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Autore: Soul Mancini    08/04/2021    6 recensioni
[Scritta per il compleanno del mio adorato OC Ives ♥]
8 aprile.
Otto piccoli momenti, otto diversi modi di amare.
Otto vite in cui Ives ha fatto irruzione e a cui ha lasciato un frammento di sé, della sua bontà e del suo affetto.
Un unico cuore in cui racchiudere tutti questi frammenti di dolcezza rubati alla quotidianità. Perché Ives sa amare soltanto in un modo: con tutto se stesso.
[Anche se cercherò di spiegare nelle NdA tutti i riferimenti, non assicuro che la storia sarà comprensibile a chi non ha letto almeno qualche storia della serie.]
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Kidfic, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Needles'
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Iveees
Per Ives,
che nell’ultimo anno è stato per me
ispirazione, amico, figlio e forza.
Grazie per esistere, almeno tra le mie righe,
farmi sentire una pazza perché ti amo
e farmi sentire felice per lo stesso motivo.
Buon compleanno 🎈
 
 
 


 

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The only way I can love
 
 
 
Piangeva forte, stringeva i pugni, cercava di attirare tutta l’attenzione su di sé. Come se, da qualche ora a quella parte, tutto il mondo dovesse ruotare attorno a lui.
Per Niki effettivamente le cose andavano così – erano andate in quel modo anche per i nove mesi precedenti. Ma solo ora che quella creaturina era venuta al mondo – Ives, così aveva deciso di chiamarla –, lei si era resa conto di quanto le avesse stravolto l’esistenza.
Ignorando il dolore che ancora le attorcigliava le viscere, l’aveva preso tra le braccia e l’aveva guidato verso il suo seno, per donargli tutto ciò che era in suo possesso; Ives vi si era aggrappato con tutto il vigore che l’aveva caratterizzato fin dal suo primo respiro.
Niki lo cullava con delicatezza, gli lasciava soffici carezze, lo ammirava e gli sussurrava in continuazione quanto fosse bello, incapace di contenere il fiume di emozioni che straripava dal suo petto. Non riusciva a smettere di piangere, ma ora quelle che scorrevano sulle sue guance non erano lacrime di sofferenza.
Mentre osservava il visetto così chiaro e pulito di suo figlio, si domandò se un miracolo del genere potesse davvero essere frutto di una brutale violenza, se quel senso di sporco che sentiva sulla pelle da mesi potesse aver generato un essere così innocente e bello.
E ora che lui aveva abbandonato il suo ventre, Niki si sentiva così debole e fragile, un involucro che aveva contenuto energia pura e che ora si era svuotato della sua forza. Aveva dato tutta se stessa ad Ives.
Lo osservò ancora una volta: si era addormentato nel suo abbraccio rassicurante, che sapeva quasi di casa.
Niki sapeva che, anche se fosse morta in quell’istante stesso, avrebbe lasciato al mondo la parte migliore di sé.
 
 

 

