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Autore: _Kilao_    08/04/2021    1 recensioni
« Olivier si chiamava così perché era nato sotto i bianchi fiori di ulivo.
Era fortunato, glielo ripetevano sempre, perché in tempi moderni era raro che una fata nascesse spontaneamente dalla natura, come uno dei suoi bei fiori o succosi frutti; (...) »
Nient'altro che la storia di una fata troppo curiosa.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminava a passo svelto, con sicurezza, lasciandosi alle spalle il familiare clangore del portone di ferro che si chiudeva e le figure longilinee delle due sentinelle reali di turno. 
Lui ha un permesso speciale, può passare.
Era uno dei tanti privilegi che la Regina gli aveva concesso soprappensiero, quando ascoltava semplicemente il suono della sua voce ma non le sue parole; e lui l’aveva sfruttato fin dal primo momento, tanto che, ormai, non aveva neanche più bisogno di una scorta o di una guida per orientarsi in quell’intricato labirinto di celle disposte su più piani. 
La Prigione dei Lombrichi era una struttura austera e grigia in confronto ai tipici edifici fae: innanzitutto non aveva finestre, l’unica entrata alla prigione era anche la sua unica uscita; le pareti erano fatte di un tipo specifico di ossidiana magica, inscalfibile e in grado di assorbire qualsiasi magia le si potesse scagliare contro; la struttura delle celle peggiorava via via che si scendeva, e con loro peggioravano anche le condizioni dei detenuti – soprattutto quelle igieniche. Solo le linee curve e strutturalmente decorative dell’edificio conservavano un po’ di orgoglio fatato, donando al complesso l’aspetto di un vecchio e malato albero centenario, dal tronco scuro e intricato, marcio alle radici. 
Ed era proprio alle radici che Olivier era diretto. 
Piano dopo piano, l’aria intorno a lui iniziava a farsi più gelida e il tipico odore pungente e fresco delle foglie di pino lasciava il posto al tanfo dei lombrichi; gradino dopo gradino, l’ossidiana delle pareti si faceva sempre più spessa e le lucciole magiche iniziavano a scarseggiare, lasciando che l’oscurità inghiottisse gran parte dell’ambiente.  
Gli ci erano voluti mesi prima di memorizzare quel percorso, ma ormai sarebbe riuscito ad arrivare alla sua meta anche ad occhi chiusi. 
 
