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Autore: IndianaJones25    06/04/2021    2 recensioni
È una luminosa e calda giornata estiva di fine Ottocento quando, in una casa di Princeton, nel New Jersey, nasce l’unico figlio del professor Henry Jones Sr. e di sua moglie Anna.
Nel corso dei venticinque anni successivi, il giovane Junior vivrà esperienze indimenticabili e incontrerà persone straordinarie, in un viaggio di formazione che, tappa dopo tappa, lo porterà a diventare Indiana Jones, l’uomo con frusta e cappello, il più celebre archeologo del mondo…
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abner Ravenwood, Henry Jones, Sr., Henry Walton Jones Jr., Marion Ravenwood, René Emile Belloq
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XXVII.
SCOZIA, REGNO UNITO, FEBBRAIO 1924

   Il compito che gli aveva affidato Marcus Brody si era rivelato molto più rapido e semplice del previsto, da portare a termine.
   «Pensi di farcela?» gli aveva chiesto l’amico, prima della sua partenza. «Te la senti di affrontare tutto questo da solo?»
   Anche se si stava mostrando lo stesso uomo affabile di sempre, si poteva cogliere un accento, se non di dubbio, almeno di sottile ironia, nel tono del curatore.
   Indy era consapevole - a dispetto di tutte le promesse in cui si era impegnato - di non essere ancora riuscito a fare granché per Brody, fino a quel giorno. Lui gli aveva finanziato due missioni di ricerca nel Pacifico e, in entrambi i casi, era tornato a casa a mani vuote. Era più che comprensibile che, questa volta, ci volesse andare con i piedi di piombo. Indiana Jones, però, era più che deciso a farsi valere e a dimostrare tutto il suo valore. Brody aveva voluto scommettere su di lui e lui, in cambio, gli avrebbe fatto comprendere di non aver sbagliato.
   «Non ti deluderò, Marcus» aveva garantito. «Ti riporterò ciò che mi hai chiesto.»
   Così, era partito per la Scozia, pronto ad affrontare quella nuova impresa.
   Il vecchio maniero diroccato e dall’aspetto spettrale che sorgeva sperduto in mezzo alle Highlands fredde e ventose, nei pressi di un grande lago dalle acque buie e profonde, custodiva di certo più di un segreto, che ora lui non aveva tempo - né la voglia - per svelare; ma la spada dei MacLeod non era stata difficile da trovare come si sarebbero invece aspettati lui e Brody.
   Il passaggio segreto era celato dietro un arazzo tarlato che raffigurava una scena di battaglia. L’esercito degli Scoti, riconoscibile dai tartan, era impegnato in una dura e cruenta lotta contro gli invasori Vichinghi. Indy, esaminandolo da vicino, aveva toccato in maniera involontaria la stoffa ormai sfibrata, che si era sfaldata in una nuvola di polvere sotto le sue mani. E la porta segreta, così, gli si era aperta davanti.
   Aiutandosi con la luce di una fiaccola, aveva seguito la nuova strada, scendendo in un sotterraneo segreto, tetro e umido. Lì aveva scoperto una cappella circolare, in cui erano inumati i maggiori membri del clan dei MacLeod. E la loro leggendaria spada - quella che aveva spiccato le teste di nemici dal nome fantasioso e al medesimo tempo spaventoso, come Erik il Conquistatore, Odin il Massacratore e Freysteinn l’Invincibile, o fatto a pezzi gente che portava il nome di Thor il Tonante e Grettir dalle Trecce Fulve - era riposta proprio nel centro, sopra un piedistallo.
   Un’arma splendida, di perfetta costruzione, dall’elsa istoriata con magnifiche pietre preziose, intatta nonostante le numerose prove a cui era stata sottoposta. Il ragazzo l’aveva presa con le mani che tremavano per l’emozione, mentre si trovava a tu per tu con la Storia. L’aveva guardata a lungo, ammirandola in ogni suo millimetro, prima di decidersi a tornare indietro.
   Adesso era riposta al sicuro dentro il suo baule da viaggio, avvolta nella carta da pacchi stretta dallo spago, pronta per essere trasportata dall’altra parte dell’Atlantico, dove avrebbe impreziosito la sala del museo dedicata ai reperti dell’età medievale. Marcus non avrebbe avuto alcunché di cui lamentarsi, questa volta - anche se, a dire il vero, non gli aveva mai sentito uscire di bocca un solo lamento.
   Una vera soddisfazione, per Indy: poteva ben dire che, quello, fosse il primo, vero recupero che portava a termine senza incorrere in fallimenti. Questo lo aveva resto euforico e, finalmente, si era sentito per davvero un archeologo fatto e finito, a cui ormai mancava soltanto un titolo sopra un pezzo di carta per potersi a tutti gli effetti definire membro di quella categoria.
