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Autore: Urban BlackWolf    06/04/2021    4 recensioni
Possono i desideri personali, l’ambizione insita in ognuno di noi, la latente frustrazione che comporta il ritrovarsi a tirare parzialmente le somme della propria vita vedendo quanto si è dovuto rinunciare per aver fatto scelte diverse, oscurare l’amore che fino a pochi istanti prima si considerava il punto di forza di tutta la propria esistenza?
Questo Michiru non lo sa, ma lo scoprirà presto.
Sequel dei racconti:
”l'Atto più grande”
“Il viaggio di una sirena”
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Vento di crisi

 

 

Aggiustandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli dispettosamente mossi dal vento, la vide arrivare con passo calmo e sicuro nel suo completo di lino bianco panna. La camicia azzurra, i braccialetti etnici al polso sinistro, la capigliatura appena sopra le spalle di un argento compatto con quell’immancabile frezza rosa che tanto le ricordava quella acqua marina che da anni portava anche lei. Alzando una mano in segno di saluto, Michiru sorrise aspettando che l’altra donna la raggiungesse sul piazzale che si apriva di fronte alla sede del Comune di Bellinzona.

“Konnichiwa.” Esplose vedendola aggirare agilmente una macchina in transito.

“Kaiou-san. Non credevo saresti riuscita a passare.”

“Ho preso il tempo per la pausa pranzo. Oggi sono piena d’appuntamenti.”

“Non avresti dovuto.” Disse leggermente dispiaciuta.

“Non importa. Il lavoro prima di tutto.” Rimarcò Michiru stringendosi leggermente nelle spalle.

Non poteva girarci intorno; dalla prima volta che Franz Miller, il Direttore del museo di Castel Grande, le aveva presentato l’artista nippo Svedese Kristen Kocc, Michiru n’era rimasta piacevolmente colpita, sia per il gusto artistico che riusciva ad imporre alle sue opere, sia per il fascino personale sicuramente legato ad una vita piena spesa in giro per il mondo. E la cosa era stata reciproca tanto che la stessa artista aveva chiesto espressamente di lei per curare la sua ultima temporanea in Svizzera prima di rientrare a Stoccolma.

Non avendo mai amato troppo la corrente impressionista moderna dei paesi nord europei, Michiru in un primo momento era rimasta abbastanza spiazzata. Indecisa o meno se accettare un lavoro che la vedeva tanto lacunosa, aveva tergiversato accampando anche un paio di puerilissime scuse. La spinta giusta però, era arrivata proprio dalla conoscenza con la Kocc avvenuta a Zurigo un mesetto prima, dove Michiru non aveva potuto che cedere alle molto più che lusinghiere avance dell’artista.

“Con un curriculum come il suo, non potremmo che fare grandi cose insieme.” Aveva detto con quel suo strano accento internazionale stringendole energicamente la destra con entrambe le mani.

Così, le radici nipponiche che Michiru aveva ereditato dal bisnonno paterno ed il fatto di avere frequentato, anche se in periodi diversi, gli stessi circoli culturali di Tokyo, avevano infuso a Kaiou il coraggio necessario per gettarsi senza rete di sicurezza in quell’ennesima avventura ed ora, a distanza di qualche settimana, non era ancora riuscita a capire se quell’incontro rappresentasse per lei una fortuna o una colossale sciagura. E si, perché in tutto questo Michiru aveva anche una vita privata che a lungo andare non avrebbe assolutamente giovato di un ritmo lavorativo tanto impegnativo come quello di affiancare una delle più grandi artiste europee degli ultimi decenni.

Infatti per cercare di stare al passo con il nuovo incarico, la sempre perfezionista Dottoressa Kaiou aveva iniziato a studiare come un’universitaria al primo anno, cercando di assimilare in poco tempo nozioni pittoriche e correnti artistiche che non aveva mai preso in considerazione e tutto questo a discapito della sua famiglia. Passato con la sua bionda il momento del fuoco e quello successivo del consolidamento della loro unione, adesso doveva concentrarsi sul circoscrivere ed eliminare tutte quelle piccole trappole che dopo otto anni di vita in comune una coppia era chiamata periodicamente ad affrontare e quello di andarsene in giro per la Svizzera assieme ad una donna più matura, ma dallo charme notevole, non sembrava proprio una mossa intelligente.

