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Autore: _Layel_    15/04/2021    3 recensioni
“Ti ho detto che sono matti.”
Ochaco si voltò di scatto e vide il ragazzo dai capelli viola che fluttuava lì vicino con il suo solito ghigno.
“Non siamo matti, Shinsou-kun!” Piagnucolò Midoriya, pezzi di torta tra i capelli e il braccio alzato per lanciare un cupcake.
“Shinsou!” Urlò Iida. “Sei in ritardo per il tè!”
“Direi che dipende dall’orologio.”
“Sì! Visto?! Lo dicevo io!” Midoriya fece un grande sorriso e il ghigno di Shinsou divenne ancora più felino.
Al che si aprì un altro dibattito sugli orologi, sul tempo e sulle ore. Fortunatamente, questa volta, non c’era più cibo che volava.
Alice nel Paese delle Meraviglie!AU, in cui Tsuyu è una rana bianca, Iida è un fan accanito dell'ora del tè e Bakugou esplode.
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hitoshi Shinso, Izuku Midoriya, Ochako Uraraka
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Ochaco nel Paese delle Meraviglie

 

 

Il giardino di casa stava pian piano perdendo tutte le sue margherite: una ragazza vestita di rosa le stava raccogliendo tutte per fare delle corone di fiori per ogni membro della sua famiglia. 

 

"Uraraka-san, è ora di tornare al lavoro. Inizierai tu a leggere."

 

Ochaco lasciò cadere i fiori con uno sbuffo e andò a sedersi riluttante vicino alla sua insegnante. A volte Yaoyorozu-san poteva essere veramente severa. 

 

Il libro era un qualche classico, scritto con parole incomprensibili e frasi troppo lunghe per essere leggibili. Dopo il primo capitolo, Yaoyorozu-san le disse che avrebbe continuato lei a leggere, risparmiando le orecchie di entrambe da quella tortura. 

 

Ochaco rotolò nell'erba e fissò il cielo azzurro punteggiato di nuvole. 

 

All'improvviso una nuvola le volò sopra a tutta velocità, anche se non c'era vento, e Ochaco si sollevò a sedere di scatto. Quella che le era passata sulla testa non era una nuvola, ma una piccola rana bianca col panciotto. La rana guardava continuamente l'orologio da taschino e gracidava "In ritardo, cra! È tardi!" 

 

Ochaco tornò a coricarsi e a fissare il cielo prima di scattare di nuovo a sedere. Le rane non erano in ritardo. 

 

La ragazza era in piedi prima di essersene accorta, i fili d'erba le si erano appiccicati al vestito e ai capelli. Rincorse la rana bianca per tutto il giardino, urlando "Aspettate!" e "In ritardo per cosa?". La rana non rallentò, non si guardò indietro e non mise via l'orologio. Probabilmente Ochaco riusciva a starle dietro solo perché, avendo solo tre zampe a disposizione, saltava storta. 

 

Il bosco si avvicinava velocemente, gli arbusti e i rami le graffiavano le gambe e le strappavano la gonna rosa. Dopo qualche minuto di inseguimento, la rana scomparve. 

 

Ochaco non fece in tempo a fermarsi e precipitò in un buco nel terreno, molto simile a una tana ma, notò, molto diverso dall'habitat delle rane.

 

Dopo qualche secondo di puro terrore e urla ad ultrasuoni, la ragazza si accorse che non stava propriamente cadendo. Stava fluttuando verso il suolo, come una piuma che viene fatta cadere dalla cima di un albero. 

 

Il buco in cui era caduta era stranamente luminoso e pieno dei più disparati oggetti. Ochaco schivò una cassapanca aggrappandosi a una poltrona viola. Passò un po' di tempo e la sua caduta non finiva né rallentava. Le pareti iniziarono ad essere tappezzate da poster di un uomo con capelli biondi e quelle che sembravano orecchie da coniglio. Nell'aria comparvero diverse, molte, statuette dello stesso uomo e Ochaco dovette fare del suo meglio per evitare che nessuna le entrasse nel vestito. 

