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Autore: Obiter    05/04/2021    1 recensioni
Prendete Sherlock BBC e tutti i suoi personaggi, diminuite drasticamente la loro età anagrafica e metteteli tutti nella London High School durante il loro ultimo anno. (No, aspettate, non dileguatevi. Non è una storia di adolescenti, non sul serio. Okay, tecnicamente lo è, ma il narratore sarà il nostro maturo, disilluso e geniale Sherlock. Sarà forse un po' più insicuro, un po' più impacciato, un po' più con gli ormoni in subbuglio... Ma sarà sempre lui).
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, De-Aging | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il professor Wright è un uomo di scarsa cultura, poco brillante, noioso e ripetitivo. È titolare del corso di matematica e dal banco terza fila io posso capire che:

  1. Ha bevuto in fretta un caffè decaffeinato e si è macchiato il colletto. 
  2. Sta cercando in ogni modo di smettere di fumare. 
  3. È ingrassato perché sta cercando di smettere di fumare. E questo spiegherebbe perché ha ingurgitato il caffè al punto da versarselo addosso: scommetto che era senza zucchero. 
  4. Stamattina si è svegliato in ritardo, non si è rasato e ha incollato frettolosamente l’asta destra dei suoi occhiali da vista con il nastro adesivo. L’astinenza dal fumo lo rende insonne, per questo si è svegliato in ritardo e per questo ha preso un caffè decaffeinato. Rimbambito, ha fatto cadere gli occhiali da vista e li ha pestati con i suoi stessi piedi.

 

Fine, questa è stata la mattinata del Professor Wright. 

La mia mattinata, invece, è stata scandita da una scoperta interessantissima. Oggi, esattamente alle quattro e venticinque del mattino, ho trovato un modo per rallentare il processo di decomposizione di un batrace utilizzando un conservante alimentare solubile e pressoché invisibile nel sangue. Può sembrare una scoperta inutile, ma potrebbe non esserlo se usata per motivazioni quali ritardare la fase dell’algor mortis in un cadavere, per esempio. Questo potrebbe ben ingannare i calcoli per misurare l’intervallo post mortem, con la conseguenza le indagini verrebbero magistralmente sviate, Scotland Yard brancolerebbe nella nebbia, se la prenderebbe coi medici legali, i medici legali se la prenderebbero con Scotland Yard e il furbo criminale la farebbe franca. 

Ma fortunatamente per tutti io non sono quel criminale. In effetti sto iniziando a nutrire una certa insofferenza nei confronti il genere umano, ma ho comunque deciso di non schierarmi dalla parte del male. E poi suppongo che alla mia età sia abbastanza normale “odiare” la gente.

È un’età veramente sgraziata la mia. Non so quale sia la cosa peggiore, se vivere ancora con i genitori o essere costretto a trascorrere buona parte della giornata dentro una stanza da pochi metri quadrati in mezzo a gente immatura, maleodorante e sessualmente irrequieta.

Fatto sta che ora sono qui, è la sesta ora del mercoledì e io sono in procinto di impazzire per noia. Dovrei imparare a dormire con gli occhi aperti come fanno le balene, la mia vita sarebbe sicuramente più semplice e interessante.

Ma dato che dormire sul banco è fuori discussione, ho deciso di impiegare in modo più proficuo queste ore di tedio e torpore intellettuale: scrivo le mie "memorie".

Non un diario segreti, non ho segreti… Ecco, forse ne ho uno.

Mi chiamo Sherlock, ho diciassette anni, vado a scuola, ho una media alta ma sette in condotta, nascondo un segreto inconfessabile e nel tempo libero suono il violino.

In una presentazione come questa, ciò che desta subito la curiosità dell’uomo medio è, sarei pronto a scommetterci, il segreto inconfessabile. Chiunque si focalizzerebbe su questo dettaglio al punto da tralasciare o addirittura dimenticare tutto il resto. Qui sta la mia diversità: io mi concentrerei subito sul sette in condotta, non me ne importerebbe assolutamente niente del segreto inconfessabile. E dopotutto che segreto inconfessabile potrebbe mai avere un adolescente di diciassette anni, a parte che è innamorato di Tizia, che fa sesso con Caio, che al venerdì marina la scuola, che è fan delle Spice Girls e così via? Le cose rilevanti (uso di droghe, prostituzione, furti e altri reati) sarebbero già insite e facilmente deducibili dal sette in condotta. E poi il fatto stesso di ammettere un segreto significa rivelarlo, o comunque chiedere agli altri di farlo.

