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Autore: Annabeth16    08/04/2021    0 recensioni
«Ma la cosa assurda è che non amo solo la parte migliore di te, amo anche la parte peggiore di te, anche i tuoi difetti più colossali, amo ogni singola parte di te. Quindi, credo di poterti dire che ti amo. Più di ogni altra cosa Emily. Più della mia stessa vita, TI AMO».
Emily è una giovane ragazza di diciotto anni, che finalmente si trasferirà a causa del college e vivrà in casa da sola. Ma la sua vita verrà sconvolta da un ragazzo bellissimo con cui avrà una relazione che darà una svolta alla sua vita.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo 7
Storie
 
 
 
 
 
 
Se parlo di te m’aumenta il battito,
avrei dovuto godermi ogni attimo – Alfa
 
 
Io rimasi di stucco. Un’altra? Cavolo, si erano proprio organizzati.
“Ce n’è un’altra???”, chiesi, ancora incredula.
James mi rivolse un sorriso malizioso e Irene e Letizia sprizzavano gioia da tutti i pori. L’idea per quella giornata doveva essere stata quasi tutta farina del loro sacco.
“Adesso,” annunciò Letizia “… ci divideremo. James, Diego e Gabriel resteranno qui a riordinare tutto e porteranno giù tutta la roba mentre noi invece, andremo direttamente alla macchina perché ci dobbiamo preparare”, concluse tutta soddisfatta.
“Cosa? No io voglio aiutarli, insomma, avete organizzato tutto per me, mi sembra giusto che…”, provai a dire ma Irene m’interruppe.
“Niente storie! Tu vieni con noi”, come se fosse un ordine. E in realtà lo era.
Mi rassegnai con un lungo sospiro.
“D’accordo”, dissi.
“Allora andiamo! Tranquilla, ci metteremo solo un quarto d’ora, a tornare indietro è più facile”, mi esortò Irene.
“Beh, allora ciao”, dissi, facendo un cenno con la mano a James, Gabriel e Diego.
A dopo”, precisò James.
Il mio cuore raddoppiò silenziosamente i battiti. A dopo. Significava che ci saremmo rivisti, che avremmo passato altro tempo insieme. Con quella certezza nel cuore, ero pronta a fare qualsiasi altra cosa.
Io e le mie amiche ci avviamo verso il limitare della foresta e ci addentrammo nella selva.
“Siete sicure di sapere dove andare?”, domandai dopo qualche metro. Loro risero.
“Em, abbiamo percorso questa strada circa una centinaia di volte, e non dimenticare che abbiamo un senso dell’orientamento migliore del tuo!”, mi ricordò Letizia.
Proseguimmo per circa sette minuti senza parlare, tutte concentrate sui nostri piedi per non inciampare.
“Questa parte è quella più difficile di tutto il percorso”, ci informò Irene. “Tra poco dovremmo incontrare il sentiero tracciato, e lì sarà più facile proseguire”
Mentre ero in bilico su un sasso nero per non cadere nella pozza di fango, notai qualche metro più in là un varco tra le felci alte del bosco. Doveva essere quello il sentiero. Ma quando riportai gli occhi sui miei piedi, persi l’equilibrio. Fortuna che lì davanti a me c’erano Irene e Letizia che mi stavano aspettando. Mi afferrarono per le mani e mi tirarono al di là della pozza. Per un soffio. Mi sporcai solamente il retro dei pantaloni con una macchia di fango. Beh, in confronto al mio destino precedente – quello di cadere completamente nel fango con tutti i vestiti – mi andava anche bene.
Loro mi guardarono sconsolate.
“Menomale che abbiamo portato il cambio”, dissero sospirando.
“Cambio? Quale cambio?”, chiesi confusa.
“No, no, lo scoprirai alla macchina!”
Tutto questo mistero mi stava dando sui nervi. Non voglio dire che le sorprese che mi avevano riservato fossero brutte, anzi. Solo che mi dava un po’ fastidio essere sempre all’oscuro di tutto. Ma sapevo che era un fastidio facilmente superabile, neanche da tenere in considerazione.
Eravamo giunte al termine del sentiero. Si vedeva la luce che sbucava dallo spiazzo di ghiaia su cui avevamo parcheggiato la macchina.
Sentii i sassolini scricchiolare sotto alle nostre scarpe.
“Adesso potete spiegarmi cosa facciamo qui?”, chiesi esasperata.
“Certo che no! O almeno, solo una parte”, mi disse Irene.
Respirai a fondo. D’accordo, stai calma. Tra poco scoprirai tutto.
Mi avvicinai alla macchina.
“Entra dai!”, mi incitò Letizia.
Ci infilammo tutte tre in macchina, loro due davanti ed io dietro. Mi allungarono un sacchetto chiuso con un fiocco rosso. Non potevo credere ai miei occhi.
“Voi… siete pazze! Un altro regalo?”, esclamai stupita.
“Oh no, non vederla come un regalo, vedila come un aiuto da amiche per il primo appuntamento”, mi risposero con tranquillità.
Primo appuntamento?!?!?”. La voce mi uscì stridula.
Loro mi sorrisero maliziose.
“Già, James ha organizzato una gita per te”, mi disse Irene.
Stavo per svenire. Cominciai a sudare freddo. Era quello che avevo sempre desiderato certo, però adesso ero molto in ansia.
“Oddio, come faccio?”, chiesi agitata.
Lanciai un’occhiata in tralice ai miei vestiti. Erano macchiati di sangue e fango. E poi non erano affatto l’ideale per un’appuntamento. 
Letizia mi guardò e rise.
“Non ti preoccupare, siamo scese prima proprio per questo”, disse indicando i miei abiti ormai sporchi.
Improvvisamente mi ricordai del regalo che tenevo tra le mani.
“Su, aprilo!”, mi esortò Irene.
Sciolsi il fiocco rosso e aprii il sacchetto. All’interno c’erano diversi abiti. Il primo erano degli shorts. Quando li vidi lanciai un’occhiata fuori. Il sole era alto nel cielo e bruciava intenso nonostante fosse ottobre. Mi accorsi che stavo sudando con quei vestiti. Avevo molto caldo. Come al solito, d’altronde.  Beh, erano azzeccati per quella giornata. Erano shorts color jeans a vita alta. Non erano male.
Sotto ai pantaloni c’era una maglietta bordeaux aderente con le bretelle. Solo a vedere quel completo sentii meno caldo.
“Grazie… è tutto bellissimo! Senza di voi non so come avrei fatto!”, le ringraziai, sinceramente entusiasta. Ora ero pronta ad uscire per l’appuntamento ed ero super… eccitata all’idea! Non vedevo l’ora. Altro tempo con James, praticamente un sogno! E poi da soli! Noi due!
Sentii Irene e Letizia sospirare.
“C’è anche qualcos’altro dentro”, dissero.
“Ancora? Siete proprio pazze”, dissi rimproverandole.
Loro mi guardarono alzando gli occhi al cielo.
Sbirciai in fondo al pacchetto e in effetti c’era ancora qualcosa. Lo tirai fuori. Era un costume. Ma stavolta era azzurro. Lo guardai confusa. C’era un caldo da scoppiare ma me lo avevano regalato solo per un giorno? Era pur sempre autunno. Ogni secondo che passava ci capivo sempre meno. Espressi i miei dubbi ad alta voce.
