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Autore: Bibliotecaria    07/04/2021    1 recensioni
In un mondo circondato da gas velenosi che impediscono la vita, c’è una landa risparmiata, in cui vivono diciassette razze sovrannaturali. Ma non vi è armonia, né una reale giustizia. È un mondo profondamente ingiusto e malgrado gli innumerevoli tentativi per migliorarlo a troppe persone tale situazione fa comodo perché qualcosa muti effettivamente.
Il 22 novembre 2022 della terza Era sarebbe stato un giorno privo di ogni rilevanza se non fosse stato il primo piccolo passo verso gli eventi storici più sconvolgenti del secolo e alla nascita di una delle figure chiavi per questo. Tuttavia nessuno si attenderebbe che una ragazzina irriverente, in cui l’amore e l’odio convivono, incapace di controllare la prorpia rabbia possa essere mai importante.
Tuttavia, prima di diventare quel che oggi è, ci sono degli errori fondamentali da compire, dei nuovi compagni di viaggio da conoscere, molte realtà da svelare, eventi Storici a cui assistere e conoscere il vero gusto del dolore e del odio. Poiché questa è la storia della vita di Diana Ribelle Dalla Fonte, se eroe nazionale o pericolosa ed instabile criminale sta’ a voi scegliere.
Genere: Angst, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Note dell'autrice: questo capitolo sarà abbastanza pesante. Si parlerà di dolore, lutto, pensieri suicidi e vendetta.



17. Fragile
 
 
Fu un secondo, qualcosa che mi spingeva contro le scaglie del drago, un lamento appena percettibile riempì l’aria, confusa riaprii gli occhi e in un istante sentii il mio piccolo mondo crollare il mille pezzi come fragile cristallo.
 
Giulio aveva preso la pallottola al posto mio.
 
Ancora oggi lo vedo lì mentre cede alla forza di gravità accasciandosi ai miei piedi, il proiettile che gli aveva trapassato il petto perforandogli un polmone, il sangue così scuro da sembrare nero che scorreva furori a fiotti macchiando il suo vello scuro come la notte, i respiri sempre più accelerati e i suoi occhi umidi e dorati che fissano i miei spaventati e sofferenti ma al contempo rasserenati dalla mia integrità.
Il tempo parve fermarsi, mi mancavano l’aria e le energie, crollai in ginocchio al suo fianco cercando di sorreggerlo, mentre tutti i suoni, i colori, le luci si attutivano e copiose lacrime sgorgavano dai miei occhi per gocciolare sul suo viso. L’unica cosa che sentivo con chiarezza erano i battiti del mio cuore e il suo respiro sempre più debole. Mi mancava del tutto il respiro ma mi feci forza controllai ciò che già sospettavo: lo aveva colpito ai polmoni, perforandoli, e forse aveva toccato il cuore. Il suoi occhi guardarono la ferita e mi lanciò un silenzioso messaggio rassegnato, mi rifiutai di crederci ma anche se per metà lupo mi guardò dicendomi chiaramente che non gli restava tempo. Con un nodo alla gola premetti la ferita con tutta la fermezza che potei, mentre un lamento riempiva l’aria, sapevo che gli stavo facendo male ma volevo che restasse con me, malgrado sapessi di averlo condannato a morte. Con un gesto scattoso mi filai la felpa e la premetti contro l’emorragia per tentare di bloccare il flusso di sangue, ma niente poteva salvarlo, lo sapevamo entrambi, ma avrei fatto di tutto per prolungare quegli attimi.
 
Non so con quale sforzo riuscì a mutare in umano per sussurrarmi le sue ultime parole prima di spiare, ma lo fece. E ancora oggi non so se sono felice di aver potuto vedere il suo viso quel ultima volta o se sia stata la cosa peggiore.
“Promettimi una cosa.” La sua voce era appena una sussurro, ma ero così vicina al suo volto che le sue parole tuonavano nella mia mente adesso svuotata da tutto il resto. “Promettimi che concluderai ciò che hai iniziato…” Venne interrotto da un colpo di tosse e sputò del sangue scuro, nel vederlo così non riuscii a trattenere un gemito e lo strinsi ulteriormente a me mentre le mie lacrime continuavano a cadere copiose. “Segui il tuo cuore, non la tua testa.” Mi sussurrò sfiorandomi con una dolce carezza. “È più forte e saggio di quel che credi. Lo prometti?” Con le lacrime agli occhi e le labbra tremanti appoggiai la mia fronte sulla sua continuando a guardare quegli occhi d’orati che mi avevano donato gli attimi più felici della mia vita. “Lo giuro.” Sussurrai con il cuore a pezzi. Giulio mi prese da dietro la nuca con mano tremante e ci salutammo con un ultimo bacio. Sentivo il sapore ferroso e caldo del suo sangue e la freddezza della morte nelle sue labbra. Quando ci separammo, malgrado le mie lacrime avessero già inumidito le guance di entrambi mi sforzai di sorridergli con quando più Amore potessi mentre lui mi annusava tra un respiro e l’altro per l’ultima volta.
Tutt’un tratto Giulio smise di respirare e la luce sparì dai suoi occhi.
 