 

Lo stupore finì presto e Ochaco iniziò ad annoiarsi. Si sedette su un tavolo e picchiettò le dita sul legno scuro, continuando a guardare in basso per vedere se il suolo, la fine del buco o l’inferno si stessero avvicinando. L’entrata non la vedeva più da un pezzo. Il tavolo si ribaltò e Ochaco si ritrovò a tuffarsi di testa nell’aria. Non avendo nulla di meglio da fare iniziò a nuotare.

 

A un certo punto avvenne un cambiamento scioccante. Nel buco si sentiva la dolce fragranza di biscotti appena sfornati e di torta al cioccolato. Ochaco sussultò e cercò in tutti i cassetti e su tutti gli scaffali i suoi dolci preferiti. Era così presa dal brontolio del suo stomaco che non si accorse del pavimento finché non ci sbatté la faccia contro. 

 

Sbuffò e si alzò in piedi, massaggiandosi la testa. Si trovava in una piccolissima stanza, i suoi capelli quasi spazzavano il soffitto e con due passi l’avrebbe attraversata tutta. In centro c’era un tavolino di vetro con sopra una piccola bottiglietta piena di liquido viola e una chiave minuscola. Ochaco vide la piccolissima porta dietro il tavolino; probabilmente la chiave era la sua. Prese in mano la bottiglietta e lesse l’etichetta Bevimi -Pasticceria e distilleria “Da Sato”, gli ingredienti sono riportati sul retro della confezione. Girò la boccetta e provò a leggere gli ingredienti ma non erano altro che macchie di inchiostro. Le sembrò di leggere Zucchero e trovò completamente ragionevole prendere un sorso. Sapeva di torta al cioccolato. Appena deglutì l’ultima goccia  -aveva bevuto metà bottiglietta- la stanza intorno a lei iniziò a ingrandirsi. Il tavolo si faceva man mano enorme e la bottiglietta troppo pesante da tenere in mano. La testa le girò per un secondo, chiuse gli occhi, e si ritrovò ai piedi del tavolino, beh tavolone. Ora era della misura esatta per passare dalla porta. Girò la maniglia e la porta le disse in tono abbastanza scortese “Sono chiusa!” 

 

“E allora apriti!” Ochaco continuò a girare la maniglia, senza ottenere alcun risultato.

 

“Sono chiusa a chiave, stupida ragazzina!” Sbottò la porta e Ochaco fece un verso offeso. “E smettila che mi fai venire il mal di mare.” La ragazza in rosa girò la maniglia un’ultima volta, per dispetto, e tornò imbronciata verso il tavolino.  

 

La chiave era rimasta sulla superficie di vetro. Tanto in alto che nemmeno cinque Ochaco una sopra l’altra ci sarebbero arrivate. Diede un calcio alla gamba di metallo del tavolo e si sedette appoggiando la schiena contro una scatola di latta. La scatola era gialla e con la scritta in rosso Mangiami -Pasticceria e distilleria “Da Sato”, gli ingredienti sono riportati sul retro della confezione. Ochaco si sollevò sulle punte dei piedi e sbirciò dentro la scatola. C’erano quattro enormi biscotti, tutti la scritta Mangiami sopra. La ragazza si arrampicò con fatica oltre il bordo della scatola e atterrò sulla superficie profumata e sbriciolosa dei biscotti. Ne prese un pezzo grande quasi quanto la sua faccia e lo mangiò con gusto. Si stava giusto spazzolando le briciole dal vestito quando la stanza si rimpicciolì in modo vertiginoso. Non ebbe tempo di pensare “Accidenti,” che già aveva dato una testata al soffitto e pestato tutti i biscotti.

