo il risultato tanto agognato dalla Dea del Cosmo…’’- lasciò la frase in sospeso, non sapendo cosa dire. Sospirò amaramente e si coprì il volto con le mani.

‘’Conosco bene quel sentimento di impotenza Darrien, ma così permetti al tuo malessere di vincere. Anche io nascondo quella fragilità. A causa del Re, il mio privigno Falko è scomparso, probabilmente prigioniero dei Rovi Rossi o peggio. Mi sono aggrappato a quel minuscolo frammento di volontà rimasta per non demordere e sprofondare nella disperazione. Devi fare lo stesso.’’- aggiunse lui, poggiando la mano sulla sua spalla e augurandogli una serena notte, congedandosi anch’egli. Dalla seconda entrata della biblioteca sopraggiunse il Guardiano del Frammento con altri suoi adepti dal volto coperto, armati di uno stiletto che brillava di azzurro nelle loro mani. Darrien venne circondato da quegli strani figuri mingherlini e il Guardiano che si avvinava con ostilità:

‘’Tu, erede dell’oscurità, hai osato disonorare il nostro regno, l’ordine di noi sacerdoti e guardiani del Frammento. La tua peccaminosa condotta verrà punita dal manufatto stesso e subirai il freddo degli stiletti sulla tua pelle.’’- disse Fintan, tenendo alto lo stiletto che baciava i raggi della luna piena.

‘’Parla di disonore quando il vostro regno è marcio fino al suo cuore. Galeren si è arricchito con i vostri sforzi e il vostro sangue, lui ha disonorato il buon codice sulla quale un regno si fonda. E non ho scelto io di possedere quest’oscurità, ma siete così convinti che tutto possa essere purificato tramite un qualcosa di divino.’’- replicò Darrien, spazientito dalla presenza dell’uomo.

‘’Come osi parlare così al Nostro Sacerdote?’’- domandò uno degli adepti, pronto a colpirlo. Il giovane comandante permise al suo potere di tingergli gli occhi e le mani, serpeggiandovi da esse come il peggiore degli incubi esistenti.

‘’Riponete il vostro stiletto. Volete punirmi? Perfetto, ma vi avverto: un simile affronto non verrà perdonato.’’- replicò Darrien, cupo e terrificante. Tutti lo scortarono nella sala ove il Frammento risplendeva, che fluttuava sopra una pedana a spirale fatta interamente di ferro, tempestata d’argento e altri monili preziosi. La luce non troppo accecante consentiva di vedere l’artefatto nella sua meravigliosa essenza, dalla forma di un gigantesco cristallo ambrato che emanava sottili fasci di luce bianca contro le colonne e le vetrate dai colori sgargianti. Gli adepti e Fintan si posizionarono davanti il cristallo ed ordinarono al Varg di inginocchiarsi e restare in silenzio; uno dei seguaci prese un piccolo contenitore con della tempera e disegnò sulla fronte e sotto gli occhi del ragazzo degli strani simboli:

‘’Questi simboli servono solo per comunicare con la Fiamma, non ti causeranno alcun male. Lavali con un po’ di acqua, altrimenti si seccheranno.’’- disse uno di loro, il più giovane e privo di cappuccio mentre disegnava l’ultimo simbolo bianco sul viso di Darrien. Non appena il Guardiano e i suoi membri intonarono una cantilena, la Fiamma reagì a quei suoni aumentando la sua luminosità e i suoi raggi che si espansero in tutta la stanza avvolgendo qualsiasi cosa incontrassero sul loro cammino. Il coro divenne un unico suono fastidioso e il giovane comandante piombò in uno stato di catalessi, piegandosi all’indietro con lentezza mentre i fuochi della fiamma impedivano che lui potesse ferirsi e così da potersi far spazio nella sua mente.

‘’Darrien Orvar, discendente dei Varg e primogenito della Regina dei Rovi Bianchi. La tua oscurità è un maleficio che non potrà esser curato. Percepisco, inoltre, che sei tormentato dall’impotenza di rivedere la tua amata e che questo regno si regge su esecrabili azioni, come questo rituale.’’- disse una voce incorporea nella sua mente.

‘’Nessuno pronunciava il mio cognome da molto tempo. Il tuo Guardiano ha tentato di attaccarmi due volte, affermando che quest’oscurità sia la radice di ogni male. Però perché sono qui?’’- domandò il ragazzo al buio che lo circondava.

‘’Sei qui non per essere punito come vorrebbe Fintan, ma per spronarti ad essere migliore e di non essere soggiogato dalla rabbia. Una creatura, incarnazione dei sentimenti negativi, si annida nel tuo corpo. L’hai liberata già una volta ricordi? Sei riuscito a reprimerla, ad incatenarla nuovamente. Se verrai sopraffatto dal tuo odio costante, lei si libererà.’’- rispose la voce, mostrando successivamente ciò che Darrien nascondeva nella sua anima: simile a lui, ma ricurvo con possenti artigli, occhi rossi come il sole del tramonto e centinaia di aculei che fuoriuscivano dalla sua schiena. Nel petto della creatura si formarono frammenti di ricordi di un scontro avvenuto con la Regina di Ghiaccio, la morte di Arcal e dell’incontrollata e feroce rabbia nei suoi confronti scatenando così quell’abominio. Il giovane comandante chiuse gli occhi e digrignò i denti alla visione di quella memoria dolorosa:

‘’Controllare una creatura come la tua è sì difficile, ma non impossibile. Ti chiedo solo di provarci. Nient’altro. Ora puoi andare, Darrien.’’

‘’Ho un quesito da porti, Fiamma d’Ambra, mi è concesso?’’- domandò Darrien, resistendo al potere emanato dall’artefatto che lo stava riportando nel mondo dei vivi. La voce, dapprima incorporea, assunse una forma antropomorfa dagli occhi vacui e stanchi.

‘’Nonostante sia qui da qualche mese e voglia portare a termine un compito affidato dalla Dea, perché questa guerra?’’
La Fiamma d’Ambra rise amaramente a quella domanda, permettendo che il nulla tornasse a circondarli come il velo della notte. Da quella reazione, il giovane comandante restò in silenzio fin quando l’essenza non rispose:

‘’Sicuramente non è dovuto al fatto che una delle loro montagne ha offeso l’altra. Intraprendere guerre così cruente è nella vostra natura, perché è meglio distruggere, uccidere e razziare tutto quel che i vostri piedi toccano e occhi vedono. Questa guerra si poteva evitare fin dall’inizio, sedendosi e parlandone come esseri umani. Ma invece va avanti da così tanto tempo che nessuno ricorda il motivo. Sono stanca, giovane Varg…’’- il tono della Fiamma d’Ambra sembrò tramutare in un sospiro affranto, d’impotenza.