Maura stava dando una sciacquata alle patate, pronta a rimuovere la buccia, quando un boato improvviso e assordante proveniente dal piccolo soggiorno la fece sobbalzare. Allarmata, mollò la presa sull’ortaggio che stringeva in mano e si precipitò alla porta, preparandosi a dover fronteggiare il peggio.
Il piccolo Ives se ne stava in piedi sul divano con un’espressione atterrita e teneva lo sguardo fisso sul pavimento, dove giaceva un mucchio di cocci di vetro. A Maura bastò sollevare lo sguardo al soffitto per capirne la provenienza: il lampadario era quasi del tutto distrutto, solo qualche scheggia resisteva ancora alla forza di gravità.
“Non sono stato io!” si affrettò a dire il bambino, non appena notò l’espressione corrucciata sul volto spigoloso della zia.
“Ah no? E da quando i lampadari esplodono da soli?” La donna avanzò di qualche passo e, dopo aver constato che Ives era illeso e fuori pericolo, prese a guardarsi attorno per cercare di capire cosa fosse accaduto. “Come ci sei arrivato lassù?”
“Te l’ho detto: io non c’entro niente” ribatté ancora lui nella speranza di risultare credibile.
Ma per zia Maura era sempre stato un libro aperto: gli leggeva in faccia che stava mentendo. Lo capiva dal sorrisetto impertinente che il bambino stava cercando di reprimere.
Fu allora che lo notò, quasi del tutto nascosto dietro il divano: un pallone con qualche cristallo di vetro conficcato sulla superficie.
“Ives! Quante volte ti ho detto che non devi giocare con la palla dentro casa?” esplose allora, puntandosi le mani sui fianchi e assumendo un’aria minacciosa.
Lui si sedette, senza però perdere la sua solita aria di sfida. “Ma io mi stavo annoiando…”
“Quindi tutte le persone che si annoiano fanno cose stupide? Non solo hai distrutto un lampadario che mi era costato una fortuna, ma hai anche rischiato di farti male!” continuò a sbraitare Maura, mentre andava a recuperare scopa e paletta per rimediare al disastro.
Non era certo la prima volta che quella piccola peste combinava guai come quello; zia Maura dimostrava pure troppa pazienza nei suoi confronti.
Mentre raccoglieva i cocci, Ives la osservava dal divano con un sorrisetto appena accennato.
“Non è divertente. E soprattutto non sono in vena di scherzare” lo rimproverò lei. Detestava il fatto che suo nipote non riuscisse mai a capire quando era il momento di farsi seri.
“Ma non sto ridendo!”
Lei aggrottò le sopracciglia. “Visto che oggi sei tanto spiritoso, e visto che ti stai annoiando, sai cosa faremo dopo? Mi aiuterai a pelare tutte le patate!”
Era una giusta punizione: sapeva che il bimbo detestava quell’attività.
Infatti Ives sollevò gli occhi al cielo. “No, zia Maura! È troppo noioso!”
“Non si discute! Hai fatto di testa tua e queste sono le conseguenze!”
Lui mise su un broncio indispettito e incrociò le braccia al petto.
La zia, che intanto aveva finito di passare la scopa, sollevò lo sguardo e lo puntò dritto in quello di Ives. “Ah, e cosa si dice in questi casi?”
Lui rimase in silenzio, senza capire.
“Quella parolina che si usa quando si fa qualcosa che non si dovrebbe.”
“Scusa” bofonchiò allora lui.
“Sei pentito davvero?”
Ives si lasciò sfuggire un sorrisetto. “Veramente no. Però ti aiuto lo stesso a pelare le patate.”
Zia Maura non sapeva bene se gridargli contro o scoppiare a ridere: quel bambino aveva la straordinaria capacità di farla uscire dai gangheri e intenerirla allo stesso tempo.
Ma dopotutto non poteva immaginare la sua vita senza quel piccolo uragano per casa.
 

 
 

