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Autore: Indaco_    08/04/2021    0 recensioni
Mobius era una tavolozza di colori, specie, caratteri, culture, cibi e via dicendo. Pulsante di vita, la città datata secoli era un variegato multi gusto. La sua crescita economica e sociale era intessuta da persone particolari, da eventi dimenticati e poco conosciuti e da tanti, tanti soldi.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sonic the Hedgehog
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Amy capì alle ore ventitre che non sarebbe arrivata all’alba del giorno seguente: il pomeriggio pieno e la mattinata intensa avevano logorato la sua pazienza e la sua forza. Le palpebre pesanti e l’emicrania la persuadevano a sedersi e a rilassarsi: trappole mortali per chi doveva restare ben vigile per quella lunga notte.
In piedi, davanti alla finestra, osservava priva di interesse le luci dei negozi sforzandosi di trovare qualcosa che potesse distrarla dalla sua stanchezza. Tra le mani il terzo caffè della serata si stava ormai raffreddando.
Si stava maledicendo per aver catturato l’idiota blu e dover così sottoporsi a quella tortura. Perché mai non aveva ascoltato gli ordini come tutte le persone normali di quella terra? Rimpiangeva di aver fatto di testa sua, la litigata con Gage era stata causata dal suo comportamento infantile dopotutto.
Guardando il pavimento non riuscì a non sospirare e a pensare, ancora una volta, alle parole e allo sguardo che Gage le aveva lanciato prima di uscire da quel locale. Quegli occhi offesi e delusi l’avevano pizzicata nel fondo del suo animo tanto che nella sua testa continuava a vederli a ripetizione.
Non trovava pace nel sapere che il suo adorato era arrabbiato con lei: aveva provato a mandargli dei messaggi ma, oltre ad averli volutamente ignorati, probabilmente era andato a dormire senza rispondergli. Eh sì, era davvero furioso stavolta.
Con un sospiro stanco si trascinò nuovamente sulla sedia della scrivania e ricontrollò la casella di posta elettronica sperando anche di ricevere un volantino da sfogliare di qualche supermercato. Come se non bastasse l’occhio della telecamera affissa al muro era puntato su di lei registrando ogni secondo di quella nottata infinita: se si fosse addormentata avrebbe peggiorato ancor di più la situazione. Con un sospiro spostò delle vecchie mail nel cestino virtuale.
E se avesse dato retta a lui? Se avesse cambiato lavoro? Non era la prima volta che i suoi turni lavorativi venivano stravolti in quel modo.
Fino ad allora aveva sempre pazientato e, soprattutto, sopportato. Un po’ per i soldi ed un po’ perché  il lavoro le piaceva aveva continuato per la sua strada imperterrita cercando di risolvere quelle situazioni da panico. E Gage aveva sempre chiuso un occhio per gli appuntamenti saltati all’ultimo o per i weekend sprecati, “il lavoro è lavoro  dopotutto” ripeteva dopo ogni straordinario.
Ma stavolta era diverso: la ragazza aveva davvero l’impressione che qualcosa di più grande si fosse strappato e non aveva intenzione di lasciar scucito qualcosa di così prezioso come il rapporto tra di loro.
La biglia ritornò tra le sue mani senza quasi accorgersene, il colore prezioso all’interno della biglia luccicò con la luce del monitor catturandole gli occhi. Ripensandoci, forse, la litigata non era stata del tutto inutile: di sicuro si trattava di un buon metodo per rubarle il sonno. Il sorriso disperato le incorniciò le labbra facendola sembrare più una smorfia sadica che un vero sorriso, tanto da essere notata da qualcuno all’angolo della stanza.
< Sono solo le undici e mezza e già hai comportamenti da malata mentale. Sarà una luuunga notte > borbottò il riccio con la voglia di sgranchirsi la voce. La frase gli era scappata di bocca dopo aver passato l’intero pomeriggio in silenzio ad osservare il comportamento dei poliziotti.
La rosa fece rotolare la biglia nuovamente all’interno della tasca per poi massaggiarsi le palpebre pesanti come macigni. Tutto sommato la preda non aveva disturbato troppo fino a quel momento, era ovvio che prima o poi avrebbe dovuto mostrare il suo reale lato caratteriale.
< Non puoi dormire tu che puoi? > mugolò alzandosi in piedi e dirigendosi verso la finestra. Il riflesso sul vetro le permise di controllarlo senza dover girarsi e soprattutto senza farsi notare. Il ragazzo seduto sulla sedia aveva appoggiato la testa al muretto portando la sedia in equilibrio su due gambe e dondolandosi pigramente. Amy rabbrividì al pensare che prima dell’alba il ragazzo si sarebbe smaltato al suolo. Non l’avvertì comunque, non le sarebbe dispiaciuto che quel roditore blu si schiantasse a terra pagando un briciolo di quello che avrebbe meritato.