Michiru era riuscita a tenere a bada l’innata gelosia di Haruka solo perché anche la compagna aveva iniziato un progetto che la portava lontano da casa forse anche più di lei. Ma quanto avrebbero retto prima d’esplodere? Quando la stanchezza, la mancanza l’una dell’altra, il concentrarsi su altre cose che non fossero solo loro due o l’egoismo insito nella soddisfazione personale, le avrebbero portate ad uno scontro?

Forse per Kaiou, donna romantica sempre intimamente alla ricerca dell’amore e della libertà, sarebbe stato tutto più facile se si fosse dovuta interfacciare con un attempato artista newyorchese schiavo del fumo e di una gerascofobia dilagante, piuttosto che una donna vicina ai cinquantacinque, ma con un genio creativo ancora vivissimo. L’educazione inculcatale da ragazzina l’avevano in un certo senso aiutata a non scoprirsi troppo, a rimanere apparentemente impassibile alle lusinghe che spesso la signora Kocc le lanciava e a continuare a mantenere senza non poca fatica, un certo distacco. Eppure il ritrovarsi immersa nell’espressione visiva e tattile di un’artista, nella pura viscosità dei colori, delle tele, dell’odore della trementina, stavano provocando in Michiru una sorta di risveglio pittorico che trascendeva dai quadri casalinghi che ormai creava solo per hobby.

“Allora devo considerarmi estremamente lusingata per questo inatteso regalo, Dottoressa Kaiou. Oggi non posso, ma spero quanto prima di potermi sdebitare con una scappata in qualche ristorante giapponese della città.” Disse Kristen aumentando il sorriso che in genere aveva quando s’incontravano.

Michiru inclinò un poco la testa in segno di gratitudine non commentando e virando immediatamente la barra di navigazione, puntò decisa al motivo che l’aveva strappata per l’ennesima volta al suo pranzo. “Cosa ha detto l’ufficio tecnico? Per la mostra potremmo usare gli spazi della parte più vecchia del castello?” Chiese intuendo già la risposta.

“Assolutamente no. Sembra che non siano presenti le condizioni necessarie per tutelare gli affreschi che decorano alcune sale.”

“Ne ero quasi sicura. Le istallazioni luminose che userai per alcune opere, non farebbero bene ai pigmenti degli affreschi presenti sulle murature.” Rivelò Michiru desolata, ma intimamente felice del fatto che il restauro che lei e la sua squadra avevano eseguito su quelle stesse pitture neanche due anni prima, non sarebbe stato messo in pericolo.

Era stato un lavoro bene eseguito che l’aveva talmente messa in luce con il Direttore del museo da farle guadagnare non soltanto i suoi elogi, ma anche un contratto come curatrice delle mostre temporanee.

“Pensavo che in tal senso voi elvetici foste un po’ più aperti. A volte mi sembra di parlare con gli italiani. L’arte non è solo quella del quattrocento o del cinquecento.”

“Trecento… - Sottolineò stirando le labbra. - Gli affreschi di quelle sale sono del trecento. Scuola ticinese.”

Un plateale gesto con il braccio e la Kocc scoppiò a ridere chiedendo scusa. “Dimentico troppo spesso di stare parlando con una restauratrice.”

 

 

Muovendo la banda laterale presente sullo schermo del suo portatile, Stefano scorse la pagina delle mail del loro nuovo sito di ricambi d’epoca scuotendo la testa vinto. A pomeriggio inoltrato ancora non erano riusciti ad arrivare a capo di nulla. Smessa la tuta della Ducati e fatta a regime sostenuto la strada per la frazione extra cittadina dove suo fratello aveva l’officina di famiglia, speranzosi di ricevere buone nuove da alcuni rivenditori del Mild West a cui avevano chiesto aiuto, come quasi tutti i pomeriggi lui ed Haruka si erano messi subito al lavoro.

“Ma che! Anche questo rivenditore ci ha dato picche!” Disse vedendosi tolto il mouse da una Tenou ancora più scorata di lui.

“Ma che cavolo! Possibile che in tutti gli Stati Uniti non si riesca a trovare una sella decente! Sei proprio sicuro che abbiano scritto di non avere il pezzo?!”