‘’Ho compreso. Poterò a termine tutto questo.’’- replicò lui, consentendo all’intensa energia dell’artefatto di ricondurlo nel suo mondo. Prima di risvegliarsi e notare gli sguardi increduli, udì un flebile ‘Buona fortuna’ provenire dal frammento. Con lentezza e cupa eleganza, Darrien si rialzò. Sul suo volto si dipinse un sorriso di pura perfidia, deformato anche dall’oscurità che lo rendeva un demone tra i vivi.

‘’Guardie!’’- urlò Darrien a pieni polmoni, facendo risuonare la sua voce in tutta la sala e per i corridoi. La porta si spalancò con violenza mostrando una dozzina di soldati armati con bastoni ferrati e lance a forma di croce che puntavano minacciose ai religiosi. Uno di loro chiese il motivo della chiamata e il giovane comandante rispose:

‘’Questi uomini sono accusati di alto tradimento. Il Guardiano Fintan ha tentato già in precedenza di attentare alla mia vita e, essendo la seconda volta in questa notte, i suoi adepti hanno provato ad imitare il loro padre.’’

‘’Che cosa volete che facciamo, signore?’’- domandò lo stesso soldato di prima, mentre i suoi commilitoni si apprestavano ad accerchiare i religiosi armati di spadino, eccetto l’adepto con la ciotola contenente la tempera adoperata per il rituale.

‘’Quello che volete, ma risparmiate quel ragazzo con la ciotola. Non ha nessuna colpa.’’- rispose Darrien, indicando il ragazzo che si voltò immediatamente e ringraziò per essere stato salvato dalle future punizioni. Quando i soldati scortarono all’esterno i devoti alla Fiamma, il ragazzo sospirò e si tolse la lunga tunica bianca mostrando una corazza a scaglie:


‘’Sei fortunato che questa armatura non faccia rumore, Darrien.’’- disse il giovane, per poi togliersi una maschera che copriva il suo vero volto.
‘’E sono anche fortunato da aver riconosciuto il colore dei tuoi occhi, caro Duilius, ma come hai fatto?’’- chiese il comandante al capitano navale.

‘’Ho i miei trucchi e sotterfugi per portare a termine un compito. Quando mi hai rivelato dell’esistenza di questo Guardiano ieri mattina, ho scoperto che quello attuale era solo un impostore e il vero guardiano è nelle segrete del castello. Sono stato abbastanza rapido nel travestirmi non appena volevano punirti.’’- rispose l’uomo, gettando la tunica in uno dei raggi luminosi del frammento, bruciando così le prove. Il comandante, prima di congedarsi definitivamente e dimenticarsi dell’accaduto, confidando in Duilius di riportare il vero Guardiano al suo posto.

Giunto al suo alloggio, la stanchezza riuscì ad avere la meglio sul corpo di Darrien costringendolo così a stendersi sul letto senza togliersi gli indumenti o lavarsi. La luce delle candele, fioca come una lucciola distante, conciliò di più quel bramato sonno e si ritrovò a vagare nel mondo onirico costeggiato da centinaia di zolle di terra fluttuanti, alberi innaturalmente alti e dalle radici nodose e tempeste di stelle che troneggiavano sul cielo scuro. Più osservava quelle zolle di terra con gli alberi capeggiarvi sopra, più la loro forma assumeva un cuore ridotto in tanti pezzi:

‘’Un albero senza terra non può vivere. Un cuore senza amore può morire. Gli alberi sono i pilastri che reggono la terra, quegli stessi pilastri che tenevano il tuo cuore ben saldo. Oh voi umani, così fragili, così deboli. Proprio come te in questo momento.’’- pronunziò una voce alle sue spalle, familiare e gelida.

‘’Gallart.’’- rispose Darrien, infastidito dal tono saccente che aveva lo spettro del suo nemico ormai deceduto. Il Re della Prima Fiamma rise percependo il malumore del giovane, materializzandosi così dall’oscurità avvolto da piccole fiamme danzanti sulla sua armatura. La sua presenza venne accolta con una serie di diversi pugni e ganci, ognuno dei quali venne evitato con estrema facilità e ricambiò colpendo il petto di Darrien con una esplosione di fiamme accecanti, così forte da sbalzarlo su una delle zolle di terra fluttuanti e distruggere parte dell’albero che vi era sopra. Gallart lo bloccò afferrandogli la gola per poi creare con il suo potere delle catene ed impedirgli di muoversi:

‘’Quanta rabbia nascondi sotto quel viso da comandante impavido, e quanta paura celano i tuoi occhi. E testardaggine tipica di un Varg. Vuoi continuare con questa farsa?’’- chiese il Re della Prima Fiamma, incrociando le braccia dietro la schiena e sorridendo come il più vile tra gli assassini. Darrien replicò evocando il suo potere, generando gli stessi serpenti dagli occhi violacei che terrorizzarono il finto Guardiano del Frammento due giorni addietro. Il Re della Prima Fiamma osservò impassibile quelle creature d’ombra e, creando una frusta di fuoco dalle sue mani, riuscì a dissolverle come fumo per poi scagliare nuovamente nel baratro sottostante il giovane comandante. Il silenzio e il buio erano i padroni di quel mondo onirico, di quell’incubo vivido. La sua caduta venne arrestata dalla comparsa di uno specchio d’acqua, atterrando rovinosamente su di esso. Darrien cercò di urlare ma il dolore glielo impediva, serrandogli la gola così da imprigionare la sua frustrazione, curvandosi su sé stesso e chiudendo gli occhi.

‘’Fin dall’inizio di questa tua redenzione conoscevi la verità. Tu sai che la tua amata Arilyn ha perso la memoria, non tutta almeno, ma preferisci negarlo. Preferisci negare che l’unica persona che ti abbia mai amato possa aver perso ogni ricordo prezioso, lasciandoti preda della solitudine.’’

‘’Io…sarò in grado di far riaffiorare i suoi ricordi. Nego solo il dolore dell’abbandono, ma questo non mi impedirà di trovarla.’’- rispose poco il giovane, rialzandosi a fatica per le percosse subite dallo spettro.

‘’Stolto erede dei Varg, convinto che insieme si può fare di tutto persino l’impensabile. Da soli si ottiene ciò che si brama, non in coppia o essendo amici. L’abbandono ti fortifica quasi quanto il dolore.’’- asserì l’uomo, allargando le braccia e sprigionando centinaia di piccole lucciole infuocate.

‘’E guarda dove ti ha condotto il tuo dolore.’’- replicò ironico Darrien, ridacchiando. Gallart lo colpì con violenza al volto usando una frusta infuocata, scaraventandolo in aria per poi afferrarlo e schiantarlo contro lo specchio d’acqua.

