Eccoci,
chiedo scusa se ci
ho messo una vita, ma sto attraversano un momento nerissimo e sono
bloccata con
un capitolo.
Comunque, si, finalmente mandiamo avanti la trama.
Vorrei sempre ringraziare Arwen Fenice per la
recensione.
Buona Lettura,
RLandH
Il
Galateo per (e su)gli Stregoni
“Siamo
stati proprio sfortunati, mio signore” aveva detto il giovane
servan umano[1].
Era di statura piccola,
con un viso appuntito, un naso piccolo ed i capelli bronzei, aveva un
sorriso
smaliziato che gli dava un aspetto squisitamente fey, nonostante fosse
solo
formalmente un membro della coorte seelie. Nonostante il sorriso
beffardo che
sfoggiava con impudenza, il tono del servan era stato calmo o atono.
Era un bambino scambiato, uno vero, non come Ragnor[2],
il servan era nato umano
ma cresciuto dalle fate.
“E perché mai?” aveva domandato Ragnor,
annoiato, mentre con un colpo di dita,
sfasciava i suoi bauli, perché quella stanza estranea
apparisse meno ostica e
straniera.
Aveva deciso che la Bretagna non era di suo gusto, “Avrei
voluto vedere il
Pretendente” aveva dichiarato il suo servo. “Se
Henry Tudor fosse rimasto qui,
Charlie, noi saremmo potuti rimanere a Londra” aveva detto
annoiato e
frustrato.
Antonius lo aveva mandato lì, oltre la manica, proprio per
evitare che la
situazione già precaria in Inghilterra si aggravasse con il
coinvolgimento
della Francia in quel conflitto fratricida. La Guerra dei Cento Anni
era ancora
un ricordo vivido nella memoria di Ragnor. Come giovane e stupido si
era
sentito di andare, non ancora certo e sicuro dei suoi poteri, poi
Antonius Nyx
lo aveva raccolto.
‘Sei uno stregone, non un mondano, questa non
è la nostra guerra’ aveva
detto.
Neanche quella tra York e Lancaster lo era, ma nessuno voleva vedere
sanguinare
ancora il mondo.
“Lord Narcisse è arrivato” lo aveva
informato Charles, “Lo ho veduto quando
siamo entrati, ci spiava da una imposta certo di non esser
visto” aveva
raccontato.
“Nulla sfugge agli occhi di una fata” aveva
dichiarato, Charles aveva sorriso
con la stessa malizia di una fata.
Ragnor era stato contrario all’inizio, ad assumere un mezzo-fey,
ma
Antonius, il sommo stregone di Londra, aveva dissentito e non aveva
voluto
sentir ragioni, cosa che non stupiva troppo lui, in fin dei conti lui
era solo
il suo attendente, schiavo occasionalmente, che non aveva mai molta
voce in
capitolo nelle grandi scelte.
Cosa che frustrava Ragnor non poco, così castrato nel suo
incarico, nel suo
ruolo, aveva bisogno di altro, sapeva che la sua testardaggine stava
tendendo
anche Antonius per questo lo aveva spedito in Bretagna, ma lo aveva
fatto anche
perché si fidava delle sue capacità.
“Ci sono anche dei Figli degli Angeli qui”
aveva aggiunto con un tono
più lugubre Charles, “Ne ho visto uno alle stalle,
quando ho sistemato Smirne”
aveva dichiarato Charles, “Non indossava la runa della trasparenza
quindi non era interessato a nascondersi agli occhi dei mondani, ma ha
cercato
di nascondere le rune, quindi era da noi che stava
nascondendo” aveva chiarito.
“Altro che Charles Figlio delle Fate[3],
dovresti essere Charles Occhio di Falco” aveva sottolineato
Ragnor, colpito da
tanta precisione.
Quello aveva abbassato lo sguardo, ma si era lasciato sfuggire un
sorriso
soddisfatto, “Probabilmente ve ne sono altri. Sono come le
locuste, non vengono
mai da soli” aveva dichiarato Ragnor.
L’Enclave di Londra, anzi dell’Inghilterra intera
– Yorkshire e Newcastle[4],
compresa – aveva
interesse solo in sé stesso e nei suoi piccoli giochi di
potere, che
includevano probabilmente anche tutta Alicante. Ai Nephilim
importava solo
dei Nephilim e della loro fanatica missione assegnata dal
Cielo, o certo i
loro doveri giovavano a tutto il mondo, ma la loro attitudine tendeva
ad essere
delirante; ciò non toglieva che alle possibilità
di una guerra forse anche loro
dovevano essersi allarmati.