“Ma…”, cominciai perplessa.
“Niente ma! Ricordi? Niente domande! Indossa tutto quello che ti abbiamo regalato alla svelta! James, Diego e Gabriel potrebbero arrivare da un momento all’altro!”, mi incitò Irene.
“Veloce!”, le fece eco Letizia.
Io mi liberai dei miei vecchi vestiti ormai sporchi e indossai prima il costume e poi gli shorts jeans e la maglietta. Il caldo scivolò via pian piano grazie a quei vestiti, nonostante l’aria fosse ancora piuttosto afosa.
Proprio mentre stavo riponendo tutto quello che indossavo prima nel sacchetto, nello spiazzo di ghiaia echeggiarono le risate di James, Gabriel e Diego.
Mi affrettai e uscii dalla macchina. Respirai a fondo. Ero più eccitata di quanto immaginassi. Ma anche più in ansia. James mi raggiunse sorridendo malizioso e mi strinse la mano.
“Hai capito qualcosa principessa?”, mi chiese.
Io lo guardai con un’espressione del tipo: ‘Mi stai prendendo in giro?’, ma lui si limitò ad allargare il suo sorriso.
“No, non ci ho ancora capito niente!”, sbottai.
Lui mi strinse tra le braccia.
“Lo capirai presto, ti basti sapere che staremo insieme per tutto il giorno, e per tutto il tempo che vorrai”, mi sussurrò all’orecchio.
Quella frase fu come acqua per il mio fuoco d’ansia. Tutta l’agitazione scivolò via lentamente lasciando spazio all’enorme desiderio di stare con lui per sempre, tutto il tempo che potevo. Il desiderio di toccarlo, di baciarlo…
Ma non volevo essere io a fare la prima mossa. E non dimentichiamoci che sarebbe stato il mio primo vero bacio.
A questo punto sembrerò sciocca, ma non ho trovato mai qualcuno con cui mi trovassi così in sintonia come con James. Perciò lo strinsi ancora di più, ansiosa di scoprire cosa aveva in mente per me.
“Allora vi lasciamo piccioncini!”, ci urlò Diego dalla macchina di Gabriel su cui erano saliti tutti quanti.
E partirono in retromarcia per lasciare il parcheggio. Io mi scostai da James e lo guardai come per dire: ‘E adesso? Che si fa?’
Lui, che non aveva perso il sorriso, mi scoccò uno sguardo malizioso. Esplosi. Temetti di non farcela. Perciò immobilizzai tutti i muscoli in una posa rigida. Ero completamente congelata, ma il freddo non sarebbe mai riuscito a spegnere l’enorme fuoco – o meglio, l’enorme incendio – che era scoppiato dentro di me. Lui si era frettolosamente allontanato di qualche passo da me, guardandomi con un’espressione spaventata sul viso. L’avevo spaventato con la mia reazione. Fantastico. Non lo guardai più. Non mi arrischiai a farlo. Dovevo aspettare che, - molto lentamente – si spegnesse l’incendio.
Quel sorriso… aveva fatto scattare dentro di me qualcosa di assolutamente inaspettato. Qualcosa di simile alla voglia di baciarlo, ma di gran lunga molto più forte e intensa. Non avevo mai provato una cosa simile. E ne fui completamente e letteralmente travolta. Respirai l’aria fresca che mi riportò un po’ di lucidità. Ora vedevo la questione anche dal punto di vista della ragione. Ero stata una sciocca, anche se ero stata sul punto di catapultarmi tra le sue braccia, di baciarlo, di toccarlo… L’amore intensissimo che provavo per lui mi aveva fatta quasi impazzire. Mi ripetei di avere pazienza. Però tutto questo, - e anche le cose che erano avvenute prima – testimoniava il fatto che ci appartenevamo, l’uno all’altra. Senza ombra di dubbio.
Sciolsi i muscoli e la mia posa tornò quella di sempre. Alzai lentamente il viso, e tornai a fissarlo negli occhi. Lui era ancora preoccupato. Ora dovevo rimediare a quello che avevo combinato.
Aprì la bocca due volte, poi la richiuse. Era evidente che voleva dire qualcosa per confortarmi, per capire, ma non voleva commettere un errore colossale disturbarmi. Il suo silenzio mi aveva fatto bene, in effetti.
Mi avvicinai, eliminando nuovamente la distanza tra noi. Lui mi prese le mani esitanti.
“Va tutto bene, è solo che…”, cominciai, senza però riuscire a continuare.
“È colpa mia?”, domandò titubante.
Il mio cuore sprofondò. La mia mancanza di autocontrollo fisico aveva portato a questo, a far spaventare James. Se solo pensavo a che sorriso mi aveva rivolto pochi secondi fa… Dovevo assolutamente rimediare. Assolutamente.
“No James, no! Non pensarlo neanche per un secondo! È che tengo a te molto più del lecito”, confessai.
La sua maschera d’ansia e preoccupazione cascò in un attimo di fronte alle mie parole. Mi strinse a sé fortissimo, cosa che mi fece capire che era lo stesso per lui. Quando sciolse l’abbraccio, era tornato il suo sorriso conquistatore. Io ricambiai, stavolta godendomi appieno il suo viso senza immobilizzarmi in una posa di ghiaccio.
Mi accorsi di quanto quel viso fosse bello, di una bellezza mozzafiato… Era a quel viso che tenevo, era di quel viso, di quella persona che mi ero innamorata.
Strinsi forte la sua mano. In quel momento sarei potuta andare dovunque insieme a lui, e mi fidavo ciecamente.
“Andiamo principessa?”, mi chiese dolcemente.
“Ma certo”, risposi.
Mi aprì la portiera e salii – ormai avevo perso il conto delle volte che ci ero salita – sulla sua Alfa Romeo Giulietta.
Mi sedetti sul sedile e appoggiai schiena e testa allo schienale.
Lui salì dall’altro lato dell’auto e lasciò lo spiazzo rimettendosi sulla strada.
«Sarà un viaggio un po’ lungo», annunciò.
Il mio stomaco fece una piccola giravolta. Fin da piccola avevo sempre sofferto di mal di macchina, e le volte che avevo vomitato erano innumerevoli. Tuttavia in quel momento, con James, avvertivo una strana sensazione di piena e beata tranquillità.
«Quanto di preciso?», chiesi, ma solo per curiosità.
«Un’oretta penso. È un problema?», chiese poi, preoccupato.
«Certo che no», risposi, ed era la verità.
Sospirai.
«Adesso posso sapere dove mi stai portando?», domandai, in un ultimo, disperato tentativo.
Lui mi rispose ridacchiando sotto i baffi.
«Cosa ti sfugge della parola sorpresa?»
«Niente, penso», risposi.
«Ah, ecco. Sai che non sembra?»
Molto stranamente non mi arrabbiai anzi, mi unii alla sua risata.
«Vorrei sapere di più su di te», cominciò lui. «Insomma…»
Restò in silenzio. Avevo capito perfettamente quello che intendeva dire, anche senza le parole. D’altro canto desideravo anch’io conoscerlo di più. Perciò portai avanti io il discorso.
