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Autore: Dalybook04    14/04/2021    0 recensioni
Il vasto impero dei Vargas un tempo si estendeva su metà del globo. L'intero Westeros, da Grande Inverno al mare, era proprietà di un unico uomo.
Romolo Augusto Vargas. Un re che, con le sue forze e la sua intelligenza, era riuscito ad assogettare tutto il mondo conosciuto, ad eccezione giusto della sconfinata Essos.
Un uomo che poi era stato brutalmente ucciso dal suo stesso amante, insieme a tutta la sua famiglia.
Tutta la sua famiglia, tranne due bambini, che furono portati via, lontano, dove neanche il loro nonno grande e forte era riuscito ad avventurarsi.
Ora il maggiore dei due fratelli si ritrovava sulle sue spalle di giovane uomo appena sedicenne il compito di riprendersi ciò che era suo. E per farlo doveva fare dei sacrifici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Lovino aveva solo il suo fratellino e l'amico del nonno che li aveva portati via dalla sua parte, ma per riconquistare il suo regno aveva bisogno di eserciti. Navi. Armi. E ora come ora aveva giusto il suo cognome.
L'unico modo per procurarsi ciò di cui aveva bisogno era un matrimonio. Lì a Essos non si facevano troppi problemi per il genere del consorte del sovrano, lì contavano più la forza, l'onore e stronzate simili. Gli eredi li avrebbero trovati poi, c'erano tanti di quegli orfani che non ci voleva tanto.
Accarezzò la testa della sua cucciola mentre pensava, sul balcone della sua casa, sdraiato comodamente su un triclinio. Oh, giusto, aveva anche loro, la sua cucciola e quella di suo fratello.
La vera arma che aveva permesso a Romolo Augusto Vargas di conquistare tutto, oltre all'esercito ben organizzato e alla sua tenacia, erano loro, in fondo. I lupi. Li chiamavano metalupi, Lovino li chiamava semplicemente famiglia. La lupa di Romolo, chiamata in maniera forse poco fantasiosa Lupa, era enorme, ciecamente fedele e letale per chiunque non stesse simpatica a lei o al suo padrone. Lovino ricordava le sere passate a farsi scaldare dalla sua pelliccia, quando ancora era un bambino, al fianco di suo fratello, mentre la loro mamma raccontava loro delle favole di eroi, guerrieri e principi. Lupa aveva osservato la loro crescita: era lì mentre muovevano i primi passi, mentre dicevano le prime parole, mentre imparavano gli usi di corte. E aveva anche avuto dei cuccioli, poco prima della fine.
Era morta insieme al suo padrone, fedele fino alla fine. Ma i cuccioli erano ancora lì, erano cresciuti e obbedivano solo a loro.
Feliciano, suo fratello, aveva chiamato la sua lupacchiotta Venezia, come la città dove era nato. In onore di suo nonno, Lovino aveva chiamato la sua Roma, come la sua capitale e la città che il nonno aveva sempre amato, fino alla fine. A soli dieci anni, che per la loro specie erano pochissimi, era più grande e forte di qualsiasi lupo normale, con il manto del colore del cioccolato e gli occhi scuri, praticamente neri. Roma scodinzolò e gli si acciambellò affianco, strusciando il muso contro la sua mano. Lovino rise sottovoce e prese a farle i grattini. Non capiva perché le persone avessero paura quando la vedevano, la sua cucciola era dolcissima.
-dobbiamo fare tutti dei sacrifici, Roma- le disse, pettinandole il pelo con le dita -la tua mamma è morta per noi. Anche la mia mamma. E mio nonno. E io voglio onorare la loro memoria- sospirò, cercando di non piangere -in fondo è solo un matrimonio, no? Chissene frega se dovrò concedermi a uno sconosciuto. Le puttane lo fanno di continuo per pochi soldi, io lo sto facendo per un regno. Il nostro regno, capisci? Tutto quello che ci è stato portato via...- appoggiò la fronte contro il suo muso, incontrando i suoi occhi neri. Suo fratello diceva che sembravano degli occhi demoniaci. A Lovino sembravano semplicemente dei pozzi scuri e onesti, leali, che riflettevano quello che vedevano fedelmente -lo vendicherò. Li vendicheremo. Io e te. Ma soprattutto io.
Un'ancella lo raggiunse -meus dominus, il bagno è pronto.
