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Autore: E_AsiuL    03/04/2021    1 recensioni
Il rapporto tra il medico legale Tessa Beale e il detective Gabriel Giuliani non è mai stato idilliaco. Ma le cose potrebbero cambiare per via di un serial killer, il cui operato toccherà Tessa un po' troppo da vicino.
Genere: Introspettivo, Noir, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Ehilà! Scusate, mi ci è voluto un po'. Per farmi perdonare, è un po' più lungo degli altri.
Attenzione: c'è una leggera descrizione dell'autopsia (come diceva uno che conoscevo e che poi ho "trasformato" nel buon vecchio Gabriel, "Se Lu non ci mette qualcosa di macabro non è lei!"), giusto per avvisarvi. Come per il precedente, se pensate di impressionarvi, leggete solo i dialoghi. 

 
 
11
Era molto divertente, vedere Giuliani a disagio. Lo stesso cadavere che, un paio di giorni prima, sulla scena, gli era stato indifferente, ora, sul tavolo d’acciaio della sala autopsie, sembrava creargli qualche problema.

Greta, l’assistente preferita di Tessa – seria, svelta, attenta – le avvicinò l’ecografo.

«Perché l’ecografia, quando tanto dovrà aprirla comunque? Non conviene tagliare e vedere direttamente?» commentò Giuliani, mentre Tessa e Greta preparavano la vittima ad un’ecografia pelvica.

«L’ha visto, quello che le è stato fatto, detective?» ribatté Tessa, piccata, senza neanche guardarlo. «Dovrò aprirla, è vero. Se lo riterrò necessario dovrò anche scucirle la faccia e scoperchiarle il cranio. Mi dica perché dovrei anche farle un’incisione che potrebbe essere inutile, tenendo conto delle violenze che ha subito e quello che dovrò farle comunque».

Gabriel la guardò, serio, le braccia incrociate. «È morta, dottoressa. Non gliene frega più niente».

Tessa compresse le labbra in una linea sottile. «Frega a me, detective».

«È un pezzo di carne, ormai» sostenne Giuliani.

«E io sono un medico, non un macellaio» ritorse Tessa, in mano la sonda.

Gabriel stava per aprire di nuovo bocca, ma Alex gli strinse la spalla, invitandolo al silenzio. sbuffando, il detective assecondò il collega.

Sullo schermo dell’ecografo, intanto, iniziavano a comparire fumose immagini grigie. Tessa imprecò sottovoce. Accanto a Gabriel, Alex si irrigidì.

«Dottoressa, è quello che penso?» chiese Greta, indicando lo schermo. Tessa annuì.

«Credo proprio di sì, Greta» sussurrò Tessa. Con il cursore, selezionò e ingrandì una porzione dell’immagine. «Circa tre centimetri e mezzo di lunghezza…»

«Tra le undici e le dodici settimane…» commentò Alex, cupo.

Gabriel, confuso, guardò dall’uno all’altra. «Era incinta, allora?» chiese, per conferma.

«Sì, detective» gli rispose Greta.

«Allora dovrà procedere per forza, dottoressa» insisté.

«No». Tessa si voltò verso di lui, un’espressione dura in viso.

«Come ha detto? Non ho sentito bene» gli occhi verdi di Gabriel lanciavano strali. Fece un passo verso il tavolo, allontanando la mano di Alex che cercava di trattenerlo.

«Ho detto di no, detective. Non ritengo necessario procedere con la rimozione del feto».

«Vuole intralciare le indagini, dottoressa Beale?» ritorse Giuliani, ad un passo dal tavolo d’acciaio.

«È una procedura che non ritengo abbia rilevanza» insisté. «Mi porti un ordine firmato dal Capitano Green, se proprio ci tiene».

«Lei mi è sempre stata sul cazzo, dottoressa, lo sa?»

Tessa sorrise, senza che raggiungesse gli occhi. «Perché io possa starle sul cazzo, detective, dovrebbe prima averne uno».

Gabriel sgranò gli occhi, serrando le mascelle. «Per sua informazione, le mie misure sono più che adeguate» sibilò.

