Serie TV > Lucifer
Segui la storia  |       
Autore: Yunomi    03/04/2021    2 recensioni
"I pianti, le isterie, i lanci di innocenti gerani oltre i balconcini, gli sguardi accesi dalla passione e dal fuoco che non si placava mai, né con il sesso né con le conversazioni alle tre di notte, aggrovigliati come senatori romani tra le lenzuola bianche, le sigarette, i vizi dannosi, le corse in Corvette. L’amore. Quell’amore deleterio, malsano, quell’amore che mi aveva consumata come un fiammifero e che mi aveva ridotta ad un pugnetto di ossa stanche, il cui unico sostentamento era costituito da niente di più che libri e sigarette. No. Non più"
Sequel assolutamente non richiesto di Big God. La lettura è fortemente consigliata per capirci qualcosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chloe Decker, Lucifer Morningstar, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
9
Desperado
 
 
 

 
 
“Ieri il fruttivendolo mi ha regalato una cassa di carciofi.”
“Eh, e quindi?”
“Niente, ti ho pensato.”

(mia madre, al telefono)
 


 
 
 
Sono seduti sulle poltrone nello studio di Thomas da qualche minuto, ma potrebbero anche essere passati due secoli.
L’uno biondo con occhi chiari e attenti, l’altro moro e dallo sguardo scuro, opaco. Indecifrabile. Si scrutano con una freddezza che vorrebbe congelare sul nascere qualsiasi tentativo di convenevoli.
Tra loro, un buon metro e mezzo occupato da astio inossidabile e un tavolino da caffè in ciliegio.
Come a voler sventolare bandiera bianca, ad un certo punto Lucifer si allunga e lancia il pacchetto di sigarette sul tavolino in modo che l’uom di fronte a lui possa servirsene. Accompagna tutto con un veloce cenno del capo; Thomas rifiuta, alzando una mano. “Ho fumato abbastanza, in questi giorni.”
Lucifer annuisce. Si accende la sua sigaretta e sbuffa verso l’alto.
“Di cosa volevi parlarmi?”, chiede Thomas, senza preoccuparsi troppo di risultare sbrigativo. Il sole sta calando, e così la sua pazienza. Lucifer scrolla le spalle. “Di Chloe.”
“Non sono certo di essere la persona adatta.”
“Se ti ha baciato evidentemente lo sei.” Lucifer vorrebbe con tutto sé stesso poter pronunciare questa frase senza mostrarsi infastidito, ma certe cose sono sfuggevoli ad ogni briglia, e non si possono controllare. Il labbro superiore gli trema leggermente.
Thomas non può fare a meno di sorridere. “Pensavo l’avessimo chiuso, questo argomento.”
“Davvero?”, ribatte Lucifer, rivolgendogli quello sguardo obliquo ed ironico che a Thomas fa venire voglia di tirargli il primo soprammobile che gli capita tra le mani. “Lo pensi davvero?”
Thomas alza un sopracciglio. Ha abbassato gli occhi verso il piccolo elefante di giada sul tavolino. Abbastanza contundente?, si chiede. Alza gli occhi verso Lucifer.
Lucifer si sporge in avanti e stringe gli occhi in due fessure; cerca di metterlo a fuoco. “A cosa pensi, Thomas Melrose? Che cosa vuoi dalla vita?”
Thomas ride, offensivo, e distoglie lo sguardo. Un veterano nell’arte della dissimulazione. “Ora come ora quello che voglio non credo ti piacerebbe.”
Lucifer si riappoggia allo schienale, giungendo le mani sotto il mento.
“Vorrei sapere quello che piace a te. Dimmi.”, dice, con una voce di velluto.
Thomas è un uomo razionale.
E’ lucido, sempre e comunque.
Non è fisiologicamente in grado di distrarsi, ed è per questa ragione che soffre di depressione da quando ne ha memoria. Non si è mai concesso di vagare troppo con la mente, e questa reclusione coatta che si è auto-imputato non ha fatto che trascinarlo lentamente nelle sabbie mobili di uno stato depressivo costante, una sorta di coperta tiepida che gli avvolge le spalle costantemente e che non sente di avere la forza di scrollarsi di dosso.
E’ per questo che sulle prime vorrebbe ridere in faccia a Lucifer, dirgli che è un povero idiota e che queste pantomime ormai non fanno leva neanche sui bambini, e che quest’aura maliziosa e trascendente da Nuovo Samael non inganna nessuno. Vorrebbe semplicemente dirgli: non attacca.
Eppure, deve sempre esserci un ‘eppure’.