O forse erano guidati dalla curiosità – o il
timore – di Ragnor Fell,
attendente di Lord Anotnius Nyx, Sommo stregone di Londra, fosse giunto
alla
corte di Frañzes di Bretagna per incontrare Narcisse Croix,
lo stregone di
corte di Carlo VIII.
Erano più infidi dei topi, quei figli dell’angelo.
Due
tocchi sulla porta lo avevano distratto da quei pensieri, con suo sommo
dispiacere era stato costretto a ricorrere agli incantesimi per
nascondere il
suo colorito di pelle e le sue corna, così come aveva dovuto
scurire i suoi
capelli, per apparire quanto più banale possibile.
Charles aveva aperto la porta, perfettamente rigido e educato,
spalancando
l’ingresso ad una giovane donna.
“Bonjour Madame” aveva
dichiarato, subito, con voce cortese.
Ragnor aveva sollevato uno sguardo oltre la testa biondo-ramato del suo
servitore per osservare la sconosciuta.
Quello che aveva trovato era stato un sorriso cattivo, di quelli che
Ragnor
adorava vedere sul viso di una donna attraente.
“Il
tuo amico starà bene”
aveva dichiarato Magnus, osservando il giovane licantropo che riposava
nel
grande letto di Justine, “Si, il veleno di un Vatak non ha
mai ucciso nessuno,
circa” aveva dichiarato quella con un tono lugubre mentre lo
osservava.
Il giovane era un ragazzo, Magnus era bravo nel riconoscere
l’età delle
persone, aveva occhio, quello non doveva aver raggiunto neanche la
maggiore
età. “Devo dire a Sun di mandare un Messaggio di
Fuoco al padre, sarà
preoccupato” aveva commentato quella, incrociando il suo
sguardo, mentre
giocherellava con un certo nervosismo con la sua collana di perle, che
teneva
in piedi la sua illusione.
Magnus aveva annuito, mentre le chiudeva la porta per lasciarlo
riposare, “Cosa
è successo?” aveva indagato lui, “Un
demone a spasso per la città ed il pranzo
a Bocconi da asporto che avevo prenotato è saltato. Insieme
al locale” aveva
detto con un tono leggermente offeso Justine, “Un locale
italiano molto buono,
gestito da una russa, roba strana, ma ottima lasagna” aveva
dichiarato, mentre
imboccavano le scale per tornare al pian terreno, dove avevano lasciato
gli
altri tre. Se avessero servito altro rijistaffel, probabilmente Magnus
avrebbe
avuto un crollo nervoso.
“Non
sembri comunque molto tranquilla” aveva notato Magnus,
“Nessuno lo sarebbe con
un demone a spasso per Leiden” aveva aggiunto,
“Questa città è pingue di
giovani mondani ed è un’isola felice per ogni
Nascosto del mondo” aveva
spiegato Justine, “Assolutamente nephilm-free, circa, visto
che ora ne ho una seduta
sul divano”.
Ej aveva sorriso per nulla turbata.
Justine
aveva fatto
schioccare le dita delle mani, facendo scintillare i brillantini
bianchi,
l’attimo dopo un
bicchiere era apparso
nelle sue mani, così come in quelle di Magnus.
“Scusa non posso affrontare Ragnor Fell da sobria”
aveva dichiarato ammiccando
al suo amico, con un tono al vetriolo.
“Grazie per il drink, allora” aveva detto Magnus,
“La bambina la vedo già
servita” aveva chiarito subito indicando Ej, con la sua acqua
e menta, “Ei”
aveva detto piccata quest’ultima. Justine l’aveva
ignorata, per posare
nuovamente lo sguardo su Ragnor, “Non ho più nulla
da offrire a te” aveva
affermato, ricordando probabilmente qualcosa di brutto.
“Iusta” Ragnor l’aveva
rimproverata con la voce, pronunciando solo il
nome, ricordando a Magnus quando lo faceva con lui, quando era un
bambino e
faticava a concentrarsi, per richiamarlo all’attenzione e a i
suoi studi.
Justine si era morsa il labbro, Magnus aveva potuto vedere la rigidezza
del suo
portamento risentito da quel breve rimprovero, ma non aveva detto
nulla,
tornando a concentrare l’attenzione su Ej , “Sei la
copia sputata di tuo padre,
Christopher, giusto? Mi era simpatico” aveva dichiarato.