«Le ricordo che sotto i cinque centimetri è un clitoride, detective. E ora porti il culo fuori dalla mia sala autopsie, prima che quel vermetto glielo taglio e glielo do da mangiare».

«Ooh questa è la volta che la faccio mandare a casa a fare la calza, dottoressa…»

«Le ho detto di uscire, detective. Quale parte di ‘fuori dalla mia sala autopsie’ non le è chiara?» questa volta, Tessa alzò la voce. Accanto a lei, Greta guardava Alex, implorandolo con gli occhi di intervenire.

Con un respiro profondo, Alex fece un passo avanti. «Fa’ come dice, Gabriel. Per favore».

Giuliani si voltò verso di lui, per nulla stupito dal fatto che la difendesse. «Ovviamente, tu stai dalla sua parte, venduto…»

«Non sto dalla sua parte. Ci serve l’autopsia. Se non ti levi dalle palle, lei non procede. Perdiamo tempo. E non ne abbiamo» ragionò. «Esci. Chiama il Capo e vedi se è assolutamente necessario esaminare il feto. Nel frattempo, qui la situazione si sarà sbloccata…»

«Bah!» sbottò Gabriel, allontanando il collega. «Spero pe te che a letto che sia decente, amico» gli bisbigliò, prima di girare i tacchi e uscire.

Quando la porta si fu chiusa alle spalle del detective e i suoi passi divennero lontani in corridoio, Tessa si appoggiò al tavolo, a testa china, e sospirò.

«Greta, per cortesia, metti via l’ecografo mentre io preparo qui» disse, ignorando completamente l’accaduto ripulendo il cadavere dal gel usato per l’ecografia.

«Prendo il registratore?» Greta decise di adottare la stessa strategia e avvicinò il carrello preparato in precedenza con il necessario.

«Sì, grazie» rispose Tessa, poi si voltò verso Alex. «Hai intenzione di assistere? Perché nel caso ti conviene mettere qualche protezione» disse, seria.

«Non mi basta stare indietro?» tentò. Tessa non gli rispose, concentrandosi sull’infilare dei guanti puliti. Accanto a lei, Greta indicò al detective dove recuperare le protezioni necessarie, dal camice alla visiera.

Tessa accese il registratore, iniziando con data e ora, dichiarando le proprie generalità, quelle di Greta e Alex.

«La vittima è Catherine Eloise Fields, 23 anni» continuò, aggiungendo poi altezza e peso. «Dalle radiografie, risultano fratture al radio sinistro, quarta e quinta costola sternale destra, vertebre da T4 a T8, femore destro, perone sinistro. Si suppone compatibili con una caduta, probabilmente è stata spinta giù per una lunga serie di gradini. Si tratta di una speculazione, in quanto non è stata riscontrata la presenza di emorragie interne attraverso esami diagnostici. Si rimanda al rilievo interno per conferma». Tessa mise in pausa la registrazione, prendendo fiato. «Si rilevano ematomi in corrispondenza delle fratture. Dall’aspetto di questi e delle ossa, i traumi possono essere datati da un minimo di una settimana fino a un massimo di venti giorni prima del decesso».

«Gesù Cristo…» mormorò Alex. Era stata in mano a quella pazza per forse persino venti giorni? L’aveva presa appena loro avevano trovato la seconda, più o meno. Il che significava, forse, che ne aveva già trovata un’altra.

Intanto, Tessa e Greta proseguivano. «Si segnala la presenza di incisioni suturate all’altezza del diaframma, sui fianchi, interno coscia. Misura variabile dai tre ai cinque centimetri». Tessa mise di nuovo in pausa la registrazione, facendo cenno a Greta di divaricare – per quanto possibile – le gambe della vittima.

«Così va bene?» le chiese l’assistente. Tessa annuì.

«Lacerazioni su grandi e piccole labbra. Escissione del clitoride» Tessa staccò di nuovo la registrazione, deglutendo rumorosamente. Greta richiuse le gambe della vittima, senza fare un fiato ma visibilmente pallida. Alex, dall’altro lato del tavolo, stava assumendo una sfumatura verdastra.

«Se ti serve un secchio, è vicino alla porta» commentò Tessa, guardandolo con la coda dell’occhio. Alex scosse la testa.

«Come si può…» commentò.