Corridoio occidentale, cella numero 7. 
Ad una prima occhiata, quella cella, come tutte quelle di quel corridoio, sarebbe sembrata vuota – bisognava sapere che qualcuno invece c’era, per notarlo: lì, ammassata ad una delle fredde pareti, c’era una figura nascosta tra le ombre, rannicchiata su sé stessa e avvolta da uno spesso mantello scuro e logoro. Aveva gli occhi chiusi, fingeva di dormire. 
« Noll, » lo chiamò Olivier, a quel punto. 
Subito, gli occhi d’oro dell’uomo si aprirono e furono su di lui, seguiti da un sorriso sghembo – non certo un piacere per la vista, dato che gli mancavano diversi denti, e in più quelli che gli restavano erano di un innaturale verde marcio. 
« Oh, ma che immenso onore avervi qui, maestade! Temevo che i miei occhi si sarebbero chiusi per sempre senza la possibilità di rivedere le vostre bellissime ali. E che luccichio! Vorrei tanto potermi inchinare a voi, ma, come potete vedere, sono già per terra, e– » 
« Noll, piantala. » lo zittì, perentorio. Stava diventando fastidioso. 
L’altro rise e fece il simpatico gesto di cucirsi la bocca, mantenendo però le labbra curvate all’insù. 
Solo allora Olivier tirò fuori qualcosa dalla sua tasca, un foglio maltrattato e ripiegato più volte su sé stesso; si abbassò al livello di Noll, e allungò la mano oltre le sbarre nere, per passarglielo. 
L’altra fata cercò intanto di mettersi in una posizione migliore, con il busto dritto, e per farlo dovette affondare ancora di più i piedi nel terriccio – il pavimento della sua cella dimenticata; con uno sforzo che gli costò un ringhio frustato e un’espressione sofferente, riuscì nel suo intento. 
Olivier stette tutto il tempo con il braccio teso, gli occhi dorati che seguivano con attenzione i movimenti affaticati altrui – non riusciva ad immaginare come doveva essere difficile muoversi nelle sue condizioni, e quasi, 𝘲𝘶𝘢𝘴𝘪, gli dispiaceva per lui.  
Finalmente Noll gli prese il foglietto dalle mani, sorridendogli con quel suo solito modo di fare da furfante. 
Aspettava delle direttive, nonostante avesse una vaga idea di cosa si trattasse.  
« Devi tradurlo per me. » gli disse Olivier. 
« Tradurlo? Oh, piccolo Olly vuoi proprio fare la mia stessa fine. »  
« Nolltraducilo e basta. » tagliò di nuovo cortlui, ottenendo come risposta un’altra risata. 
La vecchia fata si avvicinò ancora di più alle sbarre, buttando tutto il peso del suo corpo su di esse – nonostante i suoi occhi fossero abituati al buio, senza la tenue luce emessa dalle ali di Olivier non sarebbe riuscito a leggere e decifrare quei simboli trascritti con tanta cura. 
Ci sarebbe voluto un po’ di tempo prima che Noll gli desse un responso su quel documento, quindi Olivier si accovacciò sulle piastrelle sporche del corridoio, le ali che gli garantivano il giusto equilibrio per evitare di cadere e di sporcare così i suoi vestiti. 
« Oh. » disse all’improvviso la fata dai capelli scuri, quasi con meraviglia. 
« Cosa? Cosa c’è? È qualcosa di interessante? » 
E si sporse leggermente verso di lui, l’espressione curiosa di un riccio in primavera appena uscito dal letargo. 
« No! » rispose Noll, ridendo sguaiato. « È questo il bello! » 
Olivier prese un bel respiro a quel punto, per evitare di farla finita una volta per tutte strangolando Noll, e se ne pentì immediatamente l’istante dopo, visto il pericoloso mix di puzza di terra e puzza di fata abbandonata a sé stessa che gli investì direttamente le sinapsi. 
Si ripromise di portargli di una fogliolina di mentalinda la prossima volta, così da ammazzarlo in condizioni perlomeno decenti. 
« Si può sapere allora, per la santissima grazia di Titania, perché cazzo sembravi così sorpreso? », e di proposito usò, con molta enfasi, la parolaccia umana che Noll stesso gli aveva insegnato.  
« Ma te l’ho detto piccolo Olly. Dovresti prestare più attenzione quando un adulto ti parla, sai? » lo canzonò. 
Il luccichio delle sue ali divenne per un istante di un rosso acceso, carico di rabbia, per poi tornare alla tipica colorazione dorata: era sul punto di perdere completamente la pazienza. 
« Potresti allora ripeterlo, di grazia? Deve essermi… sfuggito. » 
