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Autore: daffodil_damask    14/04/2021    0 recensioni
Mappa, Daitaro e il silenzio.
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[ periodo Heian ] [ Mappa Douji ] [ Daitaro Boshi ]
| horror | body horror | autolesionismo | circa 2400 parole
Genere: Dark, Horror, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Hao Asakura
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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[musica]

 

 

 

 

Quando Mappa aprì gli occhi, attorno a sé vi era solo il buio e la fioca luce della luna che affiorava dalla carta di riso della porta. Vi era il silenzio più totale.

Silenzio, tranquillità. Da quanto non provava quella quiete mentale? Anni, ormai. Tempo immemore, nonostante fosse ancora solo un ragazzino. Chiuse le palpebre, lasciando che quel silenzio lo avvolgesse, e ascoltò i rumori della natura notturna e del proprio respiro, suono che aveva ormai quasi dimenticato. Rimase così per un tempo che neppure a lui fu molto definito, fino a quando si accorse che qualcosa non andava. C'era, di quella situazione, un nonsoché, una sensazione a cui non riusciva a dare un nome, che gli stava causando non poco fastidio.

Fastidio.

Ma perché? Perché provava un vago sentimento del genere?

Si concentrò sul battito del proprio cuore, che in quel momento percepì più forte che mai, allo stesso modo di un tamburo che sanciva, a ritmo, il passare dei secondi. Si sentì, grazie a ciò, più tranquillo.

Mappa Douji sospirò: che fosse il silenzio il problema? Aveva davvero dimenticato cosa fosse al punto che gli dava così tanto fastidio? La propria mente era ormai abituata a essere piena di voci, pensieri, a volte anche urla. La confusione e il caos regnavano nel cervello di Mappa a tal punto che il ragazzo aveva smesso di farci caso. Eppure, in quel momento non poté fare a meno di pensare che tutta quella calma nella propria testa fosse fuori luogo.

Doveva, doveva esserci almeno un'altra voce che gli rimbombava nel cervello, una voce che non fosse la sua. Ormai arresosi al fatto che non avrebbe preso sonno tanto facilmente, decise di uscire dalla propria camera per guardare le stelle. Da quando era piccolo gli astri lo avevano sempre affascinato e gli avevano sempre trasmesso quella misteriosa inquietudine e desiderio tipici nell'osservare qualcosa di straordinario, forse mostruoso e pericoloso, forse unico e bellissimo. Aprì la porta, ma prima ancora che potesse alzare il viso sentì un brivido gelido scorrergli lungo la schiena.

Ebbe un brutto presentimento.

Si voltò, sia a destra che a sinistra, ma non vide né notò nessuno. Che si fosse sbagliato?

Si avvicinò alla ringhiera del marciapiede, intento a sporgersi appena per osservare la propria immagine riflessa sul piccolo lago del giardino. Quando vide la propria silhouette sull'acqua, illuminata dal bagliore lunare, vi fu una leggera folata di vento.

Un altro brivido gelido.

Mappa Douji allargò lievemente le pupille: no, questa volta era sicuro che qualcosa non andasse. La natura lo stava avvertendo di un pericolo imminente. Chiuse gli occhi, lasciando che la brezza notturna lo accarezzasse: riponeva molta fiducia nella natura, sua amica, e sapeva che lei lo avrebbe guidato. Una foglia gli sfiorò la guancia destra e il ragazzino dai lunghi capelli sollevò le palpebre. La piccola foglia giaceva ai suoi piedi. Si piegò, intento a raccoglierla, ma essa venne trasportata dal vento, lontano da lui, di qualche metro. Fu a quel punto che Mappa comprese: non doveva raccogliere quella piccola foglia, doveva seguirla. Fece qualche passo avanti, la foglia si spostò ancora di qualche metro. Mappa Douji la seguì e percorse quasi tutto il monastero di Tadatomo. Più si avvicinava, più il presentimento si faceva oscuro. Un'ombra nera avvolse il proprio cervello.

oddio vermi che schifo andatevene uscite dalla ferita siete nel mio sangue oddio sono dentro di me aiuto aiutoaiutoaiutoAIUTO

Arrivò davanti a quella che era la sala delle cerimonie e di accoglienza degli ospiti. Dilatò appena le pupille, riconoscendo perfettamente nella testa la voce di quei pensieri. Fece subito scorrere la porta, aprendola quasi di scatto. Quello che vide gli fece morire il fiato in gola.

 

 

C'erano delle sere in cui Daitaro si svegliava di notte fonda e sentiva il bisogno di farsi del male.