Tessa si strinse nelle spalle. «A quanto pare, si può» commentò, riprendendo l’elenco dei traumi esterni. «Entrambe le mammelle sono state rimosse, dall’aspetto di suppone con una lama liscia, compatibile con un coltello da macellaio» disse, passando le dita guantate sui punti in cui erano stati i seni della vittima. «Lama decisamente affilata, un solo colpo, netto. Frattura al naso» raggiunse la testa della vittima, scostandole i capelli dalla tempia. «Cosa abbiamo qui… foro d’entrata, all’altezza dell’osso temporale destro, verso il parietale». Tessa staccò di nuovo il registratore. Greta, senza bisogno che lei la chiamasse, la raggiunse, muovendo la testa della vittima sulle articolazioni ancora rigide del collo. Insieme, tastarono fra i capelli, esaminando lo scalpo.

«Nessun foro d’uscita» concluse Greta.

«Foro d’uscita assente. Probabile che il proiettile sia ancora alloggiato nel cervello. Anche se non è stato rivelato dalla radiografia» commentò Tessa, perplessa, interrompendo di nuovo la registrazione.

«Perché sto pensando ad un proiettile di ghiaccio?» commentò Alex.

Tessa si strinse di nuovo nelle spalle. «Perché escludendo tutte le ipotesi plausibili resta solo quella. Escludo un malfunzionamento dei macchinari o uno scambio di lastre».

«Dobbiamo aprirle il cranio, dottoressa?» chiese Greta. Tessa annuì. Alex divenne sempre più verde.

Come un meccanismo ben oliato, Tessa e Greta procedettero senza bisogno di indicazioni. Greta sollevò la testa della vittima, mentre Tessa cominciava ad inciderne la carne dietro la nuca. Sapendo cosa aspettarsi, Alex preferì distogliere lo sguardo. Poteva sentire il suono umido e appiccicoso della carne che veniva lentamente e accuratamente separata dall’osso e preferì continuare a non guardare mentre Tessa e Greta letteralmente staccavano la faccia alla vittima.

«Direi che possiamo fermarci qui» disse Tessa.

Alex arrischiò uno sguardo e si voltò di nuovo verso la parete prima che la sua mente potesse effettivamente registrare che quella cosa, poco tempo prima, era stata umana. Sentì il ronzio della sega che girava a vuoto e poi lo scricchiolio delle ossa che cedevano. Ignorò quello che Tessa diceva al registratore e finse di non sentire il suono simile a una ventosa che si staccava mentre il medico legale e la sua assistente sollevavano la calotta cranica.

«Cosa abbiamo qui…» mormorò Tessa, rigirandosi la calotta cranica fra le mani. Alex si voltò verso il tavolo, gli occhi socchiusi. La vide seguire con il mignolo il profilo di qualcosa sull’osso.

«Sembra una vecchia incisione… chirurgia cerebrale?» tentò Greta.

«Alex, hai per caso avuto accesso alla sua storia clinica?» Tessa si voltò verso di lui, ancora con la calotta in mano, come la metà grottesca di un uovo di cioccolato. Alex ricacciò in gola la bile.

«Non ancora» gracchiò. «Che… che intervento pensi possa aver subito?»

Tessa storse il naso, poggiando la calotta sul tavolo e sfiorando la fessura tra i due emisferi cerebrali. «Sto pensando ad una callosotomia, ma mi sembra assurdo. Non ne fanno più da anni…»

«Callo…che?» le chiese il detective, perplesso.

«Sezionamento del corpo calloso» rispose Tessa. Quando Alex continuò a guardarla perplesso, aggiunse «Il cervello viene diviso a metà e i due emisferi non comunicano più. Si è usata per un periodo nei casi peggiori di epilessia…»

«Fingerò di aver capito tutto» Alex alzò una mano per fermarla, sapendo che, altrimenti, sarebbe scesa in dettagli fin troppo tecnici. «Ti farebbe comodo sapere se si è sottoposta ad un intervento al cervello, in soldoni».

