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Autore: stellalfry    10/04/2021    1 recensioni
Quel giorno al Dipartimento Misteri, Harriet segue Sirius oltre il Velo, cadendo direttamente nell'estate del 1976.
Genere: Guerra, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Lily Evans, Severus Piton | Coppie: Harry/Severus, James/Lily, Remus/Sirius
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Capitolo 1: Prologue




“SIRIUS!”, gridò Harry. “SIRIUS!”

Corse verso il Velo, ignara della battaglia che si svolgeva intorno a lei, ma appena arrivò sul palco, Lupin le si abbatté contro e l’afferrò per il petto. 

“Non puoi fare più niente, Harry!”

“Possiamo salvarlo, ha solo attraversato il Velo! È proprio lì dietro!”

“No, Harry… è troppo tardi.”

“Possiamo ancora raggiungerlo!”, Harry lottò furiosamente, il respiro le usciva in rantoli soffocati e le bruciava la gola, ma Lupin non la lasciava andare.

“È morto, Harry. Sirius è morto.”

“No!”, urlò lei e con uno scatto si liberò della presa di Lupin, gettandosi oltre il Velo. 

Il mondo si contorse, qualcosa sembrò piegarla a metà ed Harry venne tirata indietro, indietro, indietro. Si sentì cadere a terra, c’era marmo freddo sotto le sue gambe e una confusione tale nella testa che non riusciva neanche ad aprire gli occhi senza gemere di dolore.

“Chi sei?”, domandò una voce alla sua destra. Harriet scattò in piedi, ma l’aveva fatto troppo velocemente perché la figura dell’uomo davanti a lei iniziò a ondeggiare confusa a destra e a sinistra e fu solo per puro istinto che Harry sollevò la bacchetta, puntandola laddove credeva fosse l’uomo.

“Metti giù quella bacchetta”, disse di nuovo la voce sconosciuta, senza scomporsi. “Non ti faremo niente.”

L’uso del plurale riscosse Harry e, sbattendo più volte le palpebre, cercò di mettere a fuoco la figura che le si trovava dinanzi. All’improvviso le due ombre danzanti davanti ai suoi occhi si divisero definitivamente ed Harry si ritrovò non uno, ma ben due sconosciuti vestiti in nero e con la punta della bacchetta rivolta verso di lei. Girandosi, scoprì che ce n'erano molti di più anche alle spalle, più di quanti riuscisse a contare, e subito strinse di più la presa sulla sua bacchetta. La testa le pulsava in modo doloroso ma cercò di ignorare la sensazione e si concentrò su quegli uomini che le stavano parlando.

“Chi siete?”

“Siamo Indicibili. Chi sei tu?”

Harry sbatté più volte le palpebre, confusa. “Sono Harriet Potter… dove sono tutti gli altri?”

“Tutti gli altri chi?”

“I… i miei amici”, sussurrò lei sentendo che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo e, per la prima volta da quando era atterrata in quel posto sconosciuto, Harry si guardò intorno. Era ancora nel Ministero della Magia, il Velo era ancora lì, ma non c’erano macerie, non c’era alcun segno della battaglia appena avvenuta. “I Mangiamorte…”, sussurrò, la paura che le attanagliava lo stomaco. “Loro erano qui… la battaglia… dove sono finiti tutti?”

L’uomo che le aveva parlato fino a quel momento, l’Indicibile, rivolse uno sguardo indecifrabile al compagno al suo fianco, poi si rivolse di nuovo ad Harry. “Solo tu sei uscita dal Velo, Harriet Potter.”

Qualcuno lanciò uno storditore. 

Fu così veloce che Harry non ebbe neanche il tempo di proteggersi. L’ultima cosa che vide prima di cadere addormentata fu una donna con la veste nera avvicinarsi e sfilarle di mano la bacchetta.

Quando si svegliò, era in una stanza bianca e semplice, simile alle camere d’ospedale del San Mungo ma senza il feroce via vai che c’era lì dentro, come ricordava da quel triste giorno in cui Arthur Weasley era stato attaccato da Nagini. Qui era tutto silenzioso, immobile.