Duro e umido. Ethan si sentì arrivare il colpo alle spalle.
Si immobilizzò in mezzo alla strada per un istante, spaventato, poi ebbe il coraggio di guardarsi attorno; una volta inquadrato l’oggetto che gli era finito addosso, realizzò due cose: si trattava di un foglio di giornale appallottolato e inzuppato d’acqua, e ora il retro della sua t-shirt era completamente fradicio.
Se non altro era piena estate, faceva persino piacere.
Aggrottò le sopracciglia e borbottò qualcosa tra sé e sé, continuando a guardare in giro.
A confermare i suoi sospetti, una risatina sommessa giunse alle sue orecchie.
“Ives Mancini, dove ti stai nascondendo?” proruppe allora a gran voce, muovendo qualche passo avanti.
Il più piccolo allora sbucò da dietro un angolo, lanciandogli un nuovo proiettile di acqua e carta in pieno petto. “Ciao!”
Ethan tossicchiò. “Che stronzo! Ma come ti vengono certe idee?”
“Faceva caldo, mi stavo annoiando…” Sollevò in aria una nuova munizione. “Questa è la pagina dell’oroscopo! Per il Cancro è prevista una giornata movimentata!” enunciò mentre prendeva la mira.
Ma Ethan ormai era preparato e parò il colpo con precisione. “Eh no, ragazzino: si gioca ad armi pari, lo sapevi?” Così dicendo gli restituì il colpo, centrando il suo amico sulla fronte.
Ives scoppiò a ridere, e non ebbe nemmeno il tempo di riprendersi che Ethan aveva già raccolto le altre pagine appallottolate da terra e l’aveva preso d’assalto.
Ora sorrideva soddisfatto. “Da oroscopo a cronaca nera è un attimo!”
“Ma io ho molte più pallottole di te!” rincarò Ives, mostrandogli la busta in plastica che aveva appeso al polso.
“Te le fotto tutte, quelle munizioni!” Mentre Ethan pronunciava quelle parole, un nuovo attacco gli infradiciò la maglietta all’altezza dello stomaco.
“Vieni a prenderle allora!” lo sfidò Ives, per poi correre via e scomparire dietro l’angolo.
Ethan raccolse le palle di carta a sua disposizione e partì al suo inseguimento.
Le loro grida e le loro risate riempirono il silenzio di quelle vie nei minuti successivi. Si rincorsero, si colpirono, si insultarono scherzosamente e lottare all’ultimo sangue.
Alla fine erano zuppi, impiastricciati di polvere dalla testa ai piedi e avevano il fiatone, ma non importava. Anche quel giorno avevano trovato il modo per divertirsi insieme.
E Ethan, che l’aveva conosciuto soltanto quell’estate, si chiese come aveva potuto vivere per ben nove anni senza quel bambino, che forse era diventato il suo migliore amico.
 

 
 

Lisbeth se ne stava in disparte e osservava i suoi compagni di classe che girovagavano tra i banchi, armati di penne colorate e sorrisoni sulla faccia. Le finestre erano spalancate e lasciavano che l’odore dell’estate e delle vacanze entrasse nella stanza.
Era una tradizione: l’ultimo giorno di scuola, tutti i bambini lasciavano una firma e una piccola dedica nel diario dei loro compagni. Lisbeth l’aveva sempre trovata una cosa carina – a lei poi piaceva disegnare e decorare –, però allo stesso tempo la faceva sentire esclusa: alla fine della giornata, le pagine del suo diario erano sempre le più vuote. Non riscuoteva molto successo.
Così anche quell’anno, dopo aver scritto il suo nome sulle agende di alcune compagne, era tornata al suo banco e si era limitata a osservare gli altri. Le sarebbe piaciuto fare come tutti loro, ma era troppo timida e ad alcuni bambini non sapeva nemmeno come avvicinarsi.
“Lis!” Un sorridente e raggiante Ives le si piazzò proprio di fronte, sventolando in aria il suo diario sfasciato e consumato. “Non hai ancora firmato, vero?”
Lei accennò un sorriso imbarazzato e scosse il capo. Ives era uno dei pochi con cui andava d’accordo e, se solo Lisbeth fosse stata meno impacciata, sarebbero potuti diventare amici.
Lui allora le porse l’agenda. “Io voglio la tua dedica! Tutta colorata!” disse poi, indicando le matite e i pennarelli che la bambina aveva disposto sul banco.
“Va bene!” Contenta, Lisbeth si sistemò gli occhialini sul naso e mise all’opera: si impegnò a tracciare il suo nome in una bella grafia con una penna verde, poi lo decorò con tanti piccoli disegni tutt’attorno.
Era talmente tanto presa dal suo lavoro che non si accorse di ciò che Ives aveva fatto nel frattempo: aveva aperto il diario della sua compagna e aveva scritto a sua volta una dedica sbilenca.
“Ecco fatto! Ti piace?” Qualche minuto dopo, Lisbeth gli mostrò la sua piccola opera d’arte.
Ives sgranò gli occhi e sorrise. “È bellissimo, grazie!” Afferrò l’agenda per esaminarlo meglio, poi tornò a guardare la sua compagna di classe. “Sei contenta che cominciano le vacanze?”
Lei annuì. “In estate io e la mia famiglia andiamo sempre al mare. Tu?”
“Sì, però sono anche un po’ dispiaciuto perché non posso vedere tutti voi.”
Lisbeth non si sarebbe mai aspettata una risposta del genere da lui: Ives dava l’idea di odiare la scuola.
Proprio in quel momento qualcuno dall’altro capo dell’aula lo richiamò e il bambino si allontanò dal banco di Lisbeth, ma prima le rivolse un ultimo sorriso luminoso. “Guarda il tuo diario!”
Perplessa, lei sbirciò la pagina su cui spiccava la grafia grande e un po’ storta del corvino.
 