«Eh. Anche se faccio prima ad estrarre e aprire, ormai, e vedere da me. Tanto comunque devo farlo per quel foro d’entrata…»

«Lungi da me fermarti…» borbottò il detective. Gli parse di vedere Greta trattenere un sorriso. Si voltò di nuovo a fissare un punto imprecisato della parete mentre con altri rumori viscidi il medico legale estraeva il cervello della vittima.

Tessa stava esaminando la porzione di lobo temporale e parietale su cui si trovava il foro d’entrata, opportunamente sezionato – aveva già confermato che la vittima aveva subito una callosotomia – quando la porta della sala autopsia si aprì, attraversata da un soddisfatto, e rapidamente schifato, Gabriel Giuliani. Tessa alzò appena gli occhi, aggrottando le sopracciglia.

«Mi pareva di averle detto di andarsene, detective» sibilò, per poi registrare le proprie conclusioni. «Data la natura della cavità provocata dall’oggetto conficcato nel cranio della vittima, si rettifica la causa. Trattasi di trauma penetrativo causato da un oggetto appuntito, compatibile con punteruoli, cavatappi, punte di trapano, persino cacciaviti». Con cura, reinserì il cervello nella scatola cranica.

«Mi aveva anche detto di procurarmi un ordine del Capitano per la rimozione e l’analisi del feto, dottoressa» rispose il detective, sbattendole in faccia un foglio con la firma e il timbro del Capitano Green. Tessa strinse gli occhi e dilatò le narici, ma non fiatò. Giuliani non poté trattenere un sorrisetto compiaciuto. Tessa tornò al suo lavoro, facendo cenno a Greta di rimettere a posto la faccia della vittima. Ancora in silenzio, suturarono lo scalpo.

«Se ha intenzione di assistere, i camici sa dove sono» bofonchiò Tessa, spostandosi verso il tronco della vittima. Respirò lentamente, grata del fatto che l’odore fosse meno intenso che sulla scena – merito del fatto che il cadavere fosse stato lavato e refrigerato, per non parlare dell’impianto di areazione che aiutava e non poco – e contò fino a dieci. Anche se, forse, sarebbe stato meglio diecimila. Non poteva permettersi di fantasticare di avere Giuliani sdraiato sul tavolo, no. Anche perché, il giorno in cui lei avrebbe del tutto perso le staffe e fatto fuori il detective, sarebbe sembrato un incidente.

Alex sembrò indovinare il corso dei suoi pensieri e le scoccò un’occhiataccia, sollevando un sopracciglio. Tessa si morse il labbro e calò il bisturi, iniziando ad incidere poco sotto le clavicole della vittima e lungo lo sterno, disegnando una Y. Come avevano fatto per il cranio, lentamente lei e Greta procedettero ad incidere fino a staccare la carne dall’osso, mettendo in luce la cassa toracica. Mentalmente, Tessa dovette riconoscere che sì, il suo lavoro aveva un po’ i tratti di quello del macellaio. Confermò al registrare le fratture alle costole e prese a tranciare quelle integre.

«Aveva detto di non essere un macellaio, dottoressa» la prese in giro Gabriel.

Tessa lo ignorò, ma Greta batté una mano sul tavolo.

«Ci lascia lavorare, detective, o passerà il tempo a fare il cretino?» sbottò, prima di riportare l’attenzione sul suo compito. Gabriel sbuffò, incrociò le braccia e rimase in silenzio. Ma chi si credeva di essere, quella ragazzina? Aveva sicuramente passato troppo tempo con la Beale e assimilato il suo caratteraccio.

A differenza di Alex, concentrato su un punto imprecisato della parete, Gabriel non si perse un attimo dell’esame della cavità toracica della vittima. Seguì con lo sguardo mentre Tessa e Greta estraevano, pesavano ed esaminavano organi. Non commentò quando Greta, i guanti resi viscidi dal sangue, rischiò di farsi cadere di mano il contenitore con il contenuto dello stomaco – probabilmente solo succhi gastrici.

«Stando allo stato dei polmoni, era una fumatrice o passava del tempo con qualcuno che fumava» commentò Greta.

«Controlla le mani e i denti» suggerì Tessa distrattamente, facendo delle annotazioni riguardo il cuore al registratore.

«Niente di indicativo. Ma potrebbe sbiancarsi i denti e usare qualcosa di abrasivo sulle dita per le macchie».

