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Autore: Spoocky    15/04/2021    1 recensioni
Ambientata idealmente tra "Buon Vento dall'Ovest" e "Verso Mauritius". Al comando della Surprise, Jack Aubrey deve fare dei rilevamenti astronomici la notte dopo una battaglia e ne approfitta per alleviare le sofferenze di un ufficiale ferito.
Ispirata al poema "Night" di William Blake, da cui eredita il titolo, questa storia partecipa all'Easter Advent Calendar del gruppo "Hurt/Comfort Italia - FanArt and Fanfiction.
Genere: Hurt/Comfort, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi ed il poema citato in corsivo appartengono agli aventi diritto e sono usati senza scopo di lucro.

Buona lettura ^^

 
The moon, like a flower,
In heaven's high bower,
With silent delight
Sits and smiles on the night.



La campana suonò otto volte, scandendo l’inizio della seconda comandata, e Jack Aubrey scese dalla branda.
La notte si prospettava limpida, e il lieve rollio sotto i suoi piedi gli fece capire che il mare era calmo ed il vento lieve. La notte perfetta per le osservazioni astronomiche che voleva fare da tanto ma aveva dovuto rimandare continuamente a causa di una fastidiosissima corsara olandese che infestava quelle acque. Il pensiero di averla finalmente catturata e spedita verso la base di Bombay con un equipaggio di preda gli trasmise un senso immenso di sollievo.
Un sentimento che però ebbe vita breve: si spense appena alle sue orecchie giunse un gemito che non aveva nulla a che vedere con i normali cigolii e scricchiolii che animavano le paratie della Surprise.
Era il lamento di un uomo ferito, che arrivò dritto al cuore di Jack, riportandolo alla malinconia del girono successivo alla battaglia. Quello in cui si contavano le vittime, dopo aver celebrato la vittoria.
Quel gemito in particolare ricordò una perdita che pesava molto sul cuore del suo capitano.

Era il secondo tenente Pullings, che giaceva ferito nella sua branda a causa di una raffica di schegge sul ponte di batteria.
Lo aveva avvisato Harrison, il primo tenente, quando Jack si era accorto dell’assenza di Pullings nelle squadre d’arrembaggio. Una cannonata aveva colpito lo scafo e la squadra del secondo tenente era stata investita da una pioggia di schegge. Seppur ferito, il giovane aveva trovato le forze di sparare il colpo che aveva danneggiato il timone della corsara e l’aveva costretta alla resa. Era riuscito a vederlo andare a segno prima di crollare tra le braccia del marinaio Jackson, che lo aveva portato in infermeria.
Harrison era stato assegnato al comando dell’equipaggio di preda e li avrebbe aspettati a Bombay, dove Aubrey sarebbe arrivato con calma dopo aver completato i rilevamenti astronomici ed aver corretto eventuali imprecisioni sulla carta geografica fornita dalla Marina. Quello era lo scopo principale della sua missione, del resto.

Quando terminò di vestirsi, Aubrey aveva preso una decisione definitiva.
Si legò i capelli con un nastro e scese sotto coperta, diretto verso il quadrato.

 
If they see any weeping
That should have been sleeping,
They pour sleep on their head,
And sit down by their bed.



I sottufficiali stavano dormendo ed il terzo tenente Burtch aveva appena iniziato il turno di guardia. Sul quadrato deserto regnava il silenzio assoluto.
Solo da sotto la porta di una cabina sul lato di dritta proveniva uno spiraglio di luce, ed il rumore soffuso di una voce bassa e sottile, che copriva appena il suono di un respiro affannoso.
 Di quando in quando anche dei lamenti soffocati si facevano strada tra gli ansiti e trovavano risposta in sussurri colmi di premura.
Ancor prima di aprire la porta, Aubrey poteva immaginare la scena che si sarebbe trovato davanti: nella branda sospesa delle coperte ruvide avvolgevano il corpo magro di Pullings fino al petto, lasciando scoperta la spalla avvolta da bende macchiate di sangue.
Al suo capezzale, su uno sgabello in equilibrio precario, Stephen sarebbe stato chino su di lui, intento a premergli una pezzuola umida sulla fronte e stringergli un polso tra le dita per contare i battiti.