Harry gemette e dopo un attimo un piccolo segnale luminoso iniziò a lampeggiare sopra la sua testa, avvisando chissà chi che era sveglia. Non dovette attendere molto che una persona entrò nella stanza e avvicinò una sedia al letto dove era coricata. Harry la fissò e non vide altro che un volto comune, un volto che poteva confondersi tra quello di mille altri: occhi scuri, capelli castani, un viso che mostrava il primo accenno di rughe, senza però annebbiare la luce vigile e acuta nei suoi occhi. Era la donna che aveva preso la sua bacchetta.

“Buongiorno, Harriet, e ben tornata nel mondo dei vivi. Il mio nome è Mabel Rosewood e sono stata assegnata al tuo caso. Hai sete?”

Harry socchiuse gli occhi, sospettosa. “Dov’è la mia bacchetta?” chiese, ma la sua voce uscì fuori più roca di quanto si aspettasse e fu costretta a tossire.

La donna, senza un attimo di esitazione, tirò fuori dalla veste la sua bacchetta e la posò dolcemente sulle lenzuola, accanto alla mano di Harry. Sorpresa da quell’inaspettato gesto di fiducia Harry la prese piano e, lanciando uno sguardo circospetto alla donna, controllò attentamente che fosse la sua per poi lanciare un veloce Lumos per assicurarsi che non gliela avessero manomessa. Alla fine, non notando nessun cambiamento rispetto al solito, la adagiò in grembo con le mani raccolte in modo possessivo su di essa e fissò in silenzio l’Indicibile.

Quella sorrise piano. “Vuoi bere, ora?” ripeté.

Harry annuì dopo un attimo di riflessione, così Mabel fece un cenno alle sue spalle e dalla porta si fece avanti un piccolo elfo con in mano un vassoio, che fece levitare fino al letto di Harry. Dopodichè Mabel agitò la mano e quello fu il segnale per l’elfo di scomparire con uno schiocco di dita. Harry abbassò il capo sul vassoio sulle sue ginocchia e sentì tutto d’un tratto rinascere i morsi della fame che aveva ignorato fino a quel momento. Prese un morso del panino con prosciutto e insalata che le era stato offerto e bevve rumorosamente finchè non sentì che la gola liberarsi dall’agonia. A quel punto si rivolse di nuovo alla donna, Mabel, che era rimasta ad aspettare che finisse senza dire una parola.

Mabel sorrise e con un semplice gesto della bacchetta, fece scomparire il vassoio dalle sue gambe. 

“Non sei il primo viaggiatore del tempo che attraversa il Velo, Harriet”, disse la donna, attirando subito lo sguardo della ragazza, “ma la prima in tempi così recenti. L’ultima testimonianza che abbiamo risale ad ancor prima che il Ministero della Magia fosse costruito.”

“Viaggiatore del tempo?”, sussurrò Harry.

“Sì, Harriet. Siamo a giugno dell’anno 1976.”

Harry sentì gli occhi sbarrarsi e guardò spaventata la donna. “Stai mentendo, questo è un piano dei Mangiamorte. Mi hanno catturata?”

“Non sto mentendo, Harriet, e non sono una Mangiamorte.” 

“Non ti credo.”

Mabel sorrise e tirò su la manica della sua tunica, mostrandole il braccio. “E se questo non ti convince,” aggiunse in tono indulgente, “sarà solo il tempo a farlo, per quanto curiosa possa essere questa risposta.”

“Cosa vuoi dire?”

Ma Mabel Rosewood scosse la testa, tirandosi un pochino indietro. “Credo che dovrai scoprirlo da sola, mi dispiace. Per il momento posso lasciarti leggere il giornale di stamattina, è appena uscito dalla stampa.” Agitò la bacchetta e, senza parole, evocò la Gazzetta del Profeta di quel giorno. In alto a destra era riportata la data del 19 Giugno 1976. 

Harry scosse la testa. “Non è possibile, è un falso.”

“Dimmi, Harriet, che anno era quando hai attraversato il Velo?”

“Il 1996”, rispose subito, aggrottando la fronte. “Il 18 Giugno 1996.”

Mabel annuì lentamente, senza mai staccare gli occhi dai suoi. “Suppongo che il Velo ti abbia mandato indietro esattamente di venti anni del passato, Harriet. Vedi, sei rimasta svenuta per un giorno da quando sei qui.”