«Mh… guarda qui» Tessa indicò una lacerazione nel ventricolo destro. Greta si avvicinò.

«Dice che l’hanno pugnalata?» chiese l’assistente.

«Dimmelo tu» Tessa le passò l’organo. Greta sgranò gli occhi, studiandolo, rigirandoselo fra le mani.

«Lacerazione all’altezza del ventricolo destro. La lama usata ha sezionato la valvola tricuspide, si vede senza bisogno di aprirlo» Greta alzò gli occhi su Tessa. «Abbiamo trovato la causa della morte?»

«Qualcosa mi dice di sì, Greta. Mi sa proprio di sì».

Dopo aver registrato le loro conclusioni sotto gli occhi vigili di Giuliani e l’orecchio attento di Alex, Tessa e Greta ricomposero la cavità toracica della vittima, richiudendola.

«Non è finita qui, dottoressa» commentò Gabriel, ricordando a Tessa l’ordine di esaminare il feto.

«Lo so. Mi concede almeno di ricomporre questa poveretta, o davvero devo trattarla come un pezzo di carne appena frollata?» ritorse il medico legale. La mano stretta intorno al bisturi tremava e Gabriel se ne accorse. Il detective si prese un attimo per guardare davvero quella rompicoglioni della Beale. Non sembrava avere una bella cera, gli pareva quasi malata. Immaginò che, per una donna, trovarsi davanti quella categoria di vittime – donne giovani e incinte – fosse tutt’altro che piacevole e che, prima o poi, persino una come lei avrebbe dovuto cedere alla pressione. E tenuto conto che si era pure sentita male sulla scena, il che per lei era una novità… stava sicuramente male.

Alex avrebbe preferito continuare a non guardare. Avrebbe preferito non vedere la mano di Tessa tremare, mentre avvicinava il bisturi alla zona pelvica. Avrebbe preferito non vederla chiudere gli occhi, serrando le palpebre con forza, prima di riaprirli, la mano di nuovo ferma, e incidere.

«Non posso…» mormorò Tessa, alzando di scatto la mano, portandosi l’altro polso – il sinistro – alle labbra. Fece un passo indietro, allontanandosi dal tavolo. «Greta, per cortesia, finisci tu. Io…» inspirò, cercando di calmarsi. «Io devo andare» borbottò, strappandosi di dosso i guanti e il camice, scappando dalla sala autopsie.

 
Non era la prima volta che si trovavano in quella posizione. Non era la prima volta che la trovava con qualcosa di affilato in mano, pronta a tagliare o con già un segno nuovo sul braccio.

«Theresa». Alex si chiuse alle spalle la porta del bagno. L’aveva inseguita, lasciando Gabriel in sala autopsie con Greta.

«Vattene, Alex. Lasciami in pace». Non si voltò nemmeno a guardarlo, restando con gli occhi bassi sul lavandino, il braccio sinistro poggiato sul bordo, la pelle arrossata. Aveva sfregato con forza, cancellando le farfalle che aveva disegnato. Le cicatrici più vecchie facevano bella mostra di loro stesse insieme ad un taglio nuovo.

«Quando la smetterai?» sbottò Alex, seguendo con gli occhi il percorso del sangue che le scorreva lungo il braccio e gocciolava nel lavandino. Profondo abbastanza da lasciare il segno, non abbastanza da essere realmente pericoloso. Tessa strinse i pugni, il destro che tremava intorno al bisturi.

«Quando la smetterai?» reiterò Alex, senza avvicinarsi. «Quando crescerai, Theresa?» In altri momenti, aveva cercato di ragionare con lei. Altre volte aveva cercato di consolarla. Poi, ad un certo punto, si era stancato.

«Non puoi capire…» sussurrò lei. «Non hai idea di che vuol dire…»

«E allora spiegamelo, dannazione!» esplose. «Spiegami perché sei scappata, spiegami perché hai sentito l’irrefrenabile bisogno di tagliarti ancora!»

«Non volevo vedere! Non potevo vedere!» Tessa chinò la testa, stringendo gli occhi, come se, chiudendoli, le immagini che le vorticavano nella mente sarebbero scomparse, invece di farsi sempre più nitide.

Alex combatté contro l’istinto di andare da lei e stringerla, come ogni volta che la vedeva piangere. Si costrinse a restare immobile, mentre lei tirava su col naso, sciacquandosi il braccio. Il detective restava sempre stupito dalla fredda razionalità che sembrava subentrare dopo quegli attacchi. Ripuliva, medicava, come se non fosse il suo braccio, come se non fosse stata lei a ferirsi.

«Che cosa non potevi vedere?» insisté, freddo. Sapeva benissimo di cosa stava parlando Tessa. Non era stupido, il collegamento lo aveva fatto anche lui.

«Tu non c’eri, Alex. Non hai idea…» Tessa scosse la testa. «Tu non lo hai visto…» ingoiò rumorosamente. «Non hai idea di com’è stato, di quanto faccia male… e l’idea di… di vederne un altro, uguale…»

«Non ha fatto male solo a te» rispose, in tono cupo. «O. era anche mio, se non te lo ricordi. Non lo hai perso solo tu» attaccò. «E smettila di usarlo come scusa per tutto, cazzo!»

«Non lo sto usando come scusa!» si voltò verso di lui, gli occhi grigi che lampeggiavano.

«Invece sì, Theresa!» Alex la raggiunse, prendendole il braccio. «Una vittima è casualmente alla stessa settimana, ti viene chiesto di esaminare anche il feto, e tu subito vai a tagliarti perché buhu, povera me, mi ricorda quando l’ho perso io!» Alex fece un passo indietro, gli occhi castani che la guardavano duri. «Se non riesci a fare nemmeno il tuo lavoro, forse è il caso che te ne trovi un altro. O, se tagliarti ti piace così tanto, la prossima volta fallo per bene. Dal polso al gomito, dottoressa Beale».

«A-Alex…»

«Se tagliarti è l’unica cosa a cui riesci a pensare, l’unica soluzione che riesci a trovare, fallo una volta per tutte. Ammazzati» disse, prendendo l’anello che Tessa aveva lasciato sul lavandino.

Prima che lei potesse rispondere, uscì dal bagno sbattendo la porta.
 

Note:
Non interessa a nessuno, lo so, ma la cosa dei "sotto i cinque centimetri è un clitoride" la dissi io all'individuo di cui sopra. Credo che per almeno dieci minuti abbia usato ogni variazione sul tema di "sta stronza". Ovviamente, si scherzava.
Credo che l'escissione del clitoride si spieghi da sola, ma nel caso... è la sua rimozione, generalmente accompagnata dalla sutura della vulva (vengono lasciate "aperture" solo a livello dell'uretra e per il sangue mestruale). Lo so, fa schifo, orrore e ribrezzo. Il termine tecnico è infibulazione. Vi sembrerà barbarico, ma è ancora praticata. In Nigeria è diventata illegale nel 2015. In Sudan solo l'anno scorso. 
La callosotomia viene - o veniva, non ho fonti certe che sia stata totalmente abbandonata - usata nel caso di seria epilessia farmacoresistente. Come grosso "contro" ha il fatto che i due emisferi non comunicano più tra loro (vengono letteralmente separati, i pazienti sottoposti a callosotomia vengono definiti "split-brain"), letteralmente la destra non sa cosa fa la sinistra, con effetti non esattamente piacevoli: ad esempio, se viene mostrato loro un oggetto nella parte sinistra del campo visivo, non riusciranno a dirne il nome (la parte sinistra è processata nell'emisfero destro, mentre i centri di controllo del linguaggio sono nel sinistro), si può avere confusione e problemi di memoria, giusto per accennarne qualcuno. Ma ehi, le crisi diventano meno frequenti e gravi (dato che i due emisferi non comunicano, le scariche elettriche di una crisi generata in un emisfero, resteranno confinate in quell'emisfero).
Non sono sicura - diciamo che assolutamente non lo so - se questa è la procedura corretta in un'autopsia. D'altronde, di mestiere faccio altro, non il medico legale.
Alex... non so. Stronzo? Stanco? Bipolare? Tutte e tre?
Alla prossima, spero presto e... ci siamo quasi. 


 
  
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