Dal momento in cui Lucifer gli ha puntato gli occhi addosso, si si è trovato catapultato in uno spazio altro, pulsante e claustrofobico come le spire di un serpente. Fa improvvisamente caldo; sente una febbre anomala, malsana fiorirgli tra le tempie, e la sua gola si prosciuga come se fosse disperso nel deserto da settimane.
Cerca di alzare una mano per scostarsi una ciocca di capelli dalla fronte ma si accorge con ascendente terrore che non riesce a controllare più nulla. È come se qualcuno non glielo permettesse. Un sudore gelido come il sussurro di un fantasma inizia ad imperlargli il retro del collo.
“Cos’è che davvero desideri?”, ripete Lucifer, le mani giunte davanti alla bocca e gli occhi lampeggianti. Una saetta rossa squarcia quell’iride nera, la apre come una ferita.
Thomas sente di sprofondare nella poltrona, sempre di più, e le estremità iniziano a formicolare. I suoi muscoli sono improvvisamente pesanti e gli pare quasi di sentire il sangue che affievolisce il suo corso nell’arteria brachiale, fino a fermarsi del tutto. Gli sembra di notare come l’atmosfera che li circonda si stia facendo sempre più buia; sono penetrati in una nube di vapore denso come il fumo di una sigaretta, solo più scuro e dieci volte più irrespirabile.
“Io…”, inizia Thomas.
Non riesce a spiegarlo, non potrebbe neanche se volesse. Non vuole parlare, cazzo, non vuole, ma è come se qualcuno avesse calato un amo nella sua gola e stesse tirando con tutte le proprie forze per derubarlo di alcune parole che si dimenano come anguille per non uscire dalla sua bocca. “I-io…”
Non serve a niente… Resistere è inutile, sembra sussurrare qualcuno vicino alla sua guancia, e la pelle si costella di brividi gelidi.
Arrenditi…
“Dimmi, Thomas... Ti sto ascoltando.”, continua Lucifer, calmo e fermo; una voce di velluto che tuttavia quando incontra l’aria sfrigola come se volesse bruciarla.
Thomas sente di star perdendo il controllo, ma non sa di cosa. Sa solo che qualsiasi cosa stia combattendo per uscire non si darà per vinta tanto facilmente.
Alla fine, è lui che non regge.
“Io voglio solo trovare un modo per smettere di odiarti.”
Deve fare appello a tutte le proprie forze per non crollare come uno straccio bagnato.
Si sente improvvisamente lasciato andare, e l’aria fresca che  riempie nuovamente i suoi polmoni bollenti lo ferisce, quasi.
Thomas fissa il vuoto da dietro gli occhiali, e boccheggia.
Gli tremano le mani.
Deglutisce a fatica.
Saetta gli occhi verso Lucifer, che fuma disinvolto con le gambe accavallate. Lo sta guardando come se potesse sentire il rimbombo del suo cuore; sorride compiaciuto.
Thomas allunga una mano per prendersi una sigaretta. Le sue dita non accennano a voler smettere di tremare mentre cerca di accenderla.
“Smettere di odiarmi, uh?”, dice Lucifer dopo un po’, osservando la brace della propria sigaretta.
A scapito della temperatura febbrile che aveva raggiunto il suo corpo pochi istanti prima, ora Thomas sente un gran freddo penetrargli direttamente nelle ossa. Si porta la sigaretta alla bocca e aspira come da una bombola di ossigeno.
Me lo sono immaginato.
E’ stata autosuggestione.
Lucifer lo osserva, e più Thomas si dimostra confuso e attonito, più l’altro sembra man mano recuperare il suo fastidiosissimo charme. Sorride lievemente. “Perché mai vorresti smettere di odiarmi?”
Thomas alza lo sguardo su di lui; un po’ di cenere si stacca dalla sigaretta e precipita sui suoi pantaloni. “Di cosa cazzo stai parlando?”, chiede, e la sua voce si spezza come un grissino.
“Beh, hai detto che vorresti smettere di odiarmi.”, ribatte Lucifer, facendo spallucce.
“Ho detto che vorrei smettere di odiarti?”
“E’ quello che hai detto.”
“Ah.”
Thomas rimane a fissare un punto oltre la testa di Lucifer, tremante e confuso. Si porta la sigaretta alle labbra.
Aspira.
Apre la bocca per dire qualcosa, ma esce solo un cirro di fumo grigiastro.
Lucifer alza un sopracciglio, incoraggiandolo a continuare.
Thomas richiude la bocca.
Deglutisce a vuoto.
“Va… Vado a farmi una tazza di tè.”, sussurra, alzandosi a fatica dalla poltrona.
Lucifer sorride.
“Earl Grey, due zollette e una goccia di latte.”, gli dice, mentre Thomas sta per imboccare la porta; Thomas si volta al rallentatore. “Molte grazie, Tommy.”
 