Cosa voglio dire con questo? Voglio dire che io sto lavorando su me stesso per prepararmi a un’arte che in futuro vorrei trasformare in un lavoro vero e proprio. Ho iniziato a studiare e a pensare come se fossi incaricato di risolvere tutti i piccoli, insulsi misteri da cui sono circondato:

Perché Sarah Sawyer stamattina è entrata in classe con gli occhi lucidi? Come mai Bill Murray sente male quando volta il collo a sinistra? Chi è la nuova tresca della Professoressa Wilson?

Ecco, io posso rispondere a tutti questi quesiti senza nemmeno interpellare gli interessati: osservo, traggo le informazioni e deduco una risposta. Per farlo mi soffermo sullo  studio della causa, sul momento genetico del fatto, non sulle conseguenze. Le conseguenze vengono logicamente dopo, ma le persone tendono comunque a fermarsi sugli eventi, sull’hic et nunc, sulla prognosi e non sulla diagnosi.

Mi piacerebbe moltissimo dedicarmi all’arte della diagnosi, ma non la diagnosi medica. Non voglio passare tutta la mia vita a tracciare sempre gli stessi tre o quattro percorsi con un bisturi. No, io parlo della diagnosi criminale, che è molto più variopinta, imprevedibile ed elettrizzante di qualsiasi altra.

I detective sono dei diagnosti, se ci si pensa bene. L’arte dell’investigazione non è altro che trarre da dei fatti noti un fatto ignoto, ma senza presumere. 

A tal fine sto anche privilegiando lo studio di certe materie e sto dedicando buona parte del mio tempo libero ad aumentare le conoscenze che ritengo utili. Ad esempio, i veleni e le tossine rappresentano un po' l’ABC del mio lavoro, devo conoscerli come se fossero delle filastrocche. E sono davvero un’infinità, vegetali, animali, chimici, organici, inorganici, alimentari, allucinogeni… Ognuno dei quali ha diverse conseguenze a seconda delle dose di somministrazione, il che crea una combinazione di variabili che è semplicemente incalcolabile. 

Direttamente connessa ai veleni e alle tossine c’è colei che per me è la regina delle discipline scientifiche, ovvero la chimica.

La chimica è alla base della scienza e costituisce un elemento imprescindibile per qualunque tipo di diagnosi. Dà la concreta possibilità di risalire a un fatto ignoto attraverso lo studio di uno noto, è essa stessa azione e reazione, ed è forse la disciplina più contigua al ragionamento deduttivo che io conosca. Nessun detective, nemmeno il più deficiente, può esimersi da un approfondito e accanito studio della chimica. E per questo ho dieci in chimica, ma ho dieci anche in letteratura inglese e in filosofia, ma solo perché assorbo passivamente tutto quello che i professori dicono in classe e lo riporto pedissequamente sulla carta. In realtà non apro un libro. Purtroppo, lo spazio nel mio cervello ha dei limiti: devo necessariamente fare una cernita dei dati, eliminare il superfluo e conservare il necessario. La cultura umanistica eleva lo spirito, ma non rientra tra le competenze necessarie allo svolgimento del mio lavoro.

Discutere se “l’idea” sia trascendente o immanente alla logica, per quanto possa essere allettante, non mi è di alcun aiuto pratico. Così come non mi è d’aiuto sapere l’anno in cui è stato pubblicato l’House of Fame di Chaucer (intorno al 1378, se non erro) o tutto il Macbeth a memoria.

Per molti versi posso sembrare un opportunista: imparo ciò di cui ho bisogno per uno scopo e una situazione ben precisi, ma questa mia dedizione non disinteressata allo studio incontra un limite in certe materie, che studio per pura passione personale.