Alla bambina più carina della classe!!! Ci vediamo dopo le vacanzeeeeeeeeeeeeee ♥
Ives Mancini
 

 
 

“Ehi, ciao!”
“Ehi.” Sammy non sollevò lo sguardo quando udì la voce del suo amico, si limitò a stringere più forte le dita alle bretelle del suo zaino.
Ives gli si accostò e gli batté appena sulla spalla. “Oggi possiamo venire a casa tua per le prove, vero?”
“Non lo so, penso di sì…” Il bambino dai capelli rossi gli rivolse solo una breve occhiata.
Ma Ives si accorse subito che qualcosa non andava, allora gli strinse appena il braccio. “Sammy, che cos’hai?”
“Niente.”
“Non è vero, hai gli occhi lucidi!”
Sammy si morse il labbro e lo guardò dritto in faccia, cercando di risultare convincente. “È solo un po’ di… allergia. È cominciata la primavera…”
Non era per niente bravo a mentire.
Ives infatti non ci cascò e mise su un broncio dubbioso. “Dimmi la verità!”
Il rosso sospirò e prese a fissarsi le mani.
Ives allora inclinò il capo di lato per poter incrociare il suo sguardo, anche se Sammy aveva chinato la testa, e gli sorrise. “Allora? Perché stai piangendo?”
“Non sto piangendo.”
“Quasi!”
“Senti… io te lo dico, ma non parlarne con Ethan. Perché poi lui mi prende in giro.”
“Non dico niente a nessuno!” dichiarò il corvino in tono solenne. Avrebbe promesso qualsiasi cosa pur di sapere come mai il suo amico fosse così giù di morale.
“È che… oggi il maestro mi ha messo un brutto voto. E io prendo sempre brutti voti, perché non sono bravo a scrivere e studiare come tutti gli altri. Ho così tante insufficienze che forse dovrò rifare il quinto anno, e allora i miei genitori si arrabbieranno!” spiegò allora Sammy, la voce sempre più disperata parola dopo parola. Le sue guance erano andate a fuoco per la vergogna e i suoi occhioni azzurri si erano fatti ancora più lucidi.
Ives aggrottò le sopracciglia: quello era un problema grosso, non sapeva bene nemmeno lui come risolverlo. “Dai, la scuola non è mica così importante” fu la prima cosa che gli venne in mente.
“Ma non è solo per la scuola! È che alla fine sono sempre il più stupido della classe e alcuni miei compagni mi prendono in giro quando sbaglio. Sono tutti più intelligenti di me…” Aveva di nuovo abbassato lo sguardo.
Ives non poteva crederci: sentire quelle parole pronunciate da uno dei suoi migliori amici lo faceva arrabbiare. “Non sei stupido! Chi te l’ha detto?” obiettò stizzito.
“Lo so anche se non me lo dicono. Non so fare niente di quello che fanno gli altri.”
“Bene.” Ives incrociò le braccia al petto. “Allora sono stupido anch’io. Anzi, sono pure più stupido di te: ho un sacco di voti bassi a scuola, non so leggere in fretta come i miei compagni del quarto, non so disegnare come Ethan e non so nemmeno suonare la batteria come te! Non so fare praticamente niente!” Era serissimo.
Sammy aveva preso a fissarlo con occhi sgranati, senza sapere cosa ribattere. L’aveva lasciato di stucco, non sapeva dove volesse andare a parare con quel discorso.
Infine Ives si sciolse in un sorrisetto complice. “Forse hai ragione: sei stupido, sono stupido anch’io. Siamo proprio due stupidi. Però esserlo insieme non è poi così male.”
Allora Sammy non poté che increspare le sue labbra in un sorriso: non sapeva come, ma quel ragazzino riusciva sempre a rincuorarlo, a trovare le parole giuste per farlo sentire meno solo.
“Allora…” Ives gli strizzò l’occhio. “Oggi veniamo da te per le prove?”
 