 
 
 
Desperado
Sitting in a old Monte Carlo
A man whose heart is hollow, uh


Take it easy
I'm not tryna go against you
Actually,

I'm going withcha.
(Desperado, Rihanna)
 
 
 
 
 
Thomas entra poco dopo con due tazze di porcellana a fiori in mano. Si siede come un automa alla poltrona; allunga una tazza a Lucifer.
“Va meglio?”, chiede Lucifer, soffiando sul tè fumante.
Thomas sospira; il liquido caldo e familiare effettivamente sta ricacciando quei brividi in qualunque bocca dell’inferno siano usciti. Chiude lievemente gli occhi. “Sì. Sì, va meglio.”
“Dunque è proprio vero, quel che si dice di voi inglesi.”
“Eh?”
“Di voi inglesi.”
“Di noi inglesi?”
“Del tè.”
“Ah. Sì. Una faccenda quasi sacra.”
“Noto.”
“Lucifer.”
“Thomas?”
“Cosa cazzo è appena successo?”
Lucifer fa spallucce. “Mi hai fatto una confidenza.”
“No.”
“Sì.”
“No. No. Io… io non volevo dirtelo.”
“Una piccola parte di te sì, evidentemente. Moriva dalla voglia di dirlo.”
“No.”
Lucifer sbuffa. “No, no, no… è solo questo che sai dire?”
Thomas apre la bocca per ribattere ma non sembra riuscire a stare al passo con la velocità con cui il suo cervello sta macinando le informazioni.
Chiude la bocca.
Prende un altro sorso di tè. “No.”
Lucifer lo guarda di sguincio.
“I-Io non… non volevo dirti un bel niente.”, balbetta Thomas. Punta gli occhi su Lucifer, che ha ancora quella faccia strafottente che lo manda puntualmente in bestia. Prende un sorso e recupera un minimo di fermezza. “Tu volevi parlare con me.”, replica, puntandogli un indice tremante.
“Di Chloe.”
“Sì. Sì, di Chloe. Beh?”
Beh cosa?”
“Non mi pare di essere prossimo al trasformarmi in un ovino ottuso.”
Lucifer sorride e vorrebbe dire questo lo dici tu, ma per amore di Molly si è promesso di fare il bravo, quindi annega la sua linguaccia in un sorso di tè.
Thomas scuote la testa e corruga la fronte. “Perché vuoi parlare di Chloe con me? Non la conosco, io.”
“Allora diciamo che voglio parlare di Chloe in sé.”
“In sé?”
“In sé.”
La Papessa, come d’abitudine, irrompe nella stanza come una folata di vento. “Qualcuno vuole del tè?”
“Già c’è.”
I tre si guardano.
Quell’esubero di parole tronche riecheggia nell’aria come una filastrocca di Lewis Carroll. La Papessa glissa lo sguardo sui due uomini, che la guardano come roditori istupiditi; capisce velocemente di essere di troppo, oppure di non averne per le palle di mediare alcun combattimento tra galli, in quel momento, e quindi esce dallo studio. Mentre si richiude la porta alle spalle sussurra un ooookkkkkkaaaaaay che riempie una vita intera.
Thomas guarda l’aria di fronte a sé come se fosse appena comparso un integrale che deve risolvere a mente.
“Facciamo che prendiamo una bottiglia di brandy?”, dice dopo un lungo silenzio. “Non penso proprio di poter reggere questa conversazione da sobrio.”
“Mio caro.”, dice Lucifer, appoggiando la tazza sul tavolino di ciliegio. “Se mai dovessi risponderti di no, ti autorizzo a rinchiudermi nel reparto di igiene mentale dell’ospedale più vicino.”
 