 
Ci furono istanti di vuoto, in cui ogni singola parte di me era congelata, sentivo il mio cuore venire ferito, la carne essere strappata con violenza, il sangue che fuoriusciva da quella ferita, e poi il nulla, non ero arrabbiata, né disperata, o confusa, ero solo congelata nel oblio del nulla.
Quando ti parlano della morte si dimenticano sempre di dirtelo: è il nulla ciò che è più doloroso. Quei momenti in cui non sai come ti senti, in cui tutto ti sembra surreale, situato tra la devastante notizia e il lutto. È un momento in cui ci si perde. E io mi persi mentre le mie mani insanguinate reggevano il capo di Giulio, occhi e bocca ancora aperti, testimoni del suo ultimo storpiato sorriso.
 
 
Furono le risate folli di Malandrino che pervasero la stanza a risvegliarmi come una doccia fredda. “Che sciocco….” La sua voce era salita d’un ottava e scese di due incupendosi quando si ricompose. “Ora… è il tuo turno.” Decretò puntando la pistola verso la mia testa.
Ma a quel punto il vuoto, quel vortice di nulla che mi stava divorando, si riempì d’ira cieca e incontrollata, come le fiamme di un incendio. Mi alzai e scattai verso di lui usando tutta la rabbia che avevo in corpo per muovermi. Non sapevo cosa avrei fatto: ero accecata dall’odio.
Malandrino sorrise e nel istante in cui stava per premere il grilletto Nohat riuscì a sollevarsi abbastanza da dargli uno scossone alle gambe sufficiente da destabilizzarlo nell’istante in cui sparò.
 
Per primo sentii un acutissimo dolore alla guancia, il sangue caldo che scorreva fuori rosso e fumante percorrendo lo zigomo, la pallottola che mi superò assordandomi momentaneamente un orecchio. Tuttavia, sul momento, aldilà della momentanea perdita di equilibrio, fu come se non avessi sentito nulla. Ero così accecata d’ira che non realizzai di essere stata ferita.
In quel momento mi importava solo di correre e verso di lui, di vendicarmi di sentire le sue ossa spezzarsi sotto i miei colpi. Mi scaraventai contro Malandrino colpendolo con un devastante colpo alla mandibola spedendolo definitivamente a terra e mi avventai su di lui iniziando a soffocarlo, fu allora che vidi il mio sangue gocciolare sul suo viso. Ciononostante l’odio si era impossessato del mio corpo e iniziai a colpirlo con forza al volto mentre con una mano continuavo a strangolarlo: volevo vederlo sanguinare, spaccargli ogni osso del corpo, ammazzarlo, vederlo soffrire, trasferire il mio dolore su di lui.
Il suo volto divenne nero e schizzi di sangue partirono e anche le mie nocche insanguinate.
 
Nohat mi afferrò da dietro per trascinarmi via da lui sconvolto da quel che stavo facendo. “Diana ferma!” Cercò di riportarmi alla ragione il ragazzo malgrado fosse ferito alla gamba destra. “Lasciami! Lasciami! Deve morire! Deve morire il bastardo!” Urlavo e scalciavo totalmente impazzita, in balia del dolore che provavo. “Ci sono modi più dolorosi per ammazzarlo!” Urlò Nohat facendomi volgere il suo sguardo su di lui, aveva le sclere rosse per il pianto ma le sue iridi erano luminose e glaciali piene di ira ed odio: pure lui volva partecipare, ammazzarlo, fargliela pagare per ciò che ci aveva fatto.
 
Riacquistai lucidità e con una calma glaciale parlai. “Dammi il veleno.” Decretai recuperando un pugnale lì vicino e passandoglielo. Nohat attuò una piccola pressione sui canini e fuoriuscì quel liquido argenteo-bluastro che sapevo essere in grado di immobilizzare o uccidere tra atroci sofferenze chiunque, tutto dipendeva dalla volontà del vampiro. Con questo in mano arrivai difronte a Malandrino ancora agonizzante e a terra che tentava di riprendere fiato dopo quasi un minuto privo di aria. Sentii il disgusto invadermi la bocca e mi chiesi per quale motivo la gente credesse in tale essere ripugnante, mi faceva ribrezzo.
Guardai Nohat e alzai il pugnale come per chiederli dove lo dovevo colpire, lui si avvicinò a me e, insieme, infilzammo il pugnale nella spalla destra di Malandrino. Questi urlò di dolore e cercò di liberarsi ma mi bastò un pugno in viso per farlo tornare a strisciare a terra.
“Se vuoi completare l’opera hai questo.” Decretai lanciandogli il coltello addosso mentre mi alzavo. “Come sai tra breve arriveranno gli agenti S.C.A. e conosci le conseguenze di questo.” Dissi aprendo le braccia. Allora, con una clama glaciale, mi voltai e feci per tronare a liberare il drago ma mi bloccai a metà strada. “E perché tu lo sappia.” Gli dissi voltandomi. “Il tuo grande piano avrebbe portato solo morte e distruzione e probabilmente peggiorato la situazione.”
Malandrino rimase a terra dolorante con il coltello lì accanto. “Tu mi hai spinto a ucciderlo ragazzina.” Iniziò con una voce spezzata che non gli avevo mai sentito appartenere se non quando mi aveva raccontato il suo passato. “Tu non sei meglio di me. E tu lo sai.” Mi urlò Malandrino, l’impulso di voltarmi e tornare a spaccargli la faccia fu immenso.
 