Lovino sospirò, diede un'ultima carezza alla sua cucciola e si alzò, spolverandosi la tunica dai peli di Roma -arrivo.

Il bagno gli distese un po' i nervi, almeno. L'amico di suo nonno che parlava ininterrottamente del matrimonio un po' meno.
-dovrai superare una prova di forza, ma sono sicuro che non sarà niente di complicato. Il tuo vestito è arrivato questa mattina, ed è a dir poco meraviglioso. Appena avrai finito qui, le ancelle ti vestiranno e ti prepareranno al meglio. Devi essere perfetto per...
-com'è lui?- lo interruppe, curioso. Conosceva a mala pena il suo nome. Se proprio doveva dargli il culo, qualche informazione sarebbe stata gradita.
-è grande e forte.
-questo lo sapevo. Ma... dico come persona. Quanti anni ha?
-sei più di te.
Quindi ne aveva ventidue. Pensava fosse più vecchio -va bene. C'è... c'è altro che devo sapere? Sono settimane che mi ripeti come piacergli, ma di lui non so nulla.
-perché come piacergli è l'unica cosa che ti serve sapere- replicò quello, osservando un'ancella che gli insaponava la schiena -e poi, nessuno sa molto di lui. Non l'ho mai visto dal vivo, ma dicono sia molto piacente.
È potente, pensò Lovino. Grazie al cazzo che lo dicono.
-cerca di essere cortese. Devi compiacerlo.
-lo so, non fate altro che ripetermelo. L'ho capito, non sono un coglione.
L'uomo sospirò -va bene, vedo che non sono gradito qui. Ti lascio nelle mani delle ancelle.
Rimasto senza nessuno con cui parlare (le ancelle non erano autorizzate a farlo se non per motivi puramente pratici), Lovino si rivolse alla sua cucciola. Le accarezzò la testolina, bagnandole il pelo, e ridacchiò al suo starnuto infastidito -scusa, Roma. Però anche tu devi essere bella, per "compiacere" il mio sposo. Spero non sia allergico al tuo pelo, o sarà un matrimonio breve.
Dopo un'ora a farsi pulire ogni cazzo di centimetro di pelle dalle ancelle, finalmente Lovino uscì, con le mani completamente raggrinzite. Si lasciò asciugare e indossò la sua veste nuziale: una tunica argentea ricoperta di pizzi pregiatissimi in seta, secondo l'uso locale, lunga fino al ginocchio e senza maniche, stretta in vita da una cintura scura e sottile che, sulla fibbia, riportava il logo della sua famiglia. Al collo tenne l'unico punto su cui era sempre stato inamovibile: un ciondolo d'oro appartenuto a sua madre, l'unico cimelio che aveva portato via dalla sua vecchia vita. Suo fratello ne aveva uno simile, e anche lui non se lo toglieva mai.
Inoltre, notò mentre le ancelle lo vestivano, quello era un capo incredibilmente facile da togliere. Aprivi la cintura, lo tiravi via e lui rimaneva nudo come mamma l'aveva fatto, ed era anche particolarmente aderente. Osservandosi allo specchio, Lovino si vide, per la prima volta, attraente. Quel pezzo di stoffa evidenziava tutte le cose giuste e nascondeva tutte le cose sbagliate. Avevano proprio pensato a tutto per far andar bene quel matrimonio, eh? Se l'avesse visto così, probabilmente quell'uomo lo avrebbe sposato solo per potergli saltare addosso... oppure lo avrebbe fatto e basta. Lovino non era forte o muscoloso, aveva solo la sua cucciola a difenderlo, ma neanche lei avrebbe potuto molto contro un esercito di guerrieri, non così piccola almeno. Per cui, se quello avesse voluto, avrebbe potuto prenderlo lì, sul posto, e poi andarsene, e lui non avrebbe potuto opporsi. Al pensiero sentì un brivido freddo lungo la sua schiena, ma si sforzò di nasconderlo e continuò ad osservarsi davanti allo specchio, accarezzando la stoffa morbida dell'abito. Dopo averlo vestito, le ancelle gli sistemarono i capelli castani in un caschetto ordinato ma anche un po' scarmigliato (a una tribù di guerrieri, troppo ordine non sarebbe piaciuto, no?). Gli sistemarono una corona d'alloro sulla fronte, il simbolo di vittoria che suo nonno tante volte aveva indossato, anche se Lovino non riusciva proprio a capire cosa diavolo avesse vinto. Infine lo truccarono, non in modo esagerato, abbastanza da cancellare le imperfezioni sul suo viso.
Una volta pronto, Lovino chiese di restare qualche minuto da solo. Posò la corona su un tavolo, si diresse sul balcone e si sporse ad osservare il paesaggio che gli era diventato così familiare che, anche senza voltarsi, avrebbe saputo descrivere perfettamente le montagne alle sue spalle. Davanti a lui, invece, c'erano le foreste, la sabbia rossastra e, infine, il mare. Quel mare apparentemente infinito, oltre il quale c'era la sua casa. La casa che gli avevano portato via.
Un rumore lo riportò alla realtà. Una trentina di cavalli stava arrivando, ognuno con a bordo un cavaliere. Giustamente, pensò. Sono una tribù di cavalieri. Basano la loro intera cazzo di vita sui cavalli. Di certo non se la sono fatta a piedi.
Inspirò profondamente e tornò dentro, sarebbero venuti a chiamarlo entro poco. Abbracciò Roma, forte, fregandosene altamente dei peli che avrebbero potuto riempire quell'abito fatto a posta per farlo sposare. La lupa gli leccò la guancia, facendolo sorridere leggermente.
-grazie, Roma- si rimise in piedi e si spolverò il vestito. Inspirò profondamente. Nessuna debolezza, stava andando tra lupi molto meno dolci -ora andiamo, Roma.
Uscito dalla stanza beccò subito suo fratello, che lo stava andando a chiamare. Tra loro due le differenze erano ben poche, tanto che molti li scambiavano per gemelli. Feliciano era un poco più alto, aveva gli occhi castani invece che verdi e i suoi lineamenti erano più affilati, meno morbidi. Caratterialmente poi si somigliavano come il giorno e la notte, ma quello è un altro discorso.
Lui l'avevano vestito in modo completamente diverso. Indossava anche lui una tunica al ginocchio, ma completamente anonima, quasi da bambino. Bianca, notò Lovino, il colore della purezza. Avevano fatto di tutto per farlo sembrare il più infantile possibile, non che, tra l'atteggiamento e il sorriso del ragazzino, ce ne fosse così tanto bisogno. Venezia era al suo fianco, poco più piccola della sorella, ma con i denti più affilati e gli occhi azzurri, oltre che dal pelo leggermente più chiaro.
-sono arrivati!- esclamò, rischiando di cadergli addosso. Aveva corso, e se lo sposo non fosse stato così nervoso lo avrebbe sicuramente rimproverato (gli ripeteva sempre di non correre!). Feliciano fece un passo indietro e lo studiò, stupito -sei... sei stupendo, fratellone!
Lovino roteò gli occhi -non avere quel tono sorpreso- gli strinse la mano -andiamo, deficiente. E comportati bene.
Il ragazzino annuì, ricambiando la stretta per rassicurarlo. Non lo aveva mai visto così nervoso, anche se era bravo a nasconderlo. L'unico sintomo di quell'agitazione era Roma, che lo seguiva sull'attenti, pronta a rispondere a qualsiasi minaccia, come sempre sensibile all'umore del suo padrone.
Di fronte alla porta c'era il loro tutore, che si torceva le mani, agitato. Quando lo vide si illuminò -Lovino! Sei perfetto, le ancelle hanno fatto un lavoro eccellente.
Se non avesse avuto il cuore in gola, Lovino gli avrebbe di certo risposto male.
-sono lì fuori. Devi uscire da solo e raggiungere il tuo sposo.
-e come cazzo dovrei riconoscerlo?
-è l'unico sceso da cavallo, e ha una collana d'oro intorno al collo- rispose quello, impaziente -ora vai. Possibilmente senza la tua, ehm, bestiola.
Lovino annuì e si diresse verso il grande portone, facendo segno a Roma di seguirlo. Andava bene tutto, ma la sua cucciola non gliela toglievano. Davanti al portone esitò un secondo, poi spinse i battenti e finalmente uscì alla luce del sole.

Be', almeno gli avevano detto la verità. Il suo sposo era davvero di bell'aspetto. E tanto anche.
Non ci voleva certo un genio a riconoscerlo. I cavalieri si erano disposti, ancora a cavallo, in due ale laterali, lasciando un corridoio vuoto che partiva dal palazzo e arrivava al loro capo, che, come gli avevano detto, era smontato da cavallo e aveva una collana d'oro intorno al collo, anche se definirla collana era forse un po' sbrigativo. Era una sorta di corona, maestosa ed elaborata, solo che invece di portarla sulla testa la teneva intorno al collo, da tradizione.
