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Autore: Ellenw    11/04/2021    2 recensioni
La fiction è ambientata nel Mu, dove L e Light, o meglio le loro anime, si ritrovano dopo la morte e dopo aver superato il Rito di Espiazione, e anche se le loro anime sono destinate ad andare in due direzioni diverse, non riescono a stare l'uno senza l'altro.
E nonostante le tenebre, trovano la luce.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: L, Light/Raito | Coppie: L/Light
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ho ucciso un uomo per salvarne centomila
Così disse Charlotte Corday al suo processo per giustificare l’atroce omicidio compiuto da lei stessa al rivoluzionario francese Jean-Paul Marat, da cui deriva peraltro il famoso dipinto di Jacques-Louis David che ritrae Marat morto nella vasca da bagno. Nonostante le sue nobili intenzioni, Charlotte Corday venne condannata a morte, ghigliottinata qualche giorno dopo il processo.
Nella concezione occidentale e moderna di giustizia, tuttavia, lo Stato, che agisce razionalmente, non si pone sullo stesso piano di chi si macchia del più orribile dei crimini: l'omicidio. Così facendo si fornirebbe a tutti un esempio di atrocità compiuto dalla legge stessa, mentre essa è stata creata proprio per la tutela dei diritti umani e quindi per quello della vita.
Le leggi, infatti, moderatrici della condotta degli uomini e espressioni della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commetterebbero uno esse medesime.
Questa è una tesi veramente flebile: non varrebbe neppure la pena perdere tempo a confutarlo, ma è piacevole accanirsi un po’ su un obiettivo così indifeso. È semplicemente un argomento che prova troppo. Lo Stato pretende di avere il monopolio della forza. Infliggere pene spetta allo Stato, e solo allo Stato. Questo vale per la reclusione in carcere come per la morte. Se lo Stato non avesse il diritto morale di sopprimere gli assassini, non avrebbe nemmeno quello di incarcerare i sequestratori di persona.
Sono meno di un centinaio gli Stati al mondo che praticano ancora la pena di morte: il Giappone è uno di questi. Ho sempre creduto che fosse questo il giusto modo di agire nel confronti del male: eradicarlo, cancellarlo.
Gli uomini incaricano lo Stato di promulgare leggi che tutelino i cittadini; nel caso in cui un individuo le trasgredisca al massimo grado, ovvero compiendo un omicidio efferato, questi automaticamente priva se stesso di qualsiasi forma di altrui rispetto e dello stesso diritto di vita, vita intesa come partecipazione attiva alla società umana. È del tutto utopistico pensare di poter rieducare un assassino e reinserirlo innocuo e trasformato nella società, esponendo la società stessa alla possibilità di un comportamento recidivo di quest’ultimo alla minima instabilità.
A causa di questo assurdo moralismo, migliaia di malfattori sfuggono alla giustizia ogni giorno.
Io ho fatto meglio di Charlotte Corday, meglio di qualsiasi Stato, meglio anche della giustizia divina.
Ho ucciso un milione di assassini per salvare l’umanità intera.
Nessuno avrebbe dedicato e sacrificato la propria vita in nome di un obiettivo tanto grande, nessuno avrebbe potuto fare quello che ho fatto io, ne sono certo, e farlo tanto accuratamente. Sono la persona più fottutamente intelligente del pianeta. Cioè, lo ero.
Le persone percepiscono il male che le circonda e lo ignorano volutamente, sperando dentro di loro di non averci mai nulla a che fare. Convincendosi che non ci sia nulla da fare, che il mondo è fatto così. Pochi hanno provato a cambiare veramente il mondo, a renderlo un posto migliore in cui vivere per i buoni e i giusti. Nella maggior parte dei casi, si sono scontrati con le stesse leggi imposte dallo stato, o con l’etica e la morale comune, e alla fine si sono arresi.
Ma quando un potere soprannaturale, il potere di un Dio della Morte, cade nelle mani giuste si può arrivare dove nessuno è riuscito ad arrivare.
Sono questi i pensieri che popolano la mia mente mentre sto girovagando all’interno della biblioteca della mia vecchia scuola superiore. Diploma a pieni voti, poi la To-Oh University, facoltà di legge, laurea con lode. A volte penso a che tipo di vita avrei fatto se non avessi raccolto quel quaderno.
Afferro dagli scaffali “Il Capitale” di Karl Marx, e lo sfoglio distrattamente. Qualcuno ha sottolineato quelle che dovrebbero essere le parole chiave e le parti più importanti. Personalmente, non ho mai avuto bisogno di ricorrere ad un metodo di studio; con un minimo sforzo, la mia memoria immagazzinava ogni frase.