‘’Arroganza e presunzione. Potrei definire te ciarpame inutile, confermando che agisci impulsivamente. Due anni addietro non eri così, l’amore ti ha reso flaccido nelle decisioni e le tue preoccupazioni hanno offuscato il senso del giudizio.’’

‘’Perché non mi uccidi dunque? Hai desiderato la nostra morte per molto tempo e ora hai l’onore di farlo.’’- incalzò il comandante, con sguardo truce nei confronti di Gallart che brandiva ancora la frusta e sorrideva compiaciuto. Alcune gocce di sangue colarono dalla ferita percorrendo le palpebre del ragazzo finché non caddero nell’acqua, tingendola del loro stesso colore. In quell’ormai specchio cremisi, Darrien poteva scorgere i momenti di spensierata felicità trascorsi con la sua compagna, provocando in lui un pianto silenzioso e amaro.

‘’Tagliare il filo della tua esistenza mentre dormi è una richiesta allettante, ma preferisco non farlo. Troppo semplice, privo di gusto. Vedere un prode comandante ridotto così è penoso, persino per un Re come me. Arrogante nella sua fragilità emotiva, presuntuoso per il suo orgoglio, debole per timore di essere abbandonato. Ti lascio al tuo cosiddetto dolore, sperando che tu possa reagire come ha fatto Arilyn.’’- replicò Gallart, ridendo e svanendo nel nulla, lasciando Darrien in balia della sua vera oscurità. Evocò il suo potere e, furibondo, lasciò che esso prendesse il sopravvento generando saette e raggi che sfumavano dal viola al verde infrangendo il nero opprimente della sua prigione. Si destò dal vivido incubo, rendendosi conto di aver sporcato il letto di sangue. Recuperò uno specchio e constatò che la ferita provocata da Gallart era marchiata a fuoco sulla sua pelle.

‘’Comandante Darrien, si sente bene?’’- chiese qualcuno bussando sulla porta del suo alloggio. Non ricevendo risposta, la porta venne aperta con una spallata facendo entrare Malrin e due guardie armate che accorsero in suo aiuto.

‘’Vai a chiamare un cerusico, il comandante è ferito.’’

‘’No! Non chiamate nessuno e continuate con il vostro lavoro soldati. Questo è un ordine.’’- disse il giovane, impedendo ai due soldati di chiedere l’aiuto di un medico. I commilitoni si scambiarono un breve sguardo di perplessità prima di inchinarsi e proseguire per il loro cammino di ronda. Il giovane comandante posò lo specchio, restando ad osservare il vuoto che della sua stanza vittima della sua mente, vittima di un qualcosa che lo stava lentamente divorando e consumando.

‘’Questa non è una redenzione, ma la mia punizione. Ho mascherato la mia tristezza, il mio orgoglio, il mio amore, sotto questa maschera di finta prodezza. Cos’è l’uomo se non un misero cumulo di segreti? Aata aveva ragione. Maschere che nascondo la vera essenza dell’uomo…E io sono uno di loro.’’- constatò il giovane, coprendosi il viso con le mani. Sua sorella gli si avvicinò poggiando una mano sul suo braccio, tentando di confortare il suo supplizio.

‘’Non ripeterò ciò che hanno detto gli altri o Batkiin. Posso solo consigliarti di rialzarti ed essere più forte di prima.’’- asserì Malrin, sorridendo appena. Il ragazzo strinse la mano della sorella per poi allontanarsi e gettar via le lenzuola sporche e gli indumenti, sostituendoli con altri puliti e comodi.

‘’Mi è rimasto solo un compito: portare a termine questa vostra guerra. Domani mattina raduna gli uomini nella piazza centrale e ordina loro di attendermi. Buonanotte, sorellina.’’- aggiunse Darrien, sorridendo.
 
I Quattro Confini. Ynfelha, avamposto dei monti nevosi. Inizio inverno, alba.

Nel dormiveglia causato dal suo stato febbrile la giovane Thandulircath riuscì ad udire frammenti di dialoghi tra i Legionari e alcune persone nella stanza che accennavano alle sue precarie condizioni di salute. Faticava a respirare, il suo corpo ardeva come un tizzone e tremava sotto tre strati di coperte. Cercò di evocare il suo potere per ricevere maggior calore, ma l’estrema debolezza creava solo flebili luccichii tra le sue mani.

‘’Il fato ha voluto risparmiarla dalla gelida morte. Ogni volta che il freddo si ripresenta, coloro che si buscano un malanno non vedono l’alba del domani. Lei, invece, è forte come se il freddo le avesse solo giocato un vile tranello.’’- asserì una donna dalla divisa vistosa, con diverse spille e decorazioni sulle spalline. Da sotto il cappuccio bordato di pelliccia si facevano strada centinaia di riccioli mori che le incorniciavano la carnagione olivastra; un contrasto particolare.

‘’Ha combattuto contro la Regina di Ghiaccio e contro il Re della Prima Fiamma, entrambe minacce di Huvendal e…’’- informò Elurek prima di ricevere un sospiro di stupore da parte del Capitano che si avvicinò rapida alla ragazza.

‘’Mi stai dicendo che lei è Arilyn dei Thandulircath, colei che ha protetto il Regno di Huvendal negli ultimi due anni da queste due temibili minacce? Per tutte le stelle.’’- esclamò la donna, continuando ad occuparsi di mescolare le varie spezie e medicine per ottenere un qualche infuso curativo. Una volta riempite alcune fiale di un liquido dall’odore nauseante, le consegnò ai guaritori pronti a rimuovere le impurità e il cattivo sapore. Arilyn aprì faticosamente gli occhi, scorgendo le sagome sfocate dei presenti. La porta della stanza si aprì, mostrando un giovane dalle mani metalliche:

‘’Capitano Ilmatar, desiderava la mia presenza?’’- chiese il soldato fermo sull’uscio della porta, sull’attenti e con le braccia conserte dietro la schiena.

‘’Sì, abbiamo bisogno di qualcuno che assista Arilyn. Credo che, tra influssi magici e scontri continui, il suo corpo si sia indebolito. Puoi occupartene tu nel mentre io e i Legionari discutiamo di questioni d’estrema importanza?’’- domandò la donna, esortando il soldato ad entrare e mostrarsi alla luce delle candele.

‘’Dobbiamo rimandarla nel Lynmes. Non può combattere e alzarsi, è solo zavorra inutile che rischia di rallentarci ulteriormente!’’- espresse il suo disappunto Iridia, impedendo al ragazzo di avanzare. Quel commento fu una scintilla nel buio che sprigionò luce, la stessa che si generò dalle mani della Thandulircath e colpì il fodero delle spade del comandante dei Rovi Rossi.

