Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: deathkilledveronica    11/04/2021    0 recensioni
In questo caso c'è ben poco da ascoltare ed Alice lo sa bene. La sordità che l'accompagna l'ha circondata di silenzio, di rumori non sentiti e di parole non recepite. Alice vive nel suo paese delle meraviglie, dove i libri sono la sua casa, le poesie il suo tripudio d'amore.
Anche Marco sa bene che c'è ben poco da ascoltare: conta ogni passo che compie, vive sommerso dai suoi numeri. Nel suo mondo le pietanze non si toccano, tutte le sue camminate iniziano col piede destro ed i sentimenti non sono ingarbugliati tutti nel suo stomaco.
É seguendo il ritmo delle sue emozioni - e non il numero dei suoi passi - che Marco incappa in una coincidenza meravigliosa, casualità fortuita di un destino che non vuole dargli l'ordine che tanto brama: Alice è nascosta fra le fronde degli alberi dove l'unico raggio di sole illumina lei. Lei che non può sentire, lei che non può ascoltare, lei che si nasconde dietro un libro, vivendo dietro al suo silenzio che gli altri danno troppo per scontato.
La poesia non sarà più solo un lontano sogno d'amore: diventerà la chiave fondamentale di una tiepida e dolce corrispondenza epistolare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

coverPrologo

Sono certo che sarebbe stato difficile notarla se non fosse stato per il rosso sgargiante del suo zaino. D'altronde, era l'unica cosa che dal finestrino dell'autobus riuscii a scorgere tra le fronde degli alberi tra cui si nascondeva. Era seduta sull’orlo del marciapiede, con il corpo piegato su sé stesso, come fosse un foglio accartocciato; colsi il suo sguardo concentrato sulle pagine fitte di un libro di cui non riuscii a leggere il titolo. Il viso, seppur coperto in parte da una folta chioma castana fatta di boccoli, era impegnato a lottare fra le emozioni nate dal coinvolgimento della lettura, svelando prima un tiepido sorriso e poco dopo muta tristezza. Non era un giorno come gli altri: era il primo di tanti giorni di scuola del mio ultimo anno da liceale.
 Scesi rapidamente dall'autobus, due brevi scalini mi avrebbero presto separato dall’aria pesante dell’abitacolo. Lontano dall'affollato ingresso, decisi di fumare una sigaretta prima di affacciarmi alle porte dell’inferno. Gli schiamazzi di chi non si vedeva da tutta l'estate, le urla e le risate suscitate da chissà quale racconto estivo lasciavano sulla mia pelle un pesante strato di noia. La mia non era invidia, dopotutto ero io quello che non aveva amici e la cui socialità rasentava il suolo, era terrore nella sua forma più pura. Sentivo in gola la paura che hanno i bambini il loro primissimo giorno di scuola, quello in cui lasciare la mano del proprio genitore richiedeva non solo uno sforzo grandissimo, ma un vero e proprio atto di coraggio. Non ero pronto a questo inizio, a questo nuovo inizio. Era l'inizio della fine: per la prima volta iniziavo solo.
 Ho frequentato quattro anni di liceo al fianco di mio padre, non solo un uomo di lettere, ma addirittura professore della materia stessa all’interno della mia scuola. Quel giorno invece un vuoto stanziava col suo gravoso peso dentro il mio petto, lasciandomi fra le mani vuote l’amara nostalgia di non averlo accanto a me. Non avevo più alcun caposaldo su cui contare in questa selva. Non v’era più nulla a cui potessi realmente aggrapparmi: la mano di mio padre non aveva più le dita intrecciate alle mie e il sordo timore di non farcela rimbombava nelle mie orecchie già stanche.
Esalando l'ultima boccata di fumo dalla mia sigaretta, voltai lo sguardo e fu lì che ebbi dinnanzi agli occhi l’immagine sublime che non mi abbandonò più.
 L’ampio viale alberato che precedeva l'ingresso dell’istituto era pervaso dalla rassicurante ombra donata dal fogliame verde. Le chiome degli alberi, cullate dalla brezza di settembre, si lasciavano andare a dolci fruscii; le loro folte criniere permettevano raramente a qualche raggio di sole di infiltrarsi fra di esse. Percorsi con gli occhi la striscia sottile del marciapiede al margine della strada e vi notai un unico raggio di sole: illuminava lei.