   Poteva soltanto sperare che, quel successo, si rivelasse il primo di una lunga serie.

   Gli altipiani della Scozia settentrionale, in quei giorni, erano molto freddi, afflitti da un vento forte e persistente. Le nubi grigie si addensavano nel cielo e, non di rado, durante la notte e le mattine rovesciavano al suolo vere e proprie tormente di neve. Nel tardo pomeriggio, poi, si abbassavano verso terra, creando impenetrabili cortine di nebbia.
   Anche con il cappello calcato in testa, la sciarpa stretta attorno al collo, abiti pesanti, guanti di pelle e un tabarro di lana nera ad avvolgerlo completamente, Indy continuava a patire quelle temperature. Il gelo non gli si confaceva per nulla e, proprio, non riusciva a spiegarsi come avessero fatto i suoi avi a vivere per tanti secoli in quelle contrade desolate, perennemente spazzate dal vento e tormentate dalle intemperie. Se di almeno una cosa poteva essere grato a suo padre, era di non averlo fatto nascere in un luogo tanto inospitale.
   Nondimeno, nonostante avesse concluso in fretta e con estrema gratificazione personale il suo lavoro, e pur essendo perseguitato da quell’umido gelo che toglieva anche il fiato, il ragazzo non aveva nessuna fretta di ripartire.
   Le lezioni, a Chicago, avrebbero ripreso soltanto alla metà di marzo, e dal momento che aveva già sostenuto tutti gli esami della sessione, non c’era proprio bisogno di tornare indietro troppo alla svelta. Tanto più che il signor Bond, rappresentante di una ditta che fabbricava armi, era trattenuto sul continente da importanti e inderogabili affari, e questo gli aveva lasciato campo libero con la sua bellissima consorte.
   Indy aveva fatto conoscenza con Monique Delacroix poco dopo il suo arrivo in Scozia. Svizzera di lingua francese, di una decina d’anni più grande di lui, affascinante come poche altre donne gli fosse mai capitato di incontrare, Monique era la moglie di Andrew Bond, importante uomo d’affari scozzese. Ma era anche una donna triste e insoddisfatta, perché il coniuge legittimo la lasciava sola per molto tempo a causa dei suoi continui viaggi di lavoro all’estero.
   «Lo sa, signor Jones, io la invidio moltissimo» gli aveva mormorato la sera in cui si erano incontrati per la prima volta.
   Si erano conosciuti nella piccola locanda - Al cavallo impennato - in cui Indy aveva affittato una camera. Una vecchia struttura di pietra, dagli interni polverosi rivestiti di legno scurito dal tempo, con ritratti tondi e ingialliti di personaggi irriconoscibili appesi alle pareti. Lì dentro si respirava soltanto odore di whisky, sidro e birra forte.
   Lei era venuta lì a cenare e, vistolo solo al tavolino più vicino al camino scoppiettante, gli aveva domandato se potesse sedere con lui, per stare più al caldo. Indiana Jones non aveva mai saputo dire di no a una signora, specialmente se molto attraente; si era subito alzato e, con soverchia galanteria, un po’ fuori luogo in un locale rozzo e spartano come quello, le aveva scostato la sedia perché si accomodasse.
   Avevano subito iniziato a chiacchierare. Le aveva narrato le sue avventure, che lo avevano già portato a compiere più di una volta il giro del mondo, affrontando pericoli di ogni sorta e rischiando più volte la vita. Sembravano i racconti che uno sfaccendato avrebbe potuto inventare per fare colpo su una sconosciuta; e, invece, era tutto vero. Ma più parlava, e più si domandava se lei gli stesse credendo davvero.
   Tuttavia, anziché deriderlo, Monique lo aveva colto di sorpresa con quella frase a malapena sussurrata, appena percettibile al di sopra del vociare che riempiva la locanda e del vento che sbatteva contro le imposte serrate.
   «E come mai, signora Bond?» domandò.
   Lei fece un sorrisetto triste. Un sorriso su cui Indy avrebbe voluto posare le proprie labbra per riempirlo di nuova felicità.
   «Mio marito» rivelò, «è spesso assente per lavoro. E io resto qui, sempre sola. Mi piacerebbe poter godere di più libertà, viaggiare per il mondo, vedere gente e luoghi esotici, proprio come fa lei. E, invece, mi tocca restare confinata in questo luogo, sempre freddo e umido, con la sola compagnia di gente rozza e gretta. Lei è davvero fortunato, glielo assicuro. Cerchi di non cambiare mai, la prego. Lo faccia per me.»