Con un groppo in gola, Lovino percorse la navata improvvisata, ignorando gli sguardi famelici dei cavalieri su di lui. Non lo avrebbero toccato, no? Era proprietà del capo, anche se come rassicurazione non era granché per il suo orgoglio.
Incontrò lo sguardo del suo sposo, e si ricordò di tenere la testa alta e la schiena dritta. Non doveva avere paura. Era Lovino Romano della casata Vargas, nipote di Romolo Augusto Vargas, e i Vargas non avevano paura.
Si prese un momento per osservare l'uomo con cui, in teoria, avrebbe dovuto passare il resto della sua vita, tanto non è che avesse altro da guardare.
Aveva gli occhi verdi. Quella fu la prima cosa a stupirlo. In quelle terre baciate dal sole, la maggior parte delle persone aveva gli occhi scuri. Lovino, con i suoi occhi mezzi verdi e mezzi castani, era già considerato una rarità, ma due occhi così... così perfettamente e inequivocabilmente verdi non li vedeva da parecchio. Sorrideva, ma in modo gentile, quasi ingenuo, e quella fu l'altra cosa che a stupirlo. Il ragazzo si era aspettato un ghigno, un sorriso malizioso o soddisfatto, non di certo quell'espressione quasi... rassicurante. Per il resto era in linea con il resto della popolazione: pelle scura baciata dal sole, riccioli scuri, fisico allenato da anni di lotte e ricoperto di cicatrici... ma cavolo, quegli occhi...
Sentì il cuore battere un po' più forte. Poteva andargli peggio, decisamente. Almeno era giovane, si era aspettato un quarantenne bavoso, anche se probabilmente dipendeva dall'aspettativa di vita molto bassa di quella tribù. Il suo vestito... be', forse definirlo vestito era esagerato. Secondo la moda del suo popolo era a petto nudo, l'unica copertura in quella zona era la sua corona, mentre dalla vita in giù era coperto da un paio di pantaloni in cuoio, probabilmente perfetti per la battaglia e per cavalcare, ma per un matrimonio... dovevano decisamente riparlare del suo vestiario.
Quando arrivò davanti a lui, quello gli fece un breve inchino. Lovino ricambiò il gesto, chinando la testa, come gli avevano insegnato. Era un modo per riconoscersi come pari, avevano detto.
Poi quello gli prese la mano e se la portò alle labbra, lasciandoci un piccolo bacio lì dove entro poco ci sarebbe stato l'anello. Tornò a sorridergli -io sono Antonio. Parli la mia lingua?
Il ragazzo annuì -sono Lovino, anche se penso che tu lo sappia già.
Antonio sorrise e fece un altro passo verso di lui, facendolo sobbalzare impercettibilmente. Avvicinò le mani alla sua vita, con una lieve punta di imbarazzo, e indicò il suo cavallo con un cenno del mento -posso...?
Lovino ci mise qualche secondo a capire che voleva aiutarlo a salire sul cavallo. Annuì, avvicinandosi alla bestia. Prima di salire si chinò verso la sua Roma, e si mise a sussurrarle cosa fare nella sua lingua natale.
-stai tranquilla, cucciola. Vai con Feli- indicò con un cenno del mento l'inizio della navata, dove suo fratello osservava la scena nervosamente. Roma gli leccò le mani in segno d'affetto, mostrò i denti ad Antonio e poi obbedì, raggiungendo sua sorella. A quel punto il ragazzo si rimise in piedi e si lasciò sollevare. Le mani di Antonio erano gentili, in qualche modo, quasi timide, e non toccarono altro che il vestito. Galante, per quanto quella situazione potesse esserlo.
Tuttavia, quando Lovino si sedette sull'animale si ritrovò a trattenere una smorfia. Cazzo, quel vestito era buono a tutto tranne che a cavalcare, soprattutto se lo si faceva senza sella. Antonio sembrò notare il suo disappunto, e salì sul suo cavallo con una risatina.
-quell'abito è bellissimo, ma non penso sia molto... pratico- commentò, facendo partire l'animale. Lovino trattenne una rispostaccia.