“Perché ti hanno sparato?”
Avevo dimenticato che mi sta seguendo da un tempo indefinito, forse qualche giorno, in silenzio e osservando ogni mio gesto. Ho pensato che fosse meglio ignorarlo e forse ad un certo punto avrebbe smesso di starmi alle costole. Sono felice che non l’abbia fatto, però.
Sospiro e rimetto apposto il volume sullo scaffale. Mi volto verso di lui, che è rimasto sul vano della porta, con un dito posato sulle labbra.
“Ho cercato di scrivere il nome di Near, Nate River, sul pezzetto di Death Note che portavo nascosto nell’orologio”, sollevo il polso sinistro per mostragli quello che rimane del mio orologio e il polso insanguinato. “Quando la penna è caduta a terra ho continuato a scrivere con il mio sangue, Matsuda non l’ha presa bene e mi ha scaricato addosso quattro proiettili. Per poco non mi ha trapassato il cranio.”
Lui sgrana gli occhi, sorpreso. “È stato Matsuda?!”
Evidentemente nemmeno lui si aspettava che Matsuda avesse abbastanza neuroni da permettere la coordinazione occhio-mano necessaria per sparare a qualcuno.
“Si. Avrei dovuto licenziarlo anni fa quando ci ha provato con mia sorella. Però faceva un buon caffè” sorrido.
L ride ed è un suono talmente singolare e melodioso che resto per un attimo ammaliato.
Poi sembra ricordarsi che mi odia e la sua espressione torna quella di sempre.
“E..Near?” chiede timoroso della risposta.
Solo sentir pronunciare quel nome mi fa irrigidire dalla rabbia. “Stai tranquillo, l’albino è ancora vivo” sbuffo.
All’udire quella risposta, le sue spalle tese si rilassano leggermente. Mi avvio verso l’uscita passandogli a fianco e lui mi segue lungo il corridoio e fuori dall’edificio. Lo osservo con la coda degli occhi, ha lo sguardo diretto in basso e sembra pensieroso.
Con sorpresa mi accorgo di ritrovarmi nel giardino interno all’edificio, sulla quale si affacciano gran parte delle aule. Riconosco subito questo posto anche se sembra appartenere ai ricordi di qualcun altro, non ai miei. Dopo qualche passo arrivo al centro del prato e mi fermo, consapevole della presenza di L dietro di me.
Indico un punto preciso nel prato “In questo punto ho trovato il Death Note”
Mi volto verso di lui che sembra incuriosito da questa rivelazione. Indico una finestra, la quattordicesima da sinistra, terzo piano. “Stavo facendo una lezione di letteratura inglese e l’ho visto cadere dal cielo dalla finestra”
Non si volta a guardare il punto che sto indicando ma mi osserva con uno sguardo indecifrabile. Non so perché gli sto raccontando tutto questo, forse ho solo bisogno di qualcuno con cui parlare. Non ha più importanza ormai, ma lo conosco e so che brama la verità più di ogni altra cosa, quindi continuo a parlare.
“Mi aveva incuriosito e durante la pausa sono venuto qui e l’ho raccolto. Ho letto le prime regole e pensavo che fosse uno scherzo più elaborato del solito. L’ho riappoggiato a terra e me ne sono andato. Poi però sono tornato indietro e l’ho messo nello zaino, forse ho avuto una sorta di sesto senso.” Sollevo lo sguardo e noto che è ancora lì, immobile che mi fissa. Sa che non sto mentendo, crede ad ogni cosa che dico.
“Sono arrivato a casa e ho letto ogni singola regola, era talmente assurdo che non poteva essere che uno scherzo. Poi però ho visto il sequestro di Shinjuku al notiziario, e ho scritto il nome del sequestratore. Avevi ragione, come sempre, è stato lui la mia prima vittima. Quando gli ostaggi sono usciti dopo quaranta secondi pensavo che fosse una coincidenza, non poteva certo essere morto perché avevo scritto il suo nome su un quaderno, no?” accenno un sorriso amaro “Ma nei giorni successivi ho avuto la prova che il Death Note era reale ed autentico. Soprattutto ne ho avuto la prova quando uno Shinigami di quasi tre metri è apparso in camera mia e ha iniziato a parlarmi come se niente fosse. Ryuk. Era molto diverso da Rem, lo Shinigami che hai visto tu. Mi disse che aveva fatto cadere il quaderno nel mondo degli umani perché si annoiava, mi disse che aveva scritto le regole in inglese perché era la lingua più conosciuta. Mi disse anche che nessuno aveva mai scritto così tanti nomi in pochi giorni. Gli dissi che anche io mi annoiavo. Pensavo che volesse prendersi la mia anima e lui ha riso di me, dicendomi che il quaderno era mio e lui avrebbe dovuto stare al mio fianco fino alla mia morte o alla fine del quaderno. E così è stato.”