 
 

Alick, approfittando di una pausa durante le prove della band, sistemava le pelli dei tamburi con un’espressione corrucciata. I suoi tre amici erano usciti a fumare una sigaretta, o almeno così credeva finché non cominciò a sentirsi osservato.
Sollevò lo sguardo e incrociò quello di Ives, che lo scrutava poggiato allo stipite della porta.
“Non esci?”
Il batterista scosse il capo.
“Oggi sei silenzioso.”
Alick abbozzò un sorriso. “Io sono sempre silenzioso.”
“Ma oggi più del solito.” Ives gli si accostò e prese posto sul seggiolino della batteria, proprio accanto a lui.
Alick lo ignorò e continuò ad accordare i suoi tom, battendo sulla pelle per accertarsi che il suono fosse omogeneo per tutta la superficie.
“Dai, Alick! A cosa stai pensando?” sbottò Ives dopo una trentina di secondi, incapace di trattenersi.
Lui sospirò e si sistemò una ciocca scura dietro l’orecchio. “Niente di che, davvero. Solo che oggi è il compleanno di May. E, insomma, è il suo primo compleanno da quando stiamo insieme…”
“Uh, ma allora voglio assolutamente sapere come festeggerete!” strepitò Ives, poi assunse un atteggiamento complice e si sporse appena verso di lui. “Con tanto di dettagli sconci, eh!”
Alick ridacchiò imbarazzato e scosse il capo. “Se ci fossero, non andrei certo a raccontarli.”
“Ma come mai quella faccia preoccupata?” indagò ancora Ives.
“Non so cosa regalarle” rispose Alick dopo alcuni istanti.
“Mmh, vediamo… io non sono molto esperto in queste cose, ma ci sono un sacco di cose che si possono regalare a una ragazza. Forse dei fiori sono troppo banali, però…”
L’altro ragazzo sentì un nodo serrargli la gola. Il problema non era la mancanza di idee – avrebbe voluto regalare un sacco di cose a May –, ma si vergognava troppo ad ammetterlo. Infine prese coraggio e, fissandosi le punte delle scarpe, ammise: “Però… io non ho un soldo. Gli ultimi risparmi che avevo li ho usati per pagare la saletta insieme a voi”. Accennò alla fatiscente sala prove attorno a loro, poi frugò nelle tasche dei suoi pantaloni e ne portò fuori giusto qualche spicciolo.
Si sentiva estremamente umiliato ad ammettere la sua situazione.
Ives avrebbe voluto sapere come ribattere, ma non trovava le parole giuste. Rimase interdetto per qualche secondo, alla ricerca del modo per confortarlo o del consiglio adatto, poi infilò a sua volta le mani in tasca ed estrasse qualche monetina, per poi poggiare tutto sulla pelle del timpano accanto ai soldi del suo amico. “Che cosa possiamo fare se uniamo le forze? Dici che con questi riusciamo a strappare almeno un pacchetto di cioccolatini?”
Alick lo guardò sorpreso, a bocca aperta: sapeva benissimo che il suo amico non era messo tanto meglio di lui economicamente, probabilmente anche lui possedeva solo quei pochi spiccioli.
“Non esiste, Ives: io non chiedo l’elemosina a nessuno” ribatté in tono fermo.
Il bassista scoppiò a ridere e gli mollò una pacca sul braccio. “Smettila di dire stronzate e andiamo a comprare qualcosa per May! Ti prometto che quando avrò la ragazza potrai aiutarmi a scegliere i regali per lei, visto che sei pure più romantico ed esperto di me!”
Alick incrociò i suoi occhi azzurri e li trovò estremamente limpidi e sereni; non esistevano parole abbastanza grandi e profonde per ringraziarlo.
Forse non avevano davvero un soldo e prima o poi sarebbero morti di fame entrambi, ma Alick era certo di possedere almeno una cosa nella sua vita: un amico vero.
 