‘’Vuoi che questa zavorra inutile miri alla tua testa?’’- domandò lei, adirata per quell’insulto, alzandosi dal letto ancora rossa in viso e affannata. La pelle si ricoprì di piccole vene dorate che tendevano a sfumare sull’arancio, trasformando la luce in fiamme. Iridia considerò quel gesto di sfida riprovevole, costringendola a sfoderare le sue armi e ripararsi dietro l’elmo di rovi pronta ad attaccare. Fu la Thandulircath a balzare contro il Comandante dei Rovi, ma intervenne Veldass ad interrompere quell’insulso attacco:

‘’Basta così. Nessuno di noi deve provare rancore nei confronti dell’altro. Vale per tutti questo rimprovero.’’- redarguì lui, posizionandosi tra le due donne puntando rispettivamente una mano e l’arma nelle loro direzioni. Il Comandante andò via imprecando, sbattendo la porta alle sue spalle, mentre la giovane Thandulircath cadde su un ginocchio esausta e tremante per l’ennesimo sforzo compiuto. Il Capitano ordinò a Falko di occuparsi dell’ospite facendosi così consegnare il medicinale e invitando i Legionari a seguirla. Quando tutti abbandonarono la stanza, eccetto i due guaritori, il soldato diede il medicamento alla giovane che bevve tutto d’un fiato ignorando il sapore acerbo di quel liquido giallo paglierino. Il tremore passò, permettendo così ad Arilyn di sistemarsi come meglio poteva.

‘’Da quanto sono qui?’’- chiese lei, chiudendo gli occhi e respirando profondamente. Il condottiero si diresse verso un pannello in legno, lo alzò, rivelando una gigantesca clessidra poggiata su un tre piedi d’acciaio. Il fondo del secondo bulbo era riempito per la metà di un indice, decretando il passare di poche ore dall’arrivo della ragazza. Richiuso il pannello, Falko rivelò del suo arrivo la sera precedente e che a causa dell’improvviso malessere era rimasta priva di sensi fino al sorgere del sole.

‘’Il Capitano è stata repentina nel portarti al riparo dalla tormenta avvenuta stanotte. Ancora un po’ e rischiavate di morire assiderati.’’- aggiunse il soldato, posando le sue armi e sedendosi su una piccola brandina nell’angolo. Arilyn annuì flebilmente osservando ancora delle piccole fiammelle danzare sui suoi polpastrelli, confusa dall’evento accaduto pochi istanti prima.

‘’Inoltre, essendo una semi dea, il Capitano è riuscita ad identificare la fonte della magia. Il Recluso ha…’’

‘’Perché hai deciso di unirti nuovamente in questa folle guerra?’’- domandò Arilyn, interrompendo il suo discorso. Falko mosse appena le mani metalliche come se dietro di esse si celasse una risposta invisibile, solo lui in grado di percepirla.

‘’Preferisco combattere e morire in guerra piuttosto che marcire in una cella. Sarò pur un traditore del mio regno, sarò giovane ed inesperto su molte cose, ma il vostro non è crudele e menefreghista. Ho accettato la punizione del Concilio a testa alta, nonostante la paura e le percosse ricevute dalla Legionaria con la cicatrice. Ecco a lei la risposta folle.’’- asserì il giovane, allargando le braccia e sorridendo bonariamente, prorompendo in una lieve risata successivamente. Dopo quel breve momento di ilarità, Falko si addormentò sulla brandina stringendo tra le sue protesi di metallo l’elmo con lo stemma dei Rovi, mentre Arilyn decise di esplorare l’avamposto. La luce del sole filtrava attraverso le finestre dalla quale entrava anche la neve, accompagnata dal candido soffio del vento così da danzare verso il basso. I vari ballatoi di pietra grezza si incrociavano tra loro formando forme geometriche semplici e su ogni muro vi erano i vari uffici, alloggi o stanze per gli oggetti contrassegnati da piccole placche in metallo. Più percor
reva quei freddi corridoi più il freddo aumentava, ma ciò che la stupì maggiormente fu osservare alcuni soldati colpire, con la parte inferiore dei loro scudi, fantocci di paglia e legno; si udì un suono metallico provenire dagli scudi e l’estremità inferiore si rivelò essere una lama a mezza luna retrattile che scattò in direzione dei fantocci tagliandoli in due, generando una ovazione da tutti. Una voce tonante li richiamò dall’alto, invitandoli a non distrarsi dal loro dovere e continuare ad allenarsi con quegli scudi per poi passare ai mazzafrusti. Quel rimproverò giunse dallo stesso corridoio ove Arilyn passeggiava, incuriosendo la ragazza. Poggiato al parapetto vi era un soldato dalla prestanza enorme, una montagna coperta da una cupa armatura che brillava ai flebili raggi ma la sua pelle troppo bianca lo rendevano quasi inumano.
‘’Non abbiamo la Sua resistenza, Signor Statua.’’- disse ironicamente qualcuno dal basso, ma quella risposta saccente fece reagire la montagna pallida che scagliò il gigantesco fodero di legno sulla schiena come punizione.
‘’Non si tratta di resistenza, si tratta di concentrazione. Se voi pidocchi non riuscite a concentrarvi per un giro di clessidra, diverrete carne da macello lì fuori. E io mi chiedo perché ho lasciato Huvendal tre anni fa per addestrare potenziali soldati...’’- replicò la gigantesca figura, poggiandosi alla sua alabarda. Arilyn riconobbe finalmente quell’essere non appena nominò il suo luogo natio: Antares, il vecchio guardiano e soldato di Huvendal. Prima ancora che potesse avvicinarsi, la giovane Thandulircath scattò all’indietro per l’improvviso e repentino affondo che il guardiano eseguì. Cercò di evocare uno scudo di energia ma quel bruco movimento la fece cadere a carponi:
‘’Arilyn? Tu qui?’’- domandò visibilmente sorpreso, grazie anche al flebile scudo evocato da essa. Il guardiano di pietra rinfoderò l’arma, stritolò tra le mani una manciata di muschio rossiccio che si accese consentendo così ad entrambi di vedersi. Antares impartì l’ordine di congedo per le reclute che gioirono.

‘’Già, sono nel Lynmes da questa tarda primavera. Parte dei miei ricordi sono offuscati, faccio parte dei Legionari dei Rovi Rossi e ho preso parte a questa guerra in pochi mesi.’’- replicò la ragazza, stringendosi il polso destro che doleva: notò anche delle flebili venature rossicce sulla mano che brillavano come lucciole.

‘’Non saresti dovuta venir qui. Questo caotico scontro tra i tre regni non è paragonabile alla battaglia con la Regina di Ghiaccio. Ho visto uomini tramutarsi in belve nel vero senso della parola, uccidersi l’un l’altro nei modi più cruenti che possano esistere ed infierire sui cadaveri. Il tutto per un qualcosa che nessuno ricorda.’’- obiettò il soldato di pietra, mentre usava una cote per affilare le lame delle sue varie armi.