 

Questa volta però, Ochaco sapeva cosa fare. Prese la minuscola bottiglietta e l’ancor più minuscola chiave. Finì la bevanda alla torta al cioccolato e tenne la chiave ben stretta. Un secondo e puff, Ochaco era di nuovo alta quanto una tazzina da tè. La chiave scivolò facilmente nella serratura e finalmente la porta si aprì, seppur con alcune proteste.

 

Il sole l’accecò e per qualche istante dovette chiudere gli occhi per abituarsi alla forte luce. Un misto di “Cra”, “Ritardo!” e “Com’è tardi,” le fece spalancare gli occhi. La rana stava ancora saltellando e aveva ancora l’orologio in mano, ma la cosa bizzarra era che la rana non era una rana. Non più almeno. Era molto simile alle giovani donne che prendevano il tè nel salotto di sua madre.

 

“Scusatemi, perché avete tanta fretta?”

 

La rana non sembrava essersi accorta di lei fino a quel momento e si girò con un salto. “Se avessi il tempo per le chiacchiere non starei qui a correre, cra.” Detto questo riprese a saltellare e Ochaco si affrettò a tenere il passo.

 

“Possiamo conversare mentre andiamo.” Disse Ochaco ragionevolmente. 

 

"Però affrettati."

 

"Qual è il vostro nome? Dove state andando?" 

 

"Tsuyu Asui. Chiamami Tsu. Devo arrivare dal Cappellaio e sono già in ritardo. Cra."

 

"Io sono Ochaco. Trovo che Cappellaio sia un nome molto buffo." Saltò un corto fosso, tenendo la gonna per non farla bagnare. 

 

Tsu disse un breve "Arrivederci," e fece un ampio salto e finì dritta in un fiume. Panciotto e tutto. Ochaco si fermò poco prima di finire con le ginocchia nell'acqua; le sue belle scarpine erano rovinate. Chiamò la rana bianca e nessuna risposta arrivò. "Ma che scortese." Ochaco girò sui tacchi con il naso per aria e tornò sulla strada. 

 

Camminò e camminò. Il giorno sembrò tramutarsi in notte in un battito di ciglia. Con il buio i rami degli alberi sembravano mani scheletriche pronte ad afferrarla. Ochaco arrivò a un bivio e per quanto si sforzasse per capire la direzione giusta non vedeva alcuna differenza tra il sentiero di destra e di sinistra. 

 

"Ti sei persa?" La voce la fece sobbalzare. Non si vedeva nessuno nel raggio di chilometri. Forse, ad aver parlato, era stato un albero.

 

“Dove siete?!”

 

“Io sono dappertutto. Ma tu dove sei?” 

 

Vide comparire, pezzo dopo pezzo, sul ramo dell’albero davanti a lei, un ragazzo dai capelli viola e un ghigno felino. Anche se i gatti non ghignano.

 

“È proprio questo il problema,” rispose Ochaco, “Non ne ho idea. Sapreste dirmi che strada prendere per uscire di qui?”

 

“Dipende da dove vuoi andare.” 

 

“Oh, non è importante-”

 

“Allora non importa che strada prenderai.” Il ghigno del ragazzo era ancora al suo posto.

 

“Vorrei però arrivare da qualche parte!” Rispose Ochaco stizzita. 

 

“Certamente lo farai, basta che continui a camminare.”

 

In effetti aveva ragione. Ora doveva cercare qualcos’altro chiedere al ragazzo. Le stava cominciando a venire una gran sete.

 

“In questa zona vive qualcuno?”

 

“Da quella parte,” e fece un cenno verso destra, “vive il Cappellaio. Da quell’altra parte,” fece un cenno verso sinistra, “vive la Lepre. Non importa molto chi sceglierai, tanto sono entrambi matti.”

 

“Matti? Non voglio andare in mezzo ai matti!”

 

“Oh, qui siamo tutti matti. Tu sei matta, io sono matto. Non puoi farci niente.”