«Ho sempre pensato che le domande siano sgradevoli e fuorvianti», cominciai, e James mi guardò un po’ confuso. «quindi credo sia meglio che ognuno di noi faccia un’intera e completa presentazione di sé stesso. Le domande le lasciamo per dopo», conclusi.
James mi guardò soddisfatto.
«Un monologo?», mi chiese.
«Non userei la parola monologo, mi sa troppo di cosa noiosa, capisci? Invece quello che vogliamo fare sarà molto interessante… Almeno per me», mi affrettai ad aggiungere, arrossendo fino alla punta dei capelli.
James sorrise.
«Lo sarà anche per me, fidati», disse, guardandomi con interesse vivo, sincero e profondo. «Perciò ti propongo di iniziare tu», concluse con semplicità.
«I-io??», domandai piuttosto incerta.
Lui annuì.
Io presi un bel respiro, rievocando nella mente tutti gli episodi più importanti della mia vita fino a quel momento. Elaborai una mappa nella mia mente e cominciai.
«Mi chiamo Emily Glanville. Sono nata il sedici ottobre del duemiladue. Ho un fratello e una sorella più piccoli», cominciai, e fino a qui era stato tutto molto incerto e confuso. Ma adesso iniziava la parte senza dubbio più difficile. Mi fermai, incapace di continuare.
James mi guardò con aria incoraggiante. Mi sorrise, e in quel momento le parole cominciarono a uscire a fiotti, come acqua quando si abbatte una diga.
«Ho avuto un’infanzia senza dubbio bellissima e ricordo che quando mia sorella entrò nella nostra famiglia ne fui entusiasta. Però, quando mia mamma l’allattava, ero gelosa, e quindi buttavo per terra tutto quello che stava alla mia portata». Feci una pausa per smaltire l’imbarazzo. Guardai James, ma sulla sua faccia c’era ancora quell’espressione interessata che ti esortava a proseguire. Così feci.
«Com’è logico che sia, non ricordo molto della mia infanzia, ma fin da piccola ho sempre avuto un’eccezionale memoria fotografica, e nella mia mente conservo ancora diverse ‘foto’ della mia vecchia casa. I miei ricordi però, partono perlopiù da quando ci siamo trasferiti nella casa in cui i miei genitori abitano ancora oggi»
«Ero una bambina piuttosto eccentrica e fantasiosa, ma da piccola il mio carattere era completamente a piede libero. Tuttavia ero molto amata dalla mia famiglia, e lo sono ancora adesso». Di nuovo, mi fermai. Eravamo già arrivati alla parte della storia che mi causava più dolore di tutte. Volsi il mio sguardo a James, che nuovamente mi convinse ad andare avanti.
«Ero molto abile a fare un po’ tutte le cose e avevo un cervello multitasking e che riusciva ad apprendere le cose velocemente»
«D’altro canto però, avevo anche un carattere difficile, potrei dire orgoglioso, e questo ha fatto si che feci molta difficoltà a trovarmi delle amicizie. Con questo non voglio dire che è stata tutta colpa mia. Il mio carattere non aiutava, ma io mi sforzavo e ottenevo anche dei risultati»
Alzai lo sguardo sugli occhi di James. Ormai erano diventati la mia fonte di forza per proseguire. Lui mi fece cenno con la testa per farmi capire che aveva inteso quello che avevo detto.
«Tuttavia nella mia classe delle elementari noi femmine eravamo divise in due gruppi. Io, Anne e Sabrina e Iris, Luna, Allie e Lizzie. E qui apro una parentesi per dire che in prima elementare io e Lizzie eravamo migliori amiche, inseparabili. Poi in seconda lei passava sempre più tempo con Allie, e presto cambiò migliore amica. Per me fu un duro colpo. A riemergere mi aiutarono Sabrina e Anne, e diventammo molto amiche. Allie e Lizzie diventarono amiche con Iris e Luna, e divennero un quartetto. Grazie soprattutto a Iris, le liti tra i nostri due gruppi erano sempre presenti. Da un giorno all’altro mi dicevano: ‘ Non siamo più tue amiche’. E allora le vedevi parlarsi nell’orecchio su di me, mi davano fastidio. Nel senso che per loro quella frase non significava quello che significava per tutti gli altri. Significava darmi fastidio, farmi i dispetti, capisci? Così i primi tre anni di elementari furono un incubo per me, dovevo stare attenta a tutto. Una volta, mentre ero in bagno, nascosero un loro braccialetto nel mio zaino, e quando tornai mi accusarono di averglielo rubato. Così frugarono nel mio zaino ma, logicamente lo trovarono dopo neanche mezzo secondo e nessuno credette loro. Poi, quando la maestra mi chiedeva di prestargli il quaderno per copiare una cosa di cui erano rimaste indietro, loro me la scarabocchiavano, in pulmino mi tiravano la coda dai sedili posteriori, Non mi lasciavano in pace un attimo, tornavo a casa piangendo quasi ogni sera»
Mi stoppai perché piccoli diamanti liquidi colavano dai miei occhi. Nessuno sapeva la mia storia, a parte Irene e Letizia, ed era la prima volta che la raccontavo a qualcuno. Mi morsi il labbro inferiore. James non parlò, segno che capiva quello che provavo. Non passò molto tempo prima che le mie lacrime solitarie si trasformassero in un vero e proprio e pianto sconsolato.
Sentii James fermarsi in una piazzola di sosta. Spense il motore e mi prese tra le braccia. Io affondai la faccia sul suo petto e restai lì, a piangere sulla sua spalla. Per la prima volta, avevo una spalla su cui piangere che non fosse quella dei miei genitori.
Lui mi strinse a sé, coccolandomi tra le sue braccia, sussurrandomi che andava tutto bene, che adesso ero con lui e che capiva perfettamente tutto quello che avevo raccontato fino a quel momento. Non so quanto restammo così, ma credo per circa un quarto d’ora.
Mi asciugai gli occhi e riemersi.
«Tutto a posto principessa?», mi chiese dolcemente.
«C-credo di s-sì», dissi, ancora scossa dai singhiozzi. Lui posò le labbra sulla mia fronte e mi tranquillizzai.
«Vuoi proseguire o comincio io?», chiese, molto gentilmente.
Ero risoluta a continuare. Mi ero ripromessa di vivere questa relazione, questa storia, in modo sincero e volevo raccontargli il resto, anche perché adesso arrivava la parte più bella di tutta la storia.
James rimise in modo e si immise nell’autostrada.
Guardai il cruscotto. Andavamo ai centoventi chilometri orari. Dieci in meno rispetto al limite di velocità.
Era chiaro che voleva prendere tempo per poter ascoltare tutto il continuo della storia. Spostai lo sguardo sul mio orologio. Erano passati circa venti minuti, ma erano solo le quattordici e venti. Presi un bel respiro e proseguii.
«Dunque, dopo questo periodo da incubo, la mia storia prosegue andando sempre meglio», esordii.
