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Autore: Yoshiko    16/04/2021    3 recensioni
"Il furgone gli era addosso, il paraurti quasi sfiorava la ruota posteriore della bicicletta. Si toccarono, Amy urlò. Julian perse il controllo, la bicicletta ondeggiò. La ruota anteriore oltrepassò il canalino di scolo e si addentrò nell’erba. Precipitarono lungo il declivio. Amy gridò ancora, poi l’acqua della risaia frenò la loro corsa in modo così brusco che la bicicletta si capovolse. Lei e Julian finirono nel fango, tra le rane e i germogli di riso." Un capitombolo, un'aggressione, un temporale, un tentativo di salvataggio mal riuscito e altre improbabili avventure accompagneranno i protagonisti della storia in situazioni sempre più assurde e inaspettate.
Genere: Avventura, Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark, Tsubasa Ozora/Holly
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Virtual Story'
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Spingendo il carrello pieno di buste, raggiunse la macchina e aprì il bagagliaio per caricare la spesa. Il sole era tramontato e i commessi avevano cominciato ad abbassare le saracinesche del supermercato già mentre lei era in fila alla cassa. Il responsabile del turno serale stava ultimando i conteggi e la chiusura. Sul piazzale erano rimaste pochissime vetture, gli ultimi clienti depositavano gli acquisti nel bagagliaio e a poco a poco lasciavano il grande parcheggio.
-Peter, vai a rimettere a posto il carrello?-
Il bimbetto annuì. Finì di ordinare con meticolosa precisione i giocattoli che la mamma gli aveva comprato e si aggrappò al carrello. Era molto più alto di lui ma Peter si divertiva un mondo a riportarlo a posto. Si dava la spinta puntando a terra i piedini, si aggrappava alla barra e si lasciava trasportare, mentre le ruote giravano a casaccio, prendendo sempre la direzione opposta a quella in cui doveva andare. Così ci metteva un tempo infinito e alla fine sua madre era costretta ad andarlo a recuperare.
Sollevò la figlia dal seggiolino e si strinse al petto quel frugoletto di un anno e mezzo. Joy emise un gridolino entusiasta e lei indugiò a spupazzarla. Sentiva Peter che, alle sue spalle, guidava il carrello verso il punto di raccolta imitando con cupi borbottii il rumore del motore di una macchina. Il parcheggio era ormai vuoto, non correva nessun pericolo e lei lo lasciò giocare.
I lampioni del piazzale si accesero mentre apriva la portiera posteriore. Posò la borsa sul sedile e tenendo Joy stretta a sé, scostò peluche e cuscini che l’irrequietezza di Peter aveva fatto finire dappertutto. Udiva poco distanti il suo borbottio e le sue risate. La sua allegria e la sua voglia di giocare erano inesauribili. Si volse a cercarlo, lo vide infilare il carrello negli altri. Allora si chinò per sistemare la bimba sul seggiolino. Joy si lasciò solleticare il pancino e rise, scaldandole il cuore con i suoi gorgoglii infantili. Era bellissima quando rideva, le fossette spuntavano sulle guance piene e profumate di latte.
-Mammi!-
L’urgenza del grido la fece scattare. Si tirò su e si volse.
Vicino al ciglio della statale erano comparse tre grandi motociclette. O forse erano già lì, perché non le aveva sentite arrivare. Semplicemente non le aveva notate. E Peter era finito chissà come al centro dell’attenzione di un gruppo di giovani, radunati intorno a lui sotto il cono di luce di un lampione che si accese giusto in quell’istante. Capelli sparati in aria dal gel, borchie di metallo attaccate agli abiti, collari e bracciali, giacche di pelle nera, jeans, anfibi: la quintessenza di un manipolo di teppisti. Uno di loro lo teneva per un braccio. Tutti erano voltati verso di lei e tutti sorridevano. Si sentì rabbrividire mentre tornava a posare gli occhi su suo figlio. Peter non piangeva ma cercava di divincolarsi da chi lo teneva stretto. Sembrava più incollerito che impaurito e mostrava a quei brutti ceffi il suo coraggio dando calci e pugni scatenati.
-Stavi dimenticando qualcosa, bambolina!-
L’uomo che stringeva il polso di Peter alzò di colpo il braccio. Il bambino fu sollevato in aria, appeso per la mano. Lei sbiancò.
-Lascialo! Gli fai male!-
Peter non fiatò, ma l’espressione sofferente sul visetto fu fin troppo eloquente. La ragazza si guardò intorno in cerca di aiuto. Invano. Il parcheggio era deserto, nessuno sarebbe accorso a soccorrerla, avrebbe dovuto cavarsela da sola.
Si chinò nell’abitacolo, slacciò la cinghia del seggiolino e sollevò Joy tra le braccia. La bimba gridò entusiasta a quell’improvviso cambio di programma. Sua madre non fu per niente sicura che fosse un bene portarla con sé, ma non si fidava neppure a lasciarla in macchina da sola. Afferrò anche la borsetta, forse sarebbe bastato offrire a quei tizi qualche migliaio di yen per pagarsi la birra e se ne sarebbero andati per la loro strada. Quando si tirò di nuovo su, si accorse che Peter era tornato a posare i piedi a terra. In definitiva erano tre contro tre, anche se a spalleggiare lei c’erano soltanto i suoi figli, rispettivamente di un anno e mezzo e di quattro.  
