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Autore: margheritanikolaevna    10/04/2021    7 recensioni
Ann Leary ha i capelli viola, un segreto e una missione da compiere. La sua missione include portare via con sè il Bambino e lei non si fermerà davanti a nulla pur di completarla.
Un nuovo amore, un nuovo nemico, un nuovo finale.
Questo racconto è dedicato alla mia amica meiousetsuna, fantastica autrice qui su efp, le cui bellissime storie mi hanno fatto tornare la voglia di scrivere qualcosa che mi facesse battere il cuore
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO QUINTO
 
Space Oddity (seconda parte)
 

In quell’istante la Razor Crest sussultò e vibrò violentemente.
Ann lanciò un grido strozzato, mentre il Mandaloriano sibilava un’imprecazione in una lingua che lei non capì.
“Ci stanno attaccando!”  esclamò poi, sporgendosi in avanti per attivare i comandi delle armi.
“Quanti sono?” domandò la ragazza, cercando di sorreggersi ai braccioli nonostante le mani legate.
“Almeno quattro astronavi, saranno altri cacciatori di taglie come te!” replicò lui, muovendo la cloche.
“Oppure tuoi amici: col tuo bel carattere non dubito che te ne sarai fatti un sacco…”
“Smettila!” ruggì lui, stavolta davvero furioso perché i colpi continuavano ad andare a segno e non aveva idea di quanto avrebbe retto lo scafo.
Ann si guardò intorno alla ricerca di una soluzione: verso la parte posteriore dello scafo distinse quattro astronavi di fogge e dimensioni diverse…nessuna sembrava in condizioni ottimali, ma tutte avevano un bel po’ di armi e le stavano usando contro di loro senza badare alle munizioni.
Li stavano attaccando alle spalle e ben presto li avrebbero circondati completamente.
Per quanto lui stesse cercando di schivare i colpi e allo stesso tempo di sparare, era evidente che non avrebbero resistito a lungo.
E che certamente non sarebbero riusciti a distruggerle tutte dalla posizione in cui si trovavano.
Dalla posizione in cui si trovavano
Quella era la chiave.
La spia imperiale si morse le labbra e guardò ancora oltre gli ampi finestrini della cabina di pilotaggio; poi spostò lo sguardo sul cacciatore di taglie, che con tutte le sue energie tentava di manovrare la nave lanciando di tanto in tanto un’imprecazione soffocata.
Sorrise appena, ricordando ciò che era successo non molto tempo prima. 
La posizione, la posizione era una cosa fondamentale.
Nella vita e nei combattimenti.
D’improvviso balzò in piedi e gli tese le braccia.
“Liberami! Da solo non puoi riuscire a pilotare e a rispondere al fuoco contemporaneamente”.
La ragazza aveva ragione e lui lo sapeva. Ma come faceva a fidarsi di lei?
“So quello che stai pensando: non ti fidi di me e non posso darti torto. Ma ti propongo un accordo …ti do la mia parola che fin quando non saremo in salvo non cercherò di ucciderti o di far del male al Bambino”.
Lui esitava.
“Liberami, dannazione! Altrimenti tra qualche minuto saremo tutti e tre cenere tra le stelle!”
“La tua parola…” disse lui.
“Sempre che anche tu mi dia la tua che non tenterai di uccidermi” lo interruppe Ann.
“Va bene” si arrese alla fine il Mandaloriano, facendo scattare la chiusura delle manette.
L’agente imperiale sospirò, massaggiandosi i polsi indolenziti.
“Ok, diamoci da fare!” esclamò, afferrando i comandi delle armi laser.
“Non c’è molto da fare, sono in troppi…” replicò Mando, cercando disperatamente di schivare i colpi che arrivavano alle loro spalle.
“Aspetta!” fece lei “Ho un’idea: fammi sedere al tuo posto”.
“Sei pazza se credi che ti lascerò pilotare la Razor Crest
Lei sbuffò.
“Sei veramente impossibile. Ok, allora calcolo io le coordinate”.
“Coordinate per cosa?” domandò il cacciatore di taglie.
Hai mai sentito parlare della manovra di Candan Lale?
L’altro annuì. Sì, l’aveva sentita: una sorta di salto breve nell’iperspazio, una frazione di secondo per percorrere una distanza di poche centinaia di migliaia di chilometri.
Pericolosa e incerta nella riuscita perché richiedeva assoluta precisione nel calcolo delle coordinate, altrimenti si rischiava di ricomparire troppo vicino al nemico o addirittura di finirgli addosso, distruggendo entrambe le navicelle.