Jack ebbe bisogno di qualche minuto per trovare il coraggio di bussare.
La porta si schiuse appena ed uno Stephen più scarmigliato del solito vi fece capolino: “Ciao, fratello.” Lo salutò, passandosi una mano sul volto stanco “Non riesci a dormire? Vuoi che ti dia qualcosa?”
“Non preoccuparti: mi sono alzato per fare delle rilevazioni astronomiche. Solo, volevo sapere come sta Tom.”
“Vorrei poterti dire che sta bene.” Maturin s’abbandonò ad un sospiro mentre si gettava un’occhiata alle spalle, un brutto segno “Le sue ferite non sono gravi ma sono molto dolorose, e la febbre non fa che peggiorare il dolore. E’ esausto, ma non riesce a prendere sonno.”
“Può camminare?”
“No, non credo proprio che sia il caso. Perché?”
 


Pullings si sentiva mancare l’aria.
Era abituato a percepire lo spazio angusto della sua cabina, permeato dall’aria greve e leggermente stantia della stiva, come un rifugio sicuro, uno spazio tranquillo e personale in cui ritirarsi a fine giornata, quando ormai gli facevano fin male le ossa per il duro lavoro, e riposare.
In quelle condizioni, tuttavia, con la febbre che gli bruciava dentro e le ferite che pulsavano di un dolore acuto ad ogni respiro, ciò che di norma gli era di conforto diventava un tormento.
Gli occhi erano troppo sensibili anche per la luce fioca della lanterna ad olio appesa al soffitto, ma se li chiudeva l’onnipresente rollio, che di norma lo cullava accompagnandolo nel sonno, gli faceva montare la nausea.
Pur nello stato di prostrazione in cui languiva, era consapevole della presenza del dottore al suo capezzale, ed era mortificato per non essere in grado di ringraziarlo né di rispondere in modo adeguato alle cure che gli prestava.

Fu una visione inaspettata a sollevarlo da quei cupi pensieri.
La vista gli si era appannata e strinse gli occhi per schiarirsela. Quel battito di ciglia gli restituì l’immagine sfocata del capitano Aubrey, chino su di lui.
A fatica gli rivolse un sorriso, che si tramutò subito in una smorfia di dolore per una fitta al petto.
Percepì, più che vederla, la mano del superiore che gli si posava sulla spalla illesa e la stringeva. Si concesse un momento per riprendere fiato prima di chiedere: “Se posso chiedere.” Ansò “Cosa fate qui sotto a quest’ora?”
“Mi sono alzato per i rilevamenti astronomici e ho pensato di venirvi a trovare, Tom. Come state?”
Sul volto stanco del giovane si dipinse un sorriso tirato: “Ho avuto giorni migliori, signore.” Di nuovo, strinse i denti per il dolore “Ma nel complesso non mi posso lamentare.”
Jack gli passò la pezzuola umida sulla fronte, tergendola dal sudore: “Sapete, Tom. Stavo pensando di chiedervi se vi andrebbe di accompagnarmi sul ponte.”
“In circostanze diverse, signore, vi avrei seguito ma… messo così… oh! Oddio!” Strinse le coperte all’altezza del ventre, dove una scheggia gli aveva trafitto il fianco.

Stephen si fece strada nella cabina spingendo l’amico di lato e si chinò sul suo paziente per aiutarlo a sorbire qualcosa da una tazza di peltro.
Alle sue spalle, Jack lo vide cercare di convincere il giovane a bere ancora, ma Pullings scosse il capo. Lo sentì anche bisbigliare qualcosa che non capì.
“Siete sicuro? Non siete costretto a farlo, lo sapete.” Un altro sussurro inintelligibile “D’accordo, allora, come volete. Magari l’aria fresca vi farà bene.”
 


L’atmosfera sul ponte era completamente diversa da quella del quadrato.
Il cielo sereno ospitava una stellata magnifica, per nulla offuscata dal chiarore della luna. Un moto ondoso tranquillo, quasi pigro, scrosciava contro le paratie e faceva oscillare dolcemente la fregata, quasi a cullare il sonno del suo equipaggio.
Il clima caldo della zona era stemperato da una brezza fresca che soffiava da Levante, facendo rumoreggiare le vele e scricchiolare le sartie.
Con un mare così calmo, e senza pericoli in vista, era stato deciso di lasciare in coperta solo gli uomini indispensabili, per permettere a tutti di riposare dopo l’inseguimento sfiancante e l’aspra battaglia. L’ufficiale di guardia passeggiava sul lato sopravvento del cassero e Barrett Bonden fumava la pipa appoggiato al timone, assecondando il movimento naturale della nave, senza forzarne l’andatura.
Gli altri marinai in servizio si erano arrampicati sulle coffe o sul castello di prua.
Un lieve odore di tabacco si mescolava al salmastro del mare mentre le loro voci si perdevano nel profondo della notte. Solo ogni tanto una risata turbava il silenzio.