“Cosa mi avete fatto?”

“Nulla, ma avevi bisogno di tempo per riprenderti dalle ferite. Ti abbiamo curata, Harriet, spero che questo dimostri che non vogliamo il tuo male.”

Harry strinse gli occhi in due fessure, lasciando che le mani si stringessero ancor di più intorno alla sua bacchetta, come per assicurarsi che fosse ancora lì. “Dimostratelo. Lasciatemi andare.” Fece un cenno col capo in direzione della porta, dietro la quale si intravedevano due figure nere in piedi a fare la guardia.

Il sorriso dell’Indicibile non vacillò neanche per un istante. “Non ancora. Dobbiamo prima occuparci di alcune cose.”

“Cosa? Di cosa dovete occuparvi?” Harry deglutì e la sua voce tremò un po’, rendendo la sua domanda quasi una supplica. “Cosa ne sarà di me?”

Mabel cercò di apparire rassicurante poggiando la mano sopra la sua, ma nonostante ciò non riuscì a dissimulare il vuoto nei suoi occhi. “Ti affideremo una nuova identità”, disse. “Cambieremo i connotati del tuo volto, creeremo una storia credibile, faremo tutto ciò che necessario perché tu possa avere un nuovo futuro. Potrai vivere qui la tua vita.”

“Ma come potrò tornare a casa?”

Mabel Rosewood sorrise senza alcuna emozione. “Non puoi, Harriet. E’ possibile viaggiare indietro, mai in avanti. Ci sono troppi destini, troppe linee che cambiano di continuo, giorno dopo giorno. E’ molto probabile che il futuro che conosci non sarà quello che avverrà qui, per il semplice motivo che tu, Harriet, non eri prevista in questa linea temporale.” Si chinò un pochino verso di lei battendo dolcemente il dorso della sua mano, come per mostrarle compassione. Harry rabbrividì. Dopodichè, Mabel Rosewood si alzò e annuì con un gesto dolce del capo. “Domani riceverai tutti i dettagli sulla tua identità qui, compresa la tua storia. Hai qualche preferenze per il tuo nuovo nome?”

Harriet sentiva la gola di nuovo secca, se non più di prima, così si limitò a scuotere la testa. Mabel sembrò valutarla per qualche secondo, poi le offrì di nuovo un sorriso vuoto e stava per andarsene quando parve ricordare qualcosa. 

“Ah, Harriet.” Il sorriso era ancora lì, ma c’era qualcosa di duro nel suo sguardo che a Harry fece venire i brividi. “Ci sono delle… clausole su ciò che un viaggiatore del tempo può o non può rivelare. Ma ora non è il momento di preoccuparsene, discuteremo di questo problema quando ti sarai completamente ripresa. Buona giornata, Harriet.”

E la lasciò così, con il cuore più pesante che mai e la certezza che, qualsiasi cosa la attendesse in futuro, sarebbe stata sola. 

Una cartellina con tutte le informazioni sulla sua vita le fu consegnata il giorno dopo, come promesso da Mabel. 

Lucy Harrison era una Nata Babbana e veniva da Boxgrove, nel distretto del Chichester, West Sussex. Di recente la cittadina era stata attaccata da un folto gruppo di Mangiamorte — questa, a quanto pare, era una notizia vera, qualcosa che aveva sconvolto per mesi la comunità magica — e tra le vittime vi era anche tutta la famiglia di Lucy, il signore e la signora Harrison, insieme a suo fratello John. Rimasta orfana, era stata messa sotto la custodia di Hogwarts, che l’avrebbe accolta come sua studentessa per il sesto anno il 1° settembre. Avrebbe dovuto sostenere di nuovo tutti i suoi esami O.W.L. prima di essere definitivamente ammessa.

Nei giorni successi, Harry guarì completamente dalle sue ferite. Un uomo venne a cambiarle i connotati del volto: occhi marroni invece che verdi, una spruzzata di lentiggini e labbra più sottili. Le migliorò la vista rendendole inutile l’uso degli occhiali e provò anche a cambiarle i capelli, ma quelli persistettero ad essere una massa informe di riccioli neri, così alla fine dovettero optare per una semplice tinta babbana. 