‘’Vorrei tornare anche io a casa, ma ho fatto una promessa a questo popolo.’’- aggiunse Arilyn, cercando di farsi influenzare dalle parole di Antares che la osservò cupo, illuminato a tratti da quel muschio rossiccio. Il sospiro di rammarico proveniente da lui risuonò come un freddo colpo sulla nuca della ragazza, tanto da farle abbassare gli occhi.

‘’Le promesse che fa una persona sono nate per essere infrante. Nessuno promette, perché conosce benissimo quale sarà il risultato. Lo capirai quando sarà il momento, Arilyn.’’- ribadì lui, prima di alzarsi e lasciare il corridoio diretto chissà dove. La giovane Thandulircath, invece, optò per proseguire il suo cammino nell’edificio ma tutto le sembrava esser privo di vita. Mattoni della stessa forma e dello stesso colore incastonati tra loro in scialbe pareti umide, ammuffite e gocciolanti. Rumori metallici echeggiavano nei vari androni così forti da causarle una violenta emicrania, destando anche gli altri dolori corporei indotti al sonno grazie agli unguenti. Provò nuovamente ad evocare il suo potere, concentrando i fasci su un punto cieco dell’androne dove si trovava. A malincuore la sua luce si rivelò solo in minuscoli sfavillii e fiammelle, spegnendosi in piccoli vortici di fumo. Una delle porte principali si aprì bruscamente, facendo entrare un ricognitore visibilmente scosso e in prenda al panico che corse a perdifiato verso l’ufficio del Capitano, al piano superiore. La Thandulircath lo seguì di soppiatto giungendo fino alla stanza ove il soldato spiegava concitatamente l’imminente arrivo di un massiccio plotone nemico:

‘’Dopo esserci infiltrati nel regno e mascherati da sentinelle, abbiamo ascoltato i preparativi di questo assedio. Saranno qui nel primo pomeriggio, giungendo dal sentiero opposto alle montagne. Non conosciamo esattamente il numero di uomini o di armamenti, malauguratamente.’’- furono le sue parole, cercando di riprendere fiato e colpito da una fitta fastidiosa all’addome.
‘’Fortunatamente le mura sono state rinforzate ieri mattina con un sistema di fionde automatiche e abbiamo aggiunto dei cannoni con scudi. Sei sicuro di star bene, soldato? Sei ferito?’’- domandò il Capitano, perplessa sul mutamento del suo sottoposto.

‘’Una di quelle bestiacce mi ha graffiato durante il rientro. Il mio compagno lo ha distratto, consentendomi di fuggire…’’- rispose lui, stringendosi l’addome più forte. Del sangue iniziò a sgorgare da sotto la divisa, imbrattandola stoffa e il pavimento.

‘’Che cosa facciamo Ilmatar?’’- chiese il Comandante dei Legionari dei Rovi Rossi, constatando che la situazione stava precipitando e uno dei loro uomini stava lentamente morendo ai loro piedi. Prima che potessero reagire tutti, il povero ricognitore gemette e dalla sua bocca sgorgarono arbusti di rovi neri che lacerarono la sua trachea e lo sventrarono, tramutandolo in un orripilante ammasso di carne e natura. Dai suoi occhi si sprigionò un fulgore violaceo che lo destò dal suo stato catalettico e provò ad attaccare i presenti. Una abbagliante luce dorata colpì la belva, riducendola in cenere tra squittii e gorgoglii raccapriccianti.

‘’Questo…’’- esordì Arilyn, con le mani protese in avanti avvolte da piccole lucciole incandescenti. Si udirono diversi scoppi provenire dall’esterno, accompagnate da corni di richiamo ed una campana d’allarme. Il possente Antares si fermò sulla soglia, esortando tutti alla difesa dell’imminente arrivo di belve melmose.

‘’Sono nuovamente loro. Soldati, con me.’’- aggiunse Ilmatar, dirigendosi all’esterno dell’avamposto principale. Dalla sua postazione poteva scorgere i dardi delle balliste colpire i nemici senza sosta, innalzando cumoli di neve e terra. Dalla coltre bianca i brandelli di carne putrida delle belve tingevano di nero il manto splendente, andandosi ad incastrare tra le spine arcuate che fuoriuscivano dai corpi degli altri che marciavano furiosi; una di loro saltò sulle mura, evitando i vari fendenti e colpi di ballista, con l’unico obiettivo di uccidere il Capitano e i Legionari. A pochi metri dal suo obiettivo, però, qualcosa lo afferrò per il collo e la testa torcendoli come se fosse un ramoscello secco mettendo fine alla sua miserabile esistenza. Una creatura alta e slanciata, interamente fatta d’onice e dagli occhi di un rettile si stava occupando di massacrare instancabilmente gli invasori.

‘’Quello non è il Titano che è venuto per te, Arilyn?’’- domandò sbalordito Elurek mentre brandiva tra le mani delle bottiglie di vetro colme di olio combustibile. La giovane Thandulircath riconobbe il colore delle braccia dell’entità celeste, chiedendo al Capitano e ai suoi compagni di aiutarlo il più possibile.

‘’Finalmente posso usare quest’arma antica. Elurek, ti unisci a me?’’- chiese il Legionario Veldass al suo compagno che lo superò con una risata. Anche gli altri si diressero alle mura, scendendo dal lato opposto con le loro armi sguainate; Arilyn afferrò la sua arma e si mosse, ma il Comandante dei Legionari le impedì di avanzare oltre puntandole la spada contro:

‘’Non sei in grado di combattere e il tuo deplorevole comportamento di prima non resterà impunito. Resterai qui fino alla fine dell’attacco, che ti piaccia o meno. E se osi disobbedire ai miei ordini, sarò costretta a farti marcire nelle segrete.’’- tuonò imperiosa la donna nei suoi confronti mentre la sua armatura prendeva vita, tingendosi di rosso. Arilyn avanzò, seppur faticosamente, nella sua direzione ignorando l’avvertimento ricevuto.
 