 
 

“Granite! Granite a vari gusti!” Oliver spingeva il carretto sul lungomare, accaldato e affaticato, mentre si domandava per l’ennesima volta chi gliel’avesse fatto fare. C’erano così tanti lavori diversi da poter fare, ma lui aveva scelto il più stupido di tutti.
Certo, d’estate era anche il più redditizio. Si sarebbe accontentato, finché la sua band non avesse fatto successo.
Servì con un enorme sorriso due ragazzine di circa undici anni, poi un bambino che si era avvicinato insieme alla sua mamma. In fondo gli piaceva un sacco stare in mezzo alla gente e averci a che fare.
Si accorse di una figura familiare solo quando questa gli si piazzò davanti. “Anche io voglio una granita!”
Oliver osservò con fare scettico il viso sorridente di Ives. “Che cazzo ci fai tu qui? Sei venuto a prendermi per il culo per il mio lavoro di merda?” gli chiese ironico.
“Io sono qui per il mare, mica per te!” si finse indifferente Ives, per poi strizzargli l’occhio. “Allora, come sta andando?”
“Fa un caldo fottuto” ammise il più grande, passandosi una mano tra i corti capelli biondicci e zuppi di sudore.
“Guarda il lato positivo: ti stai facendo un’abbronzatura invidiabile” commentò Ives, accennando alla pelle scura del suo amico che contrastava con la t-shirt bianca.
“Sì, ma solo sulle braccia! Ti immagini se indossassi una canottiera adesso?”
Ives rise. “Beh, dai… io non me intendo, ma secondo me l’abbronzatura da venditore di granite ha il suo fascino, potresti addirittura lanciare una nuova moda!” Posò una mano sul carrellino. “Pensaci: cos’è un’Harley in confronto a questo bolide? Anzi, hai anche l’aria condizionata inclusa: nel caso ti venisse caldo potresti sempre ficcare la testa nel freezer in mezzo alle granite, come fanno gli struzzi quando ficcano la testa sotto la sabbia!”
Oliver intanto lo fissava sbigottito.
“Ehi, mi stai ascoltando?” lo richiamò Ives.
“Sì, ma ci metto un po’ a processare tanta stupidità in una volta sola” ribatté il biondo, per poi scoppiare a ridere. “A volte non riesco a capire se sei strafatto o sei così di natura!”
Ives sorrise sornione. “Può essere che mi abbiano offerto un tiro d’erba poco fa. E sai, io non sono abituato…”
Oliver sghignazzò e scrollò le spalle. “Allora, la vuoi o no questa granita?”
“Certo! Ce l’hai al cocco?”
“Arriva subito!”
Ives lasciò trascorrere qualche secondo di silenzio e osservò il suo amico chino sul carretto. “Ehi, se vuoi ti posso fare compagnia, almeno patiamo il caldo in due.”
Oliver gli porse il bicchiere pieno della bibita ghiacciata. “Lo faresti davvero? Ma sappi che lo stipendio non lo divido con nessuno!”
Il corvino rise. “Però lo posso guidare questo bolide?”
“Scordatelo! Sicuramente troveresti il modo per farmi licenziare!”
“Che stronzo, non è vero!”
“Prima che mi venga voglia di buttarti in mare, comincia a bere la tua granita e taci!”
Ridacchiarono e battibeccarono finché una manciata di nuovi clienti non si accostò al carrellino. Ives allora si mise al suo fianco e lo osservò lavorare in silenzio, la lingua impiastricciata dal sapore zuccherino del cocco.
Aveva detto che non se ne sarebbe andato e avrebbe mantenuto la parola, Oliver ne era certo.
 