Se la giovane cacciatrice fosse stata sul punto di dire qualcosa e lo
era, gli
occhi erano accesi come stelle filanti, era stata preceduta dalla
giovane
Sunflower.
Magnus si era quasi dimenticato della bambina, così
silenziosa, fino a quel
momento. “Posso andare da Erwin?” aveva chiesto
perentoria lei tirandosi in
piedi dal divano, con ancora il bicchiere di acqua e menta in mano,
“Manda un
messaggio di fuoco ad Artas per dirgli che il figlio è qui.
Poi puoi andare da
lui ma non svegliarlo” aveva detto Justine calma, con una
voce intrisa di
dolcezza.
Sunflower si era defila sulle scale come una freccia.
“Così una figlia” aveva valutato Ragnor
con un tono teso.
“Così un invasione barbarica” aveva
detto Ej invece, facendo scappare una
risata alla stessa Justine. Doveva aver deciso di non voler indagare
oltre su
come Justine Vale e Christopher Townsend si conoscessero.
“Così un nome nuovo” aveva considerato
Magnus, più che altro perché non avrebbe
sopportato di non avere l’ultima parola, prima di prendersi
un bel sorso dal
suo bicchiere.
Era wisky, dritto infuocato sulla lingua.
“Sei troppo giovane per sapere che Attila non ha invaso
solo i territori
dell’Impero” aveva ghignato Justine.
“Attila? Attila? Re degli Unni? Flagello di Dio?”
aveva esclamato Ej, sul viso
di Justine si era aperto un sorriso piuttosto divertito e pieno di
leziosità, “Non
lo chiamavano Paparino senza ragione[5];
mi son sempre piaciuti
gli uomini audaci, non so come Ragnor sia finito nel mio
carnet” aveva detto
sfacciata, guardando di traverso il suo vecchio amante, poi si era
voltata di nuovo
verso Magnus.
“Tu ti sei fatto incredibilmente bello e se ciò
che ho sentito in giro anche
terribilmente potente ed inventivo” aveva aggiunto, con una
certa ammirazione,
“Tutti parlano di Magnus Bane, l’Eroe, il Sommo
Stregone di Brooklyn.”
Oh,
be, dopo una settimana trattato come Appendice del Console o First Lord
degli Shadowhunters, Magnus doveva dirsi piuttosto contento di essere
riconosciuto come, be, Magnus Bane.
Ed era riconosciuto da Iusta, una delle stregone più antiche
in circolazione.
“Sei l’uomo che ha salvato il mondo e che ha
portato i nephilm ad un nuovo
livello di consapevolezza. Sei così stimato che nessuno
associa più il tuo nome
al Perù” aveva dichiarato quella.
Una ferita ancora tristemente sanguinante.
“Sbaglio o ci sta provando con Magnus” aveva
sussurrato Ej a Ragnor, “No, mi
sta solo dando fastidio” aveva dichiarato il suo amico.
“Non lo so, ma continua
pure” aveva dichiarato Magnus sfacciatamente.
“Se avessi voluto darti fastidio ti avrei venduto ad Hurrem e
mi sarei fatta
una bella scorta di scaglie di drago” aveva risposto piccata
Justine, “Peccato
è morta” aveva risposto Ragnor.
“Questi nephilm” aveva aggiunto
la somma stregona di Leiden con una
punta di rancore, “Anche tu dovresti esserlo, se non
accoppato dagli sgherri di
quello spostato di Valentine, almeno Samael poteva farti secco. Ed
invece,
eccoti, qui” aveva ringhiato, “Ma ovviamente l’erba
cattiva non muore mai”.
“Avevi saputo che ero morto” aveva considerato
Ragnor, “Mi hai pianto?” aveva
chiesto sfacciato, “Ho partecipato a riti orgiastici tutta la
notte, più felice
lo sono stata solo quando hanno ucciso mio fratello” aveva
replicato collerica.
Magnus non era sicuro di crederle.
“Okay,
voi due, smettete
questa perversa danza di accoppiamento” aveva richiamato
l’attenzione su di sè
Magnus.
Justine aveva bevuto un po’ del suo wiskey, accomodandosi sul
suo divano, “Non
stavamo facendo nessuna danza” aveva detto Ragnor
infastidito. Justine aveva
roteato gli occhi al cielo, prima di concederli:
“Sì. Immagino che prima
parleremo di cose serie, prima daremo un taglio a questa
storia” aveva detto,
“Chiaramente parlo di Ragnor, tu, Tesoretto puoi restare
quando vuoi e tu,
fanciulla, ammetto che ultimamente potrei aver cominciato a rivalutare
voi
cacciatori” aveva dichiarato.