L sembra stupito dal mio racconto e inclina la testa di lato. “Era lì quando sei morto?”
Annuisco. “È stato lui ad uccidermi, ha scritto il mio nome sul suo quaderno. È questo il patto tra il primo umano che raccoglie il quaderno e lo Shinigami a cui appartiene. Ho sempre saputo che quando sarebbe stato il momento mi avrebbe ucciso, ma non mi importava. Mi disse che se mi avessero messo in prigione avrebbe dovuto aspettare anni per farlo e si sarebbe annoiato. Si annoiava abbastanza facilmente, sai.” Sorrido.
Mi incammino verso l’uscita, oltre il piccolo parco, e mi siedo su una panchina in legno accanto ad un ciliegio in fiore. Il sole illumina ma non scalda. Ogni cosa è immobile come se ci trovassimo dentro ad un dipinto. L si siede accanto a me sulla panchina.
“Rem ha detto che un umano può scambiare metà della vita che gli rimane con la possibilità di conoscere il nome e la durata vitale delle persone semplicemente guardandole in volto. Ottenendo gli occhi del Dio della Morte. Tu non hai fatto lo scambio, perché? Sarebbe stato molto più facile” mi chiede guardando di fronte a sé.
“Volevo avere una lunga vita, possibilmente. Col senno di poi, se avessi fatto lo scambio sarei morto tempo fa. Ryuk mi propose lo scambio, una volta. Gli dissi che avrei potuto prendere in considerazione la proposta solo se, anziché gli occhi, mi avesse dato le ali. Mi sarebbe piaciuto volare. Ovviamente mi disse che era impossibile”
L non riesce a trattenere un sorriso. Vorrei sapere cosa sta pensando.
Restiamo in silenzio, ognuno assorto nei suoi pensieri. Chiudo gli occhi, ed oltre il buio delle palpebre chiuse riesco a percepire la luce del sole sul viso. È incredibile quanto sia sensibile al mondo esterno il cervello umano.
“Tuo padre deve essersi suicidato dopo aver scoperto quello che hai fatto, Kira”
Ignoro l’appellativo. “Mio padre è morto l’anno scorso, in una sparatoria, durante una missione”
Apro gli occhi per vedere la sua espressione e vedo che mi sta guardando con gli occhi leggermente sgranati. “Oh” sussurra “Mi dispiace”.
Torno a rivolgere il viso verso il cielo, gli occhi chiusi per non essere accecato dal sole.
“Perché mi hai seguito?” gli chiedo infine.
Mi sembra che passi un’eternità prima che mi risponda, e ho quasi paura di aprire gli occhi, voltarmi e scoprire che non è mai stato lì, che è stata semplicemente un’allucinazione. È capitato così tante volte dopo la sua morte che credevo di esserne ormai abituato. E poi mi risponde.
Sospira. “Non lo so, è come se non l’avessi nemmeno deciso io. Sentivo come una forza che mi spingeva a seguirti, e non potevo ignorarla. Non capisco, dovrebbe essere l’opposto, dovrei voler starti il più lontano possibile” ammette frustrato.
Allora apro gli occhi e mi volto verso di lui e lo fulmino con lo sguardo, non posso ammettere che le sue parole mi hanno ferito. Anche se ha ragione, ovviamente.
“Non disturbarti a nascondere la repulsione che provi, non è abbastanza palese” sputo sarcastico. “Puoi anche andartene se vuoi, non sarò certo io ad impedirtelo” aggiungo poi.
“È proprio tipico da parte tua e del tuo narcisismo pensare di non poter essere disprezzato nonostante quello che hai fatto” sussurra freddamente.
“Al contrario, hai tutto il diritto di odiarmi. Penso solo che l’odio non cambierà quello che è successo, e che ho pagato e sto ancora pagando per quello che ho fatto”
“No, non hai pagato affatto. Questa condanna in eterno è niente rispetto a quello che meriteresti. Non hai sofferto abbastanza” dice a denti stretti.
Stringo i pugni tanto che le unghie mi graffiano la pelle.