«Intorno alla quarta elementare le cose si aggiustarono e l’amicizia tra i nostri due gruppi migliorò. Non eravamo amiche del cuore, ovvio, ma in compenso non facevamo più quelle liti sciocche. Passai il resto delle elementari in modo piuttosto tranquillo. Ma poi, un altro duro colpo mi abbatté»
«Alle medie Anne non venne nella nostra stessa classe, e io mi ritrovai con Sabrina e altre due ragazze, con cui srinsi amicizia: Sara e Giselle. Tutto sembrava procedere per il verso giusto ma poi Sabrina e Giselle cominciarono ad andare a pallavolo insieme, e si vedevano tre ore prima per fare i compiti e per giocare assieme. Inoltre la mamma di Giselle, è arbitro di pallavolo, perciò era spesso fuori casa. Durante quel tempo, Giselle andava a casa di Sabrina, ed io ero sempre esclusa. Dagli stati di WhatsApp scoprii che si vedevano spesso loro due, ma qualche volta anche con Sara. Insomma, all’appello mancavo sempre io. Di nuovo, cominciai a sprofondare in un oblio di tristezza. Avevo provato a dirglielo, ma il loro comportamento era rimasto sempre uguale. E poi pensa, dopo tutta l’estate di stati con Giselle – a me non aveva invitato neanche una sola volta ad uscire insieme a lei- verso settembre mi chiese se potevamo vederci per fare i compiti. I compiti, pensa! Era chiaro che mi voleva vedere solo perchè desiderava che io l’aiutassi a fare i compiti. Ovviamente risposi che in quel periodo ero molto impegnata e non potevo. Lei non si fece più sentire. Io la esclusi con dolore dalla mia vita. Continuammo a stare in classe insieme, però non ci legava più niente come prima. Forse questa è stata la cosa più dolorosa, perché credevo fosse un’amica. Invece ne aveva tante altre con cui usciva a gruppi, a volte sparlando di me. La cosa peggiore però, credo sia stata il suo comportamento. In classe o quando stava con me, faceva l’indifferente. Poi lei e Giselle erano sempre vicine di banco – non si sa come facevano a rimanere intatte quando i professori spostavano di posto – e organizzavano sempre cose nuove, e quasi mai ascoltavano le lezioni. È una di quelle cose che mi stupivano di più. Era evidente che facevano dell’altro. Ma rimanevano sempre appiccicate. Logicamente questo non ha aiutato affatto». Mi interruppi. Stavo per ricominciare a piangere, ma riuscii a fermarmi dato che era una cosa che – anche se ci avevo messo tanto – avevo superato del tutto. James mi guardava intenerito, indignato e perennemente interessato.
«Beh, dopo questo periodo andò tutto a gonfie vele. Nell’estate della seconda media instaurai un profondo rapporto d’amicizia con Irene e Letizia. Avevano sempre abitato nel mio quartiere ma non le avevo mai notate più d tanto, forse proprio perché ero troppo concentrata sui miei problemi di classe»
«Comunque, anche grazie ad un corso estivo, diventammo ottime amiche. Io scoppiavo di felicità perché per la prima volta avevo incontrato amiche sincere e scoprii che anche un’amicizia a tre può funzionare. Da quell’estate la mia vita proseguì pressoché bene. Ma poi la ciliegina di felicità è arrivata proprio quando sei entrato nella mia vita», confessai infine.
Lui mi guardò sorpreso. Mi sorrise.
«Una vita facile», commentò sarcastico.
«In realtà da qualche anno a questa parte direi di sì. Mi sono circondata di ottime persone», specificai.
«Comunque mi hai raccontato la tua vita in modo grossolano o, per meglio dire solo da un aspetto», constatò.
«Quale manca?», chiesi.
«L’aspetto più importante», disse.
«E sarebbe?»
«Quello del tuo carattere, delle cose che ti interessa, di ciò che sei brava a fare…»
Presi a tormentarmi il labbro inferiore cercando di trovare una soluzione.
«Suppongo che se c’è un viaggio di andata, c’è ne anche uno di ritorno, giusto?», chiesi.
James mi guardò confuso.
«Sì perché?»
«Beh, stavo pensando che forse potremmo dedicare il viaggio d’andata alle nostre storie, mentre quello di ritorno ai nostri caratteri», proposi.
Lui sorrise soddisfatto.
«Ci sto», disse, e ricambiai il suo sorriso.
«Tocca a te adesso, però», gli ricordai.
Lui sospirò e iniziò il suo racconto.
«Mi chiamo James Griffen e sono nato il diciassette dicembre del duemiladue. Ho una sorella più piccola e si chiama Krystal», esordì esattamente come avevo fatto io. Si fermò anche lui, forse cercando di organizzare le idee. Aspettai in silenzio, piena di viva e sincera curiosità.
«La mia infanzia non è stata facile come la tua, ma in compenso la preadolescenza mi è senza dubbio andata meglio della tua», continuò, facendomi un quadro della situazione. Io annuì piano, incitandolo a proseguire il racconto. Guardai di nuovo il cruscotto. Aveva rallentato: stava andando ai cento chilometri all’ora.
L’orologio segnava le quattordici e trentacinque.
«Beh, suppongo che ora devo raccontare la mia infanzia…», disse sospirando. «…Allora, sono nato in questa città, ed ero il bambino più felice del mondo. La mia famiglia era perfetta, sembrava che non ci potesse essere niente che potesse andare storto. Eppure, fu proprio così». Si fermò nuovamente e capii che si stava preparando al peggio. Anch’io cercai di prepararmi, ma la mia sensibilità era troppo elevata per rimanere forte di fronte a quello che sarebbe venuto dopo. Con molta fatica, James riprese il discorso.
«Eravamo benestanti, e mio padre faceva il poliziotto. Un poliziotto comune, non gli interessava arrivare chissà dove, metteva la famiglia sopra ogni altra cosa. La sera tornava a casa più presto che poteva e giocava con me tutto il tempo che desideravo. Ma poi accadde. Per tanto tempo mi sono chiesto perché in un attimo tutta la sfortuna del mondo si fosse rovesciata su di noi.», si fermò un’altra volta. Era chiaro che anche lui faceva fatica. Molta fatica. Il mio cuore cominciò a perdere qualche battito.
«Il ventisei marzo del duemila undici nacque Krystal. Tutti noi eravamo felicissimi. Era da anni che desideravo una sorellina. Krystal era la cosa più bella che mi fosse mai capitata.»
«Beh, un giorno mio padre rimase in ufficio fino a tarda notte, ed ebbe un infarto al cuore»
Dopo il suo lungo racconto mi erano di nuovo spuntate le lacrime. Lui si voltò verso di me.
«Mio padre mi manca ancora, ma con te dimentico tutto, con te provo una gioia che non ho mai provato», mi disse, e cominciai a sgorgare lacrime di gioia. Troppe emozioni l’una assieme all’altra.
«Continuo il racconto, adesso arriva la parte più divertente»
Io annui, la fiamma della curiosità di nuovo accesa nei miei occhi.
«Nell’estate tra la quinta elementare e la prima media incontrai Diego e Gabriel, due amici fantastici. Passavamo tantissimo tempo insieme, trascurando anche lo studio», e qui fece una pausa per ridacchiare al pensiero di quell’amicizia spensierata.
«I nostri genitori ci misero in punizione: non potevamo più uscire insieme fino a quando non avessimo preso dei bei voti a scuola», di nuovo, si fermo per ridere.