 

 

Era così strano per Cheryl lasciarsi amare in quel modo, lei che l’amore non l’aveva mai conosciuto prima di allora.
Sentiva il respiro caldo di Ives sulla pelle, percepiva il suo sapore quando le loro labbra si incontravano con ardore, veniva inondata da un calore sconosciuto e irresistibile ogni volta che il corpo di lui si stringeva al proprio. E lei, che si sentiva un esserino così insignificante, a cui nessuno aveva mai detto che era bella, si sentiva meravigliosa sotto le dita sottili del ragazzo che amava; si lasciava plasmare dalle sue carezze che, seppur ardenti, erano colme di rispetto e dolcezza.
Un po’ si vergognava del suo corpo nudo – non sapeva nemmeno lei perché –, ma non gliel’aveva detto mentre i loro vestiti scivolavano via.
Solo quando lui prese a carezzarla sul basso ventre, diretto verso la sua intimità, Cheryl si irrigidì e si morse il labbro. Era contenta di quel contatto, ma al contempo ne era spaventata.
Ives se ne accorse e si sistemò meglio, in modo da poter incrociare il suo sguardo nonostante la penombra. “Ehi. Tutto bene?” sussurrò.
“Sì… è solo che…”
“È la tua prima volta?” domandò lui cautamente, quasi titubante.
“Sì… e ho un po’ paura” ammise lei. Ringraziò mentalmente la luce fioca che dissimulò il rossore sulle sue guance.
Ives sorrise e la strinse forte in un abbraccio, senza mai staccare gli occhi dal suo volto. “Ehi, tranquilla. Io non voglio farti del male, okay?” E la baciò dolcemente sulle labbra, perché aggiungere altre parole sarebbe stato superfluo.
Cheryl non lo poteva sapere, ma Ives era spaventato a sua volta. Anche lui non aveva mai saputo prima di allora cosa fosse l’amore: l’aveva sentito bruciare nel petto, solleticargli il cuore, ma non aveva mai saputo come esprimerlo, come donarlo e cosa significasse riceverlo.
Non aveva mai dovuto essere la roccia di nessuno, e ora che quella bellissima ragazza si affidava a lui non sapeva se sarebbe stato all’altezza. Era così dolce; l’ultima cosa che avrebbe voluto era farla soffrire.
Non esistevano istruzioni per momenti come quello, ma una cosa era certa: Ives non le avrebbe fatto del male. Non ne sarebbe stato capace nemmeno se avesse voluto. Cheryl era uno dei tesori più preziosi che fosse capitato sul suo cammino e lui l’avrebbe protetta, anche se non sapeva come si faceva.
La cullò, la coccolò, la baciò e le si dedicò per interminabili minuti, finché lei non si sentì sicura e pronta. La guardò in viso per tutto il tempo per non perdersi nemmeno il minimo segnale, non si azzardò mai a fare qualcosa di eccessivo e troppo brusco.
E quando finalmente si fece strada in lei per la prima volta, si disse che quello era quasi meglio del veleno che gli scorreva nelle vene. Si disse che per Cheryl avrebbe potuto mollare l’eroina, perché gli bastava lei per essere in paradiso.
Non ci credette per davvero, ma la amava così tanto che lo pensò.
 
 
 
 
Amava così, nell’unico modo in cui riusciva. in quel modo spontaneo ed esplosivo, forse un po’ grossolano e brusco, perché nessuno gli aveva mai insegnato come fare altrimenti.
Ma quando Ives amava, lo faceva fino in fondo, con ogni fibra del suo essere. Così forte da togliere quasi il respiro.
 