 

Ochaco stava per ribattere che lei non era assolutamente matta, ma poi si ricordò della rana bianca e decise di prendere il sentiero di destra.

 

“Beh, arrivederci.” Disse in tono sicuro e il ragazzo la salutò mentre tutto il suo corpo scompariva, eccetto la bocca che ancora stava ghignando. Curioso, più ci ripensava e più le sembrava di aver appena conversato con un gatto.

 

Man mano che l’erba si faceva più verde anche il sole splendeva più in alto del cielo, alzandosi da ovest, come se si fosse accorto di essere sceso troppo presto e ora stesse risalendo in fretta per riprendere la posizione corretta. Ochaco raggiunse una piccola casetta con un lungo tavolo imbandito nel giardino e tre persone sedute alle varie estremità.

 

Nel momento in cui si avvicinò, Tsu, la rana bianca, saltellò fuori dal nulla e andò a prendere posto di fronte a un alto ragazzo con un buffo cappello in testa. Il ragazzo col cappello, il Cappellaio?, si alzò di scatto e iniziò a dimenare le braccia come un matto. 

 

“Sei in ritardo! Puntualità! L’ora del tè è passata da ormai...” Tirò fuori un orologio dalla teiera che aveva davanti, “...da ormai quasi troppo!” Detto questo gettò via l’orologio, che atterrò ai piedi di Ochaco. Le lancette, per quanto provassero, non riuscivano a lasciare le cinque in punto.

 

“Iida, per essere tardi, avrebbe dovuto anche essere presto, e presto sicuramente non l’è stata, quindi, per certo, non è neanche tardi.” Il ragazzo alla sinistra di Iida annuì solennemente e riprese a versare il tè in una tazzina rotta. Il colore dei suoi capelli lo faceva assomigliare molto alle zollette di zucchero bianche e rosse che erano sparse per tutto il tavolo.

 

“Uhm, mi sa che Todoroki-kun ha ragione. Nel senso, non sarebbe potuta arrivare prima di quanto è arrivata… credo che sia in orario secondo il suo orologio. Sempre che il suo orologio non sia in ritardo, a me capita molto spesso, convincerli a tornare in orario richiede sempre troppa pazienza. Le lancette sono proprio testarde quando ci si mettono. Perché non usiamo un modo diverso...” Il quarto commensale continuò il suo discorso balbettato, le orecchie da lepre che gli spuntavano dai riccioli verdi si muovevano tanto velocemente quanto le parole che gli uscivano dalla bocca.

 

“Izuku-chan.” La Lepre verde chiuse la bocca di scatto e abbassò le orecchie. “Iida ha ragione, ero in ritardo. Guarda il mio orologio funziona benissimo.” Prima che l’altro potesse vedere il quadrante, Tsuyu saltò in piedi sulla sedia, urlò, “Sono in ritardo, cra!” e se ne andò tanto velocemente che se Ochaco si fosse distratta per un secondo l’avrebbe persa.

 

“Posto libero! Non ci può essere un posto libero! In tre non si può bere il tè!” Iida stava di nuovo agitando le braccia e Izuku annuiva convinto. 

 

“Potremmo invitarla.” Disse Todoroki ad un tratto. 

 

“Chi, Todoroki-kun?”

 

“Quella dietro all’albero di pesco. Penso voglia un tè. Se fossi in lei vorrei un tè. Anche se ovviamente non sono lei e un tè già ce l’ho.” Detto ciò sollevò la tazzina rotta come prova.

 

Gli altri due si voltarono verso di lei e Iida le fece ampi gesti che dovevano essere un invito a sedersi. "Prendi posto! Prendi posto! E versati un tè!" 

 

Ochaco non aveva altra scelta se non quella di sedersi sull’unica sedia libera. Prese la teiera che Izuku le stava offrendo con un sorriso e cercò di riempirsi la tazza, la teiera però era piena di cotone. 

 

“Benvenuta! Come ti chiami? Io sono Midoriya Izuku, è un grande piacere averti qui con noi. Non è un grande piacere Todoroki-kun?” La Lepre continuò a spostare lo sguardo tra lei e il ragazzo-caramella finché Todoroki non annuì con aria solenne e Ochaco si presentò. “Sono Ochaco Uraraka, il piacere è tutto mio. Potrei chiedere cosa state facendo?” Anche se aveva già una mezza idea.

 

“Il tè! È l‘ora del tè. Guarda come ticchetta verso le cinque!” Iida tirò fuori un altro orologio da sotto il cappello e Ochaco poteva giurare che non avesse nemmeno le lancette.

 

Gli altri due annuirono, uno sorridente e l’altro molto serio, prima che Izuku le lanciasse un intero piatto di biscotti. Per poco non le arrivò in testa. 

 

“Oh no, oh no! Perdonami non ne avevo proprio intenzione. È che il mio braccio è più leggero di quanto ricordassi. E pensa che lo vedo tutti i giorni.” La Lepre aprì e chiuse la mano per dimostrare che quello era proprio il suo braccio. “Come mai sei qui Ochaco?” Le chiese dopo un po’.

 

“Dipende da come definite qui. Se con qui, intendete a questo tavolo, la mia risposta è un gatto. Se con qui, intendete in questo paese, incolperei un buco.” 

 

“Oh, il buco,” Todoroki stava guardando un punto sopra la sua testa, come se stesse ricordando una lontana memoria. “È proprio un buco. Pieno di cose, vero? Midoriya lo usa come sgabuzzino. Però è un buco, non uno sgabuzzino. Di solito gli dico di non farlo.” Fece una piccola pausa e abbassò la voce. “Altre volte però lo incoraggio, ha troppe foto di suo padre in casa.”

 

“All Might non è mio padre, Todoroki-kun! È solo… l-lui è solo… nel senso… è che lo ammiro! E potrei aver finito i muri della casa su cui appendere i poster… ma tanto quel buco è quasi sempre vuoto, non vedo perché non possa metterci un po’ delle mie cose! Devo pur metterle da qualche parte, sai che se la Regina le vedesse finirebbero tutti distrutti e sono molto rari non possono essere distrutti in quel modo…” Midoriya andò avanti per un altro po’, per poi essere interrotto da Iida che sottolineava a gran voce l’importanza dell’ordine, con Todoroki che faceva commenti occasionali. Midoriya tra un monologo e l’altro mangiava biscotti e mentre ne prendeva uno dal vassoio questo volò addosso a Todoroki. Lui, ovviamente, lo lanciò indietro. E così andarono avanti, con Iida che agitava le braccia e lanciava tazzine da tè mentre urlava quanto la pulizia fosse importante.

 

“Ti ho detto che sono matti.”

 

Ochaco si voltò di scatto e vide il ragazzo dai capelli viola che fluttuava lì vicino con il suo solito ghigno. 

 

“Non siamo matti, Shinsou-kun!” Piagnucolò Midoriya, pezzi di torta tra i capelli e il braccio alzato per lanciare un cupcake. 

 

“Shinsou!” Urlò Iida. “Sei in ritardo per il tè!” 

 

“Direi che dipende dall’orologio.”

 

“Sì! Visto?! Lo dicevo io!” Midoriya fece un grande sorriso e il ghigno di Shinsou divenne ancora più felino. 

 

Al che si aprì un altro dibattito sugli orologi, sul tempo e sulle ore. Fortunatamente, questa volta, non c’era più cibo che volava.

 

“Perché siete qui?” Ochaco era abbastanza confusa sul motivo che avesse spinto il Gatto a tornare.

 

“Potrei essere da un’altra parte.” Concordò Shinsou, coricandosi nell’aria e guardandola a testa in giù.

