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Autore: Alarnis    04/04/2021    3 recensioni
"Quel giorno fu lei a restare ferita, solo ora se ne rendeva conto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Da qui a tre giorni

I lamenti, le invocazioni, permeavano la penombra confondendo ogni altro suono. Lo squittio dei topi e l’andirivieni degli scarafaggi graffiavano il pavimento scuro, incrostato e maleodorante, tra rantoli e brutali colpi di tosse.
Le rassicurazioni bisbigliate di Moros, con cui sembrava volersi ergere a paladino del cugino, pur dietro la grata che lo teneva, lui sì, unico e solo, prigioniero, erano cessate di colpo al loro arrivo.
“Guarda guarda che due piccioncini?” aveva ironizzato in tono stucchevole quel giorno nelle prigioni, sorprendendoli assieme; spalleggiato dai suoi uomini e dalla sorella Lavinia. Un fremito alla schiena di Nicandro; la tenera mano che poggiava sulla guancia di Moros che la tratteneva con affetto nella sua più grande, aveva tremato, mentre si confidavano le incertezze sul loro futuro dopo la morte di Guglielmo.
Nicandro s’era girato, spalle all’inferriata, quasi a far scudo al cugino o forse a voler arretrare lui stesso all’interno della cella. In entrambi, nelle loro labbra, nella loro voce il suo nome.
Gongolò di quella gratificazione: “Gregorio!” la voce di Moros rabbiosa, quanto quella di Nicandro spaventata, come se avesse visto un incubo.
“In persona!” aveva platealmente detto, seguito alle spalle dal non ancora defunto Bastiano e da Vittorio.
“Ma sapete che siete davvero carini?” aveva esclamato divertito all’inizio, per poi convergere nell’antipatia “Se non fosse che il vostro affetto offende la memoria di Guglielmo!”.
Li aveva ammutoliti, del resto non erano in posizione di arrogare alcunché, anche se ostinato Nicandro aveva squittito “Gregorio. Io.. Dovevo vederlo..”, non riuscendo a credere il cugino responsabile della morte del proprio tutore: una fiducia che continuava haime! imperterrita tutt’oggi.
“Non ha colpe!” aveva recriminato Nicandro con un filo di voce, avanzando, con occhi imploranti, dilatati dall’emozione nel rievocare il pensiero inaccettabile della morte di Guglielmo. Il triste epilogo della battaglia non poteva gravare sulle sole spalle di suo cugino, probabilmente quello il suo gentile pensiero.
Il freddo pungente delle prigioni, l’aria stantia sembrò frenare il tempo nel suo scorrere.
“Moros era il suo scudiero!” l’aveva zittito freddamente. Come la lama di un boia aveva continuato inclemente “Doveva difenderlo a costo della propria vita! Questo ci si aspettava da lui!” e aveva accompagnato quelle parole a un viso cinico e disgustato. Gli occhi verde smeraldo erano apparsi in tutta la loro freddezza e il baffetto aveva seguito in una piega discendente la linea delle labbra sottostanti, nel rimprovero.
“Non dovresti trovarti qui!” aveva ammesso quasi indignata Lavinia al ragazzino, fuori luogo nelle prigioni; tirata in viso nel rievocare la propria parte di colpa. Accavallata nel commento dall’altruismo di Moros che chiariva “Nicandro non voleva offendere nessuno, nel venire a farmi visita!”.
“Certo! L’ultima!” aveva chiarito Gregorio decretando un inclemente epilogo. E taci una buona volta! s’era detto infastidito.
Lo strazio nella voce di Nicandro, nel suo diniego lacerante, in quei sofferti “Non puoi.. Ti prego.”. Di contro, il lugubre silenzio di Moros, che non avrebbe implorato clemenza.
Lavinia muta nell’accettare la sentenza, come avrebbe fatto per chiunque altro, salvo stringere a pugno le mani che teneva lungo i fianchi. Avrebbe detto che la sorella potesse esprimere tutt’altri sentimenti verso il bruno taglia legna, ma doveva ammettere che s’era dovuto ricredere a riguardo.
Con una garbata carezza, Gregorio, aveva scomposto i sottili capelli biondo cenere di Nicandro che gli si era cinto addosso supplicandolo, abbracciandolo per tentare di scalfirne il verdetto con l’affetto “Risparmia la sua vita!”; finché, riconoscendolo insensibile a quello, il ragazzino gli si era vincolato con l’obbligo, implorandolo, alzando il viso umido, “Farò ciò che mi chiedi, lo prometto.”. Fino a garantirgli quell’impegno fedele “Non ti negherò un solo pensiero. Finché avrò respiro!”.
Mentre continuava ad accarezzargli lentamente i capelli, gli occhi lucidi e grandi, gli avevano giurato sincera fedeltà, purché la vita del cugino fosse risparmiata; nonostante Moros invocasse perspicacemente di non scendere a patti.
Proprio la consapevolezza delle gratificanti rimostranze di Moros l’avevano fatto decidere di accogliere quell’obbligata richiesta; intollerabile per Moros, quanto disapprovata dalla stessa Lavinia che pur non implicitamente conosceva e condivideva l’animo fiero del taglia legna di Raucelio.
Perciò Gregorio aveva garantito “E sia!”, come se l’impegno di ora potesse o meglio dovesse valere per sempre.
Quella l’esatta dimostrazione di quanto essere nelle grazie di Gregorio potesse avere un qualche vantaggio, come il non esserlo: il tok che proveniva dal tendersi dei cappi sul patibolo ne era attuale conferma.
Mangiavano con la finestra chiusa, ma il rumore della folla concitata che presenziava all’esecuzione in burla e a dispetto dei giustiziati, per lo più cocciuti contadini, non migliorava il silenzio di quel pasto.
Gregorio si era affacciato un istante alla finestra per i saluti di rito al popolo, ma poi era ritornato a sedere, facendo riempire i loro piatti di cacciagione, stufati, zuppe in un andirivieni di serve in tuniche di lino di colore spento.
Sorrise stendendo le labbra nel vedere il limpido risentimento di Nicandro, che fissava svogliato il proprio piatto: critico non solo per l’opulenza di un pasto che l’intero reggimento avrebbe faticato a finire, ma condannando le esecuzioni che si protraevano dalla sera precedente; quasi gli avessero guastato il sonno e lo stomaco. Il coltello che puntava la pietanza senza decidere di pungerla e si limitava a picchiettarla.
Dal canto suo Zelio mangiava con gli occhi la pernice che risaltava sul tavolo, il cui profumo solleticava le narici, in un sugo denso che coloriva la carne e la rendeva lucida e invitante. Mavio e Gherardo indifferenti in disparte, quasi annoiati mentre Ubaldo a dispetto del fisico smilzo fissava attento piatto su piatto.
“Ancora non l’hai trovato!” disse acido Gregorio; “Sei un incapace!” disprezzò il capitano: infastidito dalle inconcludenti ricerche, aumentate nell’insoddisfazione delle sporadiche ma seccanti ribellioni dei contadini. “Lo voglio in catene!” convenne strofinandosi il pizzetto a cui aveva dato una forma più morbida, in un nuovo taglio. Parlavano di Ludovico.
Mangiò un boccone. Poi un altro, obbligando Zelio ad assistere al suo gustare quelle pietanze succulente: tornato dopo un giro di pattuglia stanco, assettato e impolverato in confronto ai suoi soldati riposati, sazi e presentabili, come se la fiducia dovesse essere conquistata sul campo con i risultati, per un traditore come lui, ancora vivo a patto lo servisse rigoroso.
“Suvvia! Mangia!” esortò il suo pupillo a fargli compagnia nel pasto, per poi sghignazzare del risentimento che il ragazzino faticava a trattenere in viso quando lo sentì rimuginare “Parlasti di bontà. Dovrebbero dunque preferirti a Ludovico?”.
“Farebbe esattamente lo stesso con i traditori.” rispose indifferente “Lo sai benissimo anche tu.” precisò inclemente Gregorio, scrutando Zelio che annuì approvandone il pensiero.
“Erano sudditi, non traditori.” argomentò Nicandro, subito corretto “Ora dalla parte sbagliata!”.
Nicandro poggiò il coltello, precisando la fine del pasto e di un monologo cui non avrebbe tollerato assistere.
Poche parole: stringate e lente. “Resta seduto.”. Masticate, come un boccone di carne indigesto.
Immaginò lo stomaco di Nicandro che si accartocciava. Il capitano a disagio, che contava gli istanti che lo separavano da una sfuriata di cui non avrebbe voluto essere testimone, che fissava il vuoto davanti a sé, ma i cui occhi erano volontariamente rivolti al soffitto per non incontrare lo sguardo di nessuno; al contrario di Ubaldo che si irrigidiva in un atteggiamento protettivo al pari di Mavio.
“A meno che, non facciano ammenda.” ponderò Gregorio giustificando il proprio agire, attento al desiderio di Lavinia di vegliare su Nicandro. Tuttavia, Chi vuol intendere intenda, il messaggio celato tra le righe.
Nicandro l’ubbidienza l’aveva imparata a forza. Di certo Mavio, Gherardo e Ubaldo sarebbero rimasti al loro posto in un diverbio tra i due Montetardo di cui solo uno vestito di una carica effettiva.
“E farli penzolare sembra l’unica opzione possibile per voi?” considerò Nicandro ritornando a partecipare al banchetto: la forchetta nuovamente tra le dita, che la stringevano tremolanti; la giovane voce che sembrava maledire ogni singola parola, come trovasse odioso l’argomento.
“Che incolpino pure quel biondino codardo a cui si affidano!” Gregorio minimizzò il sentirsi colpevole di quelle sentenze a nome Montetardo.
“Da qui a tre giorni ci sarà l’Adunanza. Quei contadini potranno concedervi promessa di lealtà.” concluse Nicandro che sembrò trattenere un magone
“Concedete clemenza, ve ne prego.” cercò comprensione, chinando il viso, anche se sapeva, quella richiesta, fosse una proforma che sarebbe stata inascoltata.
Gregorio lo ignorò infatti: bevendo da un calice lucido.
“Forse lo rimpiangono ma non tesseranno più le sue lodi, a meno che non ne enfatizzate il ritorno.” squittì Nicandro.
Gregorio aggrottò la fronte, riflettendo; arrossato in viso dopo una lunga sorsata, propria della frustrazione per non aver ancora acciuffato il biondo principe rivale.
Stese la fronte, mentre l’atmosfera sembrava diventare più distesa. Non era un ragionamento errato.
“Quale consiglio.” rise Gregorio, poi parlando a Zelio, “Cerchiamo di essere accomodanti o offenderete il mio pupillo.”.
Il volto del capitano restò rabbuiato, come se dicesse E come di grazia? ma rispose ubbidiente “Sarà fatto!”, battendo i tacchi. Un sorriso di scherno spartirono le labbra di Mavio e Ubaldo, quasi sicuri non avesse intuito il messaggio di limitarsi nelle angherie.
“Contento, il mio principino?” scherzò, invitando Nicandro a riprendere il pasto.
“Ora vattene!” poche parole per cacciare Zelio.
“Vado!” annunciò il capitano, sfollato come una gallina dall’aia.
Gregorio riprese a mangiare giustificandosi “Mi spiace dell’interruzione.”, avventandosi su un cosciotto, in un silenzio che rimaneva tombale.
Si fece riempire tre volte la coppa di vino prima di notare il protrarsi dell’inappetenza di Nicandro, che continuava a rimuginare davanti al piatto all’ennesimo tok del patibolo a cui seguiva un brusio quasi isterico della folla.
I cavalieri stessi sembravano mal digerire il susseguirsi delle sentenze.
“Odio anch’io questo posto!” allargò le braccia cordiale, ipotizzando volesse rientrare a Montetardo, ma non ottenne risposta nonostante incalzasse “Finita questa faccenda di Ludovico. Ti rispedirò al castello!” si sbarazzò veloce del tovagliolo con cui s’era pulito, come potesse far altrettanto del ragazzo.
“Non importa…” mugolò Nicandro, convincendolo a moderare l’aggressività. Detestava vederlo così!
“Sei pallido!” sottolineò con una premura che concedeva a pochi.
“Sono solo un po’ stanco.” sentì ammettere.
Lui rise sfacciato “Stanco?”, ma mordendosi la lingua cercò di essere accomodante e alzandosi da tavola, si affacciò offrendo carne, mentre le serve si allontanavano per non intralciarlo, seguite nei fondoschiena dagli occhi interessati di Ubaldo e Gherardo che si allinearono a seguirne la traiettoria ondeggiante.
“Cibo pregiato: da nobili!” sottolineò. Nicandro gli scostò la mano che gli aveva avvicinato quasi imboccandolo.
Ci restò contrariato ma ironizzò “Ci si fa’ l’abitudine, vero?”, mentre Nicandro quasi smorfioso girava il viso.
“Quel broncio non ti si addice!” svelò insoddisfatto di quei capricci, buttando il cosciotto sgraziatamente in mezzo al tavolo, che urtata una bottiglia di vino dipinse sulla tovaglia un grosso cerchio color vinaccia che si estese omogeneo avanzando sul tessuto candido.
La pazienza non era proprio il suo forte, rifletté Gregorio.
Lo vide fissare l’incidente. La voce che pronunciava sottile, poco udibile, “Il vino.”, come se fosse un fatto determinante; come se le sue parole gli fossero indifferenti e non le sentisse neppure, interessato maggiormente alla macchia sulla stoffa che si espandeva.
Allargò le braccia sfinito “Qui sei protetto, non come nel villaggio di morti di fame da cui Guglielmo ti ha salvato!” ammise con disprezzo, verso l’umile condizione di nascita del ragazzino.
Nicandro restò in silenzio, come se non sentisse il suo rimprovero, mentre una serva tamponava la macchia con una pezza asciutta.
Lo sentì farfugliare “E’ macchiato…” poi con voce bassissima “Lo saranno i soldati.”: il volto a Mavio, Ubaldo e Gherardo come se quelle parole li riguardassero, divenuti ora seri.
“Tutto bene?”.
“Sono confuso, ti prego di perdonarmi.” lo sentì dire, mentre si portava la mano alla tempia.
Probabilmente anche Nicandro era nervoso, pensò. Gregorio sapeva che avrebbe volentieri lasciato Rocca Lisia se solo l’avesse permesso, ma il punto era che non l’avrebbe mai permesso! Del resto aveva promesso di restargli accanto. Per rispetto ai soldati presenti che ne erano responsabili cercò di mantenersi accomodante.
“In fondo hai risparmiato ferro e fuoco a parecchi villaggi nelle ricerche, dovresti esserne fiero.” ritornò al proprio posto. Si sedette sfaccendato e annoiato, allargando le braccia come fosse già una sufficiente vittoria “Diventi sempre più viziato!” lo rimproverò bonariamente.
“Non voglio che soffrano.”. Poverini! A chi importa? pensò in una risposta che trattenne per sé.
Gregorio sospirò, ma si alzò deciso “Proprio non riesco a non viziarti!” si elogiò. Concesse la mano a Nicandro invitandolo alla finestra.
“Aprila!” comandò a Mavio che si precipitò svelto nell’eseguire, fino a smuovere il chiavistello della serratura, per spalancarla.
La cacofonia del piazzale cessò, incredulo di rivedere affacciarsi il signore del castello. Gli occhi, non negò di notare, puntati sul bel giovinetto che gli era accanto.
Gregorio alzò il braccio a raccogliere l’attenzione della folla presente, pendente dalle sue labbra.
La sua voce decisa “Soldati! Sospendete le esecuzioni! E’ un ordine.”.
Un urlo di giubilo della folla.
Indietreggiò, portandosi dietro anche Nicandro mentre la finestra veniva nuovamente chiusa. “Ho concesso tre giorni!” indicò il numero con le dita, davanti il volto di Nicandro, mettendo in chiaro “Non un’eternità!”, come il limite della sua pazienza, che poteva riguardare anche lui.
 
NdA: tutti gli scrittori hanno bisogno di lettori! 
Vi prego, vi prego, datemi un parere, un suggerimento, un feedback mi farà tanto piacere e credo anche a voi! ^_^ 
   
 
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