Anche per quella brutta cicatrice sulla fronte non ci fu niente da fare, se non uno spesso strato di trucco. 

Guardandosi allo specchio, Harry pronunciò più volte il suo nome, la sua storia, tutto ciò che l’aveva portata a dove era adesso. Poi, a testa bassa, con un grave dolore nel petto, si permise di ricordare tutte quelle persone che amava e che adesso esistevano solo nella sua testa. 

Nulla sarebbe più stato lo stesso.

-

Il sesto giorno dopo il suo arrivo nel 1976, Harry si svegliò con un forte mal di testa.

“No, stai ferma. Peggiorerai solo le cose se ti muovi.” Il viso senza età dell’Indicibile Rosewood si affacciò nella sua visuale, l’espressione dura scolpita nella pietra. “Sarà più semplice se stai giù.”

“Cosa mi avete fatto?”, biascicò Harry girandosi di lato, cercando di acquietare il dolore che la luce della candela sul comodino le procurava. 

“Niente di particolare, Lucy. Ora chiudi gli occhi e riposati, non ti fa bene agitarti tanto. Ti prometto che tra qualche ora starai benissimo.” 

Harry gemette e premette forte i pugni sugli occhi. “Mi avete drogata.” Ispirò violentemente, digrignando i denti. “Mi avete drogata, non è così? Cosa mi avete fatto?”

“Nulla di cui non avessimo già discusso, Lucy.”

Harry si rotolò sul letto, gli occhi ancora chiusi, e cercò a tentoni la sua bacchetta.

“Dovresti rimetterti a letto, sei debilitata. Hai bisogno di riposo.”

Harry ringhiò e solo in quel momento schiuse le palpebre. Dapprima rimase accecata, poi vide la figura austera di Mabel Rosewood in piedi davanti al suo letto, i contorni così sfocati e deformi che sembrava stesse guardando attraverso una lente obliqua. “Cosa mi avete fatto!?”

“Te l’ho detto, Lucy…”

“Smettila di chiamarmi così!” Gridò a quel punto Harry e gettò le gambe oltre il suo letto, volendo allontanarsi quanto più possibile da quella donna diabolica. Tremava moltissimo e la testa le doleva quasi al pari di uno degli attacchi mentali di Voldemort, ma strinse i denti e puntò la bacchetta contro la donna. “Il mio nome non è Lucy!”

“Ed è qui che ti sbagli”, sussurrò piano l’Indicibile Rosewood mentre la sua ombra inghiottiva la sua figura, diventando sempre più grande e minacciosa. “Perchè tu da questo momento in poi non sei nient’altro che Lucy Harrison, una bambina senza famiglia, senza casa e senza nulla tra le mani se non quello che sei disposta a costruirti qui, in questa nuova vita.”

“No”, singhiozzò Harry, trattenendo a stento le lacrime che minacciavano di fuggire via. Il mal di testa e la rabbia la stavano velocemente privando della ragione, non riusciva a pensare ad altro che a quel nome così estraneo ripetuto sulle labbra di quella donna altrettanto estranea. E minacciosa. “Non è vero.”

“È meglio che tu impari a conviverci, Lucy.”

“Mi chiamo Harri—!”, ma il suo nome si bloccò in gola ed Harry quasi si strozzò. Il dolore alle tempie sembrò farsi ancora più sordo e peggiorò sempre di più mentre cercava di pronunciare il suo nome, quello dei suoi amici, della sua famiglia. Tutto invano. Guardò Rosewood con le lacrime agli occhi, rabbiosa ma al tempo stesso stanca. “Cosa mi avete fatto?”

Mabel Rosewood camminò piano verso di lei, per poi fermarsi al suo fianco. Le poggiò dolcemente una mano sulla schiena e la condusse a letto, dove Harry si sdraiò, senza la forza di ribellarsi. 