La musica, prima fra tutte, è forse la forma d’arte che preferisco. Per me è come una cara amica, anzi di più, una compagna di vita che mi consola, mi calma e che tocca le più profonde corde del mio cuore. Suono il pianoforte e due anni fa ho iniziato a suonare - beh, suonare è una parola grossa- il violino. Complicatissimo il violino, non a caso lo amo ancora di più del pianoforte. È adatto a me, oserei dire che mi assomigli.

Le arti marziali anche mi piacciono molto. I discorsi astrusi di alcuni filosofi greci mi piacciono molto. Talete diceva che il mondo deriva dall’acqua e che dopo la morte tutti noi torniamo a essere acqua. In realtà non aveva mica tutti i torti. Certo, anche il più ignorante semi-analfabeta di questa scuola sa che la decomposizione umana culmina nello sbriciolamento progressivo delle ossa, ma quelle briciole, quel pulviscolo, in un modo o nell’altro faranno ritorno nell’acqua e si discioglieranno in essa, per cui…

A tale proposito, ho la media del dieci anche in biologia, ma la professoressa deputata a tale insegnamento mi detesta, perché fin troppo spesso dimostro di avere conoscenze ben più approfondite e precise delle sue. L’anatomia mi affascina, ed è un’altra disciplina di notevole importanza per l’arte della investigazione. Non fondamentale come la chimica, ma almeno un’infarinatura sugli elementi della fisiologia e dell’anatomia patologica è necessario averla, ma giusto per avere contezza di ciò che è accaduto alla vittima, almeno a grandi linee. Poi sarebbe opportuno avere degli amici che lavorino in ospedale e in obitorio, ma l’aspetto sociale non è mai stato il mio forte.

Ho dieci anche in storia e dopotutto la storia è magistra vitae, come diceva il noto oratore romano. I precedenti analoghi sono la pietra d’angolo dell’investigazione. Un omicidio perpetrato nel 1768, ad esempio, potrebbe verificarsi in modo pressoché identico duecento anni dopo. Il modus operandi del reo, il movente e perfino l’arma del delitto potrebbero avere fondamentali similitudini. 

E dopotutto l’ordinamento stesso dell’Inghilterra è giuridicamente fondato sulle similitudini, sui precedenti analoghi. Vige infatti il cosiddetto regime di Common Law: i nostri giudici non sentenziano in modo isolato, ma devono conformarsi a quanto è già stato stabilito in precedenza da altri giudici. Il presupposto è naturalmente che vi sia una perfetta corrispondenza tra i casi, presupposto che, a ben vedere, è lo stesso che vige a monte per le indagini investigative. 

Tutto torna, no?

No, in realtà no.

La giustizia non funziona, è una mezza farsa. Lasciando da parte le lungaggini processuali, se si pensa al numero imbarazzante e smisurato di delinquenti che la fa franca ogni santo giorno, verrebbe da mandare al diavolo tutto, compresi i detective, soprattutto i detective.

Ma il fatto è che io non ho scelto questo mestiere perché sono animato da alti ideali o perché voglio diventare un paladino della giustizia. 

Io voglio fare il detective perché mi diverto, molto banalmente. Per me investigare è come andare sulle giostre. Quindi posso dire fin d’ora che non renderò il mondo un posto migliore, che non verranno innalzati busti in mio onore da nessuna parte e che non diventerò il capo investigatore dell’Interpol, di Buckingham Palace o della Casa Bianca. Non mi interessano i soldi o il prestigio, voglio solo coltivare una passione che mi tenga riparato dalla solitudine, dalla noia, dalla depressione e in generale dal mal di vivere.

E in effetti non mi ritengo una persona molto felice, attualmente. 

Sono fisicamente in salute e a scuola vado bene, ma a parte queste due cose non c’è molto altro di positivo nella mia vita. E il fatto di avere dieci in alcune materie non è nemmeno fonte di chissà quale soddisfazione. Non sono un vanaglorioso, i professori potrebbero anche darmi una sufficienza stiracchiata che non me ne importerebbe assolutamente niente. A differenza di molti, non ho bisogno delle loro valutazioni come conferma delle mie conoscenze, so di averle, punto. Come so di avere la sindrome di Asperger e una vita sociale totalmente e inesorabilmente assente. E qui ci addentriamo in un capitolo molto triste della mia vita.