< E’ difficile dormire con qualcuno che continua ad alzarsi, sedersi e bere caffè da quell’assordante macchinetta. E poi con tutta questa luce non riuscirei nemmeno a mettermi comodo > esagerò con l’intento di infastidire la sua carceriera.
Dopotutto il graffio alla tempia l’aveva causato solamente lei, per non parlare di tutto il tempo che gli stava facendo perdere.
La povera ragazza sospirò, percepiva a pelle l’antipatia reciproca ma non se ne preoccupava così tanto: poche ore e si sarebbe liberata del fardello che con tanta fatica aveva catturato. Inoltre, seppur fastidioso, la parlantina del ragazzo l’aiutava a rimanere vigile, perciò perché non sfruttarla?
< Caffè? > offrì lei ormai stanca del tono strafottente del ragazzo, non aveva voglia di litigare, era davvero provata.
< Sì > le rispose lui senza tentennamenti. La rosa si rigirò e si diresse verso la macchinetta, non riuscì a trattenere un profondo sbadiglio che si premurò di coprire con la mano.
Il riccio, colpito da quella gentilezza inaspettata, si sentì un po’ in rimorso per averla aggredita in quel modo qualche minuto prima: l’ultima cosa che si aspettava infatti era quella tazzina di caffè. Sentendosi in dovere di mostrare un minimo di gentilezza cercò di smorzare un po’ il tono.
Cosa c’era di meglio di quattro chiacchiere leggere per impegnare la mente e allontanare la stanchezza? Schiarendosi la voce prese parola cercando di apparire più informale possibile e avviare così una qualsiasi conversazione che durasse almeno dieci minuti.
< Mi spiace dirlo ma non credo arriverai a domani mattina > esclamò con tono serio aggrappandosi alle sbarre che lo confinavano in quel rettangolo. Gli occhi verdi della ragazza si aggrottarono e con un riflesso spontaneo si stropicciò un occhio velocemente: era bastato un semplice caffè per fargli passare l’arrabbiatura come un bambino con una caramella.
< E invece no > rispose a tono bloccando sul nascere un nuovo sbadiglio: non poteva abbandonarsi al sonno.
Il ghigno di poco prima ricomparve sulla faccia del ragazzo, sorrisetto idiota di chi la sapeva lunga.
< Te lo auguro. E’ pronto il mio caffè, grazie > esclamò invitandola chiaramente a toglierlo dalla macchinetta strimpellante e a portarglielo. La riccia, roteando teatralmente gli occhi, ubbidì con svogliatezza e, con tutta l’attenzione che poté applicare, portò il bicchiere pieno al compagno di stanza notturno.
Il riccio di fronte a quel gesto, tutto sommato gentile, si sentì davvero un maleducato.
Prima il pranzo, la caramella, poi la cena, poi il caffè … erano stupidaggini dettate soprattutto da motivi lavorativi,  lo sapeva benissimo, ma se non fosse stato per lei nessuno degli altri si sarebbe degnato di portargli qualcosa. Forse Pierre ma non ne era tanto sicuro. E quel caffè scadente era la goccia che fece traboccare il vaso denominato “sensi di colpa”.
Aveva avuto le sue buone motivazioni ovvio, ma in quell’istante rifletté sul fatto che durante quella giornata avrebbe potuto utilizzare almeno un tono più cordiale invece di lanciarle occhiate di fuoco, frecciate e rispondergli a monosillabi. Un comportamento davvero immaturo e, cosa peggiore, non si era nemmeno reso conto di esercitarlo.
< Grazie > mormorò imbarazzato prendendo il caffè bollente attraverso le sbarre. Troppo orgoglioso per chiederle scusa, si parava dietro alla giustificazione che sarebbe stato inutile riappacificare visto che mancavano poche ore prima del suo rilascio. Ma non avrebbe esitato a ricambiare i favori. Mescolando il caffè con devozione si preparò ad affrontare una lunga notte, dopotutto, in mancanza di un letto non avrebbe potuto fare altrimenti.
< Dimmi un po’… Amy > iniziò titubante attirando l’attenzione della ragazza. Si sentì meglio quando la riccia si voltò nella sua direzione: il nome era giusto.
< Pierre è sempre così stronzo? > le domandò non potendo far a meno di sorridere. La riccia sbatté le palpebre, contro ogni previsione il ragazzo si era completamente riappacificato ed ora la lingua lunga aveva ripristinato la sua funzione principale.
< Tu cosa ne pensi? > rigettò lei passandogli la responsabilità della risposta. Il riccio blu, prima di rispondergli, lanciò un’occhiata alla telecamera voltata verso la loro direzione.
