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Autore: Angelika_Morgenstern    11/04/2021    2 recensioni
Zeno è uno scrittore tradito e abbandonato dalla moglie, alla quale pensa giorno e notte, sprofondato in un modus vivendi che lo porta ad aspettare la morte lontano da tutti, anche dalla sua amata macchina da scrivere.
Finché il mare rigetta quello che sembra il cadavere di una donna.
Quanto ciò influenzerà la sua vita?
Genere: Drammatico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Uomini soli - 
 
L’incubo era finito.
Il mare che aveva mangiato metri di sabbia per tutta la notte, non appena giunta la prima luce del giorno ne aveva risputata in gran quantità, restituendo al mondo un ampio tratto di bagnasciuga.
lei.
L’alba rivelò la sua forma umana vestita di alghe e reti da pesca, la pelle diafana e le labbra cianotiche, gli occhi chiusi. Se ne stava a pancia all’aria, inerme ed esposta a qualsiasi avvenimento della vita, come se fosse pronta ad accoglierla a braccia aperte.
Nonostante il mare l’avesse donata alla terra, lingue d’acqua salata ancora lambivano le sue membra nella tipica carezza marina alla spiaggia, che fu attraversata in breve da zampe canine dirette proprio in direzione della donna.
Quest’ultima non si accorse della lingua ruvida che le lambì le guance, donandole una parvenza di morte agli occhi dell’animale, che guaì triste.
— Nuccio! – una voce maschile fendette l’aria, arrivando alle sveglie orecchie del quadrupede, che si voltò nella sua direzione per poi tornare da dov’era venuto, saltando addosso al padrone, che solo poco dopo adocchiò il corpo.
— Santi numi. – mormorò a se stesso, avvicinandosi correndo per poi rallentare quando si rese conto delle condizioni della donna.
Si domandò se rischiasse qualcosa avvicinandosi, ma alla fine l’umana pietas ebbe il sopravvento sui giustificati timori. Ma non sulla pudicizia, spingendolo a togliersi di dosso la giacca a vento per stenderla sul corpo nudo, abbassandosi poi per capire se respirasse ancora.
Non avvertì alcun soffio d’aria uscirle dalle cavità nasali e non mancò di notare le labbra scure, ma non si diede per vinto.
— Aiuto! – gridò ancora inginocchiato – Aiutatemi! Nino! – chiamò poi, gesticolando verso un conoscente che sopraggiunse in quel mentre.
— Vieni, corri! – lo invitò col braccio. Il signore, un uomo sulla cinquantina con evidenti problemi di peso, arrancò più in fretta che poté verso l’altro con una mano volta a tenere a sé il cappello calcato sulla testa.
— Chi è questa qui? – domandò il nuovo arrivato – ‘Ntonì, che ha combinato?
— L’ho trovata così. – si giustificò il primo, arrossendo un poco.
— Non importa, vada a chiamare le guardie. – lo esortò infine.
Il primo si alzò, portando via il cane che ancora uggiolava mentre il signor Nino rimaneva con la ragazza, afferrandole il viso per voltarlo a destra e a sinistra, cercando tracce di un filo di vita.
— Che strano… – mormorò – Non è affatto gonfia.
Le alzò la giacca per constatare eventuali ferite, rimettendola subito al suo posto, imbarazzato quando si accorse che era nuda.
Il signor Nino era un vero signore e con difficoltà si perdonò tanta leggerezza, sebbene fosse stato un gesto il suo nato in buona fede.
L’uomo si guardò attorno e vide il ragazzo, Antonio, tornare insieme ad altri: Bruno il barbiere, Calogero il carabiniere, Anna la locandiera, Pietro e Lorenzo i pescatori, Martino il cornuto.
Sì, perché a Rivalunga erano rimasti ormai pochi personaggi, orfani della gioventù emigrata verso la grande città, ma il cornuto non si era mosso da lì.
Il Martino era un povero diavolo a cui la promessa sposa aveva portato via tutto: l’amore, la credibilità, i soldi e l’autostima.
Viveva rimpiangendo la donna che l’aveva abbandonato sull’altare, vagava sul lungomare sperando ch’ella tornasse, e fu per quello che si avvicinò a quel corpo inerme, le guance accese dalla vile speranza figlia della sete di vendetta.
La delusione sul volto smunto fu palese, subito notata dal carabiniere, Calogero, giunto da un paesino sperduto del sud sperando in una vita migliore.
Fu fortunato ad essere spedito in un paese di mare, fatto di pescatori e turismo praticamente nullo, esattamente come il la sua terra natia sulle coste siciliane.
Adorava quella pace e quel silenzio.
— Largo, fatemi largo alla legge. – disse per darsi un tono mentre si avvicinava al signor Nino, che non staccò gli occhi da quel viso terreo e silenzioso.