«Così ci inventammo un piano. La nostra scuola era sempre aperta al pomeriggio, mettendo la biblioteca a disposizione degli studenti. Quasi tutti i pomeriggi chiedevamo di andare in biblioteca più o meno allo stesso orario, e così ci vedevamo lì. Facevamo mezz’ora di studio e compiti e il resto del tempo lo passavamo bighellonando in giro»
Lo guardai con un sorriso sulle labbra. Questa storia era divertente. Anche io, Irene e Letizia qualche volta avevamo semi mentito per incontrarci. Risi al ricordo.
Il volto di James era allargato in una smorfia divertita, si vedeva che era completamente perso nei ricordi.
«Quando andammo in terza media, assaggiammo la birra per la prima volta. Non proprio la prima ma comunque bevemmo la nostra prima bottiglia. Ci divertivamo, e di certo non ci ubriacavamo come facevano certuni. Ci prendevamo le nostre bottiglie e andavamo al parco, a ridere e scherzare. Ci divertivamo, sai? Portavamo con noi anche dell’acqua, e non vomitavamo mai. Lo reggiamo bene l’alcol, noi. In ogni caso tornavamo a casa completamente sani e lucidi». Fece una pausa per valutare la mia reazione.
Gli lanciai un’occhiata in tralice, ma non ero veramente arrabbiata.
«Anno dopo anno, la nostra amicizia si è rafforzata, e migliorammo anche nello studio. Decidemmo di andare nello stesso liceo, qui. I primi due anni passarono in un soffio, e scoprimmo di essere molto guardati dalle ragazze, e ci montammo la testa». Scosse la testa ridendo.
«Quanto eravamo arroganti e presuntuosi! In ogni caso non ce n’era una che ci interessava veramente. Nel secondo anno ho cominciato ad occhieggiarti, ma solo quando ti ho veramente conosciuta, ho scoperto veramente cos’è l’amore. Per me sei… tutto. Ma è una definizione alquanto limitata», concluse.
Io arrossii fino alla punta dei capelli e il mio cuore impazzì di gioia. Lui si voltò e mi sorrise. La fiamma del desiderio si riaccese in me, ma stavolta, con lui accanto a me, senza nessun segreto, fu più facile ignorarla.
Guardai la strada, e mi accorsi con sorpresa che stavamo imboccando l’uscita. Presto avrei scoperto la seconda sorpresa. Ero più eccitata che mai. James mi guardò sorridendo.
«Curiosa?», chiese.
«Molto», ammisi.
Lui scosse la testa ridendo.
«Ho proprio sbagliato soprannome: ti dovevo chiamare curiosona!», esclamò ridacchiando.
Io misi su il broncio e lui mi accarezzò la guancia. Inclinai la testa a favore della sua mano e dimenticai ogni cosa. Stavo così bene insieme a lui…
Volsi lo sguardo al finestrino. Riuscii a capire che eravamo finalmente usciti dall’autostrada ed eravamo entrati in una città di cui non conoscevo il nome. Il display accanto al cruscotto segnava le quindici meno cinque. Avevo come la sensazione che il mio vero compleanno iniziasse con la sorpresa di James. Ero contenta e non vedevo l’ora di scoprire di cosa si trattava.
«Ci siamo quasi», disse James, quasi leggendomi nel pensiero.
Finalmente imboccammo una strada secondaria, circondata da felci, ortiche e fiori spinosi. Era tutta curve ed era impossibile vederne la fine. Inoltre, se volevi andare lì, dovevi per forza conoscere bene il posto, dato che non era indicato da nessun cartello.
Mi domandai come facesse James a conoscere quel luogo che distava dalla nostra città un’ora di autostrada.
Scrollai le spalle. La mi curiosità era giunta ormai alle stelle. Perciò mi diedi da fare a catturare ogni più piccolo dettaglio che potesse essermi utile per capire la nostra meta. La vegetazione non mi fece dedurre niente di particolare. L’unica cosa che notai era una leggera sabbiolina che ricopriva ogni cosa. Osservai il cielo: il sole era alto e splendeva ricoprendo di calore e di luce tutto ciò che stava sotto di lui. Avevo voglia di aria fresca, e approfittai del fatto che fossimo usciti dall’autostrada per abbassare il finestrino. La prima cosa che mi colpì quando inspirai per la prima volta fu il caldo palpabile nell’aria. Poi mi giunse al naso un aroma, uno dei miei preferiti, inconfondibile. Un leggero sentore di salmastro, un profumo leggero ma buonissimo che segnalava la vicinanza al mare.
Non mi starà mica portando al…
Trasecolai.
In effetti, a pensarci bene, avevo proprio voglia di una passeggiata sul lungomare, di inzuppare i piedi nell’acqua salmastra, di fare un bel bagno nell’acqua fresca, di ammirare la spuma delle onde che si infrangevano sulla spiaggia…
Ovviamente la bellezza di tutto ciò era triplicata dal fatto che James fosse con me. Sorrisi, pregustandomi tutto quello che sarebbe accaduto dopo.
Ma io non avevo la più pallida idea della bellezza, della gioia, della felicità, dell’eccitazione che avrei provato dopo.
La stradina si stava lentamente trasformando in un vialetto e stavo per posare lo sguardo sul vetro anteriore per dare un’occhiata al paesaggio quando James fermò la macchina bruscamente. Ebbi un sussulto.
«Scusami», disse mentre scendeva dall’auto e veniva verso di me. Lo imitai.
Non appena uscii il caldo afoso impregnò le mie narici insieme all’aria salmastra. James mi prese per mano sorridendo.
«Benvenuta al mare principessa», mi sussurrò, mentre ci incamminammo sull’acciottolato. Lasciai spaziare il mio sguardo tutt’attorno. Era una piccola spiaggetta molto pulita, con il mare spumoso che schizzava piccole gocce ricche di sale tutt’attorno. Non c’era anima viva.
Sorrisi di gioia pura.
«É… bellissimo», riuscii a dire, ma le parole non bastano per descrivere quel posto e quel momento.
«Ti piace sul serio?», chiese ancora sorridente.
«Come potrebbe essere il contrario?», esclamai. «Nessuno mia aveva mai portato al mare per il mio compleanno, essendo ad ottobre. Però mi è sempre piaciuto io mare, molto», dissi.
Diedi una piccola scossa alle nostre mani incrociate, per invitare James a proseguire.
I ciottoli scricchiolavano piacevolmente sotto i nostri piedi. Giungemmo in fretta alla fine del vialetto. Oltre quello c’era una distesa di sabbia.
Mi tolsi le scarpe da ginnastica e anche le calze, rimanendo a piedi nudi. James fece altrettanto.
Arretrai di qualche passo, presi la rincorsa e spiccai un salto atterrando col sedere sulla sabbia. Ne presi una manciata e la lanciai – quella che non mi era scivolata via dalle fessure delle dita – in direzione di James.
Notai che la sabbia era di un colore molto simile al bianco panna, ed era fine come non ne avevo mai vista prima.
James mi guardò ridendo e poi mi imitò. Atterrò ad un centimetro da me. Per un attimo ci guardammo fisso negli occhi. Di nuovo, la potenza di quello sguardo mi travolse, e l’amore per lui mi sopraffece.