Il sorriso malandrino sulle labbra altrui fu preceduto da un lampo di divertimento puro nei suoi occhi d’oro arrugginito: « Certamente. Ho detto che qui non c’è assolutamente niente di interessante. » 
Si guadagnò un’occhiata truce. 
« Nollspiegati per una dannatissima volta! » sbottò. 
« Vedi, » iniziò, con tutta calma l’altro, come se stesse parlando con un bambino « Questa non è altro che una stupidissima ricetta di un dolce umano. Che peraltro sembra anche ottimo! C’è scritto proprio in alto: c-r-è-m-b-r-û-l-è-e. » 
E con l’unico anulare che gli restava, indicò proprio l’inizio di quel paragrafo che Olivier aveva trascritto con tanta cura, credendolo una qualche specie di antica formula magica umana. 
Un lampo di un verde pieno di imbarazzo e vergogna passò per le sue ali, e ringraziò mentalmente Noll per essere troppo occupato a decantare ogni singolo ingrediente di quella ricetta nella loro lingua madre, per poter commentare invece il suo stato d’animo o l’errore madornale che aveva commesso. 
« …sapevi che i camminatori hanno una cosa chiamata supermercato dove possono comprare qualsiasi alimento, anche in quantità esagerate? Ecco perché qui c’è scritto di usare così tanta panna, loro ce l’hanno già fatta! » 
Continuava intanto a spiegare la fata, perso tra i ricordi delle cose che aveva visto nel mondo umano. 
Olivier si sentiva troppo uno stupido per ascoltarlo seriamente e si limitava ad annuire, lo sguardo fisso sul foglio che gli aveva consegnato poco prima. 
Si alzò di scatto, poi, interrompendo Noll proprio mentre gli raccontava di quanto fossero grandi o quanto dovessero mangiare i camminatori per vivere. Come se lui non lo sapesse, poi. 
« Devo andare. » 
La pressione dell’ossidiana iniziava a farsi sentire, insistente, e correva il rischio di trovarsi senza energia magica per qualche giorno o peggio, di svenire, se non fosse risalito in superficie al più presto. Di nuovo, ripensò a Nollcostretto a sopportare quella stessa pressione da quasi un secolo, e di nuovo lo stomaco gli si strinse in una morsa spiacevole e quasi dispiaciuta. 
Non si soffermò a pensarci troppo su e si riprese il suo foglietto, ripiegandolo e mettendolo in tasca. 
« È stata solo un’ inutile perdita di tempo. » commentò, con un tono amareggiato. 
« Parla per te, io mi sono divertito. » rispose Noll, sorridendo. 
« Non ne avevo dubbi, guarda. Tieni, comunque– » 
Prima di dimenticarsene, lanciò nella direzione dell’uomo un pacchetto di foglie intrecciate. Al suo interno c’erano ben cinque olive, grandi e verdi, e uno dei piccoli fiori bianchi della stessa pianta. 
« Oh. » Noll prese con mano tremante il piccolo fiore, la sua espressione era un misto di reverenza meraviglia. 
La fata più piccola sorrise, compiaciuta per averlo lasciato finalmente senza parole. 
« Tornerò. Cerca solo di non farti mangiare dai lombrichi, intesi? » 
Non aspettò una sua risposta e, semplicemente, se ne andò come era arrivato: silenzioso e veloce. 
Quando svoltò l’angolo e la luce delle sue ali sparì, il corridoio ripiombò nell’oscurità più assoluta per qualche minuto; poi, tra le mani di Noll, il piccolo fiore di ulivo prese a brillare: l’uomo sorrise nuovamente, con dolcezza, felice di stringere ancora una volta tra le mani il suo fiore. 
 
 
Note & Curiosità: 

- Noll e Olivier sono lo stesso nome: Noll infatti è un antico diminutivo dell’inglese Oliver.  
- Nella mia testa, il più delle volte, il nome delle fate rispecchia l’elemento della natura a cui sono collegate o sotto cui sono nate; più in generale sono nomi che hanno lo scopo di dare già delle informazioni sulle fate nel momento in cui le si conosce. Nel caso di Olivier e Noll, il loro nome fa intendere che sono entrambe fate nate sotto i fiori di ulivo – anche se in circostanze e in tempi diversi. 
- La mentalinda è una fogliolina di menta magica che pulisce all’istante qualsiasi persona o qualsiasi superficie con cui entra in contatto, e per questo di solito è tenuta in apposite bolle magiche. Il nome mi dà molto le vibes del Fantabosco.
- L'architettura fae ha molti tratti in comune con quella dell'art noveau. In generale le fate hanno un gusto molto sofisticato e amano le decorazioni di ogni tipo, strutturali e non.
 
   
 
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