“Non ascoltarlo è un pazzo.” Mi sussurrò Nohat al mio fianco mentre fissava quel maledetto con estremo odio.
“Io ho ucciso il tuo bello e non tornerà mai indietro, e tu sarai sola per sempre.” Con queste ultime parole velenose Malandrino fece per tagliarsi la gola ma qualcosa lo fermò, forse paura o forse uno dei suoi soliti sbalzi d’umore, ma non servì a nulla poiché era già troppo tardi. Il veleno era entrato a contatto col sangue e, a quel punto, avrebbe fatto meglio a tagliarsi la gola. Poiché un istante dopo Malandrino si accasciò a terra tra urla di dolore e spasmi, la saliva uscì come schiuma di mare dalla sua bocca e gli occhi iniziarono a perdere la loro luce, la zona tagliata si annerì leggermente e in fine cadde solo con la sua espressione spiritata in volto.
 
Lo guardai e non provai niente, neanche soddisfazione per aver vendicato Giulio, non il disprezzo che avevo sempre provato per quella persona maledetta, c’era solo l’indifferenza più totale. “Cosa diremo agli altri?” Mi chiese Nohat fissando il corpo. “La verità.” Decisi pacata: ero stanca dei sotterfugi, dei giochetti o di quant’altro, avrei affrontato le persone fedeli a Malandrino con un mitra in mano se fosse stato necessario. “Ci ammazzeranno.” Constatò Nohat. “Che ci provino.” Sussurrai stringendo con maggiore forza l’arma. “Allora sono con te Diana.” Sussurrò a sua volta sorprendendomi.
 
Sapevamo che il resto del gruppo sarebbe arrivato a momenti così ci sbrigammo a liberare anche dall’ultima catena al drago, mentre il tetto e la gabbia che circondava l’edificio si spalancavano totalmente rivelando il cielo stellato, Garred e Orion avevano concluso il loro compito.
“Puoi andare se vuoi.” Dissi al drago pacata. “Non ho mai volato al difuori di qui.” La sua voce era spaventata ma i suoi occhi di fuoco rimiravano il cielo notturno agognanti. “Sono certa che ce la farai.” Mi chinai per sollevare il corpo di Giulio inerme e ancora sanguinante. Nohat venne ad aiutarmi, per quanto gli fosse possibile, non appena finì di fasciarsi la gamba: fortunatamente i tagli non erano così profondi e una volta bloccate le ferite riuscì a zoppicare al mio fianco. La ferita alla spalla invece ce ne saremmo dovuti occupare una volta raggiunto il furgone dato che non era profonda o grave.
Eravamo praticamente sulla porta quando quella voce possente ci chiamò. “Quanti siete?”
“In otto.” Risposi apatica e il drago sembrò farsi un paio di calcoli. “Vi posso portare fuori tre alla volta… credo.” Alla notizia rizzai le orecchie e attivai la radio. “C’è un cambio di programma: chi è nei pressi della stanza ci raggiunga. Chi è alla volante si allontani e raggiunga il punto di raduno 12, gli altri avanzino come previsto, ci incontriamo lì.” Decretai sapendo che nessuno avrebbe osato contraddire un mio ordine, non in questa missione.
“Ricevuto.” Risposero tutti.
“Arriveranno a breve.” Comunicai poggiando il corpo di Giulio a terra e mi soffermai su di lui. Sembrava che dormisse, come quando gli avevo dato il nostro primo bacio. “Di lui che ne facciamo?” Mi domandò Nohat indicando il corpo di Malandrino con odio, vi riflettei un secondo. “È solo un peso. Lo dovremmo lasciamolo lì.” Constatai con sguardo crudele. “Ma lo identificherebbero in un lampo.” Riflettei iniziando a pensare ad un’alternativa. “Lo potrei incenerire.” Propose il drago, notai gli occhi di Nohat illuminarsi e sorrise maligno. “Mi sembra un’ottima idea, riducilo in cenere.”
Feci per oppormi ma mi bloccai e capii che non volevo dover rivedere Malandrino nella vita successiva. Il drago, dal canto suo, non se lo fece ripetere due volte, prese un profondo respiro e lo incenerì con un’unica fiammata e guardò soddisfatto il suo lavoro.
“Volete che incenerisca anche il vostro amico?” Domandò già pronto ad eseguire. “NO!!!” Lo bloccammo in contemporanea io e Nohat terrorizzati all’idea di perdere l’unica possibilità che avevamo di rivederlo nella seconda vita. Il drago ci guardò confusi ma non aggiunse nulla.
 
I primi a raggiungerci furono Orion, Vanilla, Garred e Galahad. E, come entrarono la sala, la scena che li attendeva non fu delle migliori: il fuoco che aveva incenerito Malandrino si era appena spendo lasciando solamente un mucchietto di cenere nera.
Ad Orion bastarono due secondi per capire cos’era successo e si preparò a sparare, ma Garred fu sufficientemente veloce e lo fermò abbassandogli il mitragliatore.
“Che cosa ti prende pesciolino? Lasciamelo uccidere!” Esclamò Orion prendendo la mira mentre il drago si ritirava in sé stesso spaventato. “No.” Lo bloccai abbassandogli l’arma con un gesto deciso e ponendomi tra lui e il drago. “Ha fatto bene a bruciarlo.” Sussurrai sicurissima delle mie parole: non avrei concesso a Malandrino il lusso di pagare i suoi peccati nel altro mondo, lui sarebbe finito nel Oblio, il luogo che spetta alle creature che non sono state mangiate durante la vita o dopo la morte, un luogo di buio e freddo eterno, un luogo lontano dal Sole e dalla Luna.
“Perché cos’ha fatto?” Domandò Orion sconvolto, ma come sporse lo sguardo oltre di me, vide il corpo di Giulio disteso a terra. E gli apparve uno sguardo incredulo, preoccupato e furioso. “Cosa diamine è successo?” Domandò con il suo vocione roco ora ridotto ad un sussurro. “Nohat ti spiegherà tutto durante il volo. Ora sali su quel drago se non vuoi che ci ritroviamo con la S.C.A. e l’esercito alle calcagna una volta fuori da qui. Ci restano pochi minuti. Vai!” Gli ordinai, però non fu d’accordo. “Io non mi muovo da qui fino a quando non mi spieghi cos’è successo!” Decretò Orion.
 