Non sapeva né perché né a cosa fosse dovuto, ma semplicemente accadeva. Si alzava dal proprio giaciglio, in una sorta di dormiveglia, poi, come ipnotizzato, si aggirava per il monastero in cerca della prima cosa che trovava in modo da ferirsi. A volte usava della semplice vegetazione, a volte, invece (e ormai accadeva tutte le volte), si posava direttamente una lama sulla pelle. Qualcosa lo spingeva a tagliarsi, a vedere il sangue scorrere sulla propria pelle e cadere sul pavimento. Rimaneva poi, a volte, così per ore, a osservare il sangue che colava dalle proprie ferite fino a quando non si seccava. A quel punto, a volte perdeva conoscenza, a volte ritornava a tagliarsi, altre se ne tornava a letto. Quando Daitaro si svegliava, gli avvenimenti notturni erano solo un vago ricordo.

Nonostante avesse ormai gli arti pieni di tagli, soprattutto le braccia, e spesso fosse quindi costretto a fasciarli, Daitaro aveva sminuito il problema, relegandolo a una semplice condizione di sonnambulismo. Eppure, qualcosa dentro di sé gli diceva che era giusto, che aveva bisogno di farsi del male e che doveva farlo, per qualche motivo. Più le notti passavano, più questo impulso si faceva forte nella propria testa, al punto che ormai arrivava a pensarci persino durante il giorno. Spesso accadeva quando aveva sottomano un coltello, una lama o persino la carta sottile degli shikigami. Li osservava, sentiva l'adrenalina in corpo crescere e la mano tremare, al punto che doveva bloccarsela da solo per non iniziare a ferirsi.

Ultimamente, oltre a tutto questo, stava iniziando a farsi male con le proprie unghie. Si grattava per ore, ore, ore e ore, senza sosta. I luoghi preferenziali erano polsi e collo, dove ormai brucianti segni rossi erano diventati un marchio quotidiano. Se all'inizio neppure Mappa faceva menzione dei suoi pensieri nonostante li sentisse, negli ultimi tempi Daitaro si era ritrovato a parlarne con lui. "Hai qualcosa che non va", aveva detto Mappa. Ma Daitaro aveva negato tutto, scuotendo la testa e liquidando l'argomento con un secco: "Non c'è nulla che non va".

Non era ammissibile che l'apprendista di Tadatomo-sama avesse tali impulsi, era inaccettabile. Lo avrebbe risolto da solo e ce l'avrebbe fatta, in modo da dimostrare il proprio talento e la propria superiorità rispetto a Mappa Douji.

Ma quella sera qualcosa andò storto.

Di nuovo nel suo parziale stato di incoscienza, Daitaro si era diretto verso la prima stanza disponibile: quella delle cerimonie. Lì, come aveva notato poche ore prima, era stato lasciato un coltello dopo la cerimonia di accoglienza di un importante nobile della città, a cui era stato offerto del cibo. A quel punto il coltello era stato dimenticato lì e Daitaro lo aveva notato, anche se non lo aveva messo via pensando che lo avrebbe fatto qualcun altro. Quella notte il coltello era ancora lì.

Il ragazzo si era quindi rimosso delicatamente le fasciature e aveva iniziato a tagliarsi con la lama. Ogni volta che lo faceva provava un sempre più grande senso di leggerezza e libertà, come se in qualche modo stesse nutrendo una sorta di potere sconosciuto. Si riempì entrambi gli avambrecci di tagli, arrivando fino al gomito. Osservò il sangue scorrere come piccoli torrenti cremisi su un'erba dal colore dei petali di ciliegio, quando qualcosa attirò la sua attenzione. C'era, vicino a una delle varie ferite, un piccolo grumo di sangue. Pareva muoversi. Daitaro allungò una mano verso esso e lo prese tra due dita. Si, si muoveva. Si agitava tra i suoi polpastrelli quasi fosse impazzito.

Daitaro allargò appena le pupille. Non era un grumo di sangue. Era un verme.

Abbassò lo sguardo verso le proprie braccia, lentamente. Altri grumi di larve e vermi uscivano dalle ferite insieme al sangue e risalivano sulla sua pelle e sul suo corpo, intenzionati a ritornare dentro.

