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Autore: Cossiopea    03/04/2021    0 recensioni
[AVVERTENZA: questa storia contiene SPOILER per PJO, HoO, ToA]
[...] - Sei l'eroe di molti, Percy - continuò - La stima è cresciuta attorno alla tua persona, una fama di cui forse non ti rendi neanche conto. Ciò che hai fatto ha scaldato i cuori, illuminato gli animi di candida speranza, ma soprattutto ambizione. L'ambizione rende ciechi, aperti alle minacce più oscure, conduce verso mete ignote, dove la mente può perdersi.
- Continuo a non capire - farfugliai, gli occhi sgranati.
Ecate annuì pacatamente e il fumo si arricciò tra i suoi capelli scuri.
- Non devi capire - bisbigliò, come parlasse a se stessa - Non lo farai mai... I mondi in cui ti stai per inoltrare... - schioccò la lingua - non sono fatti per essere compresi.
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, Annabeth Chase, Nico di Angelo, Percy Jackson, Will Solace
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2. percy JackSON


Oh, dei santi.

E adesso cosa dovrei dire? È tutto così assurdo che io stesso faccio fatica a comprenderlo... e dire che l'ho vissuto infinite volte...

Avete presente quel momento in cui scoprite che la vostra realtà è una totale menzogna e che tutto quello che conoscete è generato da un semplice sogno, dai deliri di qualcun altro che quasi non avevate mai calcolato?

No?

Beati voi.

Eppure io ci sono dentro fino al collo da tipo... quindici secondi? Oppure sono due anni? Un secolo...?

Il tempo è leggermente strano qui, è bene che lo sappiate. Non è propriamente una novità, certo: esistono fin troppi luoghi sulla Terra in cui le ore si intrecciano con i fulminei istanti, accavallandosi e distorcendosi senza una reale logica. Ogigia, il Labirinto, o Hotel Lotus per fare qualche esempio... Ma, come dire, qui è tutto parecchio intricato. Penso che chiunque abbia provato a comprendere le dinamiche del mio mondo sia impazzito. Letteralmente. La sua mente non è riuscita a sopportarlo, è collassata su se stessa, la ragione che scivolava via. Io lo so bene.

Che volete farci: i sogni sono fatti così.

Probabilmente state sognando anche voi, adesso, no? Succede a tutti, prima o poi, di doversi svegliare. Potreste scoprire di essere gli artefici del vostro mondo o, più probabilmente, dei semplici riflessi della psiche instabile del protagonista della vicenda. Tentacoli di coscienza, composti di vuoto.

Quando dicono che il mondo non gira tutto attorno ad una sola persona? Che non esiste un centro o una fonte definita? Cavolate. Bugie. Menzogne.

Fa tutto parte di un disegno fin troppo grande – più simile a scarabocchi accartocciati – che ci contiene tutti. Dal primo all'ultimo. Non esiste rimedio.

Ve ne accorgerete molto presto.

Non so dire con certezza quando tutto sia iniziato. È un momento imprecisato tra l'invenzione della scrittura e, beh, adesso... ma, come capirete a breve, questo non ha molta importanza.

Quello che è importante è un nome.

Lora Kassandra Gray.

Quando arrivò al Campo la prima volta era in fin di vita.

I suoi respiri erano ridotti a rantoli strozzati, i suoi occhi erano rivoltati all'indietro e i vestiti le ricadevano addosso in brandelli insanguinati, la pelle percorsa da una trama di sottili tagli regolari, simili a quelli tracciati da una lama priva di scrupoli.

Era stata ritrovata strisciante e priva di forze sul confine della barriera, vicino alla collina.
Era svenuta tra le braccia di Will Solace, che l'aveva soccorsa insieme ad un paio di altri figli di Apollo.

Lora stava morendo.

Will l'aveva detto chiaramente, un'ombra nello sguardo. Quella ragazzina scheletrica con le guance incavate e gli arti che grondavano sangue sarebbe spirata in breve, e nessuno di noi poteva farci nulla.

Ricordo con chiarezza la stretta della mano di Annabeth nella mia, mentre Will comunicava la tragedia attorno al fuoco, quella sera, e il falò riluceva di viola.

Una bruciante sensazione di impotenza mi aveva sopraffatto, mentre la mia mente ancora rivedeva i rivoli di sangue che scorrevano sulle braccia della piccola Lora, debole e a un soffio dalla morte.

Come sapevamo si chiamasse così? Lo sapevamo e basta, direi. Non è la cosa più strana di questa storia, dico davvero.

Ad ogni modo la ragazzina passò la notte in infermeria.