Malfidata come sempre, la bionda lo vide alzarsi dalla sedia per andare verso la moto che giaceva languida in un angolo dell’officina del fratello. Una Winchester del 1911. Una bellezza tanto rara quanto preziosa, prodotta dall’omonima marca statunitense di armi solo nei primi anni del ventesimo secolo e per questo dai pezzi originali quasi introvabili.

“Se non ti fidi controlla da te, ma l’inglese lo conosco anch’io e li c’è scritto che non trattano selle originali tanto vecchie. Forse abbiamo fatto una stronzata ad imbarcarci in questo progetto senza averne le basi.”

“Se due tecnici della Ducati non hanno le basi, allora spiegami chi potrebbe averle! Non si tratta di questo; sono i canali giusti che non conosciamo. Siamo nuovi nel settore delle moto d’epoca, non ci conosce ancora nessuno ed essendo un mondo chiuso dovremo sbattere le corna contro parecchie porte prima di ottenere qualcosa.”

“Non mi consola Haruka.”

“Non era mia intenzione…” Rispose stirando le labbra puntando decisa sul secondo rivenditore al quale avevano chiesto aiuto.

“A proposito di corna…, guarda che si sta facendo tardi. Non sarebbe il caso di avvertire la tua donna prima che te le spezzi.”

Strizzando gli occhi la bionda gli diede ragione e lasciandogli nuovamente la postazione afferrò il suo I phon nella tasca posteriore dei jeans iniziando a scorrere la rubrica.

“Vero. Fammi il piacere…, tu intanto controlla l’mail di quelli di Indianapolis.”

“Ok.” Poco convinto l’amico si rimise in caccia mentre lei iniziava a scrivere alla compagna per avvertirla che avrebbe fatto tardi. Ancora.

Tenou si lamentava spesso di non avere più molto tempo da dedicare a Michiru, eppure non c’era giorno che invece di far subito ritorno a casa dopo l’orario di lavoro, non passasse in officina anche solo per stringere due bulloni o farsi quattro risate. Quelle pareti bianche e blu ormai macchiate dal tempo con gl’immancabili attrezzi da meccanico in bella mostra, gli scaffali di metallo con le latte d’olio divise per classi e dimensioni, il paranco per il sollevamento dei mezzi e quell’apparente caos di pezzi smontati disseminati un po’ ovunque, le ricordavano la sua adolescenza, quando desiderosa d’imparare un mestiere che la portasse a spiccare il volo nel mondo degli adulti, aveva trovato il suo primo lavoretto in un’officina della sua città natale. Non che gli stabilimenti della Ducati non fossero altrettanto affascinanti, li amava in ogni loro sfumatura, ma erano senza ombra di dubbio imparagonabili al piccolo buco dove aveva iniziato la sua carriera di meccanico e pilota, più tecnologici, puliti ed attrezzati e perciò privi di quel fascino arcaico capace di riportarla indietro al tempo che l’aveva vista un puledro irrequieto.

Finito di scrivere il messaggio e già con il pollice sull’invio, Haruka sentì improvvisamente Astorri lanciare un fischio eccitato e scattando la testa verso lo schermo del portatile si ritrovò a trattenere il fiato.

“Tenou, vieni qui!”

“Che c’è?!”

“Hanno scritto che hanno qualcosa! Una sella del 1910 in buono stato.”

“Ma va?! - Esclamò lei fiondandosi alle sue spalle. - Lo sapevo! Visto porta sfiga, che quando non ti concentri sulla rogna ne viene fuori qualcosa di buono!” E giù un’energica manata che lo fece curvare su se stesso.

“E fai piano!” Rimbombò tra i muri.

“Zitto e vai all’offerta. Quanto chiedono?”

Due cliccate e Stefano cacciò un sonoro sfondone. “Guarda qui! Un boato di soldi!”

“In franchi sarebbe?”

“Tanto…”

“E faremo lo sforzo! Una volta montata la sella passeremo al motore e da li, ai raggi delle ruote. Tuo fratello farà il resto con la carrozzeria.”

“Il tuo entusiasmo mi sorprende.”

“Per forza! E’ un mese che cerchiamo questo pezzo!”

“Allora dobbiamo festeggiare. Birra e hamburger?”