Riunì la sua mano alla mia e ci alzammo insieme, diretti verso la riva.
Mi accomodai sulla spiaggia in modo che i miei piedi fossero raggiunti dall’acqua. James si sedette accanto a me.
«Perché mi hai portato qui?», chiesi curiosa, mentre un’onda bagnava il mio piede destro.
Lui sorrise, segno che si aspettava quella domanda.
«Ci sono diverse risposte a questa domanda»
«Allora dimmele tutte, sono qui apposta per ascoltarti», risposi allegramente.
Lui scoppiò a ridere, gettando la zazzera di capelli scuri all’indietro. Si alzò un leggero vento che porto le goccioline del mare sui nostri visi. Mi scompigliava i capelli, facendoli ondulare nella brezza salmastra. James li restò a guardare per un po’ prima di rispondermi.
«D’accordo. La prima ragione è che bramavo del tempo da solo con te», ammise, arrossendo leggermente.
Io diventai di un rosso fuoco, mentre un sorriso di soddisfazione mi si dipingeva sul volto. Era la stessa cosa per me, e fui lieta che anche lui provasse la stessa cosa.
«Il secondo motivo è che volevo portarti in un posto speciale, insolito per il tuo compleanno», continuò.
Io risi e i miei capelli sfiorarono il viso di James. Lui li trattenne con la mano, premendoseli sulla guancia e sulla bocca. Poi li liberò e quelli tonarono a librarsi nel vento.
«Beh, su questo punto ci sei riuscito eccome», ammisi felice.
Lui sorrise compiaciuto.
«Ne sono molto felice»
«Ci sono altri motivi?», chiesi, sospettando già la risposta.
«Sì. Il terzo è che volevo dimostrarti quando ci tengo a te. Il quarto è, beh non potevo mica lasciare che tu vivessi una giornata normale il giorno del tuo diciottesimo compleanno! E il sesto…», disse, lasciando la frase in sospeso. Sul suo volto comparve un sorriso malizioso. Ero confusa, ma attesi che finisse da solo la frase. Non ce ne fu bisogno.
Scattò in piedi, e con gesto fulmineo mi sollevò prendendomi per la vita. Lo fece con naturalezza, come se il mio peso equivalesse a quello di una piuma.
Mi ritrovai con la faccia sulla sua schiena e le gambe che si dimenavano nell’aria per cercare di ritornare appoggiate alla terra ferma. Lui rideva, era evidente che si stava divertendo. Io un po’ meno.
«Ma che fai? Rimettimi giù!», urlai, ma un moto di risate sopraggiunse e sopraffece le mie urla. Era impossibile resistere all’allegria di James.
«Neanche per sogno principessa!», disse lui compiaciuto.
Vidi che si avvicinava paurosamente alle onde spumose. Un istante dopo realizzai di avere ancora i vestiti addosso. Un altro istante dopo sentii arrivarmi il sangue al cervello. In tutto questo, però, avevo solo una frase stampata in fronte: PERICOLO MARE!
«NON OSARE FARLO!», urlai, tra il divertito e il preoccupato.
Ormai aveva i piedi sommersi dall’acqua. Sul volto comparve un immenso sorriso misto di compiacimento, desiderio, e felicità pura. Come la mia in questo momento. A dir la verità in questo momento non mi importava più dei vestiti o di chissà cos’altro: ero con James, mi stavo divertendo, eravamo uniti, e questo mi bastava.
Fece ancora qualche passo verso il mare poi disse:
«Oh sì invece!». E detto questo mi sollevò e mi lanciò in aria verso la distesa d’acqua. Gli schizzi delle onde mi bagnarono il viso e l’aria mi passò attraverso i capelli, accarezzandomi tutto il corpo. Mi accompagnò per tutto il mio volo fino a che non avvertii sotto di me l’acqua. Chiusi gli occhi e con una mano mi tappai il naso. Mi immersi nell’acqua salata con un sonoro splash e probabilmente anche sollevando un bel numero di schizzi. Constatai che la temperatura era gradevole, né calda né fredda, il giusto. Quel che ci voleva per rinfrescarsi senza congelarsi.
Sentii il respiro scivolarmi dai polmoni e riemersi in superficie. Non feci in tempo a far sbucare la testa dall’acqua, che un’onda bianca mi travolse. Rimasi lì impalata a farmi scaricare acqua e sabbia sulla faccia e sui capelli.
Sentii James ridacchiare alle mie spalle.
«Non sapevo avessi voglia di farti un tuffo, principessa!», esclamò.
Io mi immersi per ripulire il viso dalla sabbia per poi riemergere guardando torva James.
Lui, continuando a ridere, si sfilò la maglietta, rimanendo a petto nudo. Non aveva tanti muscoli, ma possedeva una forza naturale che non aveva bisogno della tartaruga, come aveva dimostrato poco fa.
Tuttavia, lo guardai con uno sguardo quasi intellegibile, ma speravo che lui capisse che era pieno di ammirazione, amore e felicità.
Mi sorrise, evidentemente divertito dalla situazione.
«Com’è l’acqua?», chiese, ancora sghignazzando.
Io in tutta risposta, mi voltai dall’altro lato con le braccia conserte. Ovviamente stavo solo recitando. Come potevo essere arrabbiata con lui? Non era una cosa matematicamente possibile.
Pochi secondi dopo, mi travolse un’altra onda. Realizzai soltanto dopo che non poteva essere un’onda, dato che veniva da dietro. Mi voltai e James riemerse dall’acqua davanti a me.
«Hai visto il mio tuffo?», chiese.
«No», risposi, ostentando ancora un tono offeso.
«Te lo rifaccio?», chiese, conoscendo già la risposta.
«Esibizionista», bofonchiai.
Lui mi tirò fuori dall’acqua e dal mio corpo scesero tante gocce d’acqua che si riversarono sul suo petto.
«Secondo me per scioglierti ti ci vuole un bis», esclamò contento.
«Cosa…? NOOOO!», urlai, ma era troppo tardi.
Con un tonfo, tagliai la superficie dell’acqua che tornò a richiudersi sopra di me. Riemersi in fretta, con la sgradevole sensazione dell’acqua su per il naso.
Tuttavia, quando tornai a respirare e vidi il suo volto sorridente, dimenticai l’ostentato tono offeso e tutto il resto, e ricambiai con un sorriso a trentadue denti. Lui mi si avvicinò.
«Te l’avevo detto che ti ce ne voleva un altro per scioglierti», disse, e scoppiò in una risata. Mi unii a lui, e mentre ridevo mi si accese una lampadina nel cervello. Di colpo, mi buttai di peso sopra di lui per buttarlo sott’acqua, ma non ci fu niente da fare. Lui mi afferrò poco prima che toccassi il suo corpo – avrei voluto farlo- e mi rigettò lontano schizzandomi.
Per vendicarmi sollevai con le mani un’onda artificiale e la scagliai contro James. Dal suo volto scomparve il sorriso malizioso e una smorfia di finto terrore lo sostituì.
Quando si riprese disse, con tono di sfida:
«L’hai voluta tu la guerra!», e mi schizzò a più non posso, spingendomi verso il mare.