   Se c’era una cosa che Indiana Jones non poteva sopportare, era di vedere una bella donna dall’aria affranta. Per lui era inconcepibile e intollerabile che una così leggiadra ragazza fosse costretta a soffrire senza nessuno che si prendesse cura di lei e che la consolasse nella sua solitudine. Era qualcosa che sovvertiva le leggi della natura.
   «Lo farò per lei, glielo prometto» disse, porgendosi avanti.
   La mano di lei era appoggiata sul tavolo. Con audacia la sfiorò, la accarezzò, la strinse. Lei lo lasciò fare, senza curarsi dei tanti occhi indiscreti e avidi di curiosità da tramutare in pettegolezzi che li spiavano da ogni angolo del locale. Anzi, la cosa parve eccitarla, perché ricambiò la stretta, intrecciando le dita alle sue.
   Si guardarono negli occhi e, come in uno specchio, lessero in entrambi lo stesso bruciante desiderio.

   Così, da quella sera, avevano iniziato a vedersi regolarmente.
   Il giovane trascorreva le giornate al castello e, alla sera, sebbene spossato, si intratteneva per lunghe ore in compagnia di quella donna dalla bellezza incomparabile. Molto presto, non avevano più cenato alla locanda, perché l’americano era diventato ospite fisso a casa Bond. Monique metteva tutta la sua maestria di cuoca per preparargli i piatti più raffinati, e lui la ricambiava con la cosa che sapeva fare meglio: esaltando la sua bellezza e facendola sentire più donna di quanto non si fosse mai sentita in vita sua.
   Non si era affatto sorpreso di scoprire di aver perso la testa per lei.
   Di solito, in quelle situazioni, il ragazzo metteva in pratica ogni sua arte per corteggiare la bella di turno. Questa volta non si era nemmeno reso necessario. Monique si era infatuata di lui allo stesso modo, e forse ancora più intensamente, di quanto a Indy fosse accaduto nei suoi confronti. E, così, giorno dopo giorno, Indy aveva lavorato nel castello dei MacLeod pregustando le delizie che lo avrebbero atteso la sera, di cui la cena sarebbe stato solo il gustoso antipasto.
   Per quasi tutta la durata del loro breve ma intenso rapporto, in verità, si erano limitati a lunghi baci e a carezze più o meno intime e bollenti; lei, infatti, forse per non sentirsi colpevole di un vero e proprio tradimento verso il marito, non aveva mai acconsentito a compiere un vero e proprio atto sessuale con il giovane americano.
   Non che questo non avesse ugualmente soddisfatto Indy. Usando le mani e le labbra, grazie a un’abilità di cui lui non avrebbe mai nemmeno sospettato, Monique gli aveva donato orgasmi il cui parossismo era risultato indimenticabile, appagante, meraviglioso; e, naturalmente, aveva permesso che la lingua e la bocca ardenti del ragazzo esplorassero ogni volta con maggiore minuzia il suo corpo, fino a condurla all’estasi.
   «Sei incredibile» gli disse una notte, accarezzandogli piano la testa.
   Era ansante, sudata, con il florido petto solcato da macchie rosse di lussuria, i capelli spettinati che le incorniciavano il volto come una corona. Le dita di Indy avevano appena finito di muoversi con sapienza dentro di lei, strappandole un orgasmo così intenso da farla urlare.
   «È tutto merito tuo…» sussurrò lui. «Sei una creatura divina. Sei Afrodite in persona. Infonderti piacere è quanto di più ovvio e naturale esista al mondo. Sei fatta per essere amata. Davvero, non so come possa tuo marito riuscire a restarti lontano…»
   Monique era rimasta in silenzio. Si era limitata a un sorriso delicato, senza smettere di accarezzarlo. Quelle parole sembravano averla colpita in profondità.
   Poi, però, era venuta l’ultima sera. Il giorno seguente, che ne avesse voglia o meno, il ragazzo sarebbe dovuto tornare negli Stati Uniti. Le lezioni incombevano e, se quello non fosse bastato, il visto sul suo passaporto stava per scadere; rischiava di tramutarsi in un clandestino, ed era meglio evitare di distruggersi la reputazione e macchiarsi la fedina penale prima ancora di conseguire la laurea.