Nico Di Angelo le stava accanto; diceva che l'aura di morte che la avvolgeva aveva una consistenza strana, sbagliata. C'era qualcosa di scorretto nella sua sofferenza, nei tagli netti che le incidevano la pelle.

Nessuno osò contraddirlo. Ricordo di averci provato una volta, anche se non saprei dire con esattezza quando, ma quel figlio degli Inferi non può fare a meno di istigare timore a chiunque incroci il suo sguardo di vetro screziato. Solo Will è rimasto con lui.

La luce dell'infermeria era restata accesa fino all'alba, tremolante e dorata come il bagliore di una stella.

Ma il giorno dopo Lora stava bene. Era viva. Camminava.

Questo significava che stavamo bene tutti. Un collettivo sospiro di sollievo, le catene che si sciolgono. Will e Nico tacevano, i loro sguardi traballavano in un equilibrio instabile, sull'orlo di un baratro.

Nessuno osò farsi domande. In un primo momento, nemmeno io.

Fu soltanto in seguito a qualche altro istante di ingenuità che fui chiamato all'appello, trascinato verso la comprensione di quanto il mondo si stesse spezzando. Ad aprire gli occhi.

– Tu sei vuoto.

La voce di Lora sembrava un soffio di vento, il fruscio di una fronda, il ticchettio di un ramo spoglio agitato dalla brezza invernale.

Con uno sbuffo estrassi Vortice dal manichino in legno su cui mi stavo esercitando, provocando una pioggia di schegge. Abbassai la lama e scrutai gli occhi castano spento della ragazzina.

Se ne stava lì, sul bordo del campo di allenamento, le braccia magre oscillanti lungo i fianchi e i lunghi capelli scuri che fremevano intorno al suo viso, ondeggianti come filamenti d'ombra.

Sentii qualcosa agitarsi nei recessi di me, incrociando quello sguardo.

In lontananza udivo le risate dei ragazzi sul lago delle canoe, unite al caldo profumo di fragole.
Abbozzai un sorriso incoraggiante, riducendo la spada ad una penna a sfera, che infilai dietro l'orecchio con un gesto istantaneo.

– Ciao, Lora – azzardai, reprimendo con una notevole forza di volontà quell'inspiegabile disagio che mi risaliva le viscere.

La ragazzina tacque. Il suo sguardo sembrava volermi perforare.

– Sei vuoto – ripeté, il tono piatto.

Il mio sorriso vacillò. Deglutii.

– Che cosa intendi? – quella domanda mi emerse di più come un gemito.

Le sue labbra si ridussero ad una fessura scura. Nei suoi occhi guizzò una luce maligna, sbagliata.

– Percy Jackson – sussurrò infine, quasi che esitasse a dire il mio nome, che provenisse da un ricordo remoto e sbiadito, una memoria perduta.

Mi accigliai, piegandomi in avanti e arrivando alla sua altezza. Mi accorsi in quel momento delle pagliuzze argentate che tempestavano i suoi occhi scuri.

– Sono io – annuii, cauto – Percy Jackson.

Scosse lievemente la testa, tanto che per un secondo pensai che fosse stato più un tic nervoso che un gesto voluto. Invece Lora lo ripeté, con più convinzione. Il suo capo oscillò, le sue pupille si rimpicciolirono in minuscole macchioline buie.

– No – bisbigliò, gli occhi che di botto si riempivano di lacrime, che sgorgarono, rigando le guance pallide. Strinse i pugni, si irrigidì – No! – la sua voce riverberò dentro di me, i miei pensieri vibrarono, rimestati da una mano oscura; dita artigliate che graffiarono spietate le mie certezze. I miei ricordi sbiadirono.

Chi ero io?

Crollai in ginocchio, la ghiaia mi graffiò la pelle, l'energia che scivolava via da me attraverso rivoli di gelo.

– No! – e la mia vista si annebbiò.

Chi ero io?

Domande soppiantarono la mia vita. Le urla di Lora mi soffocavano, ancorandomi dentro me stesso.

– Lora... – ansimai, disperato – Cosa...?

Ma non terminai mai la domanda, perché lì ogni cosa finì.

Gli occhi della ragazzina pulsavano di emozioni contrastanti, venati di follia. Ma fu il mio ultimo ricordo.

Una mano mi scosse la spalla, stringendomisi sulla pelle con una stretta salda.

Chi ero io?

Percy Jackson. Acqua. Riflessi verdastri che sfavillano oltre il tremolio della superficie... L'odore dell'oceano.