A volte mi sento solo, molto solo. Mi piacerebbe avere degli amici, o anche solo uno, un amico al singolare, ma non è possibile e la colpa è solo mia. Sono del tutto privo di competenze sociali e non ci so per niente fare con le persone. Mi sento molto inadeguato, inopportuno e a tratti perfino indisponente e questo contribuisce a rendermi ancor più introverso e taciturno. Solo tenendo la bocca chiusa ho la certezza matematica di non sbagliare e di non rendermi ridicolo/patetico/offensivo. Per cui parlo poco ma penso, elaboro informazioni costantemente. E infatti ho imparato a colmare le lacune di una mancata compagnia con altri stratagemmi, concentrandomi bene sul mondo che mi circonda. Sono come un pirata solitario che viaggia controcorrente in una nave senza ciurma ma piena zeppa di libri, tesori, manufatti e perché no, cianfrusaglie. Navigo a vista e sono sempre alla ricerca di nuove avventure, ma nei porti in cui attracco non ci sono belle donne ad aspettarmi, bensì omicidi, reati e casi irrisolti.

Ho fatto quindi della solitudine un baluardo, ma ciò non toglie che io la soffra. Mi piacerebbe avere degli amici, ma non è possibile. Chi vorrebbe passare del tempo con me, lo strambo della scuola? O il “nut-job”, come ama definirmi Sebastian?

Realizzare ciò mi fa venire il cuore pesante, ma il fatto è che temo che lui abbia ragione. Se la gente si sente a disagio con me, un motivo ci deve essere. Non rivolgo la parola quasi a nessuno e probabilmente ho sempre la stessa espressione, ma sfido chiunque a stare cinque ore seduto in una sedia a guardare le crepe nel muro in uno stato di totale e corroborante noia.

Noia, o perchè non ho interesse per la materia — cosa mi importa di quanti anelli ha un pianeta disabitato come Saturno, se sono un terreste? — o perché ciò che viene spiegato è già stato fatto prima alle medie e poi alle elementari. Il sistema scolastico non è altro che una volgarissima ripetizione e non è nemmeno vero che al liceo le materie sono più approfondite, la rivoluzione francese l’ho studiata molto più approfonditamente a tredici anni piuttosto che l’anno scorso, a sedici.

Fatto sta che ora sono all’ultimo anno e di sentire ripetere le stesse identiche cose non ne posso più, sono saturo. Vorrei ricevere una botta in testa pur di alleviare questa sensazione di paralisi mentale, frustrazione e completo inappagamento. 

Sarò schietto adesso: molti vanno in bagno a toccarsi quando si sentono così, io non lo faccio. Non l’ho mai fatto in vita mia, ci ho pensato ma non mi viene, non credo faccia per me. Il sesso in generale non credo faccia per me. Forse sono asessuale, e dico forse perché in realtà non lo so, non ho mai davvero indagato. Ma se anche non lo fossi, non cambierebbe nulla. È più probabile che Mycroft commetta un sacrilegio e si dimentichi di prendere il tè delle cinque, piuttosto che io mi avvicini di mia sponte a una ragazza. Ma non perché sono timido o brutto, semplicemente non voglio avere ragazze nella mia vita. Sono io che non voglio loro, non loro che non vogliono me. 

Anzi, se mi mettessi di buona lena qualche ragazza da rimorchiare potrei anche trovarla. Una si chiama Molly Hooper, ha un anno in meno di me e ha l’imperdonabile colpa di essere una ragazza focalizzata più nello studio che nell’aspetto fisico, e i risultati alla fine si vedono. Molly non è alla moda e non è bella da mozzare il fiato, ma in compenso ha vinto le olimpiadi studentesche di scienze (olimpiadi a cui io non ho volutamente partecipato per non finire nella testata di qualche stupido giornalino) ed è circondata da simpatiche persone con magliette di Star Wars, Star Trek e Starbucks. 

Ecco, costei mi saluta e ogni tanto attacca bottone, ma dubito fortemente che ci sia altro oltre a questa impacciata cortesia. Per dirla in modo più schietto, non credo che Molly farebbe sesso con me, se potesse, e francamente la cosa è reciproca. Molly non è brutta e non è nemmeno ottusa, ma non mi piace. Non voglio vederla nuda, dico davvero.