Di fronte alla porta di quella che per anni era stata la sua casa, vide il suo mentore fargli segno di abbracciare il suo sposo. Si concentrò sulla sua schiena abbronzata per non arrossire, e alla fine si decise a posargli le mani sulla vita.
-posso?- chiese, aggrappandosi a lui. Ne ebbe l'ennesima prova: i cavalli non facevano per lui. Rimpianse la sua Roma, anche se era ancora troppo piccola per essere una cavalcatura affidabile -non... non sono abituato a cavalcare.
-certo- rispose quello, cordiale. Dietro di loro Lovino scorse il resto della tribù seguirli, con suo fratello e il suo mentore in mezzo alla fiumana. Roma e Venezia erano ai lati del corteo, ben lontane dagli zoccoli -ma temo che ti ci dovrai abituare.
Lovino si appoggiò a lui e socchiuse gli occhi, seppellendo il viso contro la sua spalla. Sospirò -mi sa proprio di sì.
Per qualche secondo l'unico rumore fu quello degli zoccoli.
-il posto non è distante- aggiunse quello, tanto per fare conversazione.
-dovrò fare un... una prova di qualche tipo?
Antonio annuì -non ti preoccupare, non è niente che tu non possa superare.
Sbuffò una risata -anche con questo vestito?
Antonio ridacchiò -anche con quel vestito.

La radura era stupenda. Il sole stava tramontando, tingendo il mare dei colori del sangue, e il resto del villaggio si era radunato intorno a un cerchio di terra, lasciando libero giusto un corridoio per farli passare. Antonio si fermò nel mezzo del cerchio, scese da cavallo e poi lo aiutò a scendere. Lovino sentì chiaramente la gente trattenere il fiato, ma non sapeva dire se fosse per la vista delle due lupe o per la vista di lui e suo fratello. Forse per entrambe le cose.
Dopo qualche secondo di bisbigli e caos generale, Antonio prese la parola, e tutti tacquero, cavalli compresi. Lì per lì Lovino lo aveva preso come un semplice ragazzo, anche un po' stupidotto, ma, da come si comportava davanti al resto del mondo, si vedeva che era un leader. Ebbe un brivido. Nonostante stesse parlando in modo che tutti li sentissero, si rivolse a Lovino -mio sole e stelle, per avere la tua mano- seh certo, era la mano che voleva -ti ho portato un dono, che sperò apprezzerai- si girò verso due soldati -portate gli animali.
Animali? Eh?
In pochi minuti, i soldati trascinarono lì una gabbia su delle ruote. E dentro la gabbia...
-se riuscirai a domarli, questi animali saranno tuoi.
Lovino ebbe un brivido. Oh no, quel cretino aveva frainteso tutto!
Dentro la gabbia c'erano una dozzina di metalupi, grandi almeno il doppio, se non il triplo, della sua Roma, tutti con i denti sguainati.
Cazzo cazzo cazzo cazzo. Ma non gli avevano detto niente?!
Suo nonno sapeva ammaestrare quelle bestie. La sua famiglia conosceva l'arte per controllarli. Peccato che fossero stati uccisi tutti prima di poterla insegnare a lui e suo fratello!
Si girò verso Feliciano, nel panico quanto lui. Il mentore era impallidito, ma alzò le spalle, come a dire "non posso farci niente. Arrangiati". Fantastico.
Non c'era una leggenda che diceva che tutti i lupi rispondevano istintivamente ai comandi di chi aveva sangue Vargas? Tanto valeva provare.
Così annuì e raggiunse la gabbia. Le due guardie aprirono la porta il tempo necessario a farlo entrare, poi la chiusero subito. La gabbia era costruita da sbarre di legno molto vicine l'una all'altra, così che dall'esterno fosse possibile guardare all'interno, ma che i buchi per l'aria fossero troppo piccoli per mettere agli animali di fuggire o aggredire qualcuno attraverso le sbarre, che tra l'altro erano coperte di... oh. Di strozzalupo. Ecco perché non avevano ancora distrutto la gabbia. Che bastardi.
I lupi lo circondarono, ringhiando, forse pensando che lui fosse la loro cena, ma non si lasciò intimidire e si guardò intorno. Suo nonno gli aveva accennato qualcosa...
Il capobranco. Doveva individuare il capobranco.
Quella parte non fu difficile. Era il più grosso e quello che lo studiava più attentamente, quello che gli altri guardavano aspettando istruzioni.