E visto che la compagna era comunque già stata avvertita, Haruka accettò di buon grado guardando la loro creatura a due ruote che ben presto si sarebbe abbellita di un nuovo e significativo pezzo.

 

 

Quando quella sera Michiru tornò a casa, era esausta. Convintissima di trovare il solito ambiente caldo ed accogliente, una volta parcheggiata la sua Prius sul piazzale davanti allo stabile, non alzò neanche lo sguardo all’ultimo piano per vedere se le luci del loro appartamento fossero accese. La sua isola felice la stava aspettando ed anche se Haruka non era brava quanto lei ai fornelli, il solo ritrovarsi sotto al mento un piatto fumante ed una sedia comoda dove far rilassare la schiena, le sembravano le cose più belle ed irrinunciabili del mondo.

Quando però arrivata davanti la porta dell’appartamento si ritrovò a fare più di un giro di chiave, venne assalita dalla delusione più nera. Non soltanto la sua compagna non era ancora rientrata, ma facendo più tardi di lei avrebbe anche preteso le stesse cose. Tacito accordo infatti era che chiunque delle due fosse mai rincasata per prima, avrebbe pensato alla cena e ai bisogni del piccolo Tigre.

“No Ruka… - Lagnò gettando letteralmente la borsa sul piano della consolle. - Questa proprio non me la dovevi fare. Non questa sera!”

Un grosso boccone d’aria e forzandosi di rimanere calma iniziò a spogliarsi del soprabito e delle scarpe, sperando che il mancato avviso di quel ritardo non nascondesse un qualcosa di serio. Michiru era abbastanza tranquilla in tal senso, perché nell’ultimo mese, presa com’era da un secondo lavoro con Stefano ed il fratello, Haruka aveva fatto spesso tardi nell’officina di quest’ultimo per smontare e rimontare pezzi di una moto d’epoca che secondo i tre, una volta restaurata e rivenduta avrebbe fruttato una marea di franchi. Ma nonostante questo, fino a quando non avesse visto la macchina della sua bionda oltrepassare la cancellata del comprensorio non sarebbe stata tranquilla.

“Lei e le sue stupidissime idee!” Ringhiò infilando la porta del bagno per darsi quanto meno una rinfrescata che le permettesse di terminare in piedi quella lunghissima giornata.

Era accaduto tutto tanto rapidamente che il vedere, comprare la scocca agonizzante di una moto d’epoca dei primi anni del secolo scorso e il metter su un altrettanto gruppo di meccanici squinternati che la riportasse alla vita, era stato per Haruka un attimo e Michiru non aveva neanche avuto il tempo di dire la sua.

“Amore è stato un affarone! Una volta rimessa a posto quella Winchester ci farà fare dei bei soldini. E’ una moto rarissima e comprandola in tre siamo riusciti ad ammortizzare la spesa iniziale.”

E come scusa avrebbe anche potuto bastarle, ma il fatto di non essere stata interpellata su una cosa tanto importante aveva gettato Kaiou in uno stato di profonda prostrazione. “Sono soldi tuoi e non mi metterò certo a bacchettarti su una tua passione, ma avresti anche potuto dirmelo.”

“Te lo dico adesso.”

“A cose fatte Ruka?”

“Kaiou, era un’asta! Sono stata avvertita da Stefano solo all’ultimo secondo. Cosa avrei dovuto dirgli? Scusa Astorri, aspetta un attimo che devo chiedere il permesso alla mia compagna?”

“Sarebbe stato carino, si. Comunque hai pensato al tuo lavoro alla Ducati? Tra qualche giorno inizierà il Campionato.” Le aveva chiesto la sera che finalmente era stata messa al corrente della cosa.

“Per rimettere a posto quella moto non abbiamo mica una scadenza. Lo faremo nei ritagli di tempo, tranquilla.”

Tempo che naturalmente sarebbe stato sottratto alla loro vita di coppia. Michiru tranquilla non poteva starci, perché conosceva la sua compagna e il turbo che accendeva quando una qualsiasi passione le si insinuava sotto pelle e non sarebbero passate troppe settimane prima che ogni santo minuto libero della giornata, Haruka lo avrebbe passato dietro a quel catorcio a motore. La sibilla aveva predetto e puntualmente il tutto si era avverato con disarmante precisione e proprio in concomitanza con il lavoro per la progettazione della temporanea dell’artista Kristen Kocc, tanto che ormai era diventato un evento anche solo il passare un pomeriggio insieme.