Passai all’attacco e usai la mossa che usavo quando da piccola attaccavo papà. Appoggiai le mani sulla superficie dell’acqua e comincia a girare, sollevando consistenti masse d’acqua contro James. Lui arretrò portandosi le mani davanti al viso per proteggerlo dagli schizzi. Avanzai per sommergerlo e lui alzò le mani in segno di arresa. Smisi di girare riprendendo fiato. Ma nel frattempo lui aveva abbassato le mani e le aveva messe in moto sollevando onde d’acqua che mi sommersero. Non osai girarmi. Mi immersi nuotando fino a che il fiato me lo permise. Quando riemersi toccavo il fondo, ma ancora per poco. Mi voltai, ma James non si fermò, continuando ad attaccarmi e sospingendomi sempre più verso il mare. Ora, lui era più alto di me di diversi centimetri, dieci o forse quindici centimetri, perciò toccava ancora senza difficoltà. Ma ormai io mi reggevo sulle punte degli alluci. Ancora un metro e non ci avrei toccato più. Compii quel metro e cominciai a dimenare le gambe e le braccia per mantenermi a galla. James se ne accorse e mi venne incontro afferrandomi per la vita e mi strinse a sé, premendo il mio corpo contro il suo.
I nostri occhi si incontrarono e i suoi mi incatenarono a lui. Adesso avevo la mente sgombra da qualsiasi altro pensiero che non fosse lui. La sua espressione si fece incerta ma al contempo decisa. Scostò una mano dal mio fianco e la posò sul mio viso.
Poi prese ad azzerare la distanza tra i nostri due volti, ed io mi lasciai condurre. Si fermò quando era ormai a due millimetri dal mio viso. Sentivo il suo respiro sul collo. Il mio cuore quintuplicò i battiti e il respiro si fece affannoso. Sbattei le palpebre assennatamente. Improvvisamente dovevo ricordarmi di praticare le funzioni vitale. La fiamma si riaccese in me. Finalmente era lì, ormai a mezzo centimetro da me. Era quello che desideravo. Lui azzerò la distanza tra noi due ed io chiusi gli occhi. Rimase lì incerto per un istante, prima di posare con decisione le sue labbra sulle mie. Esplosi di gioia. Nell’attimo in cui le nostre labbra si toccarono, mi sembrò come se il mio cuore si fosse arrestato, come se il respiro si fosse fermato. Come se la mia vita dipendesse totalmente e incondizionatamente da lui. Dischiusi le labbra e lì, incerti nell’attesa. Nessuno di noi si azzardava a mettere distanza fra nostri due volti. Posai di nuovo le mie labbra sulle sue. Mi pareva di aver capito che lui desiderasse che quello fosse un bacio leggero e delicato. Mi strinse a sé ancor più forte tenendomi a galla nell’acqua ormai troppo alta per me. Cinsi i suoi fianchi con le gambe e lui mi afferrò sostenendomi. Lo abbracciai, godendo della sensazione del suo corpo stretto al mio. La mia maglietta era ormai pesante a causa dell’acqua, e lasciava scoperte le clavicole. Mi baciò nell’incavo delle clavicole. Un’onda ci travolse dandoci una spinta verso la riva.
Ci staccammo piano, incerti. Ora arrivava il momento più difficile, quello post-bacio.
«Wow!», esclamai. Era tutto fantastico. Era stato un bacio fenomenale, dovevo ammettere che era proprio bravo.
«Sei… bellissima», disse. «Ma è troppo poco»
Arrossii, e sperai che lui non se ne fosse accorto, cosa assai improbabile dato che eravamo ancora a mezzo centimetro di distanza.
«Com’è stato?», chiesi, piuttosto incerta.
Lui mi sorrise.
«Fantastico. È stata la cosa più bella che ho fatto in diciott’anni di vita», disse. «Era il tuo primo bacio?», chiese poi curioso.
Io annuii. Avrei voluto aggiungere che era stato… non saprei descrivere… stupendo, avrei voluto restare così per sempre.
Appoggiai la testa sulla sua spalla, lasciandomi cullare da lui e dal leggero e piacevole movimento dell’acqua.
Restammo così abbracciati per tanto tempo – non avrei saputo dire quanto – e mi sentivo in paradiso.
Chiusi gli occhi. Nelle orecchie avevo il suono delle onde che s’infrangevano, i piccoli Ti amo e la ninna nanna sussurrata da James e il suono dei gabbiani che sorvolavano pigramente il mare. Cascai in uno stato di leggero torpore, se fossi restata così ancora per poco, mi sarei addormentata.
Riaprii gli occhi lentamente, e fui sorpresa di trovare il sole già a metà strada verso l’occidente. Il cielo era di una sfumatura perfetta, rosso rubino con una leggera tonalità di rosa e arancione caldo. Le montagne si stagliavano all’orizzonte, facendo da sfondo a quella composizione perfetta. Qualche nuvoletta simile a zucchero filato girovaga per il cielo, ma il sole riluceva ancora creando una scia luminosa sull’acqua.
Alzai la testa e James mi baciò con un bacio leggero, dolce e armonioso.
«Ben svegliata, principessa», mi sussurrò piano.
Io mi accoccolai di nuovo su di lui e lentamente s’incamminò verso la riva. Giunti sulla sabbia feci per scendere ma lui non me lo permise. Mi baciò la fronte e poi mi mise delicatamente giù.
«Aspettami qui, torno subito», mi disse, e si allontanò velocemente.
Per la prima volta da quando mi aveva buttata in mare, avevo tempo di riflettere. Ci eravamo baciati. Wow! Significava che adesso stavamo insieme? Pensavo proprio di sì. Erro estasiata, e il giorno non era ancora finito. Mi resi conto di quanto l’amassi, di quanto tenessi a lui. Ero pronta a dare tutto pur di stare con lui.
James fu di ritorno poco dopo con un sorriso stampato in faccia. Era carico di roba. Ma dove l’aveva trovata? Non potevo credere che fosse stata tutta nel piccolo bagagliaio della sua Alfa Romeo Giulietta.
Stese per terra un grande asciugamano e mentre lui allestiva tutto, io mi tolsi la maglietta e gli shorts, mettendoli su un ramo di un albero. Sperai che si asciugassero in fretta, altrimenti avrei avuto freddo. Rimasi in costume, anch’esso fradicio.
Mi voltai per tornare verso James e fui sorpresa di vedere cosa aveva messo su.
Mi venne incontro circondandomi con un asciugamano e mi sentii subito più caldo. Mi riprese in braccio anche contro le mie proteste.       Mi posò delicatamente sul telo che aveva steso. Notai che lì vicino c’erano anche un cuscino e un plaid. Si vede che per la sera avevano previsto freddo.
Spezzò due rami da un albero ormai avvizzito e gli dispose in modo favorevole ad accendere un fuoco. Infatti tirò fuori dalla tasca un accendino e diede fuoco alla legna secca. Poi prese la coperta e si sedette accanto a me, circondandoci con il plaid.
«Posso chiederti una cosa?», chiese, mentre il fuoco crepitava allegro sulla sabbia.
«Certo», risposi senza esitazione.
«Sembrerà sciocco ma… Perché ti piace così tanto il mare?», domandò un po’ incerto.