“Tu non sai niente. Niente” sussurro. No, non lo immagina neanche quanto ho sofferto.
“Quello che so è abbastanza. La giustizia divina che tanto ostentavi su di te non viene applicata. Sei qui come lo sono io e tutti gli altri”
Mi alzo in piedi di scatto. Mi dà l’impressione di avere ragione, se lo guardo dall’alto in basso. Ma i due buchi neri che ha al posto degli occhi mi fanno sentire comunque indifeso e colpevole.
“Dannazione, L! Pensi che sia stato facile vederti morire tra le mie braccia?! Ho avuto incubi per anni! Sei solo un’ipocrita. Avresti fatto lo stesso, lo stesso. Non sei diverso da me. Mi avresti guardato morire sulla sedia elettrica senza battere ciglio”
Restiamo a lungo immobili a fissarci come due lupi che stanno per sbranarsi a vicenda per sopravvivere.
“L’unica differenza è che tu te lo saresti meritato, io no.”
La verità fa male, soprattutto quando esce dalla sua bocca: è come una lama sottile che ti trafigge e te ne accorgi troppo tardi. Vuole ferirmi. Vuole una vendetta giusta ed adeguata ma sa che non l’avrà mai. Perché siamo morti entrambi e nessuno può farci più niente.
“Se uccidi un criminale che uccide i criminali, sei un criminale pure tu.”
“Ha! No, Light. Tu avresti avuto diritto ad un processo, un avvocato e la possibilità di difenderti, e sarebbe stata una giuria a decidere la tua pena, non un pazzo con un quaderno della morte!” urla. Le sue iridi, se possibile, sono ancora più grandi del solito.
“L’esito sarebbe stato lo stesso, e lo sai benissimo. E grazie per avermi ricordato che uccidere è sbagliato, non ci avevo pensato. Non capisci che dovevo farlo? Qualcuno doveva assumersi la responsabilità di provare a cambiare il mondo, anche se in modo immorale e condannabile. Grazie a me le guerre si sono fermate e il tasso di criminalità è sceso ai minimi storici. Ho reso il mondo un posto migliore, forse ho salvato più vite di quelle che ho abbattuto. Conoscevo ogni conseguenza di quello che stavo per fare, ed ero disposto ad accettarle” La mia voce si incrina all’ultima frase.
“Il giudizio di vita o di morte non spettava a te. Non sei Dio”
“Dio non esiste”
Mi guarda e la rabbia nei suoi occhi svanisce, lasciando il posto ad una velata tristezza.
Non riesco a reggere quello sguardo, quindi mi risiedo sulla panchina. Resterò qui a fissare il vuoto finché non diventerò parte del paesaggio, e le future anime di passaggio vedranno cosa succede a chi si è comportato male.
Dopo un tempo indefinitamente lungo, la sua voce rompe il silenzio, e il tono è talmente basso che mi sorprendo di riuscire a sentirlo.
“Non è vero che non avrei battuto ciglio, vedendoti morire”
Mi giro verso di lui. È seduto in quella solita posizione assurda con le mani sulle ginocchia e parla guardandosi le mani.
Sospiro e torno a guardare il vuoto. “Lo so”
“Perché hai sentito dolore quando hai provato a toccarmi, al quartier generale?”
“Non ne ho idea” mento “ho sentito come una scossa elettrica che bruciava”
So benissimo perché non mi è permesso toccarlo. Ci ho pensato parecchio e sono giunto all’unica conclusione possibile. È come la legge del contrappasso nell’inferno dantesco, è talmente scontato che mi sono sorpreso di non esserci arrivato prima: non posso toccarlo perché voglio farlo.
Le persone in generale mi hanno sempre infastidito, le trovavo noiose e non ho mai incontrato nessuno che suscitasse in me l’interesse di scoprire cosa risiedeva sotto la superficie. Nessuno a parte la persona che siede accanto a me in questo momento. E sono pronto a scommettere che la sua anima sia l’unica, in questo luogo, che non riesco nemmeno a sfiorare senza provare un dolore lancinante. Qualcuno potrebbe dire che è una giusta punizione, ma personalmente ritengo che sia la punizione peggiore che potesse capitarmi in sorta.
Una volta ho pensato a cosa sarebbe successo se avessi ucciso l’intera popolazione del pianeta, tranne lui. Saremmo rimasti gli unici al mondo e a me sarebbe bastato così.
Prima che possa impedirglielo, mi afferra per il polsino della camicia e ruota il mio braccio verso l’alto rivolgendo il palmo della mia mano aperta verso di lui. 