D’improvviso capì: in quel modo sarebbero riusciti a balzare esattamente alle spalle dei loro assalitori, cogliendoli di sorpresa, e alla distanza giusta per colpirli prima che potessero rendersi conto di ciò che gli stava capitando. Era un’idea dannatamente buona e gli dispiacque che non fosse venuta a lui.
“Ci hai mai provato?” le domandò.
“In verità no” fece lei “Incrociamo le dita”.  
Il velivolo fece una brusca inversione e si lanciò a tutta velocità contro le navicelle nemiche, che continuavano a bersagliarlo di colpi.
Ann strinse le labbra, mentre calcolava le coordinate il più velocemente possibile.
Si trattava senza dubbio solo della sua immaginazione sovreccitata: non era possibile sentire davvero il sibilo del vento contro la carlinga, l’urlìo spaventoso del vuoto siderale mentre lo squassava con le ali dell’astronave, lanciata ormai velocissima.  
D’improvviso le navi nemiche furono proprio di fronte a lei: apparvero tutte insieme, una nuvola di uccellacci lanciata contro un’unica preda, e subito attaccarono come sincronizzate.
E adesso urlavano.
Urlavano tutte contro di loro.
Ann respirò profondamente e, senza staccare gli occhi dallo schermo, recitò a voce alta le coordinate per il salto.
Il Mandaloriano deglutì silenziosamente.
“Andiamo!” gridò.
Afferrò la leva situata di fronte a lui e la fece scorrere con decisione fino in fondo.
Il piccolo abitacolo iniziò a vibrare.
Strinse le dita sulla cloche, così tanto che le nocche diventarono bianche dentro i guanti di pelle.
Una goccia di sudore gelido gli scivolò lungo la schiena, mentre teneva la barra di comando con tutta la forza e la precisione di cui era capace.
Ann trattenne il fiato, come un pugno chiuso, nel petto; per una frazione di secondo, mentre se ne stava immobile, le parve che non sarebbe accaduto niente.
Poi d’improvviso il cielo davanti a lei cominciò a urlare: fu un suono terribile, lancinante, Ann non aveva mai udito niente del genere.
Si sentì tagliata in due, come se qualcuno le avesse spaccato il petto a colpi d’ascia.
Una nausea prepotente le attanagliò lo stomaco e dovette impiegare tutte le sue energie per tenere a bada un conato di vomito.
Aprì la bocca per lasciar passare il fiato, mentre sentiva che le sue mani si afferravano convulsamente ai braccioli.
“Stai bene?”.
La voce del Mandaloriano la richiamò alla realtà.
L’agente imperiale rispose dopo un istante e la sua voce suonò molto più incerta di quanto lei avrebbe voluto.
“Sì” mentì.
“Non preoccuparti” disse lui “non dirò a nessuno che stavi per vomitare”.
Ann respirò profondamente.
“Idiota” replicò, con un mezzo sorriso.
“Andiamo!” ripetè il guerriero.
Attivò nuovamente il salto dimensionale e una frazione di secondo dopo la Razor Crest  si materializzò esattamente alle spalle delle navicelle nemiche.
“Fuoco!” disse stringendo i denti, il sangue che gli martellava alle tempie.
Senza alcuna esitazione, Ann e il cacciatore di taglie cominciarono a sparare con tutte le armi che il loro velivolo possedeva.
Prima che le astronavi nemiche riuscissero a manovrare per voltarsi, persino prima che si accorgessero di fronte a loro non c’era più che lo spazio vuoto, i laser li investirono in pieno facendo scoppiare le loro ossa metalliche alle giunture mentre l’interno esplodeva in una sola, enorme, fiammata rossa.
Le armi colsero le astronavi al volo con uno sboccio di fuoco, un unico stupendo sboccio che si arricciò in petali gialli, azzurri e arancione intorno ai loro corpi metallici, rivestendoli di una nuova corazza mortale nell’istante in cui si frantumavano nel vuoto dello spazio.
Incredula, il respiro affannoso, Ann Leary si aggrappò ai braccioli del suo sedile.  
Lo spostamento d’aria fu tale che la Razor venne scagliata all’indietro.
Mentre gli stabilizzatori facevano il loro dovere, i due piloti ripresero fiato cominciando finalmente a rilassarsi.
“Yaoh!” urlò allora Ann.
“È meglio di un orgasmo!”.
Mando scosse la testa, trattenendo a stento una risata.
 