— Respira? – domandò, ma l’altro fece spallucce.
Calogero s’inginocchiò con agilità grazie al fisico dinoccolato, studiando coi suoi occhietti scuri la donna. Il suo petto non si muoveva e sulla mano non avvertì nessun filo d’aria uscirle dal naso.
— Morta, è. – decretò il carabiniere, alzandosi con l’intenzione di spazzare via dai pantaloni scuri la sabbia umida.
— Chiamo il medico. – disse Antonio, alzandosi per dirigersi al telefono pubblico, l’ultimo rimasto nella provincia.
La locandiera si portò le mani smaltate di fresco alla bocca, coprendo il proprio dispiacere che si tramutò in orrore quando il corpo ebbe un fremito.
Quello che tutti pensavano essere un cadavere venne scosso da tremori via via sempre più forti, emettendo poi versi gutturali dalla bocca aperta, che spaventò Martino: vuota, senza denti, nera e profonda come un pozzo.
— Antonio! Antonio! – gridò Calogero, richiamando l’attenzione del ragazzo mentre il signor Nino si tirava indietro, spaventato.
— Ma santi numi, aiutatela! Fate qualcosa! – gridò Anna la locandiera, cercando un appiglio sulla spalla di uno dei pescatori, che decisero di agire.
Avendo ormai una vasta esperienza nel riportare qualcuno in vita da un annegamento, il più giovane dei due si chinò sul corpo inerme, voltandosi poi verso l’altro con la barba bianca
— Pietro, tieni il tempo.
Quello annuì e iniziò a contare mentre il primo le premette ritmicamente le mani sul petto per poi soffiarle aria in gola, ripetendo la manovra tre volte prima di osservarla con occhi spauriti.
Guardò il gruppo alle sue spalle e stava per fare cenno di no col capo, quando un rumore secco catalizzò l’attenzione di tutti: la ragazza aveva emesso un colpo di tosse, e poi più nulla.
Dopo un momento di silenzio, un rantolo rimbombò e il petto della donna venne squassato da altri forti singulti, tanto che i due pescatori la girarono di lato capendo cosa stava accadendo.
Il ventre contratto spinse fuori dalla sua bocca una vasta quantità d’acqua salata che si riversò a terra, tanto che scavò una minuscola fossa nella sabbia.
Nessuno riuscì a dire una parola, finché fu Calogero a preoccuparsi, chinandosi su di lei
— Signorina, va tutto béne?
Quella non lo guardò nemmeno. Si portò una mano alla gola e solo dopo si voltò verso tutti gli altri, che si guardarono titubanti.
— Santo cielo, qualcuno la copra! Non state lì impalati, un po’ di pudore! – strepitò Anna, che a delegare ordini ad altri risultava la migliore, tanto che Martino s’inginocchiò piantandole gli occhi chiari nei suoi con rinnovata speranza, afferrando i lembi della giacca a vento scivolatale sulle ginocchia al fine di coprirle il petto.
— Deve essere vittima di qualche naufragio. – considerò Lorenzo, e Pietro annuì — Magari una nave da crociera…
— E non lo sapessi, secondo voi? Non affondò, garantito che nessuna nave affondò. – li interruppe Calogero, sfoderando una delle sue tipiche sgrammaticate frasi che denotavano la sua scarsa istruzione. Gli altri tornarono a sincerarsi sulle condizioni della ragazza, e a farsi avanti fu proprio la locandiera, che si chinò alla sua altezza.
La sconosciuta si tirò rapidamente indietro facendo forza su mani e piedi, senza però dare l’impressione di volersi alzare dalla sabbia, sconcertando gli altri.
— Non ti faccio niente. – le sorrise la donna, avvicinandole una mano al viso per toglierle dai capelli un’alga, aiuto che la ragazza rifiutò categoricamente con un piccolo schiaffo sulla mano di Anna. Quest’ultima si bloccò, risentita.
— Non ha voglia di farsi aiutare, questa. – disse aspra, rialzandosi.
E aveva ragione al di là dell’apparente risentimento per il rifiuto appena subito: la naufraga osservava tutti con occhi sbarrati, spaventata da chissà cosa.
Il vento le soffiò fra i capelli, smuovendone una ciocca scura ancora bagnata, e solo in quella a qualcuno venne in mente di domandarle come si chiamava, rimanendo però senza risposta: la giovane aveva sentito la domanda, ma non rispose sebbene fosse rimasta con le labbra dischiuse.
Dopo un momento che sembrò interminabile si limitò a fare cenno di no col capo.
— Cosa? Non hai un nome?! – domandò Anna stizzita, che iniziava ad averne abbastanza di quella ragazza che si atteggiava tanto a vittima.