   Monique, allora, per dargli l’addio migliore che si potesse ricordare, lo aveva invitato come al solito a cena e si era fatta trovare con indosso un elegantissimo abito di raso rosso. Un abito che, se possibile, era riuscito a farla sembrare ancora più bella del solito, anche grazie al sapiente strato di maquillage con cui si era truccata il volto. Più tardi, accomodati sul divano davanti al fuoco acceso nel camino, abbracciati e uniti per la bocca, Indy l’aveva aiutata a sfilarselo di dosso, mettendo in mostra una biancheria di pizzo dal gusto raffinatissimo.
   Il corpo nudo di Monique, su cui far scorrere le labbra e le mani per infonderle piacere, era sempre una meraviglia da scoprire e riscoprire. Era l’armonia, era Galatea uscita dalle mani magiche di Pigmalione.
   «Sei l’incarnazione del piacere, non ne ho dubbi…» mormorò, abbassandosi a lasciare una scia calda di baci sul suo collo e sul suo petto. Quando raggiunse il seno ancora racchiuso nel reggiseno, lo baciò e lo accarezzò come un tesoro di valore inestimabile.
   Quella volta, però, lei non aveva intenzione di accontentarsi di così poco. Non quando lui si preparava a uscire per sempre dalla sua vita. Aveva riflettuto a lungo su ciò che le aveva detto. Non capita tutti i giorni, del resto, di incontrare qualcuno che reputi una donna alla pari di una divinità. Voleva essere completamente sua, almeno per una volta soltanto.
   Gli prese la mano, fermandolo, e si chinò su di lui.
   «Stasera non avere paura, Indiana» gli sussurrò all’orecchio, con quel suo accento francese così colmo di sensualità che avrebbe saputo far sciogliere una pietra. «Stasera non temere le conseguenze del voler cogliere il fiore più bello e profumato…»
   Indy comprese, attraversato da un fremito che lo scosse da capo a piedi. Lei lo stava accogliendo dentro di sé. Le ultime barriere che erano esistite tra di loro avevano infine ceduto e ormai erano distrutte. Non si lasciò pregare.
   Terminò di spogliarla, poco a poco, con lentezza esasperante, senza smettere di baciarla nemmeno per un istante. Le loro mani si toccarono in continuazione, i loro petti dai capezzoli turgidi si avvicinarono, i loro sessi eccitati e umidi si sfiorarono.
   Si lasciarono scivolare sul tappeto, accoccolandosi uno di fianco all’altra. Occhi negli occhi, mani che si muovevano febbrili, gambe incrociate come unite da nodi invisibili, respiri profondi e rochi. Il profumo fragrante di Monique e il leggero odore di sudore di Indy si mischiavano insieme, unendosi all’aroma resinoso del ciocco in fiamme nel camino e al sentore della polvere di cui era intriso l’ordito del tappeto. Una fragranza al medesimo tempo soave e fastidiosa, quasi a sottolineare quanto quel loro dolcissimo atto forse in realtà sbagliato, rubato a qualcun’altro e dunque proibito.
   Il ragazzo e la donna non si lasciarono ostacolare da nulla. Nessun pensiero lì turbò. Le loro menti si svuotarono da ogni idea, mentre si abbandonavano a se stessi come naufraghi alla corrente.
   Le loro labbra si unirono, le dita delle mani si intrecciarono, le lingue si scontrarono. Le gambe di Monique si allargarono lievemente, Indy vi si insinuò in mezzo ed entrò in lei, iniziando a dare delle spinte leggere, e poi via via più forti.
   Poi, improvvisa e potente, fu soltanto l’estasi.

   Monique Delacroix alzò un’ultima volta la mano in segno di saluto. Il torpedone si allontanava traballando sulla strada dissestata, nella prima mattina limpida e soleggiata dopo lunghi giorni di freddo, di neve e di nebbia.
   Indiana Jones si voltò a guardarla attraverso il finestrino, e per l’ultima volta nelle loro vite i loro occhi si incontrarono. Monique non avrebbe saputo dire come si sentisse davvero, in quel momento. Sola? Svuotata? Oppure felice all’idea che quell’amore clandestino, che aveva rischiato di consumarle l’anima, fosse finalmente finito?
   Eppure, era certa che, in un modo o nell’altro, lui sarebbe rimasto con lei per sempre. Se lo sentiva nelle viscere, glielo comunicava quello strano e misterioso fuoco che sentiva ardere dentro di sé. Era sicura che lui avesse piantato qualcosa di indelebile in lei, anche se non avrebbe saputo dire di preciso che cosa fosse.
   Solo una sensazione? Oppure c’era dell’altro, dietro quella strana consapevolezza? Per il momento, non avrebbe saputo dirlo.
   Si accarezzò piano il ventre, ricordando quante volte lo avevano fatto le sue mani callose eppure delicate, e si voltò per tornare indietro.
   
 
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