Dieci minuti più tardi Michiru era ai fornelli quando la porta dell’ingresso si aprì su una bionda stanca, ma raggiante. La cosa grottesca, quella che solleticava ogni tre per due i nervi di Kaiou, era che se il lavoro con la Kocc stava prosciugandole ogni stilla d’energia fisica e nervosa, il lavorare alla moto d’epoca con i suoi amici, stava invece rivitalizzando la compagna tanto che sembrava essere tornata una ragazzina poco più che vent’enne. Avvilente, mortificante e più che irritante.

“Sono a casa!” Giubilò con le poche energie che ancora aveva in corpo.

“Alla buon’ora!” Fu la risposta vomitatale a denti stretti da dietro l’anta aperta di un frigorifero languidamente vuoto e non ci fu bisogno di chissà quale intuito investigativo per far capire ad Haruka di aver fatto qualcosa di sbagliato.

“Si, lo so di aver fatto un po’ tardi, ma eravamo talmente presi che il tempo è volato.” Cercò di tamponare iniziando a spogliarsi.

“Avresti anche potuto mandarmi un messaggio.”

“L’ho fatto.”

“Non credo proprio.”

“Come no?! Controlla… Te l’ho mandato verso le diciotto.” Sicura come del suo nome, Haruka iniziò ad accarezzare Tigre che intanto sornione l’era venuto incontro.

Quello era uno degli atteggiamenti che più mandavano Michiru in bestia ed afferrando il cellulare abbandonato sul granito della penisola, glielo mostrò una volta aperta l’applicazione. “Vedi qualcosa a tuo nome?!”

“Dio del cielo, quanto sei trapanosa! Se ti dico che te l’ho mandato…, te l’ho mandato!” E fece altrettanto con il suo I phon, ma arrivato all’account della compagna si bloccò di colpo.

Il messaggio c’era, solo che non era stato inviato. Ora si che era in difetto.

“Accidenti. Stavo per mandartelo quando Stefano mi ha distratta. Scusami.”

“Sempre colpa di qualcun altro.” Fu la laconica risposta.

“Cosa siamo nervosette questa sera?!” Stoccò causticamente di rigetto.

“Fai poco dello spirito Haruka. Te l’ho detto mille volte che quando fai tardi gradirei essere avvertita. Ci tengo.”

“Come io tengo a dirti di non averlo fatto apposta.”

“Senti, sono troppo stanca ed affamata per starti dietro. Fammi la cortesia di darti una lavata e di venire a darmi una mano con la cena.” Ma la bionda non si mosse.

“Che c’è?”

“Ecco Michi…., io avrei già mangiato. Abbiamo trovato il pezzo che stavamo cercando e Stefano mi ha offerto la cena.”

“Ah, TU avresti mangiato!?”

Haruka avanzò di qualche passo tornando ad un elevatissimo stato d’eccitazione. “Dovevamo assolutamente festeggiare! La sella, amore! Una splendida sella del ’10 in buono stato e non ci crederai mai, pensa viene da Indianapolis. La patria del più bell’autodromo degli Stati Uniti. Arriverà in settimana. Starà benissimo sulla nostra Winchester!”

Altro denaro speso che per evitare l’innesco di una nuova discussione, Michiru si astenne dal sottolineare. Più umanamente però, in quel momento aveva solo voglia di riempirsi lo stomaco e di crollare sul materasso, invece di sentir parlare la compagna di una cosa che francamente a lei non interessava affatto.

“Be Haruka, sono contenta per voi, ma scusami se visto che IO non avrei neanche pranzato, ora vorrei solo dedicarmi a preparare qualcosa di decente.”

“Ordina al Tai…” E la leggera intonazione di scherno fece saltare la spoletta.

“Non ne posso più di consumare cibi d’asporto! Non stiamo facendo altro! Come sono stufa di mangiare da sola! E non prenderlo come un affronto personale, ma sono ancora più stanca di sentirti parlare sempre di quella sottospecie di bicicletta dopata! Sembra che per imbastire una conversazione, in questa casa non esista altro! Non vuoi chiedermi della mia giornata o mangiare con me?! Va bene, me ne farò una ragione, ma almeno non martellarmi quando sono talmente stanca da non ricordarmi neanche più come diavolo mi chiamo!”