“Abbiamo fatto quello che doveva essere fatto”, disse con tono affabile, quasi come se stesse cercando di spiegare una sciocchezzuola ad un bambino capriccioso. “Ma è meglio se non testi troppo questa nuova situazione: più persisti, più farà male, finchè non lo farà più.” E lì lasciò che una breve pausa sottolineasse la gravità delle sue parole. Poi continuò questa volta con tono più dolce, quasi comprensivo. “Posso solo immaginare quanto spiacevole possa essere questa condizione per te, ma è ciò che andava fatto. Dopotutto è pericoloso che qualcuno che sa troppo per il suo bene se ne vada in giro in un’epoca diversa, soprattutto un’epoca tanto delicata come questa. Forse è anche molto più pericoloso per te che per gli altri. Vedilo come un modo per proteggerti.”

“Come può proteggermi”, mormorò a quel punto Harry mentre si infilava lentamente nel suo letto, “se rischia di uccidermi?”

Un silenzio accolse la sua domanda, dopodichè una mano si poggiò sulla sua fronte, facendola subito rabbrividire. Forse era Harry ad essere troppo accaldata, ma le sembrava quasi che un Dissennatore l’avesse appena toccata. 

“Non rischierà di ucciderti se non tirerai troppo la corda. Credo che sia ovvio quello che tu non possa fare, in questo caso.”

“Non posso dire a nessuno chi sono”, sussurrò Harry, nascondendosi sotto le lenzuola. Il mal di testa si era attenuato, ma i suoi effetti faticavano a scomparire ed Harry sentiva ancora gli strascichi persistenti del dolore passato. “Non posso dire a nessuno da dove vengo. Né la mia storia.”

“Esatto, Lucy.”

Harry chiuse le palpebre e probabilmente si addormentò, perché la prima cosa che vide quando riaprì gli occhi fu un elfo che le porgeva quello che doveva essere il pranzo o la cena. Harry non aveva fame, il mal di testa era ancora così opprimente che dubitava sarebbe riuscita a mantenere qualsiasi cosa nello stomaco senza rigettarla in pochi minuti. Dopo diverso tempo, un pensiero stranamente lucido si fece spazio nella sua mente e aspettò l’arrivo di Mabel per porgerglielo. Non dovette attendere molto perchè dopo appena una mezzora l’Indicibile Rosewood camminò nella sua camera portando con sé una scatola.

“Cosa succede se un Legilimens mi legge la mente?”

La donna si fermò immediatamente sui suoi passi, sembrando quasi sorpresa. Era strano vedere qualsiasi altra emozione sulla sua faccia che non fosse una glaciale indifferenza, così Harry si affrettò a spiegare.

“In giro ci sono dei Legilimens, no? Cosa succede se leggono nella mia mente la verità?” 

E la domanda, rimasta sottintesa, era tuttavia chiara a tutte e due: sarebbe morta?

“Cosa molto intelligente da chiedere”, mormorò Mabel dopo qualche istante di silenzio, avvicinando di nuovo una sedia al suo letto. “Quasi mi verrebbe da domandare come fa una quindicenne ad essere a conoscenza di qualcosa di così segreto come l’arte della Legilimanzia, ma non potresti fornirmi lo stesso una risposta. Peccato.” 

Harry tossicchiò, sfuggendo allo sguardo curioso dell’Indicibile e concentrandosi invece sulle sue mani raccolte in grembo. “Allora?”

“Allora”, rispose piano la donna, “quei pochi Legilimens al mondo, se mai li incontrassi e se mai cercassero di scavare nella tua mente, penserebbero che sei una bravissima Occlumens.”

“Devo imparare l’Occlumanzia?”, sbottò Harry, strabuzzando gli occhi. Merlino, era già morta. “Ma non posso, ci ho pr—” Ma la testa riprese a pulsare dolorosamente, allertandola che stava parlando troppo. 

“Curioso.” Mabel chinò la testa di lato, come un gatto che studiava la sua preda. “Be’, ti sarà permesso dire che hai studiato l’Occlumanzia ed hai fallito solo quando la studierai e la fallirai qui, nella tua nuova vita. Il passato — e con passato intendo tutto ciò accaduto oltre il Velo — non è contemplato da questo momento in poi, ricordalo bene.”

Mabel aspettò qualche secondo che le sue parole colpissero nel segno ed Harry fece una smorfia, annuendo piano.