Avanzò verso il gruppo, coltivando la speranza di riuscire a recuperare Peter e filarsela nel modo più indolore possibile. Fissò negli occhi il teppista che lo teneva e deglutì prima di parlare. Voleva evitare di mostrarsi intimorita perché la paura non l’avrebbe aiutata ma la sua voce tremò lo stesso.
-Cosa vuoi da lui? È solo un bambino.-
-Infatti il bambino non ci interessa.- mollò la presa e spinse il ragazzino verso di lei.
Peter la raggiunse, si aggrappò ai suoi jeans e alla camicia. Lei gli accarezzò rassicurante la testolina, gli sussurrò di scappare alla macchina e lo spinse via. Dopodiché si volse e prese a correre dietro di lui, Joy aggrappata così strettamente ai capelli da farle male. I tre teppisti gridarono, dopodiché reagirono.
Lei riuscì a guadagnare soltanto qualche metro, poi venne raggiunta e afferrata per la vita in modo così brusco da toglierle il fiato. Perse l’equilibrio e strinse di più Joy, che protestò con un gridolino. La presa dell’uomo le impedì di cadere. Lui la tirò indietro e gli cadde addosso, le spalle contro catene e catenelle che gli pendevano dal collo. Il volto del teppista si insinuò tra suoi i capelli, intriso dell’odore di fumo e di alcol. Il tanfo la disgustò. Passò Joy sull’altra spalla per tenerla il più lontano possibile da quell’individuo.
Poi prese a gridare.
-Toglimi le mani di dosso! Lasciami immediatamente!- afferrò con la mano libera il braccio che la stringeva e tentò di liberarsi affondando le unghie nel giubbotto di pelle -Cosa vuoi da me?-
-Mammi!-
Peter le fu di nuovo accanto. Sentì le sue manine sulle gambe. Il bambino era tornato da lei in un ingenuo tentativo di difenderla. Ma cosa poteva fare contro quei brutti ceffi?
Aveva sperato che almeno lui fosse al sicuro nella macchina e lo sgomento di rendersi conto che purtroppo non era così fu tale da paralizzarla. Poi si sentì strappare Joy dalle braccia. Uno dei teppisti indietreggiò con la bambina, mentre l’altro le afferrò i polsi e la immobilizzò per impedirle di riprendersela.
-Su, non fare storie, bellezza! Ci divertiamo un po’ insieme e poi ti lasceremo andar via.-
L’espressione gioiosa della piccola mutò all’istante. Scoppiò a piangere e a gridare disperata, assordandoli tutti con gemiti acuti.
A Joy non piaceva chi la teneva, non piaceva la puzza che sentiva. Voleva tornare dalla mamma e tendeva le braccia paffute verso di lei, le manine si agitavano nell’aria, i lacrimoni le rotolavano sulle guance. Avrebbe intenerito chiunque con un po’ di cuore. Quei ceffi invece neppure la guardavano, ridevano e se la passavano come se fosse una palla.
La giovane si dimenò dalla stretta del teppista.
-Stai buona, tesorino. È meglio per tutti, lo sai?-
-Vigliacchi, restituitemi mia figlia!-
-Mammi!-
Continuarono a ridere, Joy a piangere, Peter a chiamarla e quell’energumeno che la teneva a sussurrarle proposte oscene nelle orecchie. A un certo punto perse Joy di vista, udì soltanto il suo pianto che si allontanava alle sue spalle.
-Cosa state facendo? Dove la state portando?-
-Stai tranquilla, zuccherino. Lui è un esperto di marmocchi. È talmente affidabile che se l’avessi, gli affiderei anche mia sorella. Penserà alla tua pupetta mentre noi due ci divertiamo.-
L’altro giovane si avvicinò.
-E poi gli darò il cambio.-
-Ho dei soldi. Lasciatemi in pace e prendeteli tutti. Potete comprarvi delle birre, pagarvi il ristorante, le sigarette. Tutto quello che volete.-
-Nessuno ci impedisce di fare l’una e l’altra cosa. Abbiamo l’intera notte a disposizione, farfallina. Possiamo divertirci e poi andare a cena insieme.-
Si dimenticarono di Peter, ma lui era sempre lì. Sferrò un calcione sullo stinco dell’uomo che teneva la sua mamma. Lui ululò di dolore e mollò la presa. Lei poté voltasi, individuare Joy e correre a riprendersela. Ma riuscì solo a sfiorarla, chi la inseguiva l’agguantò. Due braccia la strinsero da dietro, serrandole lo stomaco. Le lacrime le rigarono le guance e le annebbiarono la vista. Non sapeva più che fare, non sarebbe riuscita a scappare, non si sarebbe liberata di quei tre. Era nei guai fino al collo.
-Lasciatemi! Lasciateci in pace!-
-Non agitarