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Autore: Chocolate_senpai    11/04/2021    1 recensioni
A dieci anni di distanza dall'ultimo, famoso campionato, la ruota della storia gira di nuovo, di nuovo il perno di tutto è qualcosa che il Monaco stava tramando.
Volenti o meno, Kai, Takao, Rei, Max, e tutta l'allegra combriccola verrà buttata nel mezzo dell'azione, tra i commenti acidi di Yuriy, gli sguardi poco rassicuranti di Boris, i cavi dei computer di Ivan e la traballante diplomazia di Sergej.
Da un viaggio in Thailandia parte una catena di eventi; per inseguire un ricordo Boris darà innesco a un meccanismo che porterà i protagonisti a combattere un nemico conosciuto.
Sarà guerra e pianto, amicizia e altro ancora, tra una tazza di te, dei codici nascosti, una chiazza di sangue sulla camicia e il mistero di un nome: Bambina.
Starete al loro fianco fino alla fine?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 16

 

 

 

- è davvero un piacere avervi qui –

- Il piacere è nostro –

Certo, come no

Appena entrati nel salone, arredato come un lussuoso e opulento albero di natale, i due agenti in incognito erano stati assaliti da una mandria di vecchi impomatati. Ovunque svettavano cravatte di dubbio gusto, scarpe tirate a lucido, tacchi da capogiro e acconciature tirate sù con l’argano pur di farle stare in piedi.

Sfarzo e moine. Esattamente quello che Rick odiava di più. E la creme de la creme statunitense a lanciarsi sguardi tra il lascivo e il minaccioso, in quell’incontro di falsi buoni propositi per le festività natalizie.

La scritta Galà di beneficenza svettava scarlatta sulla parete. Chissà se qualcuno lì dentro sapeva cosa significata beneficenza.

Rick allargò il nodo della cravatta con due dita; in quel buco di ricconi si sentiva soffocare, ed erano arrivati da nemmeno dieci minuti.

- Posso presentarle il mio accompagnatore, nonché collega? Rick –

Garland lo richiamò, con il sorriso più falso e circostanziale che avesse mai visto addosso a una persona. Accanto a lui, una coppia di mezz’età, abbigliata con colori coordinati, era pronta ad attaccare bottone su chissà quale inutilità.

- Ma che piacere! Abbiamo sentito parlare di lei ovviamente. Non quanto il vostro capitano, certo, ma ... –

- Sì, certo, è un piacere anche per me –

Pronunciare quella frase fu per Rick doloroso quasi quanto la diarrea del post pranzo. Un’impercettibile crepa corrugò la fronte del marito della coppia. La bocca di Rick assunse una lieve curvatura; gli dava un immenso piacere sapere di non andare a genio a quella gente.

La donna cercò di portare avanti la discussione, mirando apertamente a Garland. D’altra parte, tutti avevano sentito l’odore del suo portafoglio non appena erano entrati nel salone.

- Allora giovanotti, cosa vi porta qui? È il primo ricevimento che ha l’onore di vedervi partecipi -

- Ah, nulla, siamo semplicemente sensibili alle iniziative degne di lode. È la prima volta che le offerte del galà andranno in beneficenza –

Garland parlava in modo impeccabile, gestendo gli sguardi, i respiri, i sorrisi rivolti agli interlocutori. Era a suo agio, a modo suo. Sapeva nascondere il ribrezzo verso quella gente, impomatata nei loro soldi freschi di stampa, che non vedeva l’ora di saltare addosso a lui, alle sue casse e al buon nome della sua famiglia.

- Ho saputo che di recente la Icarus Bank ha aperto un’altra filiale. Torres è venuto a festeggiare?-

Gestì la domanda con una naturalezza tale che sembrò totalmente casuale. L’uomo lo guardò un po’ stranito.

- Un’altra filiale? Non ne sapevo nulla-

Garland fece il finto tonto, portando avanti il suo giochetto.

- No? Chiedo scusa, devo essermi confuso. Allora chissà se lui sarà presente –

- Ah, se è per quello, Torres non mancherebbe il galà per nulla al mondo!-

Garland sorrise con gli occhi.

Bingo

Rick aveva cominciato a seguire il discorso solo al nome Torres. Arraffò una tartina dal vassoio di uno dei numerosi camerieri, ingurgitandola incurante di cosa ci fosse sopra. Garland, senza scomporsi minimamente, stava tirando avanti le fila del suo trucco. Muoveva i due coniugi verso ciò che voleva, come un abile burattinaio.

- Ne sono convinto, una personalità del suo calibro non poteva mancare –

- Ma certo, siamo tutti orgogliosi della sua presenza ... –

La donna lanciò un paio di occhiate dietro di lei. Cercava evidentemente una scappatoia, visto che Garland non aveva intenzione di chiacchierare di conti e investimenti. Intravide una giacca verde smeraldo, e trovò l’aggancio giusto.

- Ah, eccolo lì! Parli del diavolo ... si dice così, no?-

Con un cenno della mano guantata di rosso indicò un uomo alto, che si stava immergendo tra l’elegante folla. Rick deglutì.

Finalmente

Garland si congedò più elegantemente e rapidamente possibile dai due. Con un’occhiata rapida invitò il collega a seguirlo. Si aggiustò i gemelli ai polsini della camicia nera, avvicinandosi all’orecchio di Rick. L’americano rabbrividì a sentire il suo fiato sul collo.

- Sorridi. Fingi di essere a tuo agio, non lo avvicineremo mai se tieni quella faccia. Sembra che tu sia pronto a prendere qualcuno a pugni –

- Sono pronto a fare di tutti pur di uscire di qui – sussurrò Rick di rimando.

Garland fece finta di niente, sorridendo amabilmente agli sguardi che incrociavano il loro cammino.

- E lascia parlare me –

 

...........................

 

Si erano mossi rapidi, lisci e silenziosi. Michael aveva preso in prestito l’auto di Judy e li aveva accompagnati fino a un paio di isolati prima del grattacielo. Li aveva salutati con un’occhiata un po’ preoccupata. Non tanto per loro; piuttosto per quello che avrebbero potuto fare.

- Quando avete finito chiamatemi. Ci ritroviamo qui –

Boris e Ivan non avevano neanche risposto.

Si erano incamminati tra la folla e il traffico del sabato sera in pieno centro newyorkese, completamente a loro agio, come se non stessero per irrompere in uno degli attici più costosi della città. Le mani nel cappotto, il pelo del cappuccio a sfiorargli le guancie, Boris si era un po’ pentito di non aver preso la pistola con sé.

- Eccolo –

Ivan indicò l’edificio con un cenno del capo. Si fermarono col naso all’insù. Era certamente una faccenda rischiosa; 84 piani, e loro miravano all’ultimo. Il più piccolo diede una pacca alla borsa a tracolla, nascondiglio sicuro del piccolo portatile preso in prestito dal laboratorio. Il suo pc era troppo grande, sarebbe stato d’intralcio. A malincuore Emily si era dovuta separare da un pezzo di attrezzatura.

- Andiamo –

Boris annuì.

Con calma, come fossero due amici a passeggio, aggirarono l’edificio, infilandosi in una viuzza parallela. Avevano studiato il perimetro del grattacielo; ovviamente sapevano cosa stavano facendo. Non potevano certo passare dalla porta; c’erano sicuramente dei facchini, e gli impeccabili uomini alla reception li avrebbero notati subito. due gatti randagi in mezzo ai grassi piccioni.

C’era una recinzione a dividere il capolinea del vicolo dal retro dell’edificio. Nulla di insormontabile; in un paio di salti l’avevano già superata. Sgusciarono dietro quello che sembrava il camioncino della lavanderia, appena in tempo per sfuggire agli sguardi di due donne delle pulizie. Scaricavano cesti pieni di lenzuola, troppo occupate per far caso agli intrusi. Con un cenno del capo, Boris e Ivan si divisero, raggiungendo l’entrata di servizio del personale da due lati opposti. Scivolarono dentro. Boris afferrò da terra una cassa, probabilmente conteneva bottiglie di vino, e Ivan fece altrettanto. Passarono inosservati fino all’ascensore; nessuno faceva caso a loro, coperti dalle casse, nel traffico generale di quella sera.

Facile come bere un bicchier d’acqua.

Appena le porte dell’ascensore si chiusero i due lasciarono la presa sui travestimenti improvvisati. Ivan si sedette a terra a gambe incrociate, aprì il pc e si mise a scartabellare.

- 84 piani ... – Meditò il più piccolo.

- Pensi di farcela?-

Boris era ironico. Sapeva benissimo che l’amico aveva già preparato tutto. Ivan ghignò.

- Per chi mi hai preso?-

Un numero illuminato li avvisò che erano già a metà strada verso l’attico. L’ascensore poteva fermarsi in ogni momento, chiamato da qualche fattorino o chi per lui. Era un piccolo rischio; si sarebbero inventati qualcosa.

- 68 ... 69 ... 70 ... –

Boris contava i piani sottovoce. Fece scrocchiare le nocche; un suono che gli distendeva i nervi ogni volta.

- Ci siamo –

Ivan si alzò rapido; infilò il pc nella borsa senza spegnerlo.

Era tutto pronto.

Le porte si aprirono. I due uscirono rapidi, ma abbastanza a loro agio dal non dare nell’occhio. Comunque in giro non c’era nessuno. Il corridoio accanto agli ascensori si gettava su una finestra alta e stretta; il caos della Grande Mela entrava prepotente, ma lo smog faticava a salire fin lassù. Si erano dovuti fermare due piani prima; l’attico aveva l’ascensore privato. Un’ennesima scocciatura, ma risolvibile.

Dal cunicolo in cui era infilato l’ascensore del personale non ci misero molto ad arrivare al pianerottolo, da dove si dipanavano le lussuose stanze. Risalirono su un secondo ascensore, questa volta quello per gli ospiti, scendendo subito al piano superiore.

Da lì cominciava la parte divertente.

Ivan tirò fuori dalla borsa una corda legata a un arpione. Agganciò l’arpione all’apposita pistola, poi si sporse da una finestra posizionata esattamente come quella del piano di sotto. Era sempre stato bravo a sparare. Il più bravo, almeno nella squadra. Con un colpo secco, la corda andò ad aggrapparsi all’ampia vetrata dell’attico. Il ragazzo saggiò la resistenza della loro via d’entrata, dandole un paio di strattoni.

- Ok. Ora viene il bello –

 

...................

 

Inseguirono la giacca verde di quell’uomo per venti minuti buoni. Ad ogni passo qualcuno li fermava, attentando a Garland con noiosissimi discorsi sull’alta finanza, di cui non interessava nulla a nessuno. Tornavano all’attacco, e Torres non si vedeva più; come per magia si smaterializzava, per ricomparire all’altro lato del salone. E allora eccoli di nuovo in azione, ed ecco un nuovo, impomatato riccone a correre dietro l’odore di ricchezza e nobiltà emanato dal rampollo dei Siebald.

Garland declinò l’ennesimo scocciatore con un sorriso.

- Che palle – Soffiò Rick.

L’amico gli arrivò una gomitata di nascosto.

- Zitto –

Si guardò intorno, cercando di non dare nell’occhio.

- Dove cavolo è ... –

Rimbalzavano da un lato all’altro del salone da interminabili minuti, e la cosa cominciava a farsi snervante. Rick attirò la sua attenzione, ammiccando verso un trio di uomini in giacche dai colori osceni.

- Laggiù –

Si avvicinarono a passi lenti ma decisi. Garland adottò lo stratagemma in uso per non far distrarre i cavalli: munito di un metaforico paraocchi, finse di non vedere tutti quelli che gli sfilavano accanto con accattivanti sorrisi, e noiose intenzioni.

Aveva un unico obiettivo, e si era stancato di rincorrerlo. Si preparò mentalmente un modo di attaccare bottone senza sembrare innaturale. Con un’occhiata fugace ricordò a Rick di stare al suo posto. L’americano comunque non aveva nessuna intenzione di diventare il protagonista di un’ennesima, terribile chiacchierata sulla finanza. Era lì solo per fare presenza.

Quando fu a due passi dall’obiettivo, Garland non poteva crederci.

Ci siamo

- Ma guarda, Torres! È un piacere poterti conoscere!-

Sfoderò il suo miglior sorriso, portandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli argentei con una naturalezza invidiabile. Rick, a due passi da lui, cercò di non sembrare un manico di scopa, tradito dal costante picchiettare a terra della scarpa tirata a lucido.

L’uomo tirato in causa, la loro preda della serata, era talmente alto da sovrastare i suoi interlocutori. La giacca verde era abbastanza aderente da rivelare un fisico non giovane, ma nemmeno fiacco. Mentre si avvicinavano, nell’elegante caos delle chiacchiere da galantuomini, Garland fu quasi sicuro di aver sentito un accento ... particolare. Straniero, ma che in qualche modo gli era familiare.

Torres impiegò qualche secondo per prestare loro attenzione. Si voltò con calma, una mano in tasca e l’altra a pendere lungo il fianco.

Voltò il capo, rivelando il profilo di un naso aquilino e appuntito. Sulla fronte gli ricadevano ciocche che, seppur ingrigite, avevano mantenuto una particolare tonalità di viola scuro. Quando gli occhi, piccoli e cadenti, si puntarono sui due blader, quello fu l’unico momento di tutta la serata in cui Garland si trovò senza parole.

Cazzo

 

..................................

 

- Ci siamo –

Erano saliti senza troppi problemi fino alla finestra dell’attico. Boris l’aveva aperta, scassinandola dall’esterno con una velocità disarmante.

- Un po’ fragile, per essere un attico ... –

- Tanto meglio per noi –

Ivan aveva disinnescato gli allarmi prima di salire. Non c’erano guardie, animali domestici pronti a fare casino, luci accese o rumori sospetti. Tutto era buio, silenzioso, assolutamente privo di presenze umane.

Tranne loro due.

Non accesero la luce. Meglio non rischiare. Ivan lanciò a Boris una torcia, accendendo la sua.

- Quanta roba hai infilato in quella borsa?-

- Il necessario ... da dove cominciamo?-

L’attico aveva un piano superiore costruito come un soppalco; si gettava sul resto dell’appartamento con un balcone in vetro. Boris lo indicò con un cenno del capo.

- Tu comincia da lì. Io dò un’occhiata qua sotto –

- Roger –

Non sapevano esattamente cosa cercare. Potevano esserci dei documenti, come dei file; un computer, come una cassaforte. Potevano esserci entrambi. O poteva non esserci nulla. In ogni caso avevano i minuti contati, ed era meglio uscire di lì nel minor tempo possibile.

- Vorkov ... Vorkov ... Cosa hai nascosto qui?-

Boris tastò le pareti alla ricerca di un nascondiglio, uno di quelli che si vedono nei film, mimetizzati dietro un quadro. Trovò solo la cassaforte, ben in vista. Non ci volle tutto il suo genio per aprirla.

Scartabellò tra i documenti, facendo scivolare fogli, assegni e banconote a terra.

- Non c’è un cavolo ... –

Ad ogni suono tendeva l’orecchio. Riconobbe i passi di Ivan al piano superiore, distinguendoli dai clacson che il vento portava dalla strada distante un’ottantina di piani. Erano pronti anche nel caso Torres fosse tornato in anticipo. Ma era meglio che non accadesse. Non sarebbe stato indolore, almeno per il proprietario di casa.

- Trovato qualcosa?-

- Non urlare!-

Ivan gli lanciò in testa una ventiquattrore in pelle nera. Boris si massaggiò il capo, cominciando a frugare dentro la borsa con poca grazia.

- Niente – Soffiò – Ma siamo sicuri che quest’uomo centri qualcosa?-

Dove si tenevano dei documenti importanti? Forse addirittura segreti? In banca, in un caveau ... in un archivio. O in un nascondiglio segreto. Chi poteva tenere in casa qualcosa che scottava così tanto da poter dare fuoco all’Amazzonia?

Eppure, era lì che loro stavano cercando.

Boris si grattò il mento.

Un nascondiglio ...

Puntò la torcia attorno a se. La luce si scontrò sui mobili, sul divano, sull’enorme televisione ... e su una vetrinetta fornitissima di elaborate bottiglie di vetro. Il ragazzo sogghignò.

- Ci starebbe un bicchierino ... –

Ci si avvicinò col chiaro intento di intascarsi almeno una di quelle meravigliose, costosissime bottiglie; in qualche modo sarebbe riuscito a infilarla nella borsa di Ivan. Poi un particolare attirò la sua attenzione. Sull’enorme scrivania svettava un mappamondo in metallo molto elegante. La luce della torcia ci finì sopra quasi per sbaglio. Boris fece girare la sfera un paio di volte, incrociando gli occhi sulla Russia.

Mio dio, quanto mi manchi

Non era uomo da sentimentalismi; ma per la sua patria, questo e altro. Per quanto la vita in quel posto lo aveva fatto soffrire, c’era sempre una parte di lui che bramava le silenziose distese di ghiaccio.

Sospirò, poggiando una mano sopra il globo terrestre.

Poi sentì un click.

Si allontanò di scatto. Il perno che fissava il mappamondo alla parte superiore dell’asta ricurva si rialzò silenzioso; nella sfera si aprì una fessura, che andò ad allargarsi. Metà del globo stava scorrendo su se stessa. Boris la guardò con le sopracciglia arcuate verso il cielo, senza capire bene come avesse fatto. Terminato il meccanismo, il globo gli presentò la sua cavità. Il ragazzo ci mise subito la mano dentro, tastando alla ricerca di qualcosa, fino a toccare una piccola scatola.

Trovato

Infilò in tasca il contenitore, non più grande del palmo della sua mano. In quel momento la voce del compagno lo richiamò.

- Boris –

Lui sorrise vittorioso.

- Ci siamo Ivan, missione compiuta –

- Dobbiamo andarcene –

Un moto d’ansia tradiva il tono dell’amico. Boris si affrettò su per le scale, raggiungendolo sul pianerottolo.

- Perchè? Che c’è?-

La torcia di Ivan era puntata sul pavimento. A due passi da loro, riverso a terra, il corpo di un uomo li guardava con occhi vuoti. Il foro di un proiettile era ben visibile in mezzo alla fronte.

Boris deglutì.

- Cazzo –

 

 

.........................

 

 

- Il piacere è tutto mio –

Rick aveva avuto poche volte l’onore di scontrarsi con il volto del monaco. Ma lo ricordava bene; ricordava gli occhietti malvagi, i modi di fare eleganti e altezzosi, i sorrisi falsi. Nella sua testa prendeva le forme di un dispettoso demone, e aveva assistito con piacere alla sua caduta, al campionato di dieci anni prima.

Non si aspettava certo di vederselo ricomparire davanti. E Garland meno di lui.

Il ragazzo era impietrito, totalmente impreparato davanti a questa sgraditissima sorpresa. Cominciò a sudare più del dovuto, imponendo al suo respiro di tornare regolare. Si stava facendo prendere dall’ansia; e di questa emozione Vorkov se ne nutriva.

Il monaco scoccò ai due un’occhiata vittoriosa, che subito si tramutò in un sorriso falso.

- Aspettavo di parlarti. Sono sicuro che abbiamo tante cose da dirci –

Garland avrebbe voluto fare un passo indietro, ma non lo fece. Rick prese l’iniziativa al suo posto. Con un gesto forse troppo teatrale alzò il polso sinistro, guardando l’orologio.

- Ah, accidenti! Ci eravamo dimenticati di un impegno importante!-

Mise con fermezza una mano sulla spalla di Garland.

- Dobbiamo andare amico. Rimanderemo la chiacchierata –

Il blader non si mosse. Puntava gli occhi su quell’uomo, quello che lo aveva usato, che gli aveva fatto fare cose orribili vendendole per oro, montandosi sul capo un’aureola fittizia.

Oh, ma un falso assolutamente ben fatto.

Vorkov si era incatenato ai suoi occhi, e il suo sguardo valeva più di tutte le parole di vendetta.

- Garland –

Si riscosse. Rick gli lanciò un’occhiata tra il frettoloso e il preoccupato, mantenendo una discreta faccia tosta. Gli altri due uomini, quelli che stavano parlando con Vorkov, sembravano non capire.

- Oh, certo, quell’impegno –

Garland sfoderò di nuovo la sua naturalezza, che gli venne più rigida. Rivolse un forzatissimo sorriso al monaco.

- Mi dispiace molto Torres¸ sarà per un’altra volta –

- Sarà un piacere. E magari potrò incontrare anche i vostri compagni. A proposito ... – Puntò sui due i suoi occhi cattivi, infiammati di odio. Sorrise di nascosto, se quel ghigno si poteva comparare lontanamente a un sorriso. 

Faceva del male perché poteva e voleva farlo, e mai come ora era pronto a ferire e nutrirsi della loro paura.

- ... Ho saputo che la Neo Borg ha subito un lutto. Porta a quei ragazzi le mie condoglianze –

Rick avrebbe voluto spaccargli la faccia, lì, in mezzo a tutti. Non gli interessava dei russi, e non conosceva Rosemary. Ma quello stronzo era lì, con la faccia come il culo e l’impertinenza di liberare le sue trame da psicopatico davanti a tutti, e a nessuno stava fregando assolutamente nulla. Nessuno aveva mosso un dito davanti a lui, nonostante fosse palese a tutti l’identità di quell’uomo, che sicuramente non era Torres.

Lo scatto repentino di Garland frenò ogni sua iniziativa. Il ragazzo girò i tacchi con una velocità impressionante, con il sorriso di circostanza ancora stampato in volto.

Si fermò prima di essersi allontanato del tutto.

- Non mancherò. E sono certo che verranno di persona a ringraziarti dell’interessamento –

Poi afferrò Rick per una spalla, spingendolo con disinvoltura verso l’uscita. I passi rapidi mettevano quanto più terreno possibile tra loro e il monaco; il sorriso nascondeva il respiro affannato. La porta del salone sembrò quasi una benedizione, ma Garland si permise di respirare solo quando se la fu chiusa alle spalle.

Lui e Rick si scambiarono un’occhiata rapidissima. Poi, allungando ancora di più il passo, si fiondarono nel primo ascensore a tiro.

Rick si levò con malagrazia la cravatta, aprendosi i primi bottoni della giacca. Garland armeggiò con il cellulare.

- Quel bastardo ci ha fregati –

- Garland? Dove siete? Come state?-

- Ming, non uscite, non fate nulla, serratevi nel laboratorio. E cominciate a cercare un’altra sistemazione-

La ragazza rispose prontamente.

- Va bene­-

- Avverti Kai. Sanno che siamo qui, e che indagavamo su Torres –

- Come?-

­- Te lo spiego più tardi –

Quando le porte dell’ascensore si aprirono, i due si fiondarono fuori. In un minuto erano già alla macchina, gettandosi attorno occhiate discrete, sperando che Vorkov non avesse deciso di fargli altre sorprese per quella sera.




  
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