Daitaro allargò gli occhi, inorridito, spaventato. Iniziò a graffiarsi, ad aprirsi di più i tagli, cercando di tirare fuori quelle larve che si erano annidate dentro il proprio corpo. Bruciavano, le sentiva strisciare nei propri canali sanguigni, mordevano. E nel frattempo Daitaro infilava di più le dita nella propria carne, tirava via i vermi, mentre un prurito allucinante stava gradualmente contaminando tutto il corpo.

oddio vermi che schifo andatevene uscite dalla ferita siete nel mio sangue oddio sono dentro di me aiuto aiutoaiutoaiutoAIUTO

 

 

Mappa Douji vide, davanti a sé, il proprio compagno Daitaro, con le braccia coperte di sangue e gli abiti coperti del medesimo liquido cremisi. Non appena ebbe aperto la porta, il più grande aveva sollevato di scatto la testa verso di lui. Aveva puntato i suoi occhi zaffiro sui propri, neri e caldi, e ora lo osservava confuso, sperduto, terrorizzato.

«Daitaro.» Disse semplicemente Mappa Douji, le pupille dilatate, fisse sulle mani del ragazzo davanti a sé e sulle sue dita.

«Escono vermi,» sussurrò Daitaro, con voce tremante, mentre continuava a graffiarsi le braccia, intento a rimuovere quegli schifosi parassiti. «Cercano... Cercano di tornare nelle ferite. Prude.» Iniziò a grattarsi in modo ossessivo, passando al collo e sporcandoselo a propria volta. «Prude tantissimo.»

Mappa Douji osservò il proprio compagno ferirsi ancora e aprirsi sempre di più quei tagli.  Fece un passo nella stanza.

«Daitaro.» Lo richiamò. «Non c'è nessun verme.»

Daitaro posò lo sguardo su di lui. I suoi pensieri pieni di terrore, confusione e ribrezzo gli stavano facendo scoppiare la testa. «Cosa stai dicendo?» Rispose, piantandosi le unghie in uno dei tagli sul polso.

«È pieno, sono dappertutto. Sono... Sono dentro di me...» Si mise le mani sul viso, sporcandoselo di rosso. «Sono nelle mie vene. Sono nel mio sangue.»

I pensieri di Daitaro penetrarono ancora nella mente del piccolo Mappa, che dovette prendere un respiro prima di continuare. I pensieri dettati dalla paura erano, per lui, i più difficili da sopportare. Quelli di Daitaro di quella sera erano pesanti, pungenti, oscuri. Eppure, Mappa lo percepiva, sentiva che Daitaro stava dicendo la verità, era convinto che ci fossero davvero dei vermi che uscivano dalle proprie ferite. Daitaro li vedeva, nella sua testa, li vedeva sul serio. Per lui erano reali, reali tanto quanto il prurito che sentiva su di sé.

E questo era allarmante. Mappa provò un enorme senso di inquietudine. Cosa gli stava succedendo?

«Daitaro, non sei in te.» Mappa si avvicinò ancora, con cautela. «Smettila di farti del male.»

«Mappa, sono sempre di più,» rispose Daitaro, togliendosi le mani dal viso. «Devo toglierli, devo toglierli, devo toglierli! Schi-Schifosi parassiti...!» Ricominciò a ferirsi e a grattarsi in modo ancora più violento di prima. Non pareva neppure sentire dolore. «Mi fa prurito, mi fa prurito! Basta!» esclamò, mentre il viso gli si contorceva in un'espressione sempre di più orrore.

«Smettila!» Mappa si avventò su di lui e gli fermò i polsi con le mani.

Daitaro si dimenò. «Lascia-»

«Guardami.»

«Smettila, Mappa...» Ansimò Daitaro, con la voce sempre più tremante, «devo...devo...aah...!» Daitaro abbassò lo sguardo.

«Sono marcio. Sono marcio dentro. Ecco perché ho i vermi.»

 

«Daitaro.» Mappa Douji lo richiamò. Il tono era severo, secco, adulto. Un tono che non aveva mai usato con nessuno. «Guardami.»

Quella frase suonò come un ordine. Un brivido percorse tutta la spina dorsale del ragazzo dagli occhi azzurri che, lentamente, puntò i propri occhi in quelli del ragazzo davanti a sé.

«Ora ascoltami,» disse Mappa. «Non ci sono vermi.»

Daitaro socchiuse le labbra e rimase ad osservare gli occhi di Mappa per qualche secondo, forse addirittura minuti. Poi, all'improvviso, batté gli occhi e si riscosse. A Mappa parve di scorgere gli occhi di Daitaro illuminarsi del solito bagliore di sempre, segno che forse aveva riacquistato coscienza.

«Cosa... Mappa?» Mugugnò Daitaro, confuso. Si guardò intorno, disorientato. Sentì un liquido caldo scorrere sulle proprie braccia. Abbassò lo sguardo.