A quel punto feci cenno ai ragazzi di mettersi accanto a me e questi obbedirono malgrado fossero sconvolti: Vanilla aveva le lacrime agli occhi e stava tremando come una foglia, Garred era chiaramente scosso e i suoi occhi erano vuoti, privi della solita gioia, anche Galahad aveva lo sguardo vuoto ma ciò non lo bloccò e puntò il mitragliatore verso Orion. “Orion, fa come ti diciamo e non ti succederà nulla.” Iniziai cercando di farlo ragionare. “Sali sul drago e raggiungi il punto 12, fa come ti diciamo e tornerai a casa da tua moglie e i tuoi figli. Noi non ti faremo del male se ci ascolterai, lo giuro sulla Luna.” E per ravvivare il concetto estrassi il medaglione che mi era stato regalato e glielo feci vedere. Orion a quelle parole esitò un secondo a rispondere e capii che avrebbe fatto come gli avevamo detto.
In quel istante, tuttavia, entrarono il cecchino e uno dei nostri due pali con il suo collega in spalla, morto durante la sparatoria che avevamo sentito in lontananza, era grazie a lui se nessun agente ci aveva raggiunti in quei lunghi minuti.
“Cosa diamine è successo qui!” Esclamò il cecchino sconvolto quando vide la situazione e fece per puntare il fucile verso di noi ma Vanilla gli sparò ai piedi come avvertimento e questi si bloccò terrorizzato e alzò le mani, cosa che fece anche il suo collega.
 
Sospirai e capii che era meglio dire tutto adesso o gli agenti che stavano arrivando per il cambio della guardia ci avrebbero trovati qui o quelli sotto l’effetto dei fumogeni si sarebbero svegliati. “Molto bene: il mio piano e quello dei miei amici era quello di liberare il drago, non ho mai pensato di consegnarlo a Malandrino, solo un folle l’avrebbe fatto, soprattutto dopo quello che è successo a gennaio.” Sottolineai guardando Orion negli occhi e percepii il senso di colpa che lo attanagliava. “Adesso scegliete: una corsa sicura per i celi oppure il fuoco di drago. Decretai serissima.” Indicando il nostro amico squamato dietro di noi che ci stava fissando incuriosito e confuso.
 
Il cecchino tentò una mossa con la pistola ma venne freddato da Vanilla ad una velocità impressionante. Si accasciò a terra, e una pozza di sangue iniziò a formarsi sul pavimento.
Lanciai un’occhiata incredula a Vanilla: era in lacrime ma il suo sguardo era cruciato dall’ira, Giulio e lei non erano particolarmente legati però si volevano bene e adesso era sconvolta, non mi sarei sorpresa se avesse attivato la magia.
Il restante ragazzo guardò Orion in cerca di un consiglio ma questi li ignorò, aveva altro per la testa. Lo vidi dare un’occhiata al compagno lì steso a terra, respirava ancora, evidentemente Vanilla non aveva preso bene la mira, poi guardò Malandrino. “Ho promesso a mia moglie che sarei tornato a casa.” Iniziò pacifico. “Se non lo faccio chi la sente più quella lì?” Si disse avvicinandosi a mani alzate.
“Prendilo.” Ordinò Nohat indicandogli il cecchino. “Indipendentemente che viva o muoia non lo lasceremo qui.” Decretò e Orion eseguì e fece cenno al ragazzo di arrendersi e questi eseguì.
 
Neanche un minuto dopo stavamo caricando il cecchino ferito, sperando che Felicitis riuscisse ad offrirgli delle cure tempestive migliori, il corpo del ragazzo morto e Galahad, dato che era quello più lucido e confidavo che sarebbe riuscito a tenere a bada l’altro ragazzo alla guida.
Quando il drago tornò fu la volta di Vanilla, il ragazzo ancora in stato confusionario e Garred. Questi mi guardò un secondo con un sorrisino timido di incoraggiamento prima di salire. Prima di spiccare il volo Vanilla mi guardò dolcemente. “Te la senti? Se vuoi resto qui e ti accompagno.” Negai, non perché credevo di farcela ma perché avevo bisogno di essere sola quando avrei spiegato al drago dove andare.
Quel lucertolone tornò appena cinque minuti dopo e questa volta salirono Nohat, che aiutò Orion a salire sul drago, e poi caricarono il corpo di Giulio. Il drago questa volta ebbe alcuni momenti in cui non si comprendeva se riuscisse a spiccare il volo o meno. In fine si bloccò e mi guardò dispiaciuto. “Non ci riesco, troppo peso.” Nohat mi guardò ed indicò il corpo di Giulio, strinsi i pugni e lo recuperai con fatica, non avevo idea se sarei riuscita a fare quel che dovevo in quelle condizioni. A quel punto il drago si librò nel aree, compì un paio di giri attorno alla gabbia che circondava l’edificio per poi dirigersi verso Nord.
 