Ricordavo vagamente di essere qualcuno, di esistere... Lo sapevo, ma non ero io.

Percy... Poseidone... Profezie...

Sette mezzosangue alla chiamata risponderanno...

Una voce, degli occhi grigi. Erano ricordi, oppure semplici illusioni? Erano reali, oppure niente lo era mai stato?

Sognavo. Forse l'avevo sempre fatto.

La mano scrollò la spalla con più violenza. Proveniva dal mondo. Proveniva dalla mia vita.

Fuoco o tempesta il mondo cader faranno...

Magia. Non la comprendevo, ma mi avvolgeva. Mi penetrava. Dovevo lasciarmi andare.

– Percy!

Una voce. Chi...?

Con l'ultimo fiato...

Respira, Percy. Respira. Respira, ti prego.

Ti prego.

Ti prego...

Spalancai gli occhi.

Schizzai a sedere così velocemente che il sangue nelle tempie iniziò a rombare furioso, un tuono profondo che pulsava al ritmo ansioso del mio cuore.

Boccheggiavo, in cerca d'aria. Le lenzuola bianche mi si avvolgevano attorno alle gambe, i capelli neri mi ricadevano in ciuffi sconnessi sulla fronte.

– Allora sei vivo, eh?

Come in un sogno mi voltai lentamente verso il ragazzo in piedi accanto al mio letto. Una zazzera di capelli biondo grano gli ricopriva la testa e i vivaci occhi azzurri brillavano come perle sul suo viso abbronzato. Sorrideva di traverso, come se non avesse ancora deciso se veramente non ero morto oppure era più probabile fossi un zombie emerso dalla tomba.

Io non lo sapevo, ma di una cosa potevo ritenermi certo: lui lo era e io non stavo bene.

– Jason...?

Stavo ansimando. Sentii il volto avvampare, il sudore iniziare a gocciolarmi dalla testa.

Stavo impazzendo. Non c'era altra spiegazione.

Il figlio di Giove alzò le sopracciglia, perplesso.

– Preferivi venisse a svegliarti il coach? – chiese, poi sorrise – Voleva darti la mazza in testa ma l'ho convinto che sarebbe stato più divertente se ti avessi fulminato – ruotò leggermente la testa – Non ti svegliavi più.

Battei la palpebre, la bocca rimasta semi aperta per lo stupore.

– Io... cosa? – balbettai – Tu sei...

­– Il salvatore della tua povera capoccia? – incrociò le braccia sul petto, divertito – Prego, eh.

Mi portai una mano alla testa, che non azzardava a smettere di gemere, come se l'avessi battuta davvero.

Lora... L'avevo sognata? Oppure stavo sognando questo?

– Dove siamo? – domandai dopo un istante, come in trance.

Jason aggrottò la fronte e mi scrutò di sbieco, tentando di capire se lo stessi prendendo in giro.

– Amico, tutto bene? – fece, prudente – Siamo sulla Argo II, dove se no?

I ricordi vorticarono, la ragione mi abbandonò. Una fitta di dolore parve segarmi in due il cranio.

– Argo...? – aprii e richiusi la bocca tre volte, mentre lo sguardo di Jason si oscurava sempre di più di vivida preoccupazione.

Sentivo di stare per vomitare. Mi girava la testa.

– Jason... – tesi una mano verso di lui, tremando. Prontamente in ragazzo la afferrò e mi fu accanto, una mano sulla spalla. Questa volta il tocco era gentile, ma terribilmente reale, fin troppo reale per un morto. Tentai di prendere un respiro profondo ma il fiato mi si spezzò – Non... non mi sento bene.

– Percy, è tutto okay – disse Grace, il tono fermo, le sopracciglia corrugate. Un conato mi risalì in gola, i capelli incollati in faccia – Adesso vado a chiamare gli altri, non è niente...

– No – riuscii a sputare, appoggiandomi a lui, ansimante – Io non... Tu sei...

– Percy, adesso calmati, d'accordo? – i suoi occhi celesti erano talmente vividi che mi sentii mancare. Non era possibile. I morti non resuscitano. I morti non parlano.

– ...morto... – quella parola mi rotolò fuori dalle labbra come un gorgoglio.

– Come? – Jason scosse la testa, lo sguardo che lampeggiava d'angoscia. Si voltò verso la porta della cabina, rimasta aperta – Leo! Annabeth! – gridò sul corridoio, prima di tornare a guardarmi – Percy, stai delirando, hai la febbre.

– No – biascicai. Le lacrime mi punsero gli occhi – Jason... sei morto!

Il mondo esplose.

Gridai.

E fu buio.

   
 
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