 
 
 
 
 
Due nemici sono lo stesso uomo dimezzato.
(E. Cioran)
 
 
 
 
 
“Chloe… Mh… Chloe è una donna instancabile ed esausta. E’ intelligente e acuta, e allo stesso tempo è insicura. E’ forte come un carro armato, e fragile come una farfalla di cristallo. E’ bellissima. E’ determinata, e tuttavia sempre pronta a dissuadersi dal perseguire quello che la farebbe stare bene. E’ la persona meno egoistica che io abbia mai visto. E’ sempre disponibile. Aperta, genuina solo con chi le vuole davvero bene, con gli altri è una porta chiusa a tripla mandata. E’ di un’onestà lacerante.”
“…e che cazzo ci fa con un uomo come te?”
Lucifer alza gli occhi al cielo; ecco, ha perso il filo del discorso.
Thomas lo osserva stravaccato sulla poltrona, il bicchiere semivuoto in equilibrio sul petto. Non si è ripreso del tutto, ma nella sua modesta esperienza sul pianeta Terra ha imparato che a volte è meglio evitare di farsi troppe domande – specie se  hai il presentimento che la risposta potrebbe non piacerti.
“Non mi aiuti, Thomas.”
“E’ questo quello che vuoi, quindi? Il mio aiuto?”
Lucifer ci pensa su. Con fatica riporta lo sguardo sull’uomo davanti a sé: allunga i piedi sul tavolino e per poco non fa cadere la seconda bottiglia di brandy che hanno aperto.
Thomas si sveglia improvvisamente; alza un indice come un cartellino di ammonizione. “Leva quei piedi dal mio tavolino.”
Lucifer per tutta risposta agita una mano come a voler scacciare un moscerino. Sospira anche lui. “Forse sì… Forse ho bisogno di aiuto. E prima che tu faccia battute che non hanno mai fatto ridere: sono già in terapia, grazie tante.”
“Anche io. Non serve a un cazzo.”, ribatte Thomas, osservando con gli occhi storti il dito di brandy nel suo bicchiere, che segue i movimenti verticali del suo petto mentre si alza e si abbassa; non ha più freddo, ora. Gli si è intiepidito il petto e alleggerita la mente, e si sentirebbe in una culla di morbido cotone se la voce di Lucifer non arrivasse a ferirgli i timpani come la lama di un rasoio. Il colore del brandy nel bicchiere gli ricorda la sfumatura di capelli di Molly quando sono andati in Liguria, l’estate precedente. Sente il profumo dei limoni e del mare, e improvvisamente sorride.
“A me serve invece, e anche molto.”, continua Lucifer, e passa l’indice sul bordo del suo bicchiere.
“Leva i piedi.”, ripete Thomas, più infastidito dal senso di agio che ha spinto Lucifer a compiere quel gesto che per vero e proprio interesse nei confronti del tavolino di ciliegio. “Non mi sembri una creatura riflessiva.”
“Rifletto, rifletto…”
“Io lo faccio troppo. Sono tipo uno specchio.” Thomas pensa un secondo. “Uno specchio rotto, forse.”
“Sette anni di guai.”, gli fa eco Lucifer, saggiamente.
“Fai pure quarantadue. Ma non è questo il punto.”
“E il punto qual è?”
I due uomini si fermano a guardarsi come se si fossero improvvisamente persi di vista nella nebbia di alcool.
Thomas alza le spalle. Lucifer pure.
“Ci verrà in mente.”
“Senz’altro.”
“Dell’altro brandy?”
“E perché no.”
Lucifer fa gli onori.
Bevono silenziosamente.
“Dicevi, Chloe.”, gli fa Thomas dopo aver bevuto.
Lucifer fa un verso d’assenso. “Chloe. Già.” Assume l’espressione di chi ha perso il segno nel libro che sta leggendo. “Chloe.”
“Che diamine ci fa Chloe con uno come te?”
Lucifer, come di consueto, la prende sul personale. “Cosa ci fa Molly con uno come te.”
Thomas ride, perché Lucifer è davvero tenero se pensa di riuscire ad insultarlo. “Oh, vecchio mio, me lo chiedo in continuazione.”
Non è la risposta che Lucifer si aspettava, e questo glielo si legge chiaramente negli occhi.
Thomas ridacchia. “Capirai che è difficile offendere gli uomini tristi.”
Lucifer riflette. Effettivamente non si può definire un uomo triste. Non la sa gestire la tristezza. Impazzisce, quando si sente triste. E si offende molto facilmente. Lucifer quindi conclude che no, non è un uomo triste. E forse questa è la differenza più evidente tra sé stesso e Thomas. Prende un sorso celebrativo di brandy. Si dice che sta proprio migliorando, con l’introspezione personale.
“Molly…”, si lascia sfuggire Thomas, anche lui perso a meditare. “Quella ragazzina… Finiremo per rovinarla, lo sai vero?”
“Non dire così. Lei sa che può contare su di te.”, ribatte Lucifer, e nel vedere lo sguardo di rammarico che gli rivolge Thomas sente una strana fitta al petto. Com’è che si chiama? Empatia? Lucifer non ne è certo; sa solo che non gli piace. Non riesce più a prenderlo in giro, con quegli occhi mesti e severi, e gli occhiali che scivolano sul naso, e quel sorriso malinconico che gli ha teso le labbra sottili.
“Sono io che non posso contare su di me.”
“Molly stravede per te.”
“Oh, ti prego. Non dirmi così, rischi di spezzarmi definitivamente il cuore.”, ribatte Thomas, nascondendo l’amarezza di quell’affermazione con una risata roca. La butta giù insieme ad un grosso sorso di brandy. Porge poi il bicchiere verso Lucifer. “Versa.”
Lucifer obbedisce.
“Noi due non ci meritiamo quelle donne.”, dice Thomas, dopo aver osservato per lunghi minuti la luce che si riflette nel liquido ambrato. Gli pare di sentire la consistenza setosa dei capelli della ragazza tra le dita. Un profumo di limoni e la dolce sensazione di labbra vellutate sul suo petto. La vorrebbe sulle sue ginocchia in quel preciso istante.
“Donne così non dovrebbero stare con uomini come noi. Così incasinati e tossici.”
“Io non sono tossico con Chloe.”, si difende Lucifer, leggermente risentito.
Ora Thomas lo guarda con tenerezza. “Felicitazioni, allora. Beato te.”, ribatte, prendendo un sorso di brandy. Si illumina improvvisamente. “Forse ho capito perché ti odio, Lucifer.”
Lucifer si siede in punta alla poltrona.
“Ti odio perché guardare te è come guardarmi allo specchio.”
Non è proprio per niente quello che Lucifer si aspettava, e forse nemmeno Thomas si sarebbe mai aspettato di pronunciare una frase del genere. Ma la vita è una barzelletta e Dio un grandissimo buontempone, e gli piace da matti giocare coi fili delle coincidenze, intrecciandoli e mischiandoli, per poi gettarli tra le mani degli uomini e sedersi divertito in punta ad una nuvola per godersi lo spettacolo di vederglieli sbrogliare.
Thomas appoggia il capo ad una mano, e socchiude gli occhi. La sua mente è un sadico proiettore, e gli propone per l’ennesima volta lo stesso filmato da due anni a questa parte.
 