Mi osserva chiedendomi implicitamente il permesso di fare qualsiasi cosa abbia in mente, e io annuisco impercettibilmente. Ha il diritto di farmi quello che vuole.
A questo punto avvicina la sua mano aperta alla mia e la appoggia completamente su di essa. Mi preparo psicologicamente alla fitta di dolore che sta per seguire, ma non succede assolutamente nulla.
Sgrano gli occhi osservando le due mani unite, una pallida come un foglio bianco, l’altra di un colore dorato e leggermente olivastro.
Vedendo che non ho nessun tipo di reazione improvvisa, prende la mia mano e se la porta al viso appoggiandola alla guancia, non staccando gli occhi dai miei. Io osservo la scena totalmente in trance, con gli occhi sgranati, incapace di muovermi o parlare.
Com’è possibile?
Sono sconcertato per due motivi principali: il primo è dato dal fatto che riesco a toccarlo senza subire una fulminazione istantanea, il secondo è legato alla sensazione di calore vitale che emana la sua pelle, trasmettendolo e irradiandolo in tutto il mio corpo. Come se avessi ancora nel mio petto un cuore pulsante. I capelli sul retro della mia nuca si rizzano e un brivido mi corre lungo tutta la schiena.
In balia di questa sensazione e senza ragionarci troppo rimuovo la mano dalla sua presa e gli scosto una ciocca di capelli dall’occhio.
In meno di un secondo la sensazione di calore svanisce e al suo posto una scarica di dolore intensa mi attraversa da capo a piedi. Allontano la mano da lui e mi lascio ricadere contro lo schienale della panchina, esasperato.
Chiudo gli occhi tentando di controllare la rabbia.
“Ha funzionato solo finché ero io a muovere la tua mano” dice pensieroso.
Sbuffo. “È insensato”
Ha le sopracciglia corrucciate e nel punto in cui si uniscono gli compare una piccola ruga.
“Niente è insensato qui, forse è una specie di punizione per te”
Non so dire fino a che punto abbia capito il motivo dietro a questa punizione, ma se anche lo capisse non c’è niente che possa cambiare le cose.
“Lascia perdere” dico alzandomi in piedi e iniziando a camminare.
“Dove stai andando?” chiede mentre mi segue.
Non so dove sto andando. In questo maledetto posto non c’è assolutamente niente da fare, se la pace eterna è così allora è di una noia mortale. Forse non riuscirò a purificare la mia anima e diventerò uno Shinigami, anche se da quello che ha detto Ryuk nemmeno nel mondo degli Shinigami ci si diverte particolarmente. Al solo pensiero mi viene quasi da ridere.
Se rivedo Ryuk lo prendo a calci.
Mi ritrovo a fermarmi di fronte alla vetrina di una caffetteria, a guardare il mio riflesso nello specchio. L’ombra maligna è ancora lì e aleggia alle mie spalle nella sua grandezza esagerata. So che è onnipresente ma ogni volta che la vedo in qualche riflesso mi dà una sensazione che descriverei come un misto di nausea ed emicrania.
L è accanto a me che osserva la mia reazione incuriosito. Osservo il suo riflesso nella vetrina.
Indico l’ombra puntando il dito. “Tu la vedi sempre, vero? Anche quando non mi trovo davanti ad uno specchio”
Aspetta un secondo di troppo per rispondere e arriva da solo alla conclusione. “Tu no”
“No, me ne sono accorto una volta per puro caso” sospiro.
“Tempo fa io e Watari abbiamo incontrato Mello in un parco, e anche lui era seguito da questa specie di aura nera. Sia io che Watari abbiamo sentito il forte impulso di allontanarcene, come se fosse qualcosa di maligno che potesse farci del male. Era una sensazione inconscia e imperativa, era strano il fatto che non potevamo ignorarla in alcun modo”
La mia mente lavora veloce. Mello è morto pochi mesi prima di me, quindi non dev’essere passato molto tempo. Ricordo chiaramente il suo nome, Mihael Keehl: sono stato io stesso ad ordinare a Takada di ucciderlo.
Quindi le anime pure sono inconsapevolmente indotte ad evitare le anime inette per non essere contagiate dal loro peccato. Ma poco fa ha detto di aver provato l’impulso opposto, quello di seguirmi. Interessante.
O sta cercando di andare contro la sua stessa natura, oppure..
“Ma non provi la stessa sensazione ora”
“Non direi”
Sorrido. Forse qualche stella è dalla mia parte.
  
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