 

“Sì ma non lo siete.” 

 

“Oh, magari lo sono.” Il ghigno di Shinsou sembrava che partisse da un orecchio e finisse dall’altro. “Midoriya, la Regina vuole vederti.” Le orecchie di Midoriya si abbassarono. “Io?” 

 

“Ha parlato di una Lepre e tu sei l’unica lepre che conosciamo entrambi.”

 

Midoriya annuì e per la prima volta non sorrideva, ma era molto serio. “Midoriya ti accompagnerei, ma! Non abbiamo ancora finito il tè!” Todoroki annuì, in accordo con le parole di Iida e Midoriya non sembrò sorpreso.

 

“Potrei accompagnarvi io.” Almeno Ochaco avrebbe lasciato quel tavolo. Un matto è sempre meglio di tre.

 

“Oh, sicuro!” Izuku tornò a sorridere, le orecchie di nuovo alte e si alzò subito. 

 

Camminarono per un po’, non tanto e non poco, il giusto, quando raggiunsero un’altissima foresta di fiori. Quelli erano sicuramente i tulipani più alti che avesse mai visto. E anche i più rumorosi. Non aveva mai sentito dei fiori chiacchierare così tanto. Erano anche molto scortesi, continuando a fare commenti su di lei e Midoriya. Più volte era stata sul punto di ribattere, ma Midoriya l’aveva sempre fermata prima che potesse litigare con le aiuole.

 

“Non avrei mai pensato che aveste una regina.” Disse Ochaco mentre passavano per la zona più buia che avesse mai visto. Il sentiero su cui camminavano era l’unico punto di luce. Tutta quell’oscurità la spaventava e parlare l’avrebbe aiutata a calmarsi un po’.

 

“Oh nemmeno noi.” Rispose Midoriya allegramente. “Non ricordo bene com’è successo. Però direi che il nome di Regina gli si addice. Sai è una mia personale conoscenza, ma non credo dovreste personalmente conoscerlo.” 

 

“Capisco… Lavorate al palazzo?” Ochaco era molto curiosa di sapere perché una regina potesse aver bisogno della Lepre.

 

“I-io? Oh, no, no! Mi sta solo chiamando per una partita.”

 

“Una partita di cosa?” Com’è che ora era così difficile cavargli le parole di bocca? Prima non stava zitto un secondo.

 

“Questa è veramente una domanda importante. A cosa potremmo giocare? Presumo che la lotta sia il gioco più quotato, anche se la gara di urla è molto in voga in questo periodo. Che questa sia la volta del lancio del peso? L’ultima volta li abbiamo persi tutti e non abbiamo più giocato d’allora. Trovare elefanti abbastanza piccoli da essere lanciati è molto difficile, sai? Quasi tutti crescono a misura naturale. Oppure una gara di bevute! Io parto in svantaggio però, ho già bevuto quasi due teiere di tè…”

 

Ochaco non provò nemmeno a interromperlo, sapeva che non ci sarebbe riuscita e in un certo senso il blaterare di Midoriya la tranquillizzava. 

 

Arrivarono in un ampio giardino circondato da mura bianche e rosse, con un grande castello nero e arancio e rosso che svettava fin oltre le nuvole. Nel giardino c’erano moltissime aiuole e altissime siepi, tutte piene di rose rosse e arancioni, i colori più splendenti che Ochaco avesse mai visto. Da dietro a un grande cespuglio arrivarono voci che avrebbero dovuto essere sussurri ma erano praticamente urla.

 

“Più in alto!”

 

“Amico, più in alto di così non riesco a andare.”

 

“Posso arrampicarmi io!” 

 

“Ci farai cadere, stai lontana.”

 

“Eddai voglio aiutarvi!!”