In effetti era una domanda un po’ strana, ma non ci vedevo nulla di male, perciò risposi. Mi passai la lingua sulle labbra e fissai lo sguardo sulle onde spumose.
«Beh…», cominciai incerta. Lui teneva lo sguardo fermo su di me, esortando a continuare.
«… sembrerà sciocco ma… è il posto ho la maggioranza di ricordi felici con la mia famiglia. E non solo». Feci una pausa, mordendomi il labbro.
«Che intendi dire?», chiese lui, senza riuscire a trattenere la propria curiosità. Io deglutii rumorosamente e prosegui.
«Vedi, fin dalla prima volta in cui ci sono venuta mi sono sentita legata al mare. Era come se fosse libero, selvaggio, ma al contempo legato a me. Sentivo di piacergli in qualche modo. Lo so che sembra un film della Disney», aggiunsi in fretta, evitando il suo sguardo.
Lui mi accarezzò la guancia.
«Non sembra affatto sciocco, se è questo che ti interessa», mi disse piano. Io sorrisi: mi capiva sempre.
«Immaginavo sempre di trovarmi in uno strano stato di… come definirlo… avevo la sensazione di trovarmi perennemente nei meandri della mia fantasia. Mi aiutava, sai. E poi avevo… ho questo dono di saper perfettamente creare nella mia testa una precisa situazione che vorrei si verificasse. Insomma, riesco quasi a vedere cose che non ci sono. Credo sia anche per questo che mi è sempre piaciuto fare l’attrice. Mi sentivo particolarmente portata», dissi ridendo di me stessa.
James invece sembrava assorto nel tentativo di comprendere bene il significato di quelle parole e ragionamenti complessi.
«Che… che genere di cose reciti?», chiese, lo sguardo rapito. Oh, non mi aspettavo questa domanda. Arrossii fino alla punta dei capelli.
«Beh… mi piaceva recitare scene epiche, tipo io che correvo su per le scale fingendo un inseguimento e poi lottando con nemici immaginari, per poi accasciarmi sul letto fingendo di essere svenuta. Poi arrivava il famoso lui, a salvarmi», raccontai sorridendo. «Patetica, eh?», dissi.
«Nient’affatto», disse, e si vedeva che lo pensava davvero. «E poi?»
«Fingevo di correre disperata per arrivare in un punto (che variava a seconda della stanza in cui mi trovavo), e piangevo e urlavo sul presunto cadavere del mio inesistente fidanzato. Poi ovviamente scoprivo che lui in realtà era ancora vivo. E ancora fingevo di svenire dopo una lunga battaglia, per poi risvegliarmi sul mio letto credendo di essere all’ospedale con tutti i miei amici intorno. Solo che io non ricordo niente, hai presente quei risvegli epici da protagonista? Ecco quelli», dissi dopo che lui ebbe annuito sorridente.
«Quindi il tuo sogno è fare l’attrice?», mi chiese. Ero stupita di come avesse afferrato il nocciolo della questione.
«Beh sì, direi»
«Come ci siamo arrivati? A parlare di questo, intendo»
«Oh, credo parlando del perché mi piacesse il mare»
«Giusto». Lo disse in un tono che rendeva perfettamente chiaro il fatto che non se l’era scordato, aveva solo fatto finta.
«E beh, sognavo che avrei dato il mio primo bacio sulla spiaggia», conclusi assorta nei miei ricordi.
Lui sembrò ridestarsi, e mi si avvicinò.
«Sai, prima di adesso non ho mai incontrato ragazza più bella di te», cominciò. «Ma non è solo questo che mi attrae di te», precisò. «È perlopiù il tuo carattere, il tuo essere sempre e maledettamente solare, la tua bontà, la tua pazienza. Ma la cosa assurda è che non amo solo la parte migliore di te, amo anche la parte peggiore di te, anche i tuoi difetti più colossali, amo ogni singola parte di te. Quindi, credo che questi fattori possano permettermi di dirti che ti amo. Più di ogni altra cosa Emily. Più della mia stessa vita, TI AMO».
Io non ebbi il tempo di metabolizzare quelle parole perché lui azzerò la distanza fra i nostri corpi e mi baciò con trasporto e passione, lasciandomi di stucco. Non era un bacio come quello di prima, era qualcosa di più… di più potente e travolgente. Ricambiai il bacio, e potrei dire che quello fu il mio primo vero bacio. Il sole stava calando all’orizzonte, lanciando una luce rossastra su tutta la spiaggetta, mentre le onde s’infrangevano in un ritmo costante e armonioso. Le nostre labbra non si erano ancora staccate, eravamo uniti in quel bacio mozzafiato, proprio come l’avevo sempre desiderato.
 
 
James mi porse un cartone della pizza. Ne presi una fetta e la assaporai piano, assorta. Stavo ancora meditando sul bacio. Mi sembrava tutto ancora incredibilmente incredibile. James era lì accanto a me, perciò dovetti supporre che era tutto vero. Tutto. Un vero uragano di sentimenti si era impadronito di me, e a capeggiare la tempesta era senza dubbio l’amore. All’improvviso l’amore per James mi aveva travolto proprio come un’onda. Istintivamente volsi lo sguardo al mare, che aveva assistito alla scena come un muto spettatore di fondo. Ormai era incatenato dentro a quel ricordo, e quel posto sarebbe diventato speciale per la nostra storia, ne ero certa.
«Non ti sembra straordinario?», chiese. Io rimasi paralizzata per un istante, nel goffo tentativo di riportarmi alla realtà. Risposi senza ragionarci.
«Cosa?», risposi, spostando il mio sguardo su James.
«Tutto», rispose con semplicità. «O meglio, noi. È meno di un mese che ti conosco e già sono pazzo di te. Non mi era mai successo prima».
«Mi stai dicendo che abbiamo corso troppo?», chiesi preoccupata.
Lui posò delicatamente le sue labbra sulle mie e mi sorrise.
«Ti sto dicendo che rifarei tutto mille volte e che ti amo», specificò. Io lo abbracciai e lui mi accolse tra le sue braccia. Rimasi accoccolata sul suo petto per un bel po’.
 
Una goccia di pioggia mi bagnò il viso. La temperatura era scesa di almeno dieci gradi ma nonostante tutto desideravo ancora restare lì.
Una mano calda mi accarezzò la guancia.
«È ora di andare principessa», mi sussurrò James all’orecchio.
«Mmm…», mugugnai io.
Allungai una mano e avvicinai il suo viso al mio. Gli diedi un bacio intenso per convincerlo a restare ancora un po’.
«Così non vale! Giochi sporco!», mi accusò anche se non sembrava per niente dispiaciuto. Mi diede un altro bacio veloce ma io ricambiai e prolungai il bacio.
«Forse ho cambiato idea», disse ripensandoci.
E in quel momento pensai che se le fiamme che ardevano davanti a noi erano calde, io lo ero mooolto di più.

NOTA AUTRICE: Ciao! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Penso che prenderò l'abitudine a lasciare più spesso una nota autrice. Spero che questo capitolo sia di una lunghezza decente e vi invito come sempre a lasciare una recensione per farmi sapere la vostra opinione, pls!

 
   
 
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