ooOoo
 
Il Bambino, appena sveglio, sgattaiolò non senza difficoltà giù dalla sua amaca e avanzò a piccoli passi verso la cabina di pilotaggio; sporse dentro la testa e fissò prima il Mandaloriano seduto al posto di guida e poi la ragazza che - gambe incrociate e un’espressione chiaramente annoiata sulla faccia - occupava quello che a tutti gli effetti era il suo sedile.
Fece ancora qualche passo.
Non appena Ann si accorse di lui lo fissò con intensa curiosità e, lesta come un gatto, gli si avvicinò senza far rumore.  Lo guardò ancora negli occhi, si accovacciò accanto a lui e sollevò una mano.
Grogu
Disse senza parlare.
Il Bambino sgranò gli occhioni e la fissò, interrogativo: quanto tempo era che nessuno lo chiamava per nome, col suo vero nome? E come mai quella strana umana lo conosceva?
Grogu, ascoltami…
Aveva parlato alla sua mente, così, senza alcun suono udibile.
“Non avvicinarti a lui!”.
La voce imperiosa del Mandaloriano li fece sussultare entrambi.
“Fai un passo indietro” disse minaccioso, puntando il suo blaster su Ann.
La ragazza si rialzò con una smorfia e sollevò le mani, allontanandosi dal piccolo.
“Datti una calmata” replicò “Non avevamo un accordo io e te?”.
“Questo non vuol dire che io mi fidi” ribatté a sua volta il cacciatore di taglie seccamente.
Restò in piedi con l’arma spianata contro di lei finchè il Bambino non gli si avvicinò abbastanza perché potesse prenderlo in braccio e, sempre senza staccare gli occhi dalla ragazza, sistemarlo sul sedile del copilota.  
Ann sospirò stancamente: era un maledetto osso duro e stava rendendo le cose tremendamente difficili.
Il suo tempo stava scadendo ed era ancora lontana dalla meta.
Anzi, poteva dirsi fortunata che ancora non gli fosse venuto in mente di rimetterle le manette o di scaraventarla davvero nella carbonite, così disarmata com’era.
Lo fissò, tentando di capire cosa gli passasse nella testa e come fare perché abbassasse un la guardia almeno un po’.
L’uomo rimise il blaster nel fodero e si voltò verso il suo posto, quando a un tratto l’astronave sussultò violentemente e con una specie di sordo gemito metallico s’inclinò su di un fianco.
Grogu lanciò un gridolino di paura e si aggrappò al sedile, mentre i due umani barcollarono cercando di mantenere l’equilibrio.
Una nuova scossa, ancora più violenta della prima, fece incespicare il Mandaloriano. Urtò contro il sedile del copilota e cadde in avanti; nello stretto spazio della cabina di pilotaggio, travolse l’agente imperiale che stava tentando in modo disperato di mantenersi in equilibrio sul pavimento inclinato, cadendo pesantemente su di lei.
Le luci si spensero e i motori cessarono di vibrare.
Ann riaprì gli occhi e sorrise.
“Comincio a pensare che tu lo stia facendo apposta” disse, tentando di divincolarsi mentre il peso dell’armatura e del suo contenuto la schiacciava sul pavimento.
Lui si rialzò all’istante e le tese una mano per aiutarla a tirarsi su a sua volta.
“Credimi” disse, asciutto “se lo stessi facendo apposta te ne saresti accorta”.
Il tono era mortalmente serio, ma le parole tradivano un barlume d’umorismo.
In un balzo, si sedette al suo posto e iniziò a pigiare interruttori.
“Dici?” fece Ann, le mani sui fianchi.
“Io avrei qualche dubbio…”
“Abbiamo un problema” disse il cacciatore di taglie, fissando lo schermo davanti a lui.
“Puoi dirlo forte” replicò lei con un sorrisetto.