— Magari si è scordata tutto. – azzardò Bruno il barbiere, che fino a quel momento si era limitato ad osservare la scena senza dire una parola, com’era sua abitudine.
— E vabbè, quindi? Qualcosa dobbiamo fare, mica possiamo lasciarla qua, così. – disse Lorenzo, fermandosi poi a riflettere.
In quella un’idea sembrò balenargli nella mente — Portiamola dal Dottore. – azzardò.
— Lo sai che quello sta a lutto. – gli ricordò Pietro, più sensibile di lui.
— Cosa diceste, io devo saperlo perché nelle fuorze dell’oddine entrai, e la situazione devo avercela sotto gli occhi, sempre, capiste? – intimò tutto d’un fiato Calogero, facendo intuire che andava presa una decisione in fretta.
Gli abitanti del posto continuarono a battibeccare per quale momento tra loro, e solo il signor Nino si accorse che la naufraga si era stesa con l’orecchio sul bagnasciuga, gli occhi chiusi e un braccio teso verso il mare.
La mano era aperta, le dita tese e il suo comportamento inquietò l’uomo, che avvertì un brivido attraversargli la schiena.
Speriamo di liberarcene presto.
Sistemata alla sinistra della porta d’ingresso, la finestra dal vetro opaco speculare alla sua gemella sulla destra era da tempo l’unico spiraglio sul mondo, del quale osservava l’evolversi senza nemmeno tanto interesse.
Sfruttava quel pertugio anche durante la notte, quando l’insonnia lo prendeva, costringendolo ad ammirare il mare tentatore, o semplicemente perso nei suoi pensieri.
E quando non se ne stava alla finestra, guardava i suoi libri: volumi sparsi ovunque in maniera disordinata, un po’ il riflesso della sua vita buttata all’aria da un feroce abbandono dal quale non riusciva proprio a riprendersi.
Da quando lei lo aveva lasciato, egli aveva perso molta della sua creatività e non riusciva a capire per quale delle due cose fosse più dispiaciuto.
E ci stava riflettendo anche in quel momento, guardando le nuvole gravide di pioggia.
Sembra che ci sarà un’altra tempesta.
Il bussare alla porta lo stupì, lasciandolo comunque tranquillo.
Chi poteva mai essere? Lui non aveva più ospiti da ricevere.
Non gl’importò del fatto che fosse in pigiama e vestaglia, con la barba incolta e l’aspetto di uno che non dormiva da giorni. Si diresse alla porta, deciso a scacciare l’intruso.
Rimase di sasso quando aprì l’uscio: più di un viso conosciuto spiò con curiosità nella sua tana, tanto da infastidirlo con la loro insistente curiosità.
— Che… che volete? – domandò, spaventandosi.
Era sicuramente l’uomo meno socievole del paese, ma non per questo avrebbero voluto dargli una lezione.
O no?
— Carissimo Zeno. – sorrise Calogero – Mica ci terrai con chistu freddu sulla porta?
— Beh, ehm… casa mia non è presentabile.
— Non lo è mai stata. – ribatté Anna con decisione, spingendo via la porta per fare spazio al resto della combriccola.
Salutando chi più chi meno, fecero tutti il loro ingresso nella casa, stupendosi in maniera variabile di quanto fosse disordinata e mal tenuta: sul lampadario una ragnatela faceva bella mostra di sé, la polvere aveva preso possesso dei mobili, gli abiti sporchi erano accatastati su una sedia all’angolo e i libri giacevano abbandonati ovunque a terra, sul divano, persino sulle altre seggiole della sala da pranzo.
Il padrone di casa non si curò nemmeno di spostarli preso com’era nel tenere d’occhio la marmaglia che si era autoinvitata senza nemmeno presentare uno straccio di motivo, e poi si rese conto che nella massa spiccava una figura mai vista.
Sporca, tremante e remissiva, se ne stava a capo chino stringendo la giacca a vento attorno a sé, non rivelando il volto grazie alla tenda di capelli scivolata in avanti.
Non riuscì nemmeno a domandarsi chi fosse che di nuovo Calogero si fece sentire con la sua voce importante — Manco un caffè ci fai? E che sei padrone di casa?
— La macchinetta è rotta. – si giustificò Zeno senza provare un briciolo d’imbarazzo.
In fondo chi li aveva invitati? Oltretutto si comportavano anche da accattoni.
Entrano, fanno, si siedono, pure il caffè pretendono! Ma vaffan…
— Veramente vogliamo parlarle di una cosa importante. – iniziò il signor Nino, prendendo la parola prima che Calogero potesse di nuovo sottoporre delle quisquilie all’attenzione di Zeno.
Era molto saggio il signor Nino e sapeva che il padrone di casa non avrebbe tollerato ancora per molto quella loro invasione, non dopo ciò che era successo tempo addietro, squassandogli la vita e la mente.