“L’anzianità ti ha reso
saggia” aveva detto Ragnor piccato, “Quando avrai
la
metà dei miei anni potrai constatarlo, per ora sei ancora un
moccioso con il
viso sporco di latte” aveva risposto Justine senza sforzarsi
di guardarlo,
studiando Magnus invece con i suoi occhi neri.
Aveva incontra Iusta, Justine Vale, solo una volta prima di quel
momento e la
ricordava come una strega terribile ed affascinante allo stesso modo,
dopo
quattrocento anni, provava la stessa identica sensazione.
“Certo che guardati proprio, quanta strada da quel gattino
spelacchiato che
sapeva a malapena il suo nome” lo aveva letto dentro quella,
ma Magnus si era
sentito uguale a quella maniera, “In qualcosa Ragnor non
è un completo
fallimento” aveva mormorato.
“E per rispondere alla tua domanda, Magnus, perché
noi stregoni dobbiamo
rinnovarci sempre. Iusta sembrava così antiquato”
aveva detto con onestà, “Lo
ho detto anche un sacco di volte ad Antonius, ma quella vecchia
cariatide non
mi da retta” aveva stabilito.
“Hai sentito che va in pensione?” aveva detto
casualmente Magnus.
“No, non va in pensione, vuole tornare a Londra e riprendere
il suo ruolo, la
sede è leggermente vacante” aveva risposto subito
Justine, dando una steccata a
Ragnor.
“Non sei mai venuta a trovarmi a Londra” aveva
replicato il suo verdissimo
amico, Justine aveva ripreso la sua invettiva: “Solo la morte
farà riposare,
Antonius” aveva detto con una punta d’orgoglio,
“Certo ormai si tiene insieme
con lo sputo ed a un passo dalla disgregazione, come il povero Nix, ma
non è
ancora successo” aveva detto.
Sunflower si era affaccia dal soppalco del piano superiore,
“Ho mandato il
messaggio” aveva dichiarato poi in olandese, “Resto
con lui, ancora un po’”
aveva aggiunto la ragazzina, “Sei molto dolce tesoro, ma
ricordati che alle
quattro hai lezione di violoncello e sarebbe il caso per te di
mangiare” aveva
dichiarato Justine, prima di sollevare la mano e schioccare le dita,
che erano
scintillate di bianco.
Dalla cucina – unico ambiente con la sala – si era
sentito un certo rumore, si
erano aperte le imposte e le pentole avevano cominciato a muoversi, una
pentola
si era riempita d’acqua e si era messa da sola sul fornello
accesso,
affiancando una padella con un soffritto, della pancetta e della
passata di
pomodoro. “Non era più facile far apparire
direttamente il cibo?” aveva
domandato Ej, “Non mi da lo stesso gusto” aveva
dichiarato, “Pasta lunga per
me” aveva detto Sunflower, prima di rientrare nella stanza
dove riposava il suo
amico, “E metti il sale questa volta” aveva
strillato.
“Spero che della pasta al sugo vi vada bene. Volevo le
lasagne, ma ecco,
appunto, demone malefico rovina piani” si era giustificata
quella.
Magnus
era tornato a guardare Justine, notando come, nonostante avesse
predisposto tutto per la cucina, quella avesse tenuto ancora un
po’ gli occhi
sul punto dove prima era stata sua figlia.
Poteva ammettere, Magnus, di conoscerla bene quella sensazione, quando
anche il
solo perdere di vista il proprio figlio, anche solo un momento, poteva
lasciarti estraniato.
Magnus era stato tante cose nel corso della sua vita e molte di questo
era
costretto ad esserle per l’eternità, eppure,
ricordava quando una volta Tessa,
neanche un ventennio fa, di ritorno dal suo usuale incontro con
– all’ora –
Fratello Zaccariah, in lacrime gli aveva fatto una confessione.
Sono una madre e sarò sempre una madre, anche se non ho
più figli.
Tessa era rispettosa del suo dolore e cercava di non esser mai troppo
invadente, ma in quel momento, era stata una fontana; ma Magnus non lo
aveva
capito, non per bene e non per intero, aveva l’esempio dei
suoi genitori, tutti
i suoi genitori, un patrigno che aveva cercato di ucciderlo, un padre
demoniaco
ed una madre che si era tolta la vita pur di fuggire da lui.