***

 «Cari ragazzi, bentornati dalle vacanze estive. Come ben sapete, questo è il vostro ultimo anno, quello in cui si spera che tutti voi vi diplomiate», la voce della professoressa di matematica divenne presto qualcosa di lontano e soffuso. Quella volta non era il mio deficit dell'attenzione a distrarmi, era tedio, svogliatezza, la mancata forza di volontà per intraprendere i soliti discorsi ipocriti da primo giorno. Dentro me qualcosa mi riportava in continuazione a quel che avevo visto, lasciandomi nelle mani un tremore di cui non seppi liberarmi per tutta la giornata. Alzai la mano: «Posso andare in bagno?»
 «Noto con dispiacere che durante l'estate la sua incontinenza non si è attenuata, signorino Fontana.»
 Non risposi e, fra le risate dei compagni, semplicemente uscii dalla classe. Erano passati solo quaranta minuti dall’inizio della giornata scolastica e io sarei corso via a gambe levate. Appena fuori dall’aula frugai nelle tasche dei miei bermuda sbiaditi alla ricerca di moneta per la macchinetta delle merendine.
 Tre monete fecero capolino sul palmo della mia mano e vista la cifra fui abbastanza soddisfatto: sia la quantità di denaro che la somma del loro valore erano multipli di tre, il che voleva dire che sarebbe stata una giornata pressoché serena per le mie manie. Avevo intenzione di acquistare qualcosa da bere per deglutire le parole che avrei voluto dire a quella vecchia megera ma che, fortunatamente per la mia condotta, trattenni. Essere uscito in tal modo dalla classe non fu comunque una nota di merito, anzi. Mentre sceglievo la mia bibita l’occhio cadde sull’orario: mancavano due ore e quarantasei minuti alla fine di questa debilitante giornata. Centosessantasei minuti della mia vita sprecati. Sorrisi al tempo che avrei consapevolmente perso.
 Tastai ancora l’interno delle mie tasche, trovando il mio unico nettare divino, l’idromele dei mortali: la nicotina. Voltai la testa prima a destra e poi a sinistra, intenzionato a dirigermi alle scale antincendio accanto a me; visto il divieto di fumo e le costose sanzioni, quando vidi il corridoio vuoto sgattaiolai fuori dalla porta finestra lasciandola socchiusa, approfittando di quel momento di libertà. Due carpe diem in una giornata sola erano decisamente un gran record.
 L’aria fresca di settembre scompigliava i miei capelli a spazzola castani e giocava a ricoprire la pelle scoperta del mio corpo con un sottile strato di brividi. Fu sufficiente sedermi su uno degli scalini metallici per lasciar vagare libero il mio sguardo; al di là della ringhiera della scala, oltrepassando poi il cancello d’entrata, vi era ancora un nugolo di studenti.
 Ero ben conscio del perché i miei occhi andassero in cerca di quel luogo preciso, era impossibile per la mia mente ostinata non cercarla e non pormi domande su di Lei. Può sembrare ridicolo, al limite della pazzia, ma nella mia vita fatta di numeri, di calcoli assidui e di controllo maniacale, una visione del genere lasciava il suo segno. Era la prima volta che mi lasciavo cogliere dalla casualità, dalla fortuita coincidenza della vita che mi aveva fatto capitare nel posto giusto al momento giusto. Ero folle, folle di insicurezza e mi aggrappai a quel flebile carpe diem per sopravvivere senza lasciarmi sprofondare. Era una situazione buffa, soprattutto se vissuta nei panni di un ossessivo compulsivo.
 Scrutavo incessantemente l’anfratto d’asfalto su cui la ragazza sedeva circa un’ora prima, ma più provavo a carpire informazioni da quel piccolo pezzo di cemento, meno risposte ottenevo. Cercai la sua ombra, chiesi alle fronde un indizio, ed è vano specificare che non ottenni risposta. Tutto ciò che sapevo era che non mi ero mai accorto di Lei. L’avevo forse vista da qualche parte? Incrociata per caso? Ma dopotutto, come avrei potuto notare chi non vuol farsi vedere? Come avrei fatto a trovarla?
 Un flebile rumore mi scosse dai miei pensieri, un sommesso colpo di tosse mi aveva crudelmente ricondotto alla realtà. Mi riscossi velocemente, nascondendo con un gesto impulsivo la sigaretta, temendo di essere stato scoperto dal personale ATA o da qualche professore. Volsi il mio sguardo verso la direzione da cui era provenuto il colpo di tosse: qualcuno sedeva in fondo alle scale, a pochi gradini di distanza da me.
 Come avevo potuto essere così cieco da non vederla?
 Scorsi un’esalata di fumo e una sigaretta mentolata tra le sue dita. I folti boccoli castani erano una cornice perfetta alla copertina del libro che copriva il suo volto a me ancora sconosciuto. Sorrisi, leggendone il titolo. Che tu sia per me il coltello, David Grossman.
La presi per una sfida.

 

 

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: deathkilledveronica