Si girò completamente verso di lui e allungò la mano verso il suo muso, come si faceva con i cani. Quello, logicamente, cercò di mordergliela via, ma fu abbastanza veloce da allontanarla prima.
Intravide Roma e Venezia girare furtivamente intorno alla gabbia, ma schioccò la lingua contro il palato per dire loro di allontanarsi. Ci mancava solo che le sue alleate mangiassero dello strozzalupo per sbaglio, ed erano comunque troppo piccole per poter fare qualcosa. E poi, di sicuro nascondersi dietro il suo branco non era il modo migliore per conquistare il loro rispetto.
Il cerchio si strinse. Una goccia di sudore gli corse lungo la tempia, ma si mostrò calmo e cercò di regolare il battito del suo cuore. Che altro aveva detto suo nonno?
Per un istante gli tornò in mente quello che Romolo gli aveva raccomandato tanti anni prima, dandogli tra le sue braccia tozze di bimbo la sua Roma, appena cucciola.
Vedi di farti rispettare, o sarà lei a controllare te. Ricordati, Lovinus: la tua testardaggine è l'arma migliore che hai.
La testardaggine...
E a quel punto fece la cosa più stupida che potesse fare. Guardò negli occhi il capobranco.
Dovete sapere che i cani, così come i lupi, percepiscono questo gesto come una sfida, e così fece quello. Il cerchio si strinse ancora, ma Lovino non distolse lo sguardo. Farlo sarebbe equivalso a dare il consenso a farsi sbranare.
Rimase fermo, a testa alta, con gli occhi fissi in quelli rossi del capobranco, anche quando se lo ritrovò, ringhiante, a un palmo dal suo viso. Aveva un alito di merda, tra parentesi. Che cazzo gli avevano dato da mangiare?
Sono Lovino Romano Vargas, gli comunicò con lo sguardo. Sono io il più forte. Io controllo i lupi, non il contrario.
Restarono così a lungo. Occhi contro occhi, in una gara a chi era più testardo. E Lovino lo era parecchio, perché alla fine fu il lupo che, lentamente, proprio quando il ragazzo si stava preparando a farsi sbranare, chinò la testa e si sedette davanti a lui, imitato da tutto il branco.
Lovino allungò una mano verso di lui, e questa volta non incontro resistenza. A quel punto si concesse un sorriso e prese ad accarezzargli il muso, facendolo scondinzolare. Fuori dalla gabbia scoppiarono in fragorosi applausi.
Il capobranco gli mostrò il fianco, con la pancia a terra, in un chiaro invito. Allora tolse la mano dal suo muso e salì sul suo dorso grigio, e nonostante quello si fosse abbassato notevolmente fece comunque un po' di fatica a salirgli in groppa, ma nessuno sembrò notarlo. Una volta seduto comodamente, il lupo tornò a quattro zampe, sollevandolo ad almeno un metro e mezzo da terra. Lovino trattenne un sorriso soddisfatto. Quella era una cavalcatura comoda, altro che cavalli, tanto più o meno l'altezza era la stessa.
Le guardie aprirono tutta una parete della gabbia per farli passare, e Lovino sogghignò, molto più in alto di tutti gli altri, se non giusto di quelli rimasti a cavallo.
Roma e Venezia raggiunsero il branco, e per una volta Lovino dovette chinarsi per accarezzare la testa della sua cucciola. Il lupo ringhiò alle due cucciole solo per un istante, prima che uno schiocco di dita di Lovino lo zittisse.
Antonio applaudì, e sembrava essere l'unico non a disagio davanti a quegli animali. Persino Feliciano sembrava spaventato, e lui c'era abituato, in fondo Lupa era più o meno grande quanto quei lupi, forse anche un po' di più.
-sono davvero stupito, amore mio. Direi che nessuno qui ha dubbi che tu sia più che degno di regnare al mio fianco- un urlo di approvazione provenne dal suo popolo. Feliciano applaudì, entusiasta. Antonio si avvicinò, allargando le braccia -allora, se non ti dispiace, scendi, e celebriamo la nostra unione.
Lovino sussurrò qualcosa all'orecchio del suo lupo, che si chinò come prima per farlo scendere. C'era una sorta di lingua segreta che tutti i lupi capivano istintivamente, e che i Vargas conoscevano senza doverla imparare, un misto di gesti fisici e versi semplici. Ma, come suo nonno gli aveva insegnato, un conto era dire qualcosa, un conto era farsi obbedire. Anche se parlava la loro lingua, per farsi ascoltare doveva ottenere il loro rispetto, e c'era appena riuscito.