— Stanotte c’è stata una mareggiata…
— Lo so. E quindi? – il tono del Dottore non era affatto amichevole.
— Questa ragazza – il signor Nino indicò la giovane – l’ho trovata stamattina in spiaggia. Non ha abiti, non ha un documento, è sola e traumatizzata.
— E quindi?
— Lei è l’unico che può ospitarla. – giunse al punto l’uomo – Può essere che qualcuno venga a reclamarla.
— Mh. E perché dovrei prendermela in casa proprio io? – il tono dell’uomo era tagliente e il signor Nino si accorse del fremito della naufraga.
— Non essere crudele, Zeno! – strepitò Anna – Non ha niente!
— E allora prendila tu, no? Potrebbe aiutarti come cameriera. Che ne so. Non la paghi, la ospiti e le dai una stanza.
La truppa si rese conto che da quell’orecchio Zeno proprio non voleva sentirci.
Del resto era comprensibile: sua moglie se n’era andata da qualche mese, fuggendo con un altro e senza lasciare più notizia alcuna di sé.
L’uomo era sprofondato nella malinconia e nel pessimismo, si era chiuso in casa con la sua adorata macchina da scrivere, non riceveva più nessuno, usciva solo alle prime luci dell’alba per fare una passeggiata sicuro di non incrociare conoscenti e poi si rintanava a casa tutto il giorno.
Si era chiuso nel suo guscio, ma nessuno lo capiva.
Le donne dicevano che non era davvero innamorato di sua moglie, che altrimenti avrebbe dovuto fare chissà quale pazzia per lei, dimostrare il suo dolore magari anche con qualche sfuriata, partire e andarla a riprendere, anche con la forza, come un vero uomo farebbe, dicevano.
Gli uomini sparlavano della sua stupidità: rimasto solo così giovane avrebbe potuto andare con tutte le donne del mondo. Mica come loro, costretti alla fedeltà per colpa di strade troppo strette e mura troppo sottili per nascondersi.
Ma Zeno non apprezzava la sua fortuna, come la chiamavano gli uomini di Rivalunga.
Aspettava solo che la vita passasse via il prima possibile, troppo codardo per togliersela.
O forse nell’intimo sperava che qualcosa cambiasse, che sua moglie tornasse contrita.
Il signor Nino si alzò con un sospiro — Zeno ha ragione. – disse – Non è in grado di prendersi cura della ragazza. Abbiamo fatto male a venire qui. Ci scusi, Dottore. Andiamo via, si sta guastando il tempo.
Mogi mogi gli autoinvitati uscirono dalla casa, compresa la ragazza che però prima gettò uno sguardo curioso verso la macchina da scrivere dell’uomo, che se ne accorse.
E poi in un attimo tutto l’ambiente tornò come prima: oscuro, silenzioso e polveroso.
L’apatia riprese possesso di Zeno e della sua casa.


 
*** Angolino dell'autrice ***
Ciao a tutti, benvenuti nel primo capitolo della mia storia/omaggio che spero vi piaccia ^^
Cosa ne pensate di questo inizio?
Sarebbe stato più adatto probabilmente ambientare la storia in un paese del sud, ma in quei posti c'è troppo caldo e troppo sole. Da quando ho ascoltato la prima volta questo pezzo (Maria Marea dei Pooh) nel 1992 - ero bambina, avevo otto anni - ho sempre immaginato come cornice un'ambientazione fredda, un mare agitato sotto un cielo carico di pioggia o tempesta.
Non c'era calore, c'era vento, freddo e solitudine nella spiaggia che ho sempre avuto in testa.
Ho deciso di ambientarla dunque in un paese posto un pochino più a nord, in Liguria, una regione che amo davvero molto. Ho avuto modo di ammirarne un pezzetto di costa vicino Genova in pieno inverno grazie a dei parenti ai quali sono tuttora grata, e ho letteralmente adorato quei posti, la città, il paese dove risiedevamo e tutta l'atmosfera, cucina compresa - a cui accennerò più avanti, ma non aspettatevi granché, poca roba.
Il paese che ho inventato si chiama Rivalunga ed è un paese "orizzontale" che rispecchia un pochino l'andamento della regione nella collocazione fisica e geografica: steso su una lingua di terra, affacciato sul mare e sviluppato verso ovest, interrotto bruscamente dalla costiera che cela lo sguardo verso la Francia.
Molta sabbia, molto mare, nessun turista e pochi abitanti.
Mi piaceva questa idea.
Sulla vera entità della nostra naufraga non ho definito nulla. Lascio che sia la vostra fantasia a darle l'etichetta che più vi aggrada.
Un abbraccio, a presto.
- A.

 
   
 
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