“Molto bene. Ora, per rispondere alla tua domanda, non dovrai imparare l’Occlumanzia perché i Legilimens troveranno la tua mente impenetrabile. Molti Indicibili si sono impegnati a rendere quanto più efficiente possibile l’incantesimo che ti impedisce di rivelare la tua vera identità, Lucy, ed è praticamente impossibile che qualcuno riesca a penetrarlo. Potranno ancora leggere la tua mente, soprattutto i ricordi non legati alla tua vita precedente, ma tutto il resto, anche questa conversazione, risulterà a loro impossibile da vedere o al massimo nebulosa.”

“E se si insospettiscono? Se cercano di scavare più a fondo perché sono sicuri che sto nascondendo qualcosa, cosa succederà?”

“La Legilimanzia è un’arte di per sé pericolosa, Lucy, può anche rompere le menti di chi la subisce.”

“Stai dicendo che diventerei un vegetale?”

Il sorriso di Mabel era privo di allegria. “Come tutti, d’altronde.” Dopodichè si girò e indicò il vassoio che ancora giaceva sul tavolo all’altro capo della stanza. “Non hai mangiato?”

Harry scosse il capo.

Mabel la valutò attentamente per qualche secondo, poi agitò la bacchetta e il vassoio sparì. “Tuttavia mi aspetto che stasera a cena tu mangi. Come ti senti?”

Ancora nessuna risposta ma solo uno sguardo greve. Tuttavia all’Indicibile Rosewood parve non occorrere altro che quello, essendo probabilmente già molto chiarificatore di suo.

“Migliorerà tra un giorno o due”, fornì infatti. “Gli effetti di solito non persistono mai così a lungo, ma questa volta venivi da un incantesimo abbastanza complicato che ti ha lasciata molto debole.”

“Che incantesimo è?” gracchiò con voce rauca.

“È un segreto.” L’occhiata che Harry le lanciò era velenosa, ma la donna non sembrò impressionata. “Noi Indicibili manteniamo i nostri segreti, è così che funziona.”

“E sono anche io un vostro segreto ora, non è così?”

Un cenno, poi le porse la scatola che aveva portato con sé. “E, come ho già detto, noi ci prendiamo cura dei nostri segreti.”

-

Due giorni dopo quell’incontro la lasciarono andare.

La scatola conteneva tutto ciò di cui aveva bisogno per crearsi una nuova vita, come le aveva ripetuto più volte l’Indicibile Rosewood: certificato di nascita, documenti di riconoscimento babbani e magici, alcuni vestiti (un mantello, un pantalone, una gonna, due camicie, un paio di scarpe e un po’ biancheria intima, tutto di una fattura molto semplice ed essenziale) e un conto alla Gringott a suo nome con al suo interno un incentivo del Ministero di trenta galeoni, che corrispondevano all’incirca a centocinquanta sterline. 

Dopodichè, essendo ancora una minore, gli Indicibili la affidarono all’Orfanotrofio di Windsor nel Berkshire, a circa un’ora di treno da Londra. 

Harry occupò il tempo lavorando part-time presso un piccolo negozio di merce usata lì in zona che la pagava quaranta sterline a settimana, per un totale di otto galeoni e quindici zellini in valuta magica.

Nei giorni liberi andava a Londra e studiava tutto ciò era stato pubblicato fino a quel momento sui viaggi nel tempo. Le informazioni erano molto vaghe, spesso scritte in modi astrusi e romantici, quasi stesse leggendo un romanzo invece che un libro di scienza, per quanto sperimentale fosse quella scienza. Era faticoso oltre che dispendioso andare a Londra tutti i giorni e comprare il pranzo o la cena qualora non fosse riuscita a rimediare nulla dalla mensa dell'Orfanotrofio, ma non aveva la possibilità di comprare nessuno dei libri che studiava, perché erano tutti volumi rari e dal prezzo di diverse centinaia di galeoni ciascuno. Harry riponeva speranze solo nella libreria di Hogwarts. 

Il suo compleanno passò come un qualsiasi altro giorno, con il solo leggero rammarico per il fatto che quella data, ora, non contava più nulla per Lucy Harrison, nata da qualche parte intorno la metà di ottobre. 

Merda, doveva ripetere la sua cartella.