Amy scosse la testa leggermente e con un sorriso soddisfatto sulle labbra si accomodò meglio sulla sedia
< è priva di microfoni se stai cercando quello > esclamò dimostrando una certa scaltrezza.


Il signor Borel era seduto a capotavola, alla sua destra il suo secondo collaboratore stava armeggiando con un paio di cellulari mentre, alla sua sinistra, la cameriera gli versava l’ennesimo bicchiere di gin con mani tremanti. Sul tavolo aveva posizionato l’orologio da polso dorato mentre si rigirava il grande tablet utilizzato per cercare qualche misterioso segnale che evidentemente non riusciva a captare.
La grande sala da pranzo era illuminata solamente dalla luce dei monitor. La televisione gigantesca, puntata sui telegiornali locali, schiariva la maggior parte dello spazio e i visi intrisi di preoccupazione. La coccinella, dopo avergli versato l’alcool , si piazzò di fronte al televisore e, con una mano sul petto, pregò di non sentire tragiche notizie.
Il montone, troppo scosso per prendersela con quello stupido computer senza tastiera,  si tolse gli occhiali da vista e portò l’asticella alle labbra mordendo con gli incisivi le preziose stanghette in tartaruga.
Non prestava la minima attenzione per il tg, d'altronde riportavano avvenimenti vecchi di una giornata o, alla peggio, di due. Che gli serviva ascoltare brevi, vecchi riassunti di quello che accadeva nella sua città?  Preoccupato ed eroso dall’impazienza alzò nuovamente gli occhi sul quadrante dorato: le lancette segnavano le nove e trentasei.
Julius non era tornato a casa quella sera e l’intera casa sembrava un formicaio disturbato.
I figli e la moglie erano stati avvisati di rimanere al sicuro in casa ma questi non aiutavano di certo: Ruta, con la scusa di mettere a dormire i piccoli, non smetteva di passeggiare al piano superiore e i figlioletti, intuendo qualcosa, non riuscivano ad addormentarsi.
L’ amico e fidato consigliere mancava dalle quattro di quel pomeriggio. Il telefono risultava irraggiungibile e di lui si era perso ogni minimo contatto.
Il topo non era un novellino e tanto meno un traditore, non poteva esser sparito senza lasciare una minima traccia.
Cosa gli era successo e dove era finito? Con un sospiro impercettibile, alzò il bicchiere e lo svuotò in un sorso per non perdere troppo tempo. La paura non gli permetteva di pensare lucidamente. Ogni azione intrapresa dopo pochi secondi gli sembrava superflua ed inutile, iniziava perciò a dare ordini contrari e totalmente diversi causando più danni che risolverne. Inoltre, il non poter partecipare attivamente alla ricerca lo rendeva isterico. Doveva restare calmo e lucido. E doveva pensare. Solo così avrebbe potuto aiutare concretamente Julius, sperando ovviamente che per lui ci fosse ancora speranza.
Serrò la mascella e si alzò in piedi di scatto imponendosi una certa autorità. Sotto il tavolo le gambe gli tremavano.
< Novità Niro? > domandò imperioso per nascondere il tremolio della voce. Dalle quattro di quel pomeriggio le sue cinque fidate guardie stavano cercando in lungo e largo il loro collega ma fino ad allora nessuno aveva trovato nemmeno un capello del topo. Peggio ancora, nessuno sembrava averlo visto quel giorno, sembrava svanito nel nulla come vapore. Un brutto segno, terribile per chi aveva già vissuto qualche esperienza del genere.
Per quanto silenzioso ed invisibile fosse era davvero impossibile che nessuno lo avesse notato, soprattutto visto che era conosciuto da tutti da quelle parti e che salutava educatamente qualsiasi persona incontrasse.
Il pangolino arancio scosse la testa abbattuto
< mi spiace signore, nessuno sembra averlo visto oggi. Non è mai stato nemmeno a casa sua > rispose preoccupato componendo un altro numero sulla tastiera.
Il montone sbiancò ancor di più e si lasciò cadere sulla stessa sedia fissando le nervature del tavolo. E ora cosa avrebbe detto alla compagna, alla sorella e a tutti i parenti di Julius?  Come poter dirgli che a causa sua poteva essere morto? E in quel caso cosa era accaduto di così grave da toglierli la vita? Un incidente? Un litigio? Qualcun altro che mirava a lui e alla sua famiglia?
Questioni di vitale importanza erano sparse nel tavolo come un mazzo di carte e lui non sapeva quale scegliere. I tizi inviati a cercarlo sembravano dispersi anch’essi: più il pangolino li contattava più sembravano irraggiungibili. E questo peggiorava la situazione, ancor di più di quel che già era.
Se non fosse stato certo che quello che stava vivendo era completamente reale avrebbe potuto benissimo scambiarlo per un orribile sogno. E il tempo stringeva sempre più come una cintura: ogni minuto era un buco in meno sulla fibbia. Non poteva perderne altro, doveva capire cosa era successo per prendere provvedimenti e l’unico modo era trovarlo. E in fretta.