La prima cosa che vide furono le mani di Mappa che gli tenevano bloccati i polsi sanguinanti. Subito dopo, i tagli su tutto il proprio braccio. Poi, la lama a terra. Poi provò bruciore e un dolore insopportabile.

«No, no...Mappa...!» Alzò di nuovo lo sguardo verso di lui e Mappa colse, nei suoi occhi e nei suoi pensieri, tutta la sua disperazione. «L'ho fatto ancora... L'ho fatto di nuovo, non è vero?» Tremò il ragazzo.

Mappa abbassò lo sguardo. Quel gesto disse più di mille parole.

«No... No, perché? Perché ancora? Perché tutto questo sangue? Cos'ho fatto?» Si liberò dalla presa di Mappa e gli mise le mani sulle spalle. «Cos'ho fatto? Che è successo, Mappa?!»

Mappa, lentamente, mise le proprie mani, sporche di sangue, su quelle di Daitaro. Non rispose, si limitò a guardarlo, sopportando tutto il peso dei suoi pensieri e della sua paura.

Daitaro si morse il labbro inferiore e strinse i denti, sentendosi man mano cadere in un abisso sempre più profondo e oscuro. «Hai ragione, Mappa,» sussurrò, «ho qualcosa che non va»

Mappa chiuse gli occhi, lasciò che Daitaro si appoggiasse alla sua spalla e sentì, pian piano, la stoffa dei propri abiti bagnarsi, forse per il sangue del suo viso, forse per le lacrime. Posò una mano sulla schiena del proprio compagno, accarezzandogliela delicatamente, desiderando sapere con tutto sé stesso cosa gli stesse accadendo. Mappa sapeva bene quanto Daitaro non se lo meritasse.

Avrebbe creato un mondo anche per lui, un mondo dove le persone come loro due non avrebbero più sofferto per colpe non loro.

Lo strinse un poco di più a sé e Daitaro lo lasciò fare, come se, improvvisamente, l'invidia che provava verso di lui e la differenza d'età non contassero più nulla. Una parte di sé si sentiva protetta da quell'abbraccio e sapeva che Mappa ne era già al corrente, vista la sua abilità di leggere nel pensiero. Ma quella notte non aveva importanza.

Mappa rimase così, tenendo Daitaro tra le proprie braccia, ascoltando ogni suo pensiero nella propria testa senza scacciarlo. Accolse il suo dolore e la sua paura, lasciò che la sfogasse nella propria testa sapendo che al suo fianco c'era qualcuno che lo accettava veramente per ciò che era, in tutto e per tutto.

Gli sembrò così piccolo.

«A una parte di me...» Sussurrò il più grande, «piace vederti coperto del mio sangue» ammise Daitaro, non più sicuro di essere ancora in sé o in una sorta di dormiveglia. Mappa non rispose, anche se quella frase gli provocò una strana sensazione.

 

Dopo qualche minuto, Mappa si staccò da lui: «Vieni, ti medico le ferite»

«Posso fare da solo»

Mappa non lo ascoltò. Rimase nell'atrio, a fissare un Daitaro che lo guardava dal basso verso l'alto.

«...Non ho speranze contro di te,» ammise il ragazzo dagli occhi azzurri.

Mappa si lasciò sfuggire un leggero sorriso. Daitaro si alzò e, in silenzio, seguì il proprio compagno.

La brezza notturna scompigliò i capelli di entrambi. Il cielo si era rannuvolato. Mappa rabbrividì ed ebbe un altro brutto presentimento.

 

«Sta per arrivare un temporale...?» Chiese Daitaro.

«Uhm?» Lo guardò Mappa. «...Ah.»

La domanda di Daitaro non ricevette risposta.

 

 

 

 

 

 

 

 

beta's notes

Mappa Douji e Daitaro hanno troppo poco spazio nel fandom. That's it. That's the fanfic.

Scherzi a parte, questa oneshot è stata scritta da una persona a me molto cara e per la quale ho felicemente fatto da beta reader. Parte del concept è ispirato a eventi dell'anime Higurashi No Naku Koro Ni, dal quale è anche stata tratta la musica di sottofondo consigliata all'inizio.

Spero sia piaciuta a voi almeno quanto è piaciuta a me!

Un'ultima precisazione, anche se spero superflua: scrivere di temi come l'autolesionismo non vuol dire giustificarli o romanticizzarli, men che meno sostenerli. Né l'autore né io sosteniamo comportamenti del genere.

- daffodil

   
 
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