 
 
C’è una sala d’attesa, e c’è Thomas con un libro in mano; non lo sta davvero leggendo, è troppo impegnato a fissare con intensità inquietante la porta dietro cui Molly sta discutendo con Lucifer e Chloe da una buona mezz’ora.
Non c’è niente che dobbiate dirmi che non possiate dire davanti a Thomas, aveva detto la ragazza; ma di fatto, dopo che i dottori si erano accertati che l’accesso di risa che le aveva preso non fosse legato all’impatto col cruscotto, lei aveva chiesto di parlare sola con Lucifer e Chloe. Thomas aveva stretto i pugni finché le nocche non erano sbiancate. Aveva semplicemente annuito, ed era uscito, chiudendosi la porta alle spalle.
Si era seduto su una sedia in polietilene di un colore discutibile, con un saggio di Georges Bataille sulle ginocchia che non aveva intenzione di leggere, e lo sguardo fuso per osmosi ai numeri appesi alla porta.
Non gli piaceva, Lucifer, quello sbruffone con quel nome d’arte biblico e vagamente pretenzioso. Non gli piaceva il marcato accento inglese con cui si rivolgeva a lui, come se volesse sfotterlo, e non gli piacevano tutte le attenzioni che dedicava a Molly, come le carezzava le guance con le dita o le sistemava i capelli dietro un orecchio.
Solo Thomas poteva sistemarle i capelli dietro un orecchio.
Thomas veniva da una formazione classica, e conosceva il mito di Persefone a memoria, come le preghiere che gli avevano insegnato in collegio; Molly gli aveva sempre ricordato la piccola dea della primavera che era stata ingannata da Ade e si era ingenuamente cibata di piccoli semi di melagrana, legandosi così per sempre alla vita tra le ombre.
Ricorda ancora con estrema chiarezza quella sera in cui Molly aveva ricevuto una chiamata da quel misterioso signor Morningstar: si era alzata dal letto, aveva indossato la sua camicia azzurra e il cardigan color panna ed era scomparsa in soggiorno; l’aveva solo sentita  girare la poltrona verso la portafinestra e iniziare a discutere sottovoce. Lui era rimasto a letto, svestito e aggrovigliato nel lenzuolo, con gli occhiali appoggiati sul petto. Avesse potuto, si sarebbe anche svitato le orecchie per evitare di carpire anche solo una piccola parte di quella conversazione.
“So che non lo stai chiedendo perché lei ti sta ascoltando. Ma sì, certo che sono ancora innamorata di te.”
Aveva chiuso gli occhi, forte, sperando che gli schizzassero fuori dalle orecchie.
Molly era poi tornata nella camera con uno sguardo completamente fuori fuoco e un sorriso tutt’altro che rassicurante sulle labbra. Si era svestita e gli si era seduta a cavalcioni: ciocche bionde color grano le incorniciavano un viso che aveva da poco ricominciato a riempirsi e a recuperare il colore di pesca che si addice alle ragazze in salute.
“Devo andare a parlare con un amico.”
Thomas aveva deciso di tentare con l’approccio umoristico. “Con coso, come si chiama… Calcifer?”
Molly si era illuminata per un attimo, aveva ridacchiato, e il cuore di Thomas aveva fatto una capriola.
“Lucifer.”, lo aveva corretto lei, dolce e timida e tutt’altro che ingenua.
“Sì, beh.”
“Viene a prendermi tra poco.”
“Okay.”
“Non ti sto chiedendo il permesso, lo sai?”
Thomas l’aveva baciata famelico, come se effettivamente volesse inghiottirla e tenerla dentro di sé, al sicuro da tutti – in particolare da quel dannato Plutone anacronistico.
L’aveva stretta forte e avevano fatto l’amore di nuovo, giusto per ricordarle che no, non doveva chiedergli il permesso di nulla, ma doveva tenere bene a mente un paio di punti riguardo la situazione corrente.
Malferma sulle gambe (a Thomas piaceva ridurla un mucchietto di gelatina quando la scopava, e a lei questo faceva letteralmente impazzire), Molly si era poi vestita e pettinata per incontrare Calcifer Morningstar.