Roma gli leccò la mano, entusiasta, e Lovino le diede un buffetto sulla testa prima di ordinare a tutti, con uno schiocco di lingua chiaro e conciso, di stare a cuccia. Tutti i lupi obbedirono contemporaneamente, facendo salire un verso sorpreso tra le file di pubblico.
Più a suo agio, Lovino raggiunse il suo sposo, che gli prese la mano e lo guidò all'altare.
La cerimonia in sé fu breve, in realtà. Forse per non annoiare il popolo o forse, più probabilmente, per non dargli il tempo di cambiare idea, fatto sta che in pochi minuti Lovino si ritrovò un piccolo cerchietto d'oro all'anulare. Strana la vita, eh? Un attimo sei libero e quello dopo toh, un anello. A dir poco romantico.
Quando arrivò il momento del bacio, a dirla tutta, il suo nuovo marito cercò di essere dolce, per quanto la situazione lo concedesse. Gli posò le mani sui fianchi, delicatamente, senza cercare di toccare oltre. D'altronde erano sposati: aveva tutta la vita per quello, ma Lovino gliene fu grato lo stesso; lo attirò a sé, lentamente, e posò la fronte contro la sua, dandogli qualche secondo per realizzare che stesse succedendo; e poi, finalmente, lo baciò, dolcemente, come se avesse paura di romperlo. Tanto per rendere la scena ancora più da film, Lovino gli gettò le braccia al collo per tirarselo più vicino, anche perché quello era fastidiosamente alto. I suoi capelli erano soffici, il che era strano, visto che... be'... tra i suoi muscoli sodi e le cicatrici, di soffice in lui c'era ben poco. Anche la sua bocca lo era, sapeva leggermente di incenso, per qualche assurdo motivo.
Intorno a loro il pubblico scoppiò in un abbraccio fragoroso, e i lupi si misero a ululare, tanto per festeggiare, facendolo sorridere. Per essere un primo bacio non era male, anche se c'era un po' troppa gente a guardarli per i suoi gusti, ma vabbé. Meglio che baciare un vecchio bavoso che allungava troppo le mani, quello era poco ma sicuro. Almeno Antonio era gentile... stava provando a metterlo a suo agio.
Dopo la cerimonia ci fu una breve cena e poi, alla fine, il momento tanto temuto. La prima notte di nozze.
Mentre seguiva il cavallo di suo marito verso il villaggio, Lovino nascose il viso nel pelo del suo nuovo lupo per non arrossire. Doveva trovargli un nome... uhm... Palermo. Sì, Palermo poteva andare. Gli servivano almeno altri undici nomi. Cominciò a pensare alle alternative, per distrarsi da quello che stava per succedere.
Ma arrivarono, era inevitabile. La folla si disperse, ognuno se ne tornò alla propria tenda. Feliciano e il suo mentore furono portati in una tenda per gli ospiti. Quella del capo, da quello che Lovino aveva imparato, era sempre in una posizione da cui potesse vedere tutti, e dove tutti potessero raggiungerlo. Visto che erano in una zona collinare, era in cima ad un colle, mentre le altre persone erano nella parte più bassa. Le guardie furono le ultime ad allontanarsi, finché non rimasero solo loro due e i lupi. Alla fine anche quel breve tragitto in solitaria finì e raggiunsero la tenda di Antonio che, come c'era da aspettarsi, era la più grande. Lovino scese dal suo lupo e si girò verso di loro, dando le spalle al marito. Disse loro di andare da suo fratello e di tornare la mattina dopo, e quelli obbedirono. Roma gli diede un colpetto affettuoso con il muso prima di andarsene.
E così dovette affrontare quello che più lo aveva spaventato di quella giornata. La notte.
Antonio gli prese la mano, con un sorriso gentile -questa sarà la tua casa. Non è lussuosa quanto una reggia, ma...
-mi piace- lo interruppe, seguendolo all'interno -odio le cose troppo... troppo.
-be', allora qui ti troverai bene- gli si avvicinò di nuovo, come durante il loro bacio, e posò la fronte contro la sua. Gli prese anche l'altra mano, e Lovino trattenne il fiato. Il suo bacio fu lento, dolce, quasi timido. Il ragazzo aggrottò la fronte, ma si appoggiò a lui, schiudendo le labbra come, pensò con ironia, entro poco avrebbe fatto con le gambe. Si aspettava qualcosa di... sì insomma, di più passionale. Si aspettava di venir preso e sbattuto sul letto, di sentire le mani di Antonio superare il suo abito e gettarlo a terra senza ritegno alcuno, di...