< Niro > tuonò secco portandosi le mani alla fronte dopo una tormentata riflessione. Il pangolino abbassò il cellulare e rimase in attesa di ordini.
La luce blu del monitor si rifletteva sulle lenti degli occhiali nascondendogli occhi e parte delle sopracciglia facendolo così sembrare inespressivo. Pensò per qualche attimo prima di parlare, ma per ovvi motivi di tempo ne impiegò poco per decidere definitamente.
< Chiama The Hedgehog > sillabò a denti stretti ingoiando l’orgoglio. Niro trasalì e sgranò gli occhi
< c-cosa Signore? > domandò stupito abbandonando la formale rigidezza richiesta dal suo ruolo. Con le poche opzioni disponibili quella non l’aveva nemmeno presa in considerazione.
< Sì, hai capito benissimo. Ho fretta e se qualcuno può aiutarmi è lui. Sono stanco di aspettare quei cinque. Chiamalo. Adesso. E digli che voglio parlare immediatamente con lui. A quattr’occhi > ordinò con schiettezza quasi a voler giustificare la sua decisione.
Niro rimase in silenzio per qualche secondo nel cercare il numero del riccio. Trovava che la decisione del montone fosse stata molto precipitosa, andare a disturbare il can che dorme non era esattamente la cosa migliore da farsi.
< Signore, si ricorda bene la situazione che intercorre tra lei e lui, non è vero? > domandò riluttante a chiamare.
Borel The Mutton lanciò una mezza occhiata al suo sottoposto, nel suo volto l’impazienza era visibilissima
< muoviti Niro! Non ho tempo da perdere! Me ne occuperò in un secondo momento di quello! L’obiettivo principale ora è solo e solamente Julius! > esclamò lasciandosi scappare un pugno sulla tavola in modo rabbioso.
Avrebbe chiesto aiuto persino al diavolo pur di trovarlo, soprattutto se avesse potuto trovarlo vivo. Il pangolino non esitò un secondo di più e, allontanandosi dalla stanza a causa del volume troppo alto della televisione, fece partire la chiamata.
I passi frettolosi di Niro si dispersero nel corridoio e la stanza venne invasa dal brusio del televisore. Il montone sospirò pesantemente e scolò senza rendersene conto il bicchiere di fianco a sé.
La coccinella, ancora piazzata di fronte al grande schermo, abbassò tristemente lo sguardo al pavimento: persino a lei sembrava impossibile che il topo fosse scomparso così dal nulla. Dopo qualche anno di servizio assieme ormai lo conosceva bene e sapeva con certezza che Julius non sarebbe mai scomparso per così tanto tempo senza un motivo valido e men che meno senza avvisare. Non riusciva perciò a non pensare a terribili scenari.
La sorte di Julius non ruotava solamente su di lui ma influenzava tutta la loro famiglia “acquisita”. Se qualcuno avesse voluto vendicarsi, Julius, per quanto difficile, sarebbe stato un ottimo bersaglio.
Era necessario, anzi, essenziale capire dove fosse e cosa gli era capitato per prendere i giusti provvedimenti e far sì che la cosa non si ripetesse.
Sperava di sentire squillare il telefono e di venir avvisata del suo ritrovamento ma aveva ben poca fiducia in questa possibilità. Il montone era così agitato e spaventato che dubitava potesse essere incappato in un semplice incidente. Portandosi il pollice alla bocca iniziò a rosicchiare un’unghia voltandosi verso il suo titolare con sguardo carico d’ansia.
< Cosa doveva fare oggi? > domandò con un filo di voce cercando di indagare con discrezione.
Si accorse subito che qualcosa non andava, il signore si allargò il collo della camicia con due dita e sbattè le palpebre per prender tempo, disturbato da quella domanda. Borel deglutì innervosito: era una precisazione fattibilissima da parte dei suoi dipendenti e amici, insomma, era uscito per eseguire un suo ordine non certo di testa sua. E in quella delicata situazione era più che normale che una domanda del genere fosse fatta e, ovviamente, era più che obbligato a rispondere a ciò.
< Lui … l’ho inviato al molo per … un’ispezione > rispose con tono strascicato per indurla a cambiare domanda. La coccinella ne captò il desiderio e, voltandosi, sospirò stringendo tra le mani il bordo della divisa che portava. A volte, il desiderio di pochi rovinava intere famiglie e portava dolore ai più.

Spazio autrice:
Buonasera! Scusate il colossale ritardo ma purtroppo non ho avuto molto tempo ultimamente.
Segnalate qualsiasi errore troviate.
Grazie e a presto!
Baci.
Indaco

 
  
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