“Sei troppo bella.”, aveva commentato Thomas, osservandola nel suo vestitino estivo a fiori, i capelli che lambivano le clavicole e una bocca rossa e turgida di baci. “Ti porteranno via da me.”
“Ci devono solo provare.”, gli aveva risposto lei, piegandosi poi sul letto per dargli un ultimo bacio, prima di scomparire come un sogno.
Pioveva.
Thomas si era affacciato al balcone con una t-shirt addosso e i capelli sconvolti. Osservava l’incontro dall’alto, Lucifer appoggiato alla Corvette e Molly che, incrociando le braccia, cercava di mostrarsi adulta e matura. Così piccola, pensava Thomas con una crepa nel cuore che, sapeva, non avrebbe fatto altro che allargarsi.
 
Thomas abbassa gli occhi sulla pagina nel momento in cui sente la maniglia girare. Lucifer e Chloe escono dalla stanza come se abbiano appena fatto il riconoscimento di una salma all’obitorio: la donna ha profondi solchi bluastri che specchiano il colore delle sue iridi, e un’espressione che non tenta nemmeno di nascondere il suo disagio nel trovarsi lì, al capezzale della ragazzina che l’aveva preceduta nel letto di Lucifer.
Thomas chiude il libro con una certa violenza e si alza, andandogli incontro.
“Ebbene?”, chiede, e a causa della stanchezza che si porta dietro da giorni non riesce a mantenere il suo solito schermo di compostezza.
“Abbiamo parlato di Pierce.”, gli risponde Lucifer, con un tono che velatamente insinua un non preoccuparti, non puoi capire.
“Chi è questo Pierce.”, chiede Thomas, secco, senza punto di domanda.
Chloe deglutisce a vuoto. “L’uomo che avrei dovuto sposare.” Esita per un istante; a Thomas pare anche troppo.
“Quella ragazza ha rischiato la vita…”, dice, e non può impedire alla propria voce di incrinarsi. “E’… E’ incinta, per Dio… e… che razza di persone siete? C-come avete potuto permettere che succedesse una cosa del genere?”
Sente un confuso ronzio nelle orecchie, e si guardò intorno per cercare di capire da dove venga; i polmoni non si dilatano come dovrebbero, e il risultato è che non riesce a prendere abbastanza aria. Non sei un po’ troppo vecchio per gli attacchi di panico?, dice una voce dentro di lui, e si costringe a calmarsi.
Lucifer tenta di posargli una mano sulla spalla, ma Thomas si ritrae, secco.
“E’ stato un incidente.”
Thomas vorrebbe dirgli solo: vaffanculo.
È colpa tua. Non solo le hai permesso di giocare col fuoco, le hai anche teso la tanica di benzina e il fiammifero.
Irresponsabili, stupidi idioti, ecco cosa siete.
Circolo di psicopatici.
Stupide teste di cazzo inette a vivere.
Non dice nulla di tutto ciò, ovviamente. Si limita a togliersi gli occhiali e passarsi una mano sul viso. “Vado a prendere un caffè.”, dice solamente, e si volta per andare al bar del Good Samaritan
“Aspetti.”
Thomas gira i tacchi di centottanta gradi verso Chloe. La donna lo guarda con una sofferenza amica negli occhi. Gli ha posato una mano delicata sull’avambraccio e lui non se n’è nemmeno accorto. Il ronzio cessa per qualche istante.
“Marcus Pierce deve aver visto una donna bionda seduta a fianco a Lucifer, e deve aver scambiato Molly per me… Non le posso nemmeno spiegare quanto mi dispiaccia per quello che è successo. E’ colpa nostra…” Guardò Lucifer, che aveva improvvisamente dimenticato come parlare. “No. Mia. E’ colpa mia… Ho… Ho agito come un’adolescente. Ho piantato il mio futuro sposo all’altare, e da quel momento non ho fatto altro che procrastinare la spiegazione che sapevo di dovergli. Mi dispiace. Mi dispiace davvero. Se solo avessi saputo…”
Thomas esala un sospiro stanco. “Col senno di poi sono piene le fosse.”, le dice, incapace di spogliarsi dal suo solito tono severo anche di fronte a quella donna sentitamente addolorata. “Bisogna solo ringraziare che non ci sia stato bisogno di scavare nessuna fossa, stavolta.”
 