E invece no. Antonio semplicemente si allontanò, lo baciò sulla guancia e andò a letto, posando la sua corona sul suo comodino e infilandosi sotto le coperte.
-che cazzo...- lo raggiunse, sedendosi al suo fianco. Gli afferrò la mano -cosa non va?
-no, non è niente- si sforzò di sorridergli -non... non mi va molto, tutto qui.
-ho... ho sbagliato qualcosa? Non sono abbastanza bello?- si morse il labbro, eppure aveva fatto come gli avevano detto...
-se sei... mierda, ma ti sei guardato allo specchio? Sei il ragazzo più bello che abbia mai visto.
Lovino si morse più forte il labbro, pensando.
-avresti... avresti preferito mio fratello?
Suo marito aggrottò la fronte, confuso -no. Perché avrei dovuto?
-è più carino.
-lui è carino. Tu sei bellissimo.
Lovino sbuffò, sentendosi un coglione -è per i vestiti...- mugugnò, chinando la testa. Cazzo, che imbarazzo.
-no, non è per i vestiti- gli accarezzò la guancia -sei più bello e basta. Anche caratterialmente ti preferisco, per quel poco che ho visto.
-e allora cosa non va?
-niente, è che...- sospirò, girandosi verso di lui. Lo baciò sulla fronte -tu non vuoi essere qui. Non mi ami, non mi vuoi. Farlo con te mi darebbe la sensazione di...- fece una smorfia -violentarti, ecco. E non mi va.
Lovino rimase in silenzio per un po', riflettendo sul modo più dolce e amorevole per dargli del coglione. Alla fine rinunciò e rise -sei un coglione. Un coglione dolce, ma un coglione- lo baciò, gli prese la mano e se la portò sul fondoschiena, salendogli in braccio -non hai pensato che forse mi vada di farlo con te?- con un dito gli accarezzò il petto, studiando il profilo degli addominali -sì insomma, sei oggettivamente un gran pezzo di manzo.
-stavi tremando- protestò lui, ma sembrava più un mugolio. Lovino roteò gli occhi, si sistemò meglio su di lui, facendolo gemere, e tornò a baciarlo. Fanculo, si disse. Se questo non si dà una mossa, ci penso io. E, questa volta, Antonio si lasciò andare e fu lui a toccarlo, oltrepassando il tessuto morbido della sua veste. Lovino scese a baciargli il collo, mentre con le mani scendeva ad armeggiare con i suoi pantaloni. Come cazzo si toglievano quei cosi?
-ti voglio- gli sussurrò, gemendo sottovoce nel sentire le sue mani calde prendere sempre più confidenza con il suo corpo.
E, quando si ritrovò con la schiena premuta contro il materasso di paglia, non poté dire di non esserselo aspettato, o meritato. Rise contro la sua bocca che, famelica, si stava prendendo sempre più libertà con la sua, facendolo gemere senza ritegno.
Fanculo l'ansia, si disse. Ora sì che si ragiona.

Buonsalve amici! Oggi si comincia una nuova avventura.
Spieghino per chi non conoscesse il mondo di Game of thrones (che neanch'io conosco così bene, spero di non dire cavolate!): il mondo è diviso in due continenti, Essos (quello più orientaleggiante, dove c'è Lovino, decisamente più barbaro e quant'altro) e Westeros (medievale, in teoria più evoluto)
Ad Essos ci sono varie città indipendenti, tribù che si contendono il potere... è un casino, in breve. Westeros invece è divisa in sette regni, con a capo un singolo re. Ogni regno ha un lord capo (tipo feudi per intenderci) che risponde al re. Le varie famiglie nobili si odiano tra loro ecc ecc. Il regno più a nord è Grande Inverno, sul confine nord c'è la Barriera (protetta da dei guardiani), oltre la quale ci sono estranei e bruti. Gli estranei sono simili a zombie versione Frozen, i Bruti sono umani che vivono in tribù e sono più selvaggi.
Penso sia chiaro(?) ma se ci sono domande chiedete pure (o drogatevi di video del Trono del muori come me)
Spero vi sia piaciuto il capitolo, alla prossima!

   
 
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