Se dovessi proprio scegliere una ragazza da vedere nuda (se fossi proprio minacciato con una pistola alla tempia), probabilmente scadrei nel banale perché sceglierei una cheerleader. Loro sono favolose, ma dietro a questa loro femminea armonia di forme e colori temo ci sia un dilagante vuoto, il vuoto di chi antepone l’apparire all’essere. Ma non posso esserne sicuro, sarei un giudice pressapochista e pieno di stereotipi se giudicassi una ragazza dal suo aspetto. Tuttavia, dopo cinque anni passati a osservarle, non mi sento imprudente nel definirle quanto meno superficiali. E spietate. 

La meno superficiale di tutte è per avventura anche la più spietata, ma è quella che io sceglierei a occhi chiusi. Il suo nome è Irene Adler e per me lei è La Ragazza. 

Lei è la classica studentessa popolare e alla moda, amata da tutti e perfettamente in linea con i canoni estetici del nostro tempo, ma non fatevi ingannare dalle apparenze. Adler in realtà nasconde una mente pericolosamente arguta e imprevedibile, nonché una voce soave, da soprano. Potrei dire che mi piace, ma sarebbe un patetico cliché. E infatti l’unica cosa che ci unisce è un’insana e indefessa competizione… E un paio di trascorsi imbarazzanti, di cui magari un giorno parlerò (caso mai troverò il coraggio).

In ogni caso la evito come la morte e cerco di non rivolgerle la parola. Lei infatti è una di quelle persone con cui faccio fatica a interagire. Credo che la mia sia una forma di mutismo selettivo o qualcosa del genere. Quando ero piccolo era un disastro, adesso sto sempre più imparando a controllare questo disturbo e bene o male rivolgo la parola a tutti.

Ma meno le parlo e la vedo, meglio sto. 

Stessa cosa vale per Sebastian Moran, Mike Stamford, Bill Murray e Sally Donovan.

Parlerò di costoro e delle loro molestie emotive più avanti. Dico solo che svolgono un ruolo preponderante nel farmi sentire un fallito, una nullità. Sono davvero bravi nel farlo, è forse l’unico talento che hanno. Io ovviamente non mostro quanto mi facciano soffrire, anche perché il fatto di avere la nomea del pezzo di ghiaccio mi aiuta, è un alibi, una copertura. Nascondo le mie fragilità dietro l’armatura del mio sguardo e del mio mutismo, sembro indifferente e inscalfibile come una pietra, ma non lo sono. Perdiana se non lo sono, sono fragile esattamente come tutti gli altri, con l’unica differenza che sono un bravo attore.

L’ultima persona di cui vi voglio parlare è un ragazzo, mio coetaneo. Risponde al nome di Lestrade e la cosa più importante che ci lega è, strano a dirsi, suo padre. Questi lavora per Scotland Yard e spesso comunica con me attraverso il figlio. Ovviamente non sa della mia esistenza, Lestrade Senior è convinto che i miei contributi alle indagini siano farina del sacco di Greg, quando invece quest’ultimo non è altro che un mio portavoce. Ma la cosa è perfetta, Lestrade Junior presto verrà assunto a Scotland Yard e di conseguenza verrò assunto anche io tramite lui. 

Tra tutte le persone che ho elencato Lestrade è forse il più importante. Mi ha fornito il nome utente e la password per accedere alla pagina personale di suo padre, nella quale sono contenuti tutti i dati, i verbali dei CTU e in generale tutti i dettagli dei casi a cui suo padre è deputato. Questo è stato forse il regalo più gradito che io abbia mai ricevuto in vita mia. Certo, Greg si sente in colpa come se andassimo a seppellire una prostituta nel deserto, ma io gli ripeto che lo facciamo per una buona causa: ci rendiamo utili alla giustizia (e alla mia guerra contro la noia).

 

 

 

 

 

 

Note dell’autore

Ciao, spero che questo capitolo introduttivo vi sia piaciuto.

Presto arriveranno anche i dialoghi, non sarà solo un monologo interiore di Sherlock, e insieme ai dialoghi arriveranno anche altri personaggi conosciuti…

A presto,

Obiter

 

 

   
 
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