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Autore: Sofifi    04/04/2021    3 recensioni
High School A.U. ~ Contesto sportivo ~
Gli studenti di vari istituti londinesi si ritrovano, come ogni anno, per l'evento sportivo più atteso della stagione.
“Avrei dovuto ascoltare mio padre, lui sì che mi ha sempre sconsigliato di mischiarmi ai poveretti come te. I purosangue, dopotutto, non fanno a gara coi pony e non vedo perché per noi esseri umani le cose debbano andare diversamente.”
Draco pronunciò quelle parole offensive ostentando convinzione; eppure, lì per terra coi lacrimoni agli occhi, non si sentiva poi così speciale.
[La storia partecipa alla challenge "Apri le challenge" indetta da Gaia Bessie su Facebook.]
Genere: Comico, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Thomas, Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto, Contesto generale/vago
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Questioni irrisolte
(e goffi tentativi di mantener alto l’onore)

 

 

Ogni anno, l’ultimo lunedì di maggio, una sfilza di pulmini colorati raggiungeva il liceo cattolico St. Mary’s holy faith per l’evento sportivo più atteso della stagione.
Autobus di ogni marca e dimensione riempivano il grande parcheggio sterrato della scuoletta di periferia, e centinaia di ragazzi si ammucchiavano sugli ampi spalti moderni o negli spogliatoi spaziosi ma comunque accoglienti.
L’unico vanto della fatiscente St. Mary era, infatti, lo stadio, donato pochi anni prima alla scuola dalla celebre fondazione dentistica Granger&MacCullagh; la stessa fondazione che si era poi occupata di trovare tutta una serie di figure professionali che potessero mantenere l’edificio nelle condizioni migliori (facendo così percepire l’annesso istituto come ancora più vecchio, sporco e ammuffito).
Ogni anno, l’ultimo lunedì di maggio, centinaia di studenti provenienti dalle scuole e dalle classi sociali più disparate si sfidavano nelle diverse discipline dell’atletica leggera, bramando di portarsi a casa chi una delle borse di studio in palio, chi la gloria.
Harry e Ron, membri della squadra di atletica del St. Mary, si erano allenati molto per quella competizione: il primo per i 3000 piani, il secondo per il lancio del giavellotto, ed erano certi di essere in gara per il podio. Entrambi aspettavano l’arrivo degli autobus con malcelata curiosità e crescente trepidazione, camminando per il parcheggio e passandosi a vicenda un sassolino come se fosse una palla da calcio. Quella giornata era carica di speranza, ma anche d’ansia e preoccupazione; la gloria avrebbe fatto piacere a chiunque, ma le borse di studio in palio erano una possibilità unica per gli studenti in difficoltà economica. I due amici, in quell’intimo momento di solenne attesa, trovavano conforto nelle azioni semplici come tirare calci a una pietra e in una routine che si ripeteva ogni anno alla stessa maniera.
Come sempre, il primo autobus ad arrivare fu quello grigio appartenente agli snob della vicina scuola privata, frequentata anche dal cugino di Harry. Non appena i due amici lo avvistarono, si scambiarono un cenno del capo e, a passi lunghi e ben distesi, si avvicinarono all’autovettura più prossima.
L’autobus raggiunse lo spiazzo a tutta velocità e l’autista parcheggiò con una sgommata, alzando nell’aria tiepida una nuvola di polvere, che avvolse anche Ron ed Harry.
I due ragazzi, nascosti dietro alla Rolls-Royce vintage del preside Silente, osservarono quel gruppetto di studenti inamidati scendere dal bus grigio, che cominciava a mostrare i segni dell’età e che quindi stonava con la ricercata apparenza del corpo studentesco. Harry e Ron non se ne rendevano conto, ma agli occhi del preside, che i ragazzi non si erano accorti fosse ancora chiuso nella sua automobile lussuosa, la scena risultò piuttosto comica.
Albus Silente, dopo essersi ricomposto, aprì la portiera e scese dall’auto; salutò i due ragazzi nascosti come se fosse la cosa più normale del mondo starsene lì inginocchiati, e si diresse verso gli spalti: quella mattina era di ottimo umore, non vedeva l’ora di guardare i suoi studenti preferiti stracciare gli atleti boriosi degli altri istituti. Si sfiorò la tasca, controllando di avere con sé il pacchetto di dolciumi: per ogni podio si sarebbe concesso una caramella Mou extra, alla faccia della dieta.
Harry e Ronald non lo sapevano, nessuno lo sapeva, ma quell’anno i soldi delle borse di studio provenivano tutti dalle tasche di Albus (il precedente benefattore era andato in bancarotta); l’anziano aveva aggiunto a suo piacimento premi extra qua e là (come un compenso per la fatica dedicato ad ogni mezzofondista che arrivasse al traguardo) in modo da assicurare a tutti gli studenti del St. Mary un futuro un po’ più tranquillo. Aveva deciso, però, di annunciare la novità solamente al termine dell’evento: i suoi studenti dovevano comunque dare il cento per cento, o si sarebbe annoiato.
Non appena Dudley e i suoi compagni furono lontani, probabilmente ad appropriarsi degli spogliatoi, Harry tirò un sospiro di sollievo – doveva evitare ad ogni costo il cugino, se non voleva rischiare di farsi rovinare la giornata –. Con un gesto veloce agguantò il pennarello indelebile bianco che teneva nei boxer, fermato dall’elastico stretto e, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno nei paraggi, si alzò in piedi assieme all’amico.
“Hai pensato a cosa scrivere quest’anno?” gli chiese Ron, curioso.
“A dir la verità no. Mi farò ispirare dalla faccia lardosa di Dudley...” rispose Harry sghignazzando.
I due si avvicinarono al bus grigio. Sul retro, una chiazza di vernice più scura copriva il risultato del loro precedente atto vandalico.
“Che facciamo? Cambiamo zona?” chiese Harry, riflettendo sul modo migliore per rovinare quell’autobus.
“Non saprei”, ammise Ron.
Harry stappò il pennarello e fece qualche passo verso destra: Scoreggioni a bordo, scrisse a caratteri cubitali sul retro dell’autobus, prima di passare l’oggetto – prova del misfatto – nelle mani di Ron.
Il rosso rise, poi anche lui avvicinò la punta del pennarello al metallo. A caratteri più bassi e stretti aggiunse: Tenere lontane le fiamme, poi decorò il messaggio abbozzando i contorni di un teschio.
Era solo uno sfogo, il loro. Uno sfogo anonimo scritto in fretta e furia prima dell’arrivo degli studenti delle altre scuole, una consuetudine nata per caso. Eppure, Harry si faceva bastare quella dolce vendetta per un anno intero, pur ricordandosi sempre che la vera resa dei conti sarebbe giunta soltanto in futuro, assieme alla maggiore età.
Una volta terminata l’opera, Harry e Ron buttarono il pennarello nel cestino dei rifiuti più vicino. Poi, curiosi, si ritirarono sul bordo dello spiazzo: volevano restare lontani da occhi indiscreti ma, allo stesso tempo, non perdersi nulla dell’imminente parata.
Presto cominciò lo stravagante corteo di veicoli, che durò per tutta la mattinata. Gli autobus rispecchiavano le reali possibilità economiche delle varie istituzioni scolastiche, facilmente ingigantite dai design accattivanti e all’apparenza curati delle divise – spesso di materiali scadenti –, per cui i vari presidi, non appena posavano i piedi a terra, approfittavano di quella candida occasione per confrontare la propria scuola con le altre, per assicurarsi di non aver perso alcun prestigio.
Harry e Ron fecero poco caso a quegli adulti spocchiosi. Loro si concentrarono, sì, sui colori e sui modelli dei pullman, ma, in particolar modo, sui coetanei... cercando di riconoscere quelli più forti che, uno dopo l’altro, continuavano ad apparire.
Per ultimo, come una primadonna, arrivò l’ampio autobus della Westminster school.
Il bus era sempre nero, sempre brillante, sempre nuovo; le divise sportive degli studenti, in lino verde e con ricami in fil d’argento, sempre lisce, pulite e profumate.
Uno stuolo di studenti cominciò a uscire dalla porticina del mezzo di lusso, chi in verde, chi, venuto a far da spettatore, nella più sobria uniforme scolastica.
Harry si mise a contemplare quella folla con curiosità, e subito notò la testa bionda appartenente al temutissimo e antipaticissimo rivale.
Draco Malfoy, campione in carica, non appena si accorse di essere osservato con tanto interesse richiamò l’attenzione di due compagni di squadra; con loro, poi, si diresse in direzione dei coetanei del St. Mary.
Draco, dei due, riconobbe solamente Harry: “Potter.”
Il ragazzo aristocratico aveva il naso storto in un’espressione di disgusto. Notava gli stracci luridi che indossavano i rivali e non riusciva a fare a meno di sentirsi nauseato da tanto sudiciume.
“Vedo che da queste parti non hanno ancora inventato la lavatrice,” commentò sprezzante, facendo ridere i suoi scagnozzi.
“Sta’ zitto, scialbo damerino!” gli rispose a tono il rosso.
Ron aveva sentito quelle parole a lezione di letteratura e da allora le aveva sempre accostate all’immagine di Malfoy.
Draco inarcò le sopracciglia, scocciato, e provò ad istigare Harry, che ribolliva accanto all’amico.
“Finalmente ti sei trovato un menestrello che parli al posto tuo. Bravo, risparmia fiato, finché puo-”
Harry sputò sulle scarpe di Draco, che indietreggiò oltraggiato: “Come hai osato?”
“Avrò pure la maglia sporca di terra, ma per lo meno non sono un prepotente presuntuoso come te!”
“Tiger, Goyle… pensateci voi, qui. Questi poveracci non meritano il mio tempo.”
Draco si ripulì dalla bava strusciando la tomaia della scarpa destra sulla gamba di Harry, poi fece per voltarsi e si avviò verso lo stadio per riscaldarsi.
Vincent e Gregory, seguendo gli ordini dell’amico, trattennero gli ormai agitatissimi Harry e Ron.
I quattro ragazzi iniziarono presto ad alzare le mani: Vincent si concentrò su Ron, Gregory, invece, prese di mira Harry. I più snelli avevano dalla loro la destrezza, gli altri due la forza.
Harry e Ron se la cavarono relativamente bene in quello scontro improvvisato, riuscendo ad eludere quasi tutti i colpi dei grassi coetanei. Vincent, però, perdendo l’equilibrio, finì col cadere proprio sulla spalla destra di Ron.
Harry, spaventato dall’urlo dell’amico, decise che era giunta l’ora di terminare quella sciocca rissa; eluse un pugno di Gregory e, trascinandosi dietro l’amico, cominciò a correre in direzione dello stadio.
E menomale.
Pochi minuti dopo cominciarono le gare.








 
Harry era in piedi dietro alla linea bianca: la fronte ancora imperlata del sudore della zuffa, la maglietta umida, l’adrenalina nelle vene.
Col gomito destro sfiorava il braccio di Dean, suo compagno di squadra; alla sua sinistra, invece, era posizionato un ragazzo dall’uniforme azzurra che aveva detto di chiamarsi Oliver.
Harry era in piedi dietro alla linea bianca: aspettava il conto alla rovescia e lo sparo, proprio come Draco Malfoy e Blaise Zabini, fermi alla sua destra, a poche corsie di distanza.
Passarono alcuni secondi di respiri profondi e concentrati, poi lo starter levò la sicura dalla pistola e alzò la mano verso il cielo: tre, due, uno…
Un colpo.
I tifosi esultarono, la gara era ufficialmente iniziata.
Harry scalò dalla terza alla prima corsia, subendo diversi spintoni e spallate dagli avversari, e si stabilizzò nel gruppetto di testa, che teneva un’andatura sostenuta.
Assieme a lui c’erano l’amico Dean, quell’Oliver conosciuto poco prima, Draco, Blaise Zabini, e alcuni ragazzi dell’Accademia di Smeltings.
Per i primi tre giri la situazione rimase pressoché la stessa: Dean, Oliver e un ragazzo dalla divisa bordeaux si alternavano il comando, aumentando il ritmo ad ogni curva.
Harry seguiva quel gruppo in scia, seguito da Draco e dai rossi di Smeltings.
Al quarto giro, Oliver si staccò dalla testa, rimanendo indietro, e Dean iniziò ad arrancare; il drappello di testa cominciò a doppiare gli atleti più lenti, che nonostante la stanchezza volevano terminare comunque la corsa.
Col fiatone, una volta superata la linea di partenza per la quinta volta, Dean diede fondo alle sue ultime forze: aprì le danze con un allungo in progressione, e portò Harry in rampa di lancio, prima di scoppiare e cominciare a darsi al passeggio.
Potter era in testa, si immaginava l’alito dei rivali impregnargli i capelli, e così si spronava ad aumentare il passo.
“Manca poco,” pensava.
“Ormai devo vincere.”
Harry non si voltò mai, per non rischiare di perdere il ritmo, per cui fino al termine della corsa non seppe quanti ragazzi aveva ancora alle spalle al cominciare del sesto, del settimo o dell’ottavo giro.
Gli ultimi duecento metri furono i più estenuanti, la mente affaticata gli faceva vedere i fantasmi dei suoi avversari che lo superavano ed Harry, che non voleva di nuovo uscire da quello stadio da perdente, aumentò ancora la velocità, dando inizio ad un vero e proprio lunghissimo scatto finale.
I capelli stropicciati, la maglietta doppiamente sudata, l’adrenalina nelle vene: Harry superò per primo il traguardo.
Non si era mai voltato, quindi non poteva saperlo, ma di avversari alle spalle non ne aveva più avuti da tempo.








 
Seduto sull’erba Draco Malfoy, ritiratosi dalla gara al sesto giro, teneva un sacchetto di ghiaccio gel arrotolato attorno alla caviglia e osservava astioso Potter, il nuovo indiscusso campione.
Era arrabbiato con se stesso, il biondo, se soltanto non avesse appoggiato male quello stupido piede… No! Non era giusto che avesse vinto Potter, non lo era per nulla, non dopo tutta la fatica e gli allenamenti spesi a cercare la strategia perfetta assieme al suo coach.
Il ragazzo ringhiò, strappando da terra tutti i fili d’erba che gli capitarono tra le dita; nemmeno il secondo posto ottenuto da Blaise contribuì a migliorargli l’umore.
L’avvicinarsi del campione, invece, quello sì che contribuì a PEGGIORARGLI l’umore.
Il ragazzo ringhiò ancora una volta, sperando forse di spaventare quello straccione, ma la tecnica non ebbe successo: Potter, infatti, ignorò il suo verso e prese posto su quellocherimanevadelprato accanto a lui. Sorridendo.
“Smamma, Potter,” fece Draco a denti stretti “non è giornata.”
Harry allargò il suo ghigno e si stese accanto all’ex campione. Che voleva fare, torturarlo?
“Sono venuto per i complimenti,” ammise il vincitore, “dopotutto l’anno scorso io te li ho fatti.”
Draco ringhiò, una terza volta.
“Sei uno stupido,” proferì l’aristocratico, diventando tutto rosso in viso. “Un vero stupido.”
“Uno stupido vincente, però.”
Draco ringhiò per una quarta volta: non avrebbe mai ammesso che Potter era stato bravo, nemmeno sotto quella sottospecie di tortura. Pensò a come levarsi di torno lo straccione una volta per tutte e decise di far leva su quel buon cuore che, aveva notato, caratterizzava molti di quei poveretti della St. Mary.
“Quel deficiente... lurido... meschino del tuo amico… mi ha fatto lo sgambetto. Capisci, adesso, perché non è giornata?”
Harry aggrottò le sopracciglia, sorpreso.
“Dean!? Ma non è proprio da lui.”
“Beh, l’ha fatto. E ora levati dai piedi, che tanto poi siete tutti uguali. Quelli come te sanno solo combinare guai,” si sfogò Draco.
Poi aggiunse: “Avrei dovuto ascoltare mio padre, lui sì che mi ha sempre sconsigliato di mischiarmi ai poveretti come te. I purosangue, dopotutto, non fanno a gara coi pony e non vedo perché per noi esseri umani le cose debbano andare diversamente.”
Draco pronunciò quelle parole offensive ostentando convinzione; eppure, lì per terra coi lacrimoni agli occhi, non si sentiva poi così speciale.
Nonostante il discorso di Draco fosse stato decisamente impudente, Harry si lasciò convincere da quel tono emozionato, che per una volta aveva preso il posto del solito sibilio assillante, e decise lasciar perdere quella piccola vendetta personale. Deciso a saperne di più su ciò che era successo, però, si mise alla ricerca di Dean Thomas.
Lo trovò sugli spalti, seduto a pochi posti di distanza da una ragazza con la divisa della Westminster school.
“Ehi,” lo salutò.
“Ehi, campione. Ti sei ripreso?”
Harry sorrise, gli piaceva quell’appellativo: lo faceva sentire speciale, come un prescelto.
“Sì, sì, e… ho parlato con Malfoy.”
“Davvero!? E sei riuscito a farti fare i complimenti?” rise Dean.
“No… Mi ha detto che sei stato tu a farlo cadere, in realtà.”
Dean schiuse la bocca, sorpreso, poi un brutto pensiero gli attraversò la mente.
“E non ci crederai, spero! Perché sono tutte sciocchezze, ecco cosa sono. Stavo pure già camminando, quando è caduto.”
Lo stesso brutto pensiero sfiorò Harry. Si fidava davvero di Dean Thomas?
Per fortuna fu la ragazza della Westminster school, seduta poche seggiole più in là, a chiarire ogni dubbio. Chiuse il tomo che stava leggendo, Storia di Londra, e, pur non essendo stata interpellata, prese parola: “Ma certo che è caduto per conto suo, io l’ho visto,” spiegò con tono saccente. “E poi Malfoy è fatto così: trova sempre una scusa per addossare le proprie colpe agli altri, tanto meglio se ad alunni di questa scuola che, se non si fosse già capito, odia.”
La ragazza sembrò voler aggiungere qualcosa al suo discorso, ma poi cambiò idea. Aprì la bocca, la richiuse, e poi nuovamente la aprì: “E non so che altro abbia detto, ma sembra che gli piaccia ripetervi che studiando qui non andrete mai da nessuna parte. Per la cronaca: è una grandissima menzogna. Mio padre, infatti, frequentò questa scuola, ma alla fine ha avuto comunque successo.”
Quell’intervento bastò ai due compagni di scuola per dimenticare quella quasi-litigata sventata per un pelo; Harry si sedette vicino a Dean, pronto ad assistere alla gara di Ron, e ringraziò la ragazza saputella.
“Figurati.” La studentessa si strinse tra le spalle, poi allungò la mano verso i due atleti: “Comunque piacere, Hermione.”
Harry e Dean sorrisero, e si presentarono a loro volta.








 
La gara di lancio col giavellotto presto cominciò.
Quando arrivò il turno di Ron, il ragazzo prese la rincorsa, piegò il braccio… e poi lasciò cadere l’attrezzo a terra, in preda ad una fitta di dolore che gli partiva dalla spalla.
Draco, ancora seduto sull’erba, ridacchiò tra sé e sé.
 
Quello sì che era un bel modo per fargli tornare il buonumore.











 
ANGOLO AUTRICE: Questa storia partecipa al Day 3 della challenge "Apri le challenge" indetta da Gaia Bessie su Facebook.
Il prompt utilizzato è il seguente: Un purosangue non fa a gara con i pony (frase pronunciata da Nina Moric al Grande Fratello)

Spero che questo piccolo esperimento vi sia piaciuto. Per me, riuscire a scrivere una storia intera in due giorni (sono un'eterna indecisa), è stato un bel traguardo! Quindi, per quel che vale, sono felice di aver concluso qualcosa (anche se qualche minuto dopo la mezzanotte).

P.s. Sto imparando ad utilizzare il punto e virgola, quindi spero di non aver fatto troppi orrori con la punteggiatura!

 
  
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