La quiete della comandata notturna non subì grandi scossoni quando Aubrey emerse dal quadrato trasportando di peso, più che sorreggere, il tenente Pullings, che camminava con evidente fatica, avvolto in una coperta e con il volto sofferente arrossato dalla febbre.
L’ufficiale di guardia, il signor Burtch, salutò il superiore ma non fece commenti. Le pareti sottili del quadrato offrivano una riservatezza solo apparente e, dalla sua cabina, il giovane tenente aveva partecipato quasi in prima persona alle sofferenze del collega.
Aveva sufficiente esperienza in battaglia per sapere che Pullings era ben lontano dall’essere guarito, ma gli fece piacere vedere la cura che il capitano adoperava nei suoi confronti, sorreggendolo con delicatezza nel guidarlo in un cantuccio riparato del cassero dove lo fece sedere in modo che non prendesse freddo.
“Una bella serata, non trovate?” gli sorrise il capitano, vedendolo a disagio.
“Magnifica, signore, davvero magnifica.” Rispose il giovane, rassicurato dal buonumore del superiore, prima di riprendere il suo giro.

Jack seguì con lo sguardo Burtch che s’allontanava, prima di ritornare a dedicare la sua attenzione a Pullings: “Come state, Tom? Avete freddo?” gli chiese, vedendolo rannicchiato nelle coperte.
La voce del tenente era debole, ed il suo volto pallido tradiva il dolore intenso che stava ancora provando, ma serena: “No, signore. Anzi: mi sento meglio. Là sotto cominciava a mancarmi l’aria.”
“Mi fa piacere sentirlo. Non è piacevole stare chiusi sotto coperta con la febbre.”
“Nossignore, non lo è. Ma… se posso?”
“Dite pure, Tom.”
“Non vi serve il telescopio per i rilevamenti?”
“Ah!” Jack si era completamente scordato dello scopo primario di quella veglia notturna, ma non voleva mettere il giovane a disagio e dovette improvvisare “Beh… beh… no. In realtà si tratta solo di osservazioni preliminari, capite? Bisogna prima tracciare una mappa mentale delle costellazioni, assicurarsi di riconoscerle prima di…”proprio quando stava per intrappolarsi da solo nei suoi giri di parole vide con la coda dell’occhio una formazione celeste familiare che parve essersi palesata apposta per soccorrerlo “Ecco, per esempio, quello è Orione. Si riconosce benissimo anche ad occhio nudo, lo vedete?”
“Sì, signore. Quella là in alto è Rigel, giusto?”
“Esatto! Proprio lei.”
“Quella invece dovrebbe essere Sirio, se non sbaglio.”
“Non sbagliate. E’ proprio Sirio, alla testa del Cane Maggiore. Sapete perché si chiama così?”
“Ad essere sincero no, signore.”
“Fa tutto parte del mito di Orione. Secondo gli antichi Greci, Orione era un cacciatore che commise l’errore d’innamorarsi della donna sbagliata, facendone ingelosire un’altra. Quest’altra era talmente gelosa che, pur di scappare da lei, Orione finì addirittura in cielo. Il suo cane Sirio, che non lo trovava più, cominciò a latrare disperato finché gli Dei, presi per sfinimento, non lo posero in cielo accanto al padrone. Da allora gli corre dietro tutte le notti, proprio come faceva in vita.”

Quella non era la trama esatta del mito di Orione ma Jack non ebbe bisogno di arrabattarsi per salvare di nuovo la faccia perché, quando si voltò verso Pullings, lo trovò che dormiva con la testa poggiata sulla sua spalla.
Stando attento a non disturbarlo, Aubrey gli aggiustò addosso la coperta perché non prendesse freddo e si posizionò in modo da sorreggerlo con il proprio corpo.
Il respiro del tenente era un refolo caldo nella frescura notturna, un rimando silenzioso del buon esito della sua improvvisata. Forse non lo aveva aiutato a guarire ma, anche se solo per qualche ora, aveva alleviato un poco le sue sofferenze.
Per quella notte andava bene così.
 
- The End -
  
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