 

Midoriya e Ochaco aggirarono il cespuglio e si trovarono davanti due ragazzi, uno sulle spalle dell’altro, e una ragazza rosa che teneva in alto un barattolo di vernice. Quello più in alto, che aveva i capelli biondi, stava cercando di raggiungere una rosa bianca con il pennello pieno di vernice arancio. Quello in basso, che aveva i capelli neri, stava dipingendo un fiore di rosso e tenendo in equilibrio il biondo.

 

“Cosa state facendo?” 

 

Alla domanda di Ochaco tutti si girarono in fretta verso di lei, il ragazzo biondo perse la presa e finì con un piede nel barattolo di vernice, facendo cadere gli altri due ragazzi e ricoprendoli di vernice arancione. 

 

Il ragazzo biondo si tolse il colore dalla faccia. “Amica! Non puoi apparire alle spalle in questo modo!” 

 

“Hey, Midoriya!” Salutò la ragazza rosa.

 

“Beh, sempre meglio loro che la Regina non ti pare Kaminari?” Il ragazzo moro stava parlando con il tale Kaminari, che in risposta annuì con convinzione.

 

“Ciao, Mina! Sono qui per vedere la Regina! Oh, lei è Ochaco, ha preso un tè con noi.”

 

"Piacere di conoscervi e scusate per lo spavento." Ochaco fece un piccolo cenno con la testa. 

 

"Piacere nostro!" Risposero in coro, mentre si alzavano e riprendevano a dipingere i fiori. Ora, invece del pennello, usavano le mani. 

 

"Cosa state facendo?" Si ripeté dopo qualche minuto, visto che nessuno sembrava intenzionato a darle spiegazioni.

 

"Beh, dovevamo piantare rose rosse-" 

 

"- e arancio!" 

 

"Ma per sbaglio abbiamo piantato rose bianche." 

 

"Con abbiamo, Kaminari intende dire che ha piantato rose bianche." 

 

"Comunque, la Regina le odia quindi le stiamo pitturando."

 

"Stanno venendo veramente carine! Dobbiamo muoverci però, non vogliamo perdere la testa." Concluse Mina e Ochaco si ritrovò ad offrire di aiutare quei poveri giardinieri. Prese il pennello rosso e iniziò a dipingere i fiori, petalo dopo petalo. Le chiacchiere e le risate dei giardinieri e di Midoriya le tennero compagnia e il tempo passò in fretta. 

 

"OI, DEKU!" 

 

Tutti sobbalzarono all’urlo e i giardinieri provarono a coprire il cespuglio al meglio.

 

“Dove cazzo sei?!”

 

Dal terrore che tutti sembravano avere, questa doveva essere la Regina. 

 

Un ragazzo non molto più alto di lei girò l’angolo. Aveva un voluminoso vestito arancione e nero, tutto strappato e sporco all’orlo. Un’appuntita corona era appoggiata sugli altrettanto appuntiti capelli biondi e il viso era contorto nell’espressione più rabbiosa che Ochaco avesse mai visto.

 

“Uhm, c-ciao Kacchan.” Midoriya chinò leggermente il capo. “Siamo arrivati giusto adesso. Lasciami presentare la mia compagna: lei è-”

 

“Che cazzo avete fatto alle rose?!”

 

“Bakugou, amico! Volevamo dargli un tocco più, ehm…”

 

“...acceso! I colori accesi vanno di moda in questa stagione.”

 

“Molto, molto di moda,” Il ragazzo moro, che Midoriya aveva chiamato Sero, si girò verso Ochaco e indicò il pennello che aveva in mano. “Comunque è stata tutta una sua idea.” Ochaco cercò di dire qualcosa, lei non aveva fatto nulla di male, insomma. Ma la Regina la fermò prima che potesse aprire bocca.

 

“Che ci fai sul mio prato Faccia Tonda?”

 

Faccia Tonda? Ochaco si sentiva quasi più insultata dal soprannome che dall’accusa di sabotaggio delle rose reali. “Il mio nome è-”

 

“Non me ne frega niente. Che cazzo ci fai sul mio prato?”