Mi sedetti sul pavimento e attesi, sapevo che il tempo a nostra disposizione stava per scadere, che ben presto il sonnifero nel gas avrebbe smesso di fare effetto e che la S.C.A. sarebbe stata avvisata ma continuai ad aspettare con il mitra alla mano. Sapevo che Giulio era lì, accanto a me, però non riuscii a volgere lo sguardo, mantenni i miei occhi fissi sul cielo stellato.
“A quanto pare tra poco volerò per la prima volta. Immagino che sarebbe stata la prima anche per te.” Dissi stringendo con forza le mie gambe e iniziando a tremare. “Sai? Gli scienziati sostengono che tecnicamente sarebbe possibile costruire delle macchine per volare, però ogni volta che ci hanno provano puntualmente hanno fallito. Molti sostengono sia perché i draghi hanno maledetto tutte le razze per avergli dato la caccia secoli fa e che, finché esisterà anche solo uno di loro, e anche millenni dopo la loro scomparsa, l’onere e l’onore di far conoscere l’esperienza del volo a chi è ancorato a terra spetterà ai draghi solamente.” Raccontai mentre tentavo di trattenere le lacrime: non dovevo crollare, non dovevo piangere, non ora, non con tutte le cose che dovevo fare.
 
Mi sforzai di restare composta ma senza troppo successo. E quando il drago tornò per me quasi non riuscii a caricare Giulio sul suo dorso squamoso. Ebbi una fitta al cuore quando i suoi occhi si aprirono leggermente e nel vederli freddi, vitrei e privi di quella luce che mi aveva fatto innamorare per poco non crollai a terra.
Distolsi lo sguardo cercando di concentrarmi su ciò che dovevo fare.
“Portami più avanti rispetto agli altri. Devo dirti una cosa e ho giurato che sarebbe rimasta segreta.” Come finii la frase il drago mi lanciò un occhiata d’assenso e con un battito d’ali si librò in aria. Il freddo vento notturno mi accarezzò il volto, ero sola senza nessuno che mi guardasse o giudicasse. Abbassai lo sguardo sul corpo del mio amato e un vuoto mi colpì come un coltello in pieno petto, non sentivo neanche più il dolore per la pallottola, sentivo solo un altro dolore ben peggiore di quello che qualsiasi arma possa provocare.
Del volo non ricordo nulla aldilà delle mie lacrime e gli urli disperati per la morte di Giulio. Mi appoggiai al suo capezzale e lo inumidii con le mie lacrime, gli diedi dei delicati baci in viso e lasciai che il suo odore si imprimesse nei miei ricordi prima che quello della morte arrivasse. Dentro di me continuavo a sussurrare che non volevo lasciarlo andare, non volevo separarmi, non così, non dal unico uomo che fosse riuscito a vedere oltre la mia corazza di rabbia, non dal unico che riusciva a vedermi come donna, non senza avere nulla di suo che mi avrebbe permesso di averlo sempre con me. Di tanto in tanto sussurravo qualche dolce parola ma non servì a nulla.
Il drago mi dava delle leggere occhiate di tanto in tanto ma non importava: probabilmente non lo avrei mai più rivisto e poi sentivo che infondo quel essere squamoso mi poteva capire, dopotutto per primo doveva aver perso qualcuno di importante nella sua vita.
 
Una volta a terra asciugai le lacrime con il dorso della maglia e cercai di bloccare i singhiozzi e gli spasmi con scarso successo. “Cosa mi dovevi dire?” Quella voce, pur causandomi un groppo allo stomaco, mi riportò alla lucidità. Alzai lo sguardo su quegli occhi oro e rossi e una parte di me riuscì a separarsi dal dolore. “Ti posso condurre in un luogo sicuro se vuoi.” Iniziai facendo risalire alla memoria ciò che dovevo dire. “Se segui la catena montuosa e vai verso Sud ben oltre la strada elfica raggiungerai una città con delle mura che ricordano un fiore.” Spiegai disegnando con il piede la rosa che rappresentava la mia città sintetizzata su un punto sterrato. “Lì vicino, alle radici della montagna, c’è una foresta, se ti addentrerai lì dentro ci saranno delle persone che ti sapranno condurre in un luogo sicuro.” Spiegai tirando su con il naso. Il drago mi guardò sorpreso. “E come dovrei arrivarci secondo te?” Mi chiese spaventato. “Volando?” Gli proposi non vedendo altre alternative. Questi mi guardò con una silenziosa preghiera. “Senti… ti accompagnerei anche, ma… non ce la faccio a...” Presi un profondo respiro, dovevo calmarmi. “Separarmi da lui adesso.” Spiegai cercando di restare placida.
“Sei sicura che sia sicuro?” Mi domandò terrorizzato. “O questo o torni nella tua beneamata prigione.” Dichiarai pacifica.
Il drago mi guardò incerto per qualche istante e poi sussurrò qualcosa in una lingua che non compresi. “In una lingua comprensibile, grazie.” Lo ripresi indispettita: non mi era mai capitato di sentire qualcuno parlare una lingua diversa dal Volgare, le altre lingue oramai erano state cancellate. “Dunque non sei una di loro.” Commentò più a sé stesso che a me e con fare deluso. “Cosa non sono?” Chiesi seccata ed incuriosita, probabilmente quel drago sapeva più cose di quante ne desse a vedere. “Nulla.” Si limitò a dire il drago. In un momento diverso avrei cercato di approfondire ma in quel momento non mi interessava nulla.
“Ora devo andare se voglio arrivare fin la giù prima del alba.” Mi sorpresi che fosse così sicuro del tempo che ci avrebbe impiegato. “Addio.” Mi salutò così e con un colpo d’ali possente s’innalzò tra le nuvole.
Io mi caricai Giulio in spalla e mi diressi nel vicino sentiero dove mi attendevano il resto delle persone.
 
Di lì a poco riuscii a raggiungere gli altri radunati attorno al camion. Gli occhi di tutti erano su di me e capii che erano stato spiegato loro le nostre vere intenzioni e le nostre motivazioni. Una volta che ebbi posato con cura Giulio sul furgone Orion mi si avvicinò. Mi sarei aspettata delle urla o dello scherno ma ciò che disse mi sorprese. “Avete fatto bene.” Sussurrò in fine, alla sua risposta rimasi sbalordita, soprattutto perché condivisa anche dal ragazzo che aveva fatto da palo, Marzio se non erro, che fece dei cenni affermativi.
“Come?” Domandai e Orion, notando la mia espressione stupita, fece un bel sospiro e aggiunse. “Conosco da molto tempo Malandrino e negli ultimi anni ha preso delle scelte che condividevo sempre meno. È dal episodio della bomba che alcuni di noi credono che siamo andati contro gli ideali iniziali, non dico che siamo dei santi ma un tempo non coinvolgevamo i civili. Io non voglio che il mondo cada nel terrore, voglio solo che le generazioni future non soffrano quello che stiamo soffrendo noi.”
La sua confessione mi stupì, ma questo perché io avevo visto solo quello spaccato dei Rivoluzionari. Solo in seguito scoprii che un tempo non erano dei criminali ma un branco di sgangherati che tentavano di fare del bene, anche se con vie discutibili a volte, poi Malandrino aveva cambiato le cose e si erano trasformati in un branco di criminali e terroristi.
“C’è una cosa però.” Aggiunse Orion cambiando argomento. “Solo Malandrino sapeva dove aveva nascosto le informazioni legate al secondo drago. E ora che è morto tali informazioni lo sono con lui.” Commentò in fine.
Non parlai, ne feci nulla, avrei voluto abbracciarlo e farmi perdonare da Orion per quello che avevo pensato nei suoi confronti e tutte le volte che lo avevo considerato uno stronzo e via dicendo, ma non lo feci, i miei pensieri erano tutti rivolti a Giulio.
 
Quando salii mi accorsi che il tizio che aveva fatto il palo con Felicitis era stato legato a dovere sul retro del camion, evidentemente non era d’accordo ma era stato abbastanza furbo da arrendersi. Il nostro cecchino era svenuto sui sedili ma stabile, e l’altro ragazzo era stato steso accanto a Giulio.
Lanciai una breve occhiata al resto dei presenti. Felicitis era disperata e Vanilla stava cercando in tutti i modi di consolarla senza troppo successo dato che era lei la prima in lacrime. Nohat prima di chiudere la porta diede un’ultima occhiata dolorosa a Giulio e andò davanti per guidare malgrado avesse perso molto sangue.
Non c’era più tempo per parlare, ci saremmo dovuti muovere in fretta. Infatti in meno di un’ora percorremmo la zona sterrata e da allora più di una volta Nohat preferì passare per la città e i loro confini che fare il giro lungo. Appena gli fu possibile entrò nell’autostrada e dovette rompere ogni singolo limite di velocità perché in meno di tre ore avevamo già percorso ben oltre di metà percorso, probabilmente lo stava facendo per arrivare a Meddelhok al più presto e liberarsi di quella agonia.
 
Per quanto riguarda me per tutto il viaggio non riuscii a distogliere lo sguardo lui. Tutto era ovattato e l’unica cosa chiara era lui. Cercai di distrarmi di non guardare i suoi occhi senza vita, di non far caso all’odore di morte sempre più forte, di non pensare che non avrei più sentito il suono della sua voce.
“Non ce la faccio.” Sussurrai d’un tratto del tragitto. “Nohat fermati!” Sbraitai battendo le mani sul furgone per farmi sentire. Quando questo si bloccò subito uscii da lì e salii sul sedile anteriore accanto a Nohat. Mi chiusi a riccio e non emisi un fiato, Nohat ripartì senza fare domande.
Il cuore mi faceva male: una morsa me lo stringeva e sentivo che avrebbe continuato fino a quando non si fosse infranto.
“Diana.” A sentire il mio nome alzai leggermente lo sguardo su Nohat, non eravamo mai stati molto amici, anzi a stento ci sopportavamo, tuttavia in quel momento il dolore ci aveva legati indissolubilmente, infondo io e lui lo conoscevamo meglio degli altri ed eravamo sentimentalmente più vicini a lui. Non contava più che Nohat lo conoscesse da una vita mentre io da pochi mesi.
“Serve qualcosa?” Mi chiese titubante, scostai lo sguardo: tutto ciò che volevo era che Giulio tornasse in vita, ma questo è un potere che neppure il Sole e la Luna possiedono. E mentre pensavo questo mi strinsi con maggior forza le gambe. “Vedrai che il dolore passerà, anche se ora ti sembra impossibile, vedrai che presto le cose torneranno normali, fidati, e poi non sei sola, tutti noi condividiamo il tuo dolore.” Non osai aprire bocca, sapevamo entrambi che era una dolce bugia di circostanza.
 