Quindi sì, Magnus non aveva capito le parole di Tessa, ma,
in quel momento, lo
faceva. Sarebbe sempre stato Magnus Bane, padre di Rafael e Max, e nel
labbro
appena un po’ vibrante di Justine, con gli occhi rivolti ad
un punto ormai
vuoto, capiva una cosa, per lei era uguale.
L’amore genitoriale era viscerale, più forte di
qualsiasi amore Magnus avesse
provato.
Questa era la prima volta, da quando erano andati a Shangai, che sia
lui sia
suo marito avevano dovuto lasciare il loro piccolo mirtillo. Per tutti
gli
angeli del paradiso Magnus lo sentiva viscerale la mancanza dei suoi
figli, non
solo Max che non vedeva da un giorno, ma anche Rafael che aveva
salutato quella
mattina e che avrebbe rivisto a breve, quella stessa sera.
“Quindi, sì, la bambina” aveva
dichiarato Ragnor, con un tono un po’ basso,
mentre spiava con attenzione e curiosità Justine.
Come se non la riconoscesse.
“Sì” aveva detto lapidaria la strega,
“Non ti facevo una tipa materna” aveva
provato il suo verde amico, senza molta grazia, l’antica
stregona aveva
inclinato il capo, facendo oscillare i ricci serpentini, mentre aveva
rivolto
uno sguardo tagliente a Ragnor.
Non era vero che gli stregoni erano imperituri, non invecchiavano, no,
non
nella maniera convenzionali in cui i mondani e le altre creature lo
intendevano, ma lo facevano comunque, era qualcosa che invecchiava
negli occhi,
nell’espressione, nel portamento.
Justine non era la stessa Iusta che Magnus aveva conosciuto
quattrocento anni e
se all’ora la sua età gli era sembrata vaga, ma
giovane, in quel momento pareva
adulta, matura.
“Questo,
mio caro asparago, è perché non hai mai capito
niente di me, ho sempre
voluto essere madre” aveva detto secca, prima di tornare a
posare lo sguardo su
Magnus.
“Certo ammetto che mi ero rassegnata qualcosa come mille anni
fa, non che io
non abbia cercato un modo di manipolare questo mio corpo”
aveva dichiarato
Justine, “Ma la vita va come deve andare no?” aveva
domandato retorica, “Non ho
chiesto Sun, ma ciò non vuol dire che io non
l’abbia voluta.”
“Neanche io avevo mai pensato seriamente alla
paternità, ora ho due piccole
pesti che mi aspettano” aveva dichiarato, con un sorriso
rilassato, aveva
ottenuto dalla strega la stessa curva comprensiva.
Ragnor
aveva scosso il
capo, “Tagliamo la testa al toro” aveva dichiarato
poi, prima che potesse
parlare, Magnus lo aveva anticipato, era meglio non far parlare il suo
amico,
non credeva che avrebbe aiutato la loro causa.
“Sì, per quanto rivederti faccia piacere me e
Ragnor, sì anche lui, non siamo
qui per una visita di piacere” aveva cominciato, forse non
molto diplomatico
Magnus, “Apprezzo l’onestà”
aveva dichiarato Justine, “Sono vissuta alla corte
di Ravenna e Costantinopoli, in una corte di intrighi, dopo
millecinquecento
anni posso dire di apprezzare un po’ di
schiettezza” aveva dichiarato.
Magnus aveva ricambiato il sorriso, “Il titolo di Cancelliere
sta per essere
vagante e noi ci chiedevamo se tu volessi prendere quel
posto” aveva detto,
“Infondo sei una strega ben inserita, potente, nota ed
antica” aveva ricordato.
Justine era esistita prima degli Shadowhunters.
La strega aveva sputato il wisky senza molta classe, “Oh
santi numi” aveva
ammesso, “Mi sento un po’ delusa ammetto, Magnus
Bane, sommo stregone di
Brooklyn, lo stregone che ha cambiato la mentalità degli
shadowhunters, insomma
mi aspetto qualcosa di più incredibile che una candidatura
per il titolo di
cancelliere. Bastava una telefona per quello” aveva
dichiarato poi Justine,
“Insomma, Eleonora ha fatto così” aveva
raccontato.
“Ah” nel dirlo Magnus si era sentito molto stupido.
“Eleonora ti ha chiesto di non candidarti” aveva
stabilito Ragnor, “In realtà
mi ha chiesto di sostenerla, cosa che ho accettato senza alcuna
esitazione,
conosco El da quando era Somma Stregona di Costantinopoli ai tempi
dell’Impero
Latino” aveva dichiarato, accavallando le gambe.