‘’Mi hai già minacciato di volermi rinchiudere nelle segrete, ma non lo hai fatto. Credi che ora sarà diverso solo perché sono debole? Ti sbagli.’’- rispose con freddezza passandole di fianco e reggendo il suo sguardo. Altre esplosioni si susseguirono da sopra le mura mentre gli ammassi putridi diminuivano lasciando il posto ad altre bestie più grandi e robuste, dalla pelle squamata e gli arti piegati in posizioni innaturali. Dalle loro fauci colava un fetido liquame che venne successivamente scagliato come un proiettile contro alcuni soldati, ricoprendoli dalla testa ai piedi ed uccidendoli tra atroci sofferenze. I Legionari, impegnati nella dura lotta, riuscivano a mietere più vittime possibili evitando il loro sangue corrosivo riuscendo anche a carbonizzarli grazie alle bombe incendiarie di Elurek. Una di quelle voraci bestie fu la preda di Iridia, che con un balzo, gli saltò sulla schiena e conficcò perpendicolarmente le sue spade nella gola dell’essere fino a farle scendere sui fianchi, sventrandolo come un vile suino. Hildel e Allric, invece, con l’aiuto di Olfhun, riconobbero i superstiti imprigionati nella putrefazione e la Legionaria Arshile fracassava le teste delle belve deformi, lanciandole contro il Titano d’Onice che terminava l’opera. La Thandulircath, nel mentre, cercava potenziali invasori nascosti da eliminare fin quando non ne trovò uno nascosto dietro una torre di vedetta crollata: parte del suo corpo era già deforme e gonfio, l’altra era normale ma deturpata fino a renderla irriconoscibile. La moltitudine di occhi presenti sulla sua testa e braccia erano orripilanti, eppur stranamente trasmettevano aiuto.
 
‘’Uccidimi…Questo dolore è insopportabile, ti prego!’’- esordì la creatura, cercando di trafiggersi il corpo con il braccio melmoso ma inutilmente. Prima che potesse renderlo del tutto irriconoscibile e fuori controllo, Arilyn brandì la sua spada e la conficcò nella gola del soldato per poi decapitarlo. Il suo Istinto la fece scattare di lato, evitando la punta di una lancia diretta al suo petto. Una serie di stoccate ed affondi le fecero perdere l’equilibrio capitombolando tra le macerie e il sangue ormai rappreso. Liedin si ripresentò nuovamente, con un sadico sorriso sulle labbra tumefatte:
 
‘’In ginocchio. Così ho sempre desiderato sconfiggerti, vederti impotente nel reagire.’’- parlò con tono febbricitante. Arilyn rispose scagliandole contro un sasso appuntito che le squarciò l’occhio, esplodendo in un grumo di sangue e pus. Furibonda, Liedin cercò di affondare la lancia nel petto della sua nemica, ma la Thandulircath fu rapida ad afferrare l’asta e a colpirla nel costato, per poi sferrarle un poderoso calcio nel fianco che venne bloccato dalla donna e rispose a sua volta scagliandola contro il muro crollato.
 
‘’Serve altro per sconfiggermi Liedin.’’- replicò affannata Arilyn, con la polvere che la ricopriva da cima a fondo. La traditrice huvendaliana recuperò la lancia, ruppe il manico per dimezzarne la lunghezza e si catapultò sulla sua preda. Qualcosa di pesante e possente cadde sulla schiena di Liedin, bloccandone la sua corsa omicida. Uno spadone di metallo lucente era conficcato nella schiena della donna ancora viva, ancora combattiva. L’energumeno che l’aveva schiacciata si rivelò essere il guardiano del palazzo di Huvendal:
 
‘’Vermi come te non meritano di esistere!’’- ruggì Antares, penetrando più in profondità la sua arma nel corpo di Liedin, bloccandone qualsiasi movimento. Un secondo contrattacco non tardò ad arrivare, questa volta con una frusta di rovi neri duri come la pietra che colpì il volto del soldato di pietra, scalfendone parte e riuscendo a diminuire la presa sulla spada.
 
‘’Come pretendi di essere forte se ti fai aiutare dagli altri ogni volta? Sei rammollita come guerriera, e vermi come te non meritano di esistere. Dovevo ucciderti già dal primo giorno perché tutti ti consideravano speciale per quel tuo sciocco potere!’’- ruggì Liedin, usando gli stessi rovi che le serpeggiavano dalle mani per togliersi la spada dal corpo. Qualcuno la paralizzò in una nube di densa oscurità per poi farla scomparire. Una slanciata figura in una divisa nera, mascherato e con occhi rossi più dei tizzoni ardenti scrutò i due condottieri stanchi e sporchi di polvere:
 
‘’Non è ancora il tuo momento, figlia dei Thandulircath. Mi auguro solo che, all’alba di quel fatidico giorno, ti possa definire condottiera.’’- esordì con voce solenne, puntandole contro una spada ricavata da qualche osso. Dissolvendosi nel nulla, i cadaveri putrefatti tra le macerie vennero assorbite dall’oscurità lasciata dal demone mascherato. Il silenzio prese possesso dell’avamposto, colmo di melma liquefatta e odori nauseanti.
 
‘’Antares, stai bene?’’- chiese Arilyn, reggendosi ad una parete crollata e costatando i danni subiti alle strutture. Il soldato di pietra si alzò, ma parte del suo viso era ricoperto di crepe e piccoli frammenti di esso si sbriciolarono cadendo sul pavimento rivelando uno strato più scuro e lucente.
 
‘’A pezzi, ma non è nulla di preoccupante. A giudicare dalla ferita, il mio vero volto è scoperto…Già, sono stato costruito secoli fa con della pietra lavica e impregnato di energia celeste. Devo a Searlas questa seconda ‘pelle’ dato che in molti erano terrorizzati dalla mia presenza.’’- rispose lui, specchiandosi nel piatto della lama che aveva recuperato. Quando fecero rapporto, vi erano ingenti danni sul tutto il perimetro e solo pochi erano caduti vittima del Tristo Mietitore. Alcune torri di vedetta erano pericolanti, i cannoni con scudo risultavano inagibili a causa del sangue corrosivo che colava sulle bocche, le balliste avevano esaurito i dardi. Non appena il Comandante dei Rovi Rossi scrutò nuovamente Arilyn, non esitò ad andarle in contro con le spade serrate nelle mani e l’armatura che vibrava di un rosso intenso; l’elmo si aprì mostrando quel viso che incuteva fascino e timore al tempo stesso deformato da una rabbia mal celata, la mascella serrata così saldamente da provocare dolore in chi la guardava e il respiro corto per l’adrenalina che avanzava impetuosa nelle sue vene. La donna tirò dalla tasca della sua divisa un ciottolo appuntito, lo poggiò sul petto di Arilyn e da lì si propagarono diversi arbusti lignei che immobilizzarono la giovane Thandulircath dal collo al ventre:
 
‘’Per la tua insubordinazione, resterai nelle celle dell’avamposto fino a quando non respingeremo i prossimi invasori. Così rifletterai sulle tue scellerate azioni, Thandulircath.’’- la redarguì, invitando uno dei suoi soldati a condurla nella cella. Hildel si offrì volontaria, seppur amareggiata come il resto del gruppo. Nessuno protestò, eccetto Antares adirato per una insensata decisione.
 
‘’Non mi interessano le proteste di un blocco di pietra vivente. Non siamo…ad Huvendal. Siamo nel Lynmes, in piena guerra e abbiamo due eserciti da fronteggiare. Quindi tu, sassolino, taci o sarò costretta ad usarti come ferma porte.’’- ribadì Iridia, con le vene del collo che pulsavano ad un ritmo allarmante.
 