 
In quei momenti mi ritornò alle mente un evento del mio passato. “Nonna, perché piangi?” Le aveva chiesto una piccola Diana, un 5 marzo di molti anni prima. “Piango perché è l’anniversario della morte di tuo nonno.” Mi disse l’anziana. “Quanti anni sono passati?” Le chiesi ingenua non capendo ancora cosa significasse perdere. “Cinque, piccola mia, ma non conta il tempo.” Iniziò asciugandosi le lacrime. “Con tuo nonno avevo formato un legame unico e quando ami una persona così tanto se si allontana da te si soffre così tanto da non poter smettere.” Mi spiegò lei con triste dolcezza. “Non conta chi sia: la persona amata, un figlio, un nipote, un amico. Avviene una sola volta nella vita e ti porta una immensa gioia, ma quando lo perderai ti lascerà una voragine incolmabile nel petto.” Allora non capii, rimasi confusa a guardare mia nonna.
Ora invece capisco le sue parole e ancora oggi sento quella voragine che mi solca il petto. Però quel venticinque aprile di tanti anni fa non avevo ancora appreso come convivere con essa e non fu mai più dolorosa come quella notte.
 
 
Ci vollero ore per tornare a Meddelhok, malgrado Nohat avesse superato di gran lunga i limiti di velocità, infatti quando arrivammo era già l’aurora. Non avevamo incontrato nessun controllo al confine della città, evidentemente le numerose sommosse che pervadevano la città avevano impegnato ogni singolo agente. Il veicolo si fermò davanti ad un edificio in mattoni, costruito su tre piani e un piccolo cortile che lo circondava. Scesi dal camion stanca e con lo sguardo basso per poi suonare al campanello.
“Sicura di volerlo fare?” Mi chiese Galahad preoccupato bloccandomi per un braccio, incrociando i suoi occhi capii che non era stato un viaggio piacevole neanche per lui, erano arrossati, le occhiaie si erano formate e un pallore generale si era formato sul suo viso ma c’era ancora una certa lucidità che mi sorprese. “Sì.” Era la mia decisione definitiva.
In quel preciso momento una donna in vestaglia scese e come mi vide mi sorrise. “Diana, cara, cosa ci fai qui a quest’ora della notte?” Era la madre di Giulio, non potei fare a meno di pensare a quanto fosse magnifica, era una madre modello: forte, determinata, severa ma dolce e aveva un rapporto coi suoi figli che invidiavo profondamente. In quei pochi mesi in cui l’avevo conosciuta avevo memorizzato ogni suo aspetto, ogni suo gesto per imparare cosa significasse essere una buona madre.
Mi sentivo sporca dentro a dover essere io a doverle dare la notizia che Giulio era morto e mi sentivo ancora più lurida data la consapevolezza che si era sacrificato per me; se penso che sarebbe morta in un incidente tre mesi dopo mi sento ancora più colpevole delle disgrazie di quella famiglia.
“Per la potente Luna!” Esclamò avvicinandosi a me sfiorando la guancia in cui Felicitis aveva fatto una medicazione durante il viaggio, non l’avevo neanche ringraziata. “Cosa ti è successo piccola?” Non risposi avevo un groppo alla gola e non riuscivo a buttare fuori la notizia.
 
La donna si guardò attorno un secondo, non so quanto sapesse delle attività di Giulio ma credo che sapesse abbastanza da intuire. “Dov’è Giulio?” Domandò preoccupata. Mi domandai cosa ci facesse uno come Giulio con gente come i Rivoluzionari, lui era buono, non era violento, odiava i metodi di Malandrino, cosa l’aveva spinto ad entrare a contatto con gente simile? E credo che domande simili siano rimaste, per il resto dei suoi giorni, nella mente della donna che si ergeva su di me. “Signora…” Non cela facevo, avrei tanto voluto essere stata io a prendermi quella pallottola, non mi meritavo il dono che mi aveva fatto. “Cosa cara?” Mi chiese confusa dissimulando la preoccupazione ora evidente in ogni sua singola ruga. “Vo… vostro figlio è… è…” Non riuscivo a dirlo però era chiaro che la licantropa aveva già capito, comunque per disperazione lo buttai fuori in un urlo strozzato. “Morto.”
Mi accasciai tra le braccia della madre che subito dopo iniziò a piangere e a ululare assieme a me, ci accasciammo entrambe a terra mentre Galahad e Nohat porsero il corpo di Giulio alla donna che si getto su di lui disperata, non aveva ancora iniziato il processo di decomposizione solo perché tutti avevano accordato nel accendere il refrigeratore nel retro del camion, infatti erano tutti infreddoliti ma non avrebbero permesso che il corpo di Giulio e del altro ragazzo marcissero così, mai.
 