“Sosterrai Eleonora?” aveva domandato Ragnor.
Justine aveva sollevato le spalle, “Preferisco decisamente
lei a quella cariatide
di Antonius, o Baffi-da-gatto o il Prete” aveva statuito lei.
C’era stato un momento di silenzio, “Eleonora
è una persona terribilmente
astiosa e non ama molto i cacciatori” aveva provato Ragnor.
“Neanche tu” aveva replicato Justine, “E
neanche io, senza offesa Zuccherino”
aveva detto, ammiccando a Ej. “Ma qui non si tratta di amare
o meno i figli
degli angeli, ma quelli di Lilith. Eleonora ama gli stregoni”
aveva replicato,
“E se permetti è argilla non cotta, ancora capace
di modellarsi. Riguardo ai Nephilm,
vero, non prova amore per loro, alcuno, ma è riuscita a
convivere con loro
senza farsi mai nemica ed è venuta a firmare gli accordi per
quattordici volte
di fila, se non ricordo male” aveva dichiarato Justine.
Magnus
era rimasto in silenzio, realizzando che erano passati quasi
vent’anni
dall’ultima volta in cui aveva parlato con la stregona
italiana.
“Comunque potresti candidarti tu” aveva replicato
Justine attirando la sua
attenzione, “Sei Magnus Bane, sei ben inserito, i nascosti ti
amano ed anche i
cacciatori” aveva dichiarato.
“Oh no, sono la somma appendice di Alec. Tutti mi vedrebbero
come un burattino
di mio marito” aveva replicato demotivato Magnus.
Justine aveva bevuto un po’ del suo wisky, “Tutti
chi? Gli stregoni?” aveva
chiesto, “Il labirinto?” aveva aggiunto retorica.
“Hai ragione” aveva concesso Magnus,
“Tendiamo ad essere ognuno per conto
nostro e non facciamo fronte comune mai” aveva dichiarato;
bastava ricordarsi della
questione di Filippo Finto Inquisitore, che quasi aveva fatto bruciare
sul rogo
Catarina, in suolo imperiale...
“Oh l’acqua sta bollendo! Pranziamo così
ne discutiamo meglio” aveva detto
Iustine, mentre buttava nella pasta all’interno della pentola
e si preoccupasse
di chiamare la figlia.
Sunflower era uscita dalla stanza ed era scesa cauta dalla scalinata
del
soppalco, aveva un’espressione bianca sul viso e la
preoccupazione cucita sul
volto.
Per il suo amico.
“Apparecchia la tavola, tesoro” le aveva detto
subito, mentre Justine si
avvicinava al piano cottura.
Magnus si era sollevato dalla poltrona, finendo di bere il wisky, non
era
saggio farlo a stomaco vuoto, ma il suo metabolismo da stregone aiutava
molto.
“Il nostro piano finisce tragicamente
così?” aveva domandato Magnus con una
certa preoccupazione a Ragnor.
“Se speri che io abbia fascino da svendere, quando ti ho
detto che tra me e
Iusta non è finita bene, intendo che non è finita
per niente bene” aveva
dichiarato lugubre Ragnor.
“Sono tentato di chiederti tutto bene, ma non è
questa la sede” aveva aggiunto
Magnus, lanciando uno sguardo alle due streghe in cucina.
Sunflower
aveva steso una
tovaglia verde menta sull’isola del lato della cucina,
posando poi anche dei
piatti molto colorati. La ragazzina aveva sospirato verso di loro,
abbozzando un
sorriso gentile, sebbene non si sentisse ancora molto rassicurata. “Mia madre non
è stata cattiva, vero?” aveva
chiesto la ragazzina, sistemando dei bicchieri, avevano delle stampe di
papaveri – cliché.
“Non più del solito” aveva detto Ragnor,
cercando di sorridere verso la
ragazzina. Il suo amico era sempre stato bravo con i ragazzi, anche se
non lo
avrebbe mai ammesso, era un insegnate e provava piacere
nell’esserlo,
nell’educare e nel prendersi cura, eppure Magnus aveva
l’impressione che Ragnor
stesse cercando di apparire meglio possibile, come mai aveva fatto
– neanche
davanti agli Shadowhunters nei tempi tesi. “Be, mamma era
molto nervosa per la
voistra visita” nel dirlo Sunflower aveva guardato Ragnor.
“Be, è pronto!” aveva detto imperiosa
Justine attirando l’attenzione, con un
tono quasi isterico.
La
pasta era buona, meno
dei beagle della sera prima. “Adesso mi è rimasta
voglia di lasagna” si era
lamentata la somma stregona di Leiden; “Faccio un piatto per
Erwin; magari
quando si sveglia avrà fame” aveva dichiarato
Sunflower, riferendosi
probabilmente al licantropo dormiente, prima di far sfrecciare un
piatto dalla
dispensa per sistemarla sul tavolo vicino a lei, per mettere da parte
della
pasta.
“Posso fare una domanda sfacciata?” aveva chiesto
Ej, mentre arrotolava degli
spaghetti sulla forchetta, “Vai tranquilla, Cacciatrice, ci
piacciono le
persone sfacciate” aveva dichiarato Justine, con un sorriso
divertito sulle
labbra, “Anche se sono nephilm” aveva detto.
“I vostri marchi da stregone” aveva detto quella.
“Non c’era tipo un protocollo di buone maniere per
shadowhunters per non
chiedere questo?” aveva chiesto con una punta di divertimento
Sunflower, mentre
metteva da parte la pasta salvata, “Oh no, dolcezza, le
abbiamo dato il
permesso” aveva dichiarato Justine, “Solo molto e
raffinato glamour” aveva
detto poi.
Ej aveva sorriso, dopo aver inghiottito della pasta, prima di
ricominciare a
parlare, “No, in realtà è una cosa
piuttosto scema, ma stavo facendo una
ricerca; una cosa stupida” aveva detto.
“Non
esistono cose stupide” le aveva detto delicato Magnus,
incuriosito,
cercando di motivarla, “Non sono molto
d’accordo” aveva commentato Ragnor, “O
metà delle scelte che hai compiuto dovrebbero essere
riviste” aveva dichiarato,
“Anche io: o questo cetriolo qui non avrebbe
spiegazioni” si era inserita
Justine, indicando Ragnor con la forchetta.
Il suo amico aveva inclinato il capo, “Mi aspettavo
indifferenza, lo confesso,
ed un po’ di acredine” aveva dichiarato,
“Ma tutto questo risentimento …” aveva
aggiunto elusivo, facendo inviperire Justine.
Avevano riso.
Magnus era ancora convinto che quello che ci fosse tra Ragnor e Justine
dovesse
essere una spaventosa danza dell’amore mortale come quella di
due scorpioni.
Ej si era spostata un ciuffo di capelli rosso vibrante dietro
l’orecchio, “Oh
be, stavo conducendo una ricerca, una specie circa, sulla correlazione
tra i
segni demoniaci degli scrittore ed il loro genitore
infernale” aveva detto,
“Una cosa scema” aveva aggiunto.
Magnus aveva aggrottato le sopracciglia, “Ne parlavo con
Bo” aveva ripreso lei,
interpretando le parole facce confuse dei commensali come un invito per
continuare, “Lui è figlio di un demone dragonidae
– no, non chiedete,
non è voluto entrare nel merito – quindi un demone
minore, ed ha un’aspetto
abbastanza pittoresco ed evidente” aveva fatto una pausa,
“Così tra libri e
varie raccolte, ho iniziato a notare come più la discendenza
è elevata, o ehm
in questo caso calata i tratti demoniaci tendono ad essere
più discreti[6]”
aveva dichiarato.
“Uhm, tipo i suoi occhi da gatto?” aveva chiesto
Sunflower, indicando Magnus,
“… che è un noto figlio di un principe
infernale” si era lasciata sfuggire Ej,
con un tono cauto, timoroso di indispettirla.
Magnus aveva storto le labbra, consapevole di non averci mai pensato
veramente.
“Devo dire che è una cosa interessante”
aveva dichiarato Justine, “Nel senso,
io sono figlia di un principe infernale” aveva dichiarato con
la stessa
scioltezza con cui si sarebbe comunicato di aver comprato delle nuove
Jimmy-Chu;
era sceso un certo e teso silenzio nella tavola, ma la somma stregona
di Leiden
aveva continuato a parlare, “Ed ho effettivamente un solo
segno demoniaco, ma
diciamo che è tutt’altro che discreto”
aveva detto.
Magnus la ricordava la sua pelle, bianco opaco con sfumature bluastre,
come il
marmo.
“Però
potresti essere l’eccezione” aveva considerato
Ragnor, “Se consideriamo
il punto di vista evidenza, ma da quello numerico” aveva
ripreso a parlare,
stranamente interessato.
Oh, Ragnor aveva una fascinazione per il demoniaco, che lo volesse
ammettere o
no. “Probabilmente non sei la prima a pensare ciò.
Probabilmente negli archivi
del Labirinto c’è qualcosa; potrei darci
un’occhiata, sempre se il nuovo
Cancelliere ci darà il permesso” aveva dichiarato
quello; “Non hai mai
rispettato mezza-regola, Fell” aveva replicato Justine.
Ej aveva sorriso, soddisfatta.
Magnus era rimasto abbastanza confuso da quelle parole, ma erano poi
scivolate
addosso senza colpo ferire, non aveva mai avuto bisogno di una guida al
riconoscimento di stregoni potenti, aveva imparato a percepirli fin da
giovane.
Però aveva sollevato lo sguardo su Sunflower che guardava
con teso nervosismo
il suo piatto di pasta, anche Justine aveva guardato sua figlia.
Alla luce del commento di Ej, probabilmente dovevano entrambe star
valutando i
segni demoniaci, cautamente nascosti, di Sunflower.
Poi
la momentanea calma
del pranzo era stata interrotta dallo squillo del telefono di Justine,
la
strega lo aveva preso di malavoglia, rispondendo in olandese,
l’attimo dopo il
viso calmo si era tramutato in una smorfia di spavento, ma aveva subito
ripreso
compostezza, specie davanti le domande allarmate di sua figlia.
“Aspetta … aspetta, dimmi dove? Cosa? Ne sei
sicuro? Ma dove?” aveva chiesto
ancora, recuperando la calma, “Okay! Okay! Ho capito.
Arriviamo subito” aveva
dichiarato quella.
Anche Magnus aveva capito: erano appena cominciati i guai.
[1]
I Servan
sono un tipo di ‘Changeling’ del
territorio italiano (Nord Ovest), associabili
ai Jentis francesi. Sono esseri che abitano le grotte marine ed escono
solo di
notte, con il desiderio di assomigliare all’uomo ad ogni
costo, perciò
scambiano i loro figli con quelli umani. In questo caso, il Servan
è un bambino
umano cresciuto dalle fate. Ho scelto il termine Servan al posto di
Changeling,
perché mi piaceva di più a livello fonico (anche
rispetto al termine Jentis), mi
sembrava suonasse più antico, altolocato etc … e
perché somigliava alla parola
servo (Lol) – che in inglese è servant. E
poi dai un po’ di orgoglio nazionale non
guasta.
[2]
Rangor,
nel Libro Perduto del Bianco (ma credo venga detto anche altrove) dice
a Magnus
che la sua famiglia, umani in possesso della Vista, credevano che lui
fosse un
Bambino Scambiato.
[3]
Sì. È
esattamente quello che pensate!
[4]
In
Shadowhunters non si fa mai riferimento ad un eventuale istituto in
NewCastle
che ai tempi era la capitale del Northumberland, però ecco,
il Northumberland
(che prima era il Regno di Northumbria) è un luogo ricco di
storia, a confine
con la Scozia e ci hanno costruito anche il Vallo di Adriano. Cosa del
tutto
ininfluente – per ora ahaha – ma mi sembrava carino.
[5]
Per
questa perla ringraziate la mia amica filologa germana (e wikipedia che
lo ha
confermato), che mi ha spiegato che Ila è
“Piccolo” e Att (Padre), quindi si
Attila si chiama Piccolo Padre (E si cioè capitemi questa
battuta andava
messa).
[6]
Questa
cosa è assolutamente un volo pindarico frutto della mia
mente, però se pensiamo
a Caterina Loss, Ragnor e Shun hanno tutti e tre segni molto evidenti
(Ragnor
in primis) mentre Magnus (praticamente solo occhi da gatto) e Tessa
(nessuno)
non hanno praticamente. Ora, Tessa non ha segni per (ragioni di trama)
e perché
è un unicum nel genere, però ecco, casualmente
sono gli unici due figli di
Principi Infernali Confermati nella serie. Comunque, per evitare di
‘assodare’
qualcosa che è un volo pindarico, ho creato Iusta come un
Antica Maledizione ma
con un evidente tratto demoniaco, la pelle di marmo (anche se, appunto,
uno
solo – nel senso Ragnor ha le corna, la pelle verde ed i
capelli bianchi).
Mi era nata questa idea perché nella mia ottica,
più si sale (o meglio si
scende) nelle gerarchie infernali più si è
potenti, capaci e – paradossalmente
– vicini agli angeli e, quindi, più capaci di fare
qualcosa più “vicino”
all’umano. Niente voli pindarici.