‘’Condurrò io Arilyn nelle celle, così da evitare altre lamentele da parte vostra. E il suo comportamento Comandante…è da biasimare.’’- s’intromise Falko, retto sulla sua lancia e ricoperto di polvere.
 
‘’Prego? Osi mettere in discussione la mia autorità?’’- domandò il Comandante, ulteriormente adirata per la presenza del ragazzo. Impulsivamente lo afferrò per il bavero della divisa con fare intimidatorio, ignorando per un breve attimo che il ragazzo possedesse delle protesi metalliche. La mano priva d’arma si posò sul polso del comandante, stringendolo con forza bruta tanto da costringerla a mollare la presa.
 
‘’Metta da parte il suo orgoglio e rifletta sulle sue azioni: se il Concilio la vedesse agire così nei confronti dei suoi soldati, ne sarebbero lieti o delusi? Propenso per la seconda, Comandante Iridia. L’unica persona che dovrà riflettere è lei. Con permesso.’’- replicò Falko, afferrando quelle catene di legno e portando con sé Arilyn sotto lo sguardo incuriosito e sorpreso degli altri. Il Capitano dell’avamposto si limitò ad impartire ai Legionari di tornare nei loro alloggi provvisori nel mentre che le mura venivano riparate. La Thandulircath abbassò la testa, nascondendo l’amarezza e la tristezza. La stessa tristezza che si tramutò in un pianto silenzioso e, questa volta, non impedì alle lacrime di cadere come rugiada.
 
‘’Le promesse sono nate per essere infrante…’’
 
Udiva queste parole nella sua mente, con insistenza tanto da opprimerla e aumentare il pianto in lei. Giunti alla cella, il ragazzo strappò con facilità quei rovi privi di spine gettandoli via e aspettando che la Thandulircath entrasse. Giunsero alcuni soldati per sorvegliarla, ma Falko li allontanò con cortesia affermando che se ne sarebbe occupato lui personalmente.
 
‘’Mi dispiace che la ragazza si trovi in questa situazione. Che le Stelle possano vegliare su di lei.’’- disse uno di loro, rammaricato per l’inspiegabile evento. La povera Arilyn restò ad osservare le mura ammuffite della sua cella, avvertendo dentro di sé qualcosa di temibile risvegliarsi; riusciva anche ad intravederla con gli occhi umidi dal pianto, ad intravedere sé stessa dalla pelle pallida ma dagli occhi neri e profondi come un baratro. Il sorriso diabolico, fiamme di un rosso intenso che le circondavano le mani e la terrificante presenza in quella cella però non diedero l’effetto sperato nel cuore della ragazza.
 
’Oh Arilyn. Per troppo tempo mi hai segregata nei meandri più bui della tua anima, impedendomi di vedere la luce. Questo è solo un piccolo assaggio e tu non potrai impedirmelo. Presto toccherà a me e tu dovrai starne fuori!’’- parlò lo spettro, il suo, avvicinandosi solenne con le mani conserte dietro la schiena. Arilyn distolse lo sguardò, infastidita dal comportamento della sua controparte.
 
‘’Hai promesso e giurato di proteggerli…Ironico come queste persone ti abbiano pugnalato alle spalle. Ed ignorarmi non è la soluzione adeguata, sciocca amica. Goditi il tuo soggiorno, ma qui l’unica colpa è stata la tua cieca fiducia.’’- incalzò l’ombra, afferrandole il viso e costringendola a perdersi in quel baratro senza fondo che erano i suoi occhi: tutto il rancore accumulato, la tristezza e il senso di abbandono erano racchiusi al suo interno. Quando tutto tornò alla normalità Arilyn si sentì oppressa da quel che le stava accadendo, provocandole tremori in tutto il corpo e rendendola impotente:
 
‘’Possedere un potere impareggiabile e non poterlo usare. Fidarsi di persone che reputavi amici per poi esser tradita da loro…Perché tutto questo?’’- chiese sommessamente stringendo con forza le sue mani fino a far diventare le nocche bianche. Si distese sulla rigida brandina e chiuse gli occhi, non potendo fare altro. Erano passato solo due ore dall’alba, il sole non accennava a dissipare le nubi ed illuminare l’edificio con i suoi raggi. Vidthar, il Titano d’Onice venne a farle visita, reggendo una grossa bisaccia di pelle che emanava intensi e gradevoli odori:
 
 ‘’Sono venuto per consegnarti un paio di oggetti e delle pietanze. Non mangi da giorni. Informerò il Concilio degli eventi accaduti…’’- disse lui, posando la sacca e andandosene. Arilyn aprì la sacca trovando il suo medaglione, un contenitore di vetro pieno d’acqua e diversi cibi come salsicce stagionate, formaggio aromatizzato, pane e molto altro. Con sua sorpresa nella cella vi era un catino dove potersi lavare, ma la presenza del ragazzo o che qualcuno potesse vedere le sue nudità non giovava al suo umore.
 
‘’Falko, devo…togliermi questo sudiciume da dosso. Ti dispiace allontanarti?’’- chiese imbarazzata, mentre riempiva il catino con l’acqua. Il giovane soldato si allontanò per poi tornare spingendo un grande separé di legno che oscurò tutta la cella, lasciando piccoli spazi sopra di essa per consentire alla luce di passare flebilmente. Arilyn si tolse gli indumenti e poté finalmente lavarsi. Si sentì rinascere, nonostante i lividi e i tagli che le ricoprivano la maggior parte del corpo. Nella bisaccia trovò un lungo telo di lana per potersi asciugare e in parte rivestirsi. Rovesciò il catino, ormai colmo d’acqua sporco, nell’angolo della cella e restò in silenzio
 
‘’Le serve altro?’’- domandò il giovane Falko, scostando di poco il separé ed evitando di intravedere il corpo nudo della Thandulircath. Arilyn si ricordò del cibo nella sacca e prese qualche pezzo di formaggio e carne, portandola al giovane e rispose:
 
‘’Qualche indumento pulito se è possibile…Questi sono per te, per ringraziarti.’’- e posò nelle mani del giovane il panno colmo di cibo. L’odore provocò un forte brontolio nello stomaco di Falko che iniziò a mangiare con gusto quelle cibarie fin quando non si fermò, colto da un forte senso di colpa. Rimise ciò che aveva morso nel panno richiudendolo e andò a recuperare qualche abito. Tornò con un pantalone ed una camicia forse un po’ troppo grande per il fisico di Arilyn, ma erano le uniche cose disponibili.
‘’Io non posso accettare ciò che mi ha donato. Appartiene a lei e io sono stato solo uno sciocco a divorarne parte. Mangiate finché potete, probabilmente nei prossimi giorni patiremo la fame…’’- esordì il ragazzo a testa bassa, riconsegnando le leccornie e riposizionandosi davanti la cella. Trascorse circa mezz’ora da quello strano evento, i due giovani restarono in silenzio tombale accompagnati solo dagli spifferi di vento che facevano vibrare i mattoni di pietra, producendo melodie irrequiete. Si udirono piccoli suoni metallici provenire dalla stanza opposta le celle che aumentavano di intensità fin quando una porta non venne aperta.
 