La donna pianse per lunghi attimi fino a quando non arrivò la maggiore delle sue figlie con il bambino appena nato in braccio che, come vide il fratello, corse verso di lui e si accasciò disperata mentre il pianto del piccolo riempiva l’aria della notte. Dopo un po’ di tempo la madre di Giulio riuscì a rialzarsi e mi guardò dritta negli occhi obbligandomi ad alzarmi. Sentivo nelle vene che mi avrebbe insultata, forse picchiata, mi andava bene tutto, meritavo qualunque punizione ed insulto poiché tutto ciò era colpa mia.
Eppure mi strinse a sé. “Vieni con noi alla veglia?” Mi offri lei dolcemente malgrado la sua voce fosse roca e strozzata ma indietreggiai scuotendo la testa. “Lei non capisce.” Sussurrai in lacrime mentre retrocedevo. “È stata colpa mia se Giulio… se lui….” Le parole mi morirono in gola e la donna mi abbracciò con forza. “Chi l’hai ucciso è morto?” Mi domandò in un sussurro con una voce che quasi non gli apparteneva, accennai affermativamente. “Sei stata tu?” Affermai nuovamente anche se non suonava come una domanda. “Mi basta.” Fu l’unico suo commento, mi invitò nuovamente ad entrare ma declinai l’ospitalità una seconda volta. Non avrei retto ancora un secondo di più la vista del suo corpo privo di vita.
 
Appena la porta venne chiusa scappai dall’abbraccio che Felicitis stava tentando di donarmi e corsi verso casa. Credo che i ragazzi mi chiamarono e forse per qualche istante mi seguirono ma stavo correndo troppo velocemente e li seminai una volta entrata nei quartieri più poveri ma non ne sono certa. Sentivo e vedevo tutto ovattato e sfocato a causa della velocità con cui stavo correndo e caos più totale che mi circondava: c’erano persone di ogni razza ed età che distruggevano macchine, vetrine e cassonetti per tutta la città. Raggiunsi una delle ultime manifestazioni che erano sfociate in uno scontro tra le forze del ordine e i civili e sbattei contro molte persone, rischiai d’essere investita almeno una volta, per poco non finii coinvolta in uno scontro armato. Ma non mi importava di essere colpita, quasi speravo che qualcuno mi afferrasse e mi ammazzasse sul posto, l’avrei preferito di gran lunga a dover sopportare quel dolore al petto.
Quasi non riconobbi l’edificio che era diventato la mia casa e dato che non avevo nessun altro posto in cui andare decisi di salire. Solo allora mi resi conto che nessuno aveva osato seguirmi e pensai che fosse meglio così: avrei solamente reso tutto più difficile.
 
Arrivai a casa senza fiato, senza forze, senza voce, senza volontà e senza amore.
Giulio era morto e nessuno l’avrebbe mai sostituito. Sentii nuovamente quel dolore incredibile al petto, era qualcosa di fisico e di spirituale che si nutriva del mio cuore: una voragine insaziabile e incolmabile che mi stava opprimendo. Non era la rabbia verso Malandrino, né la tristezza per la perdita dell’unica persona che abbia mai veramente amato come uomo, c’era solamente vuoto e disperazione. E questa mi stava corrodendo dentro ampliando quella voragine di nulla tagliandomi il respiro.
Volevo solo che questa agonia finisse volevo poter sentire qualcosa, qualsiasi cosa purché non fosse quella disperata sofferenza che non mi lasciava nulla.
Provai a distrarmi e a reagire: tentai ad urlare ma questo morì in gola soffocato dai singhiozzi, provai ad allenarmi, ma non vedevo neppure il sacco e i muscoli mi dolevano per il troppo sforzo e la notte in bianco. Frustrata gettai la mia fasciatura e i miei vestiti nel cestino senza badare al fatto che i miei avrebbero potuto fare domande. Per quel che mi importava potevano anche scoprire tutto.
Mi gettai sotto ad una lunga e bollente doccia, non usai né saponi né sciampi, solo acqua calda ei miei pensieri che scorrevano via sulla mia pelle assieme alle lacrime e al sangue della ferita che, anche se più lentamente, aveva ripreso a sanguinare. Tentai di riordinare le idee, di focalizzarmi sul momento presente, sull’acqua calda, sul fastidioso fischio che sentivo al orecchio destro da ore, ma neppure quel segnale che in una situazione normale mi avrebbe fatto correre al ospedale riuscì a distrarmi, non ci riuscivo; l’unica cosa chiara era la mia anima che si stava infrangendo sotto il peso del nulla.
Il resto era un agglomerato confuso di pensieri, idee, sentimenti ed emozioni che si stringevano le une alle altre contrastandosi ed annullandosi a vicenda. E più cercavo di concentrarmi su questo più mi rendevo conto che non volevo provare queste cose, non volevo soffrire, non volevo vivere in un mondo così.
 
Una volta stanca dell’acqua bollente, quando oramai il mio corpo era rosso, una decisione si era formata nella testa. Uscii dal bagno con niente addosso se non l’acqua che scorreva sul mio corpo. Andai dritta in camera dei miei mentre un’unica parola rimbombava nella mia mente: Fine.
Entrata nella stanza andai a frugare nel cassetto di mio padre, impiegai pochi secondi ad individuare quello chiuso a chiave, frugai un secondo sotto al materasso e trovai la chiave, aprii il cassetto ed estrassi due oggetti: un proiettile e una pistola.
Fino a quel momento i miei movimenti erano stati frettolosi, meccanici, scattosi, però quei movimenti li compii con estrema fluidità malgrado sentissi la stessa urgenza di prima: caricai la pistola, la portai al cuore, esattamente dove sentivo quella voragine, tolsi la sicura e chiusi gli occhi, un colpo netto e non avrei sentito niente.
 
   
 
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