 
 



 
 
 
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AUGURI BIMBO MIO ADORATISSIMO E PANDOROSISSIMO E PREZIOSISSIMO, IVES CUORICINO MIOOOOO *____________________* 🎉 🎉 🎉 🎉 🎉 🎉
Oddio, non so bene nemmeno io cosa dire! Questo compleanno mi ha fatto semplicemente dannare: l’idea iniziale era un’altra, poi però mi è preso il blocco dello scrittore nel bel mezzo della stesura e, credetemi, ho vissuto giorni nerissimi XD perché non ero certa di riuscire a cavare qualcosa entro oggi, ma alla fine mi sono detta “per Ives questo e altro”, non lo avrei mai lasciato senza regalo di compleanno, TESORO MIOOOO! ♥♥♥
(Sì sì, lo so, ho bisogno di una controllatina da parte di uno bravo… ^^””””””)
Alla fine è venuta fuori una cosa che non era assolutamente prevista e di cui per una volta non mi lamenterò, sono talmente felice di essere riuscita a scrivere e talmente esaltata per il compleanno del mio figlioletto letterario che è una bellissima giornata anche se dovesse esplodere il mondo (?)
Come detto nella presentazione, la storia potrebbe essere di difficile comprensione per chi non ha letto le altre storie della serie, ma cerco comunque di dare qualche chiarimento senza fare troppi spoiler e dilungarmi ^^
Niki è ovviamente la mamma di Ives, che però è rimasta incinta a seguito di un abuso. Per varie vicissitudini, Ives non è cresciuto con lei ma con zia Maura (sorella di Niki) che l’ha accolto a casa sua come un figlio.
Lisbeth è una compagna di classe di Ives alle elementari a cui è rimasto molto affezionato perché, nonostante lei fosse la “sfigata” della classe, lui si è sempre dimostrato carino nei suoi confronti e l’ha difesa dalle prese in giro.
Ethan è il migliore amico/fratello/anima gemella/TUTTO di Ives, nonché suo chitarrista (Ives suona il basso).
Sammy è stato il loro batterista per i primi anni della band, quando ancora non avevano un nome e le prove si facevano nel suo garage. Lui e Ethan erano in classe insieme (mentre Ives è più piccolo di un anno).
Alick è stato il secondo (e definitivo) batterista della band, mentre May (che viene nominata soltanto) è ovviamente la sua ragazza storica, per cui Alick è veramente persissimo *-*
Oliver è il cantante e sì, plot twist: ha lavorato anche come venditore ambulante di granite XD ve lo immaginate? Io sì!
Infine Cheryl è stato il primo e unico grande amore di Ives, anche se già le circostanze cominciavano a non essere ottimali ^^
Spero di essere riuscita a spiegare tutto! Per chi sapeva già, scusate il papiro XD
Che altro dire? Ringrazio DI CUORE ANCORA UNA VOLTA falcediluna_ per il BELLISSIMO banner che trovate in cima (devo dire che si avvicina abbastanza all’idea di Ives che ho in testa, MA COMUNQUE È BELLISSIMO A PRESCINDERE *____________*), Kim, Sabriel e Carmaux per il supporto, i prompt che si sono inventate per me (sfruttati o meno), la pazienza e l’amore dimostrato nei confronti di questo mio personaggio, e grazie anche a Evelyn per esserci sempre in questa serie (e non)! Giuro, ragazze, non so nemmeno come esprimere la gioia che provo nel sapere che vi siete affezionate tanto a quest’universo, la vostra dolcezza e il vostro entusiasmo mi fa commuovere ogni volta *_________________*
Alla prossima e ANCORA TANTISSIMI AUGURI AL MIO BIMBOOOOO!!!! 🎁 🎂 🎁 🎂 🎁
Ives manda a tutti voi un abbraccio gigantesco e tanto tanto amore 🎈
 
 
   
 
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