‘’Puoi andare Falko, sei congedato fino a nuovo ordine. Consegnami le chiavi.’’- disse la voce ferrea di Iridia, una visita inaspettata e fastidiosa allo stesso tempo. Il soldato andò via, eseguendo le richieste della donna, rimuovendo il separé di legno dalle sbarre. Il Comandante dei Rovi Rossi entrò nella gattabuia e sospirò rumorosamente, incrociando le braccia dietro la schiena aspettando che Arilyn la notasse. La Thandulircath, spazientita, si voltò bruscamente trasmettendo attraverso i suoi occhi tutto l’odio che aveva ancora dentro di sé:
 
‘’Vattene Iridia. La tua presenza non è gradita. Non dopo quello che ho fatto per voi…’’- asserì lei, stringendosi la mano destra nuovamente dolorante.
‘’Non comprendi, Thandulircath. Ho ignorato per troppo tempo il tuo modo di agire agli ordini, considerandoti anche un cavaliere particolare e diverso dagli altri. Ora constato che stare in una cella dove l’unico sollazzo è quello di dormire fa bene al tuo ego. E non si tratta nemmeno di orgoglio la decisione che ho preso.’’- rispose, indicando prima il cubicolo di pietra e poi sé stessa. La reazione di Arilyn fu quella di colpirla con il suo potere, però esso si rifiutò di sprigionarsi limitandosi a nubi di fumo e luccichii.
 
‘’Mi avete tradito, mi hai tradito. La mia fiducia è stata malriposta in voi, credendo di essere vista come una condottiera e non come una potenziale calamità. Il tuo è un capriccio perché mi consideri simile a lei!’’- replicò ancor più adirata Arilyn, non rendendosi conto di averla nominata. Iridia le afferrò il bavero e la spinse sul letto con forza impedendole di muoversi oltre facendo pressione con il ginocchio sul bacino, nonostante la Thandulircath continuasse a fare resistenza. Il loro reciproco rancore tramutò il loro viso in una smorfia rabbiosa, accompagnata da vene pulsanti e un acceso rossore delle guance.
 
‘’Mi chiedo come abbia fatto a sopportare questi tuoi insensati capricci, questo tuo modo di fare.’’- incalzò la Thandulircath, tentando ancora una volta di evocare il suo potere che fallì. Di nuovo.
 
‘’Non osare nominarla in questo contesto! Tu non sai niente!’’- ruggì il Comandante strattonandola bruscamente.
 
‘’Forse è per questo che ha deciso di andare via da te, a causa del tuo fare irascibile. Non mi meraviglio affatto, è stata una delle decisioni migliori che potesse…’’
 
‘’Io la amavo!’’- gridò Iridia, riuscendo ad azzittire Arilyn. Gli unici testimoni di quella rivelazione furono le pareti della cella e della stanza principale. Il Comandante digrignò i denti e chiuse gli occhi, anch’essa preda dell’improvviso malessere che aveva afflitto la ‘prigioniera’. Uno sprazzo di sole tagliò in due il viso della donna, illuminando i suoi occhi marroni umidi di lacrime costringendo la Thandulircath a desistere da un possibile attacco. Iridia si allontanò da lei, poggiandosi al muro con la fronte, inspirando profondamente per riacquistare il controllo ma ormai le lacrime le rigavano le guance.
 
‘’Io amavo Tyarjes. La sua presenza placava quell’incandescente ira che viveva nel mio cuore, il suo amore mi faceva rinsavire quando perdevo la pazienza. Adesso lei è con un’altra persona in un altro luogo, ma nel mio cuore c’è ancora lei. Non potrò mai dimenticarla. Le nostre carriere militari ci impedivano di coltivare questo nostro amore, quindi per non soffrire ci siamo salutate.’’- aggiunse il comandante, restando con gli occhi chiusi e tremante nella voce.
 
‘’Iridia, io…’’- cercò di dire qualcosa per confortarla, però la giovane Thandulircath restò in silenzio. Le parole le morirono in gola. Tentò di avvicinarsi per poi essere spinta via.
‘’Non ho bisogno della tua compassione Arilyn. Non ho bisogno di nessuno. Non dovevo venire qui e avere un dialogo con te, ho solo riaperto una ferita che non si è mai cicatrizzata.’’- rispose la donna, sistemandosi i capelli spettinati e lasciando la cella senza chiuderla. La Thandulircath uscì dalla cella, guardandosi intorno scorgendo scaffali colmi di libri impolverati e messi alla rinfusa, un piccolo tavolo di legno e qualche stemma arrugginito che penzolava dalle pareti. Su quel tavolo vi era un libro dalla copertina consumata, parzialmente gonfio nel centro come se vi fosse stato messo un qualcosa per creare spessore e così Arilyn decise di aprirlo, trovandovi una lettera piegata più volte su sé stessa. Aprendola, lesse il nome della donna amata da Iridia:
 
‘’Mia cara Tyarjes, mi è difficile comprendere come tu riesca a placare la mia anima irrequieta tutte le volte che mi parli. Ed è proprio quando mi parli che il mio cuore sembra fermarsi per un breve istante, la mia mente vacillare. Quando le mie labbra incontrano le tue, non riesco a farne a meno. Sempre di più, finché non restiamo entrambe senza fiato e le labbra bianche per i troppi baci. A volte penso che tu sia una incantatrice che ha imprigionato il mio cuore con le catene dell’amore, il tuo amore. Ti amo, ogni giorno che passa. La tua Iridia.’’- terminò di leggere quelle parole d’amore. Sì sentì in colpa per aver schernito quel sentimento che lega una persona ad un’altra tanto da farla star male e costringerla a reggersi al tavolo per non cedere. Qualcuno alle sue spalle rideva sommessamente, divertito nel vedere la sofferenza della ragazza avere la meglio; delle fiamme si sprigionarono dalle feritoie antiche del bugigattolo, stranamente prive di calore.
 
‘’Gallart…’’- bisbigliò Arilyn, riconoscendo il suo potere. Il Re della Prima Fiamma avanzò lento mentre il fuoco che lambiva le pareti sfumò su un rosso più scuro, come il sangue, aumentando anche la loro grandezza.

‘’Sei stata una delusione Thandulircath. Debole ed insignificante, come sempre.’’


   
 
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