 

Ochaco gonfiò le guance. “Siete veramente molto scortese. Non ho intenzione di ascoltarvi per un minuto di più.” Detto questo si girò sui tacchi e fece per andarsene, ignorando i sussulti degli altri. Sentì una forte esplosione dietro di lei. 

 

“MUORI!”

 

Prima che una furiosa regina la potesse incenerire, qualcuno si frappose tra loro, bloccando monarca e esplosione. Un ragazzo dai capelli rossi teneva stretto la Regina, le sue braccia erano molto appuntite, come una parete di roccia, e sembravano anche molto resistenti. La Regina continuava a farlo esplodere e a inveirgli contro ma il ragazzo non si spostava di un millimetro. “Scusate, stavo parlando con Tsuyu e ho perso la concezione del tempo. Tesoro, non dovevi sfidare Midoriya oggi?” 

 

“Dovevo, ma il coniglio non si è presentato. Troppa paura di affrontarmi, eh Deku?” Sarebbe probabilmente suonato più aggressivo se il Re non lo avesse tenuto in braccio come un bambino in punizione.

 

“N-no. No. Eravamo solo in ritardo, ecco tutto. Uhm, quale gioco volevi fare Kacchan?”

 

La Regina venne rilasciata dalla sua prigionia e camminò con passi pesanti verso Midoriya, intimandogli di seguirlo mentre gli spiegava tra le imprecazioni cosa avrebbero fatto quel giorno. Sembrava un gioco molto simile al croquet. 

 

“Vi ringrazio molto,” Ochaco fece un inchino, “Sono Ochaco Uraraka.”

 

“Benvenuta!” Il Re le mise una mano sulla spalla e le rivolse un sorriso che Ochaco si ritrovò a ricambiare. “Kirishima Eijiro. Perdona lo spettacolo di prima, a volte è un po’... intenso.” Fece una risatina di scuse e Ochaco si ritrovò a dirgli che non era veramente un problema, anche se era stato un vero problema. 

 

Il Re si mise poi a parlare con i giardinieri, chiedendo delle rose e trovando la loro idea di dipingerle fichissima. Li convinse a fare allo stesso modo tutti i fiori del palazzo, offrendosi persino di aiutare. Passarono il resto del pomeriggio, o della mattina, Ochaco non ne era molto sicura a chiacchierare amabilmente seduti sul prato. Ogni tanto in lontananza si sentivano urla e esplosioni ma nessuno sembrava farci caso, quindi anche Ochaco li ignorò. 

 

Li ignorò finché non vide Midoriya sfrecciarle accanto e gridare: “Sta per esplodere!”

 

“Come sta per esplodere?” Ochaco gli gridò in risposta, trattenendolo per un braccio.

 

“Ho vinto,” Un fortissimo MUORI si sentì a poca distanza da loro. “CORRI.”

 

Così Ochaco si mise a correre insieme a tutti gli altri. I giardinieri e il Re, la Lepre e la rana bianca, il Cappellaio e il ragazzo-caramella. Tutti correvano e Ochaco sentiva le grida diventare sempre più forti, sempre più forti, finché-

 

“Uraraka-san, non è per nulla educato.”

 

Ochaco aprì gli occhi. Il cielo era azzurro sulla sua testa, la luce del sole era oscurata dall’ombra della sua insegnate. La ragazza si mise a sedere. Era stato solo un sogno. 

 

Passò il resto del pomeriggio a togliersi della pittura arancio dalle unghie, chiedendosi com’era finita lì. 

 

 

Note:

Non ho la più pallida idea a quale versione della storia mi sono ispirata. La fonte principale è il libro di Lewis Carroll, c’è in mezzo un po’ di Disney e tanta tanta pazzia. Ehm, fantasia. 

Se vi è piaciuta lasciate una piccola recensione! Anche una grande non mi offendo ;)

   
 
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