“No, sul serio: abbiamo un grosso problema” ripetè e questa volta il suo tono fece passare alla ragazza ogni voglia di scherzare.
Gli si mise accanto, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Lui premette alcuni pulsanti e le luci si riaccesero, mentre i motori erano ancora kaputt.
“Qualcosa ci ha agganciati”. 
 “Potrebbe essere un raggio traente?” suggerì Ann.
“Potrebbe. Ma i sensori non lo rilevano”.
“E allora di che si tratta?”.
“L’unica cosa che mi viene in mente è che siamo stati catturati dall’attrazione gravitazionale di quel pianeta di fronte a noi” disse il Mandaloriano, indicando un globo verdastro circondato da un’atmosfera iridescente che si stagliava contro il nero del cosmo.
In effetti, la Razor Crest si stava avvicinando rapidamente al corpo celeste, nonostante i motori spenti, come afferrata da una mano invisibile. 
“Ma non è possibile…” replicò Ann, incredula.
“Lo so anche io che in teoria non sarebbe possibile, ma è l’unica spiegazione”.
Il cuore dell’agente imperiale ebbe un’improvvisa accelerazione, serrò i pugni e si morse le labbra.
Possibile che sia proprio lui? Allora non si trattava solo di una leggenda… 
“C-come si chiama quel pianeta?” domandò, nella voce un tremito impercettibile.
“La mappa stellare lo indica con il nome di Haldol. Qui dice che è un pianeta verdeggiante, che in passato era abitato da una popolazione civilizzata conosciuta come Hoka. Ma si sono sterminati tra loro a causa di una guerra civile oltre cento anni fa”.
Il Mandaloriano fece un altro tentativo per riavviare i motori, ma la nave non gli rispondeva.
I due si fissarono, il respiro appena affannoso.
“Insomma, siamo in trappola”.
“Quanto tempo abbiamo?” domandò la ragazza.
“La nostra velocità sta aumentando man mano che ci avviciniamo, ci trascina giù…”
Non trattenne un’imprecazione.
La nave ebbe un altro sussulto violento, come uno strattone, e s’immerse nell’atmosfera.
Le nuvole grigio-bianche erano sature di scariche elettromagnetiche che sibilavano sulla loro testa e intorno alla carlinga.
“Fantastico: ci mancava solo una tempesta elettromagnetica” gemette Ann.
Quando una scarica colpì la nave la ragazza, ancora in piedi, perse l’equilibrio e cadde all’indietro con piccolo grido.
“Tutto ok?” le chiese il Mandaloriano, senza muoversi dal suo posto.
“Uhm” fece lei, rannicchiandosi contro la parete “Sei un pilota veramente pessimo”.
 “Reggiti forte!” fece lui per tutta risposta, stringendo la cloche con tutta la sua forza per tentare di imprimere una direzione alla nave “Stiamo precipitando e senza stabilizzatori non sarà un atterraggio morbido!”.
“Vedo una radura laggiù, al limitare di una…foresta credo”.
L’astronave vibrava disperatamente, gemendo con voce quasi umana, avvolta nelle nuvole temporalesche.
Il suolo era ormai vicinissimo: da dove si trovava Ann riuscì a distinguere l’ansa scintillante di un fiume e una vasta laguna bluastra. Poi, più lontano, persa nella nebbia una strana costruzione di pietra scura che emergeva dalla vegetazione.
I tre chiusero istintivamente gli occhi e trattennero il respiro mentre la punta della Razor Crest toccava il suolo.
 
 
Note&credits: come certamente ricorda chi ha visto la serie, alla fine della prima stagione (quando è ambientato il racconto) nessuno conosce ancora il nome del Bambino…meditate gente, meditate! 😊
Grazie sempre a chi legge. Alla prossima
 
 
  
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