 
 
Desperado,
why don't you come to your senses?
Come down from your fences, and open the gate
It may be rainin',

but there's a rainbow above you
You better let somebody love you

(Desperado, Johnny Cash)
 



 
 
“Io e te siamo molto più simili di quanto riusciremo mai ad ammettere. Io… ho fatto tante cose sbagliate… In particolare con la mia ex moglie. Le ho mentito, più e più volte, l’ho tradita, l’ho spinta a provare a fare un figlio perché pensavo che un bambino avrebbe potuto ricucire i pezzi di quella tragicommedia che mi viene da ridere a chiamare relazione… Sono un cazzo di irresponsabile. Stavo per mettere al mondo una creatura che si sarebbe portata addosso il peso dell’infelicità di due poveri idioti. Grazie a Dio Margaret non è una donna stupida e non mi ha dato corda.
E con Molly…  Dio, con Molly mi sembra di essere sdraiato su un tappeto di vetri rotti, per permetterle di camminarmi sopra senza rischiare di ferirsi. Ho un vero e proprio senso di responsabilità nei confronti di quella ragazza, come se dovessi crescerla io. E quando mi dimostra puntualmente che in realtà è perfettamente in grado di badare a sé stessa, non faccio che macerarmi nell’angoscia che non abbia bisogno di me tanto quanto io ne ho di lei.
E’ questo il nostro problema, Lucifer: ci attacchiamo troppo alle nostre donne, chiediamo loro di salvarci, di renderci uomini migliori, e quando ci accorgiamo quanto dipendiamo da loro cerchiamo con ingegno inquietante un modo per mandare tutto a puttane. Perché a volte semplicemente sembra più facile rompere tutto quanto, lanciare i vasi fuori dalle finestre e riempirsi di tagli.
Quando ci rendiamo conto che non potremo mai dare loro nemmeno un terzo di ciò che danno a noi, quando le nostre mancanze sono sottolineate tre volte in rosso da ciò che invece per loro è naturale offrire… non lo so. Non lo so.”
Lucifer tace, osservando il cilindro di cenere che si è formato all’estremità della sigaretta che Thomas ha dimenticato tra le dita. L’uomo guarda fisso uno spigolo, e nonostante tutto la sua voce fuoriesce ferma, sicura, assolutamente in contrasto con il messaggio che porta.
“Non siamo uomini cattivi.”, dice semplicemente Lucifer.
Thomas alza gli occhi su di lui.
“No.”, risponde, sorridendo. Schiaccia la sigaretta nel posacenere, butta giù l’ultimo sorso di brandy. “No, siamo peggio. Siamo uomini danneggiati. Rotti in più punti, a tanto così dallo sbriciolarci definitivamente e irreparabilmente. Siamo un pugno di schegge che per puro caso hanno forma umana. E abbiamo al nostro fianco donne che sono colate d’oro zecchino.”
Lucifer si distende in un sorriso. “Conosci la pratica del kintsugi?”
Thomas sorride. Per un attimo, un sentito attimo di vento non sente quel solito contorcersi di budella che lo prende quando vede Lucifer sorridere di quel sorriso terribilmente suo.
“Ammiro il tuo ottimismo.”, ammette Thomas con un’alzata di spalle.
Lucifer si alza dalla poltrona, si sistema la giacca e il colletto della camicia.
“Vorrei sposare Chloe. Qui. Nel vostro giardino.”
Prima che Thomas possa chiedere qualsiasi cosa, dopo essersi fatto andare una boccata di fumo di traverso, Lucifer lo zittisce: “La Papessa. La Papessa mi ha raccontato.”
Thomas scuote leggermente la testa e sbuffa. “Quella donna…”
Guarda Lucifer attraverso la patina malinconica che il brandy ha solo parzialmente reso meno pesante del solito: dall’altra parte c’è un uomo che sicuramente è molto simile a lui sotto una pletora di punti di vista; un uomo che, come lui, ha preso la vita a capocciate da quando ha aperto gli occhi sul mondo. Tuttavia presenta una sostanziale differenza, rispetto a lui: per quanto si sia scornato con la superficie fredda della realtà, e per quanto ancora avrà da rompervisi le corna, non ha alcuna intenzione di rassegnarsi. Minimamente
Thomas prende un altro sorso avido di liquore, prima che qualcosa da qualche parte nella sua mente, si senta titolata a informarlo che forse, da questo punto di vista, potrebbe addirittura imparare qualcosa da Lucifer – ma l’orgoglio, si sa, è fatto di materiale refrattario.
“Nel mio giardino?”, dice, senza riuscire a nascondere un moto di incredulità. “E’ di questo, dunque, che volevi parlarmi?”
Lucifer raccoglie l’accendino e il pacchetto di sigarette; si dà una scrollata e cerca di mantenersi in equilibrio nonostante i fiumi di brandy che scorrono nelle sue vene. “Nel tuo giardino. Sì.”
“Cos’è, una sorta di danza dell’umiliazione sulla tomba del mio fallitissimo primo matrimonio?”, chiede Thomas, ironico.
“No, mio caro.”, risponde Lucifer, avvicinandosi per dargli una sonora pacca sulla spalla. “Voglio dimostrarti quanto hai torto, per tutto il discorso di poc’anzi riguardo uomini guasti e donne auree.”
Thomas rivolge uno sguardo interrogativo alla mano che Lucifer gli ha offerto. Nei suoi occhi scuri brilla qualcosa di pericoloso: un’idea.
Thomas, tuttavia, dice fra sé oh, ma che cavolo, e agguanta la mano.
“Forza. Ho parecchie idee e poco tempo per metterle in atto; quando hai detto che torna, tua figlia?”
“Tra qualche giorno.”, risponde Thomas. Poi lo osserva, incerto. “Si chiama Eve, comunque.”
“Eve.”, ripete Lucifer, alzando un sopracciglio in un modo che ripristina istantaneamente tutta l’antipatia che Thomas ha sempre provato nei suoi confronti. “Non vedo l’ora di conoscerla.”
 
 
 
 
 
 
 
Who cares, baby,

I think I wanna marry you.
(Bruno Mars)
 
 
 




 
 
Scusate.
Avevo ancora un po’ di cenere da scrollarmi di dosso.
Ma ora ci sono.
Volevo fare una cosa particolarmente blasfema e pubblicare questo capitolo domani, accompagnandolo con un commento arguto del tipo Dio, come ha risuscitato il Signore, così risusciterà anche noi mediante la sua potenza, ma poi ho pensato che non è carino rubare la scena a Gesù proprio il giorno del suo ritorno alla ribalta.
Quindi eccoci.
Eccoli, i miei adorati broken boys.
Eccovi. (almeno spero)
Vi auguro sentitamente una felice Pasqua, ovunque voi siate, sia che mangiate agnello o colomba o panini al tonno perché non c’avete per le palle di spadellare.
C’è odore di rinascita, nell’aria, non so se anche per voi è così.
Sarà la primavera.
Sarà che l’oculista l’altro giorno mi ha riempio gli occhi di atropina e ancora non ci vedo benissimo, e quindi mi devo basare totalmente sugli altri sensi.
Sarà perché ti amo
In ogni caso, invio dei grossi baci a tutti voi. Dovrebbero arrivare in due-tre giorni lavorativi.
Yours truly,
 
Yunomi Tazzadité.
 
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Lucifer / Vai alla pagina dell'autore: Yunomi