Agosto arrivò insieme alla sua lettera di accettazione per il fondo di beneficenza che Hogwarts metteva a disposizione agli orfani di guerra. Andò alla Gringott con le cento sterline che le erano rimaste dal suo lavoro nel mondo babbano e le cambiò in valuta magica, infine prese i cento galeoni che Hogwarts le concedeva, lasciando invece al loro posto i trenta galeoni del Ministero, che preferiva conservare per qualsiasi evenienza.

Fu estenuante rendersi conto quanto costose fossero tutte le forniture per la scuola, nonostante stesse acquistando solo oggetti di seconda mano. Persino le uniformi più economiche di ‘Madame Malkin: Abiti per tutte le occasioni’ si rivelarono fin troppo costose per Harry e dovette invece rivolgersi ad una squallida bancarella a ridosso di Notturn Alley, dove comprò delle vesti quasi tre volte più grandi di lei. Le sembrava di esser tornata ai tempi in cui indossava i vecchi abiti di Dudley... 

Per tutto il restante vestiario, quello che andava sotto l’uniforme, Harry preferì rivolgersi al mondo babbano. Camicie, maglioni, pantaloni, gonne, scarpe e biancheria erano molto più economiche qui rispetto alla loro controparte magica. Non potè risparmiare invece sul suo materiale di pozioni, perchè molti oggetti col tempo si degradavano e diventavano inutilizzabili, al punto che era necessario sostituirli quasi ogni anno. (Solo il calderone le venne a costare quasi venti galeoni). Ma riuscì comunque ad abbassare il prezzo dei suoi libri scolastici, tutti usati, da ventisette a ventuno galeoni e undici falci, cosa di cui fu molto fiera. 

Quando finì con tutti i suoi acquisti, non le erano rimaste altro che due falci e tredici zellini. Decise senza alcun rimorso di prendere cinque dei suoi zellini e investirli in un gelato limone e pistacchio.

Mangiava seduta a un tavolino fuori la gelateria di Florean Fortescue quando sentì una risata dolorosamente familiare. Occhi spalancati, il respiro spezzato, Harriet si girò con uno slancio verso il suono, il gelato ormai dimenticato. 

Sirius…

Era lì, più bello e giovane che mai. 

E vivo. 

Nel futuro, Azkaban aveva profondamente cambiato questo vivace ragazzo che ora aveva di fronte, appoggiato alla vetrina del negozio di Quidditch. Non c’era in lui la pesantezza, il grigiume che ricordava nel suo Sirius. Le guance erano piene, la mascella dura e mascolina, i tratti spigolosi e acuti del Sirius di Azkaban erano ammorbiditi sotto strati e strati di salute e buon cibo. Le spalle erano larghe, grosse, e i muscoli ben definiti anche attraverso il paio di jeans babbani che indossava. Harry quasi si trovò ad arrossire per i pensieri che stava facendo sul suo padrino, ma guardandolo con più attenzione si rese conto che, no, questo giovane non sarebbe mai stato il suo padrino. Non mentre si chiamava Lucy Harrison, almeno. Un dolore al petto la colse in quel momento e cadde sulla sedia, disgustata dall’idea di continuare a mangiare il suo gelato.

Continuava a sentire alle sue spalle risate, urla, esclamazioni. Le parve anche che qualcuno chiamasse il nome di James. Rabbrividì.

Quel giorno, una volta tornata all’orfanotrofio, Harry non mangiò e filò subito in camera a piangere.

Il primo settembre trovò Harry in un piccolo attacco di panico. Aveva passato tutta l’estate a convincersi che i suoi genitori, in quest’epoca, non erano i suoi genitori. Erano dei ragazzi, dei ragazzi che neanche ci pensavano a sposarsi, ad avere una bambina, a chiamarla Harriet Jamie Potter e a morire per salvarla. Questi erano solo dei giovani innocenti che non conoscevano nulla del futuro, di quello che li avrebbe attesi. E chi diceva che tutto ciò che Harry ricordava della sua linea temporale sarebbe successo in questa? 

Devo farmi coraggio, pensò avanzando verso il binario 9¾, questa è una nuova vita e in questa vita Sirius, James e Lily sono solo degli sconosciuti... giusto?

(Svenne sul treno. Alla fine, la maledizione degli Indicibili aveva avuto la meglio.)


 
   
 
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