A quell’ultima affermazione la bionda si risentì, ma in fin dei conti Michiru aveva ragione. La temporanea di quella Kocc la stava sfibrando e ad Haruka, che di quelle croste imbrattate fregava ancora meno di quanto alla compagna interessasse la sua Winchester, non veniva mai di parlarne o semplicemente di chiederne informazioni in merito.

“Ok… - Disse in tono leggermente dimesso. - Allora cosa vuoi che faccia, Michiru?”

Sbattendo lo sportello del freezer, l’altra sospirò tornando in una fase di quiescenza. “Lo sai che non sopporto mangiare sciattamente.”

“Va bene. Preparo la tavola. Ti farò compagnia con un po’ di frutta.” E reprimendo l’insana voglia di controbattere, per amore Haruka questa volta cedette ed andando verso il mobile accanto alla porta d’ingresso dello studio, ne aprì un anta iniziando a cercare la tovaglia.

 

 

Una volta finito di mangiare ed infilato i piatti nella lavastoviglie, Michiru andò a coricarsi lasciando ad Haruka il compito sempre mal digerito di rassettare. Rimuginando sulla sfuriata della compagna, la bionda si guardò un film stravaccata su un divano per lei troppo vuoto, facendo poi capolino dietro la porta della loro camera da letto verso le ventitré. Anche se voltata di spalle sapeva che Michiru era ancora sveglia, perché anche se stanca, nel loro rapporto era uno dei loro punti fissi non addormentarsi mai con il cuore arrabbiato. Perciò con fare sinuoso da biscia acquatica, una volta rimasta in boxer e canottiera, la bionda s’insinuò tra le lenzuola andandole vicinissima, senza però toccarla.

“Dormi?” Chiese sottovoce.

“No.” Rispose con altrettanta debolezza.

Haruka cercò allora il contatto appoggiandole la fronte sua spalla. “Posso accoccolarmi un po’?”

“Non c’è bisogno che me lo chieda, amore.” Disse sentendosi stretta in un delicato abbraccio.

“Scusami per il messaggio. Davvero, non l’ho fatto apposta.”

“Lo so. “ E fece per afferrarle la mano sinistra per portarsela sotto la guancia.

“Anche per la cena… Dovevo pensare al fatto che avresti mangiato da sola.”

“Ed io non avrei dovuto esplodere così. E’ che sono tanto stanca e la pressione che mi sta dando questa temporanea mi porta a non essere lucida neanche con te.”

“Non importa. La mostra aprirà tra un paio di settimane e tutto sarà finito. Torneremo alla vita di sempre con una bella coccarda in più sulla tua carriera.”

“E se dovessi fallire?”

“Non accadrà.” Rispose sicura lasciandole un bacio sul collo.

“Mi mancano i nostri balli serali, la spesa insieme, le nostre escursioni…, le tue mani…” Sbiascicò esausta.

Sentendosi improvvisamente gli occhi pesanti, Michiru crollò subito dopo. Lasciandosi cullare dai respiri di Haruka scivolò nel sonno prima ancora di sentirla dire, ti amo.

 

 

 

NOTE: Salve, eccomi qua! Ero convinta che sarebbe passato ancora parecchio tempo prima di tornare a cimentarmi con una long, invece…

Mi sarei aspettata di proseguire “le gru della Manciuria” o “tralci di vite”; ma devo ammettere di non avere per loro delle idee decenti, così come molti di voi hanno visto, per un po’ mi sono concentrata sulle one shot della mia prima ff; facili, libere e divertenti. Poi un colpo di luce e le richieste di alcune lettrici veramente molto appassionate, mi hanno convinto a provare quanto meno a dare vita ad una trilogia, un terzo arco che mettesse un po’ di pepe ad una storia di coppia ormai consolidata da anni.

Non vi aspettate chissà che, ma a parte la fine che ho bene in mente, per il resto tutto potrà accadere.

Un saluto affettuoso e si va con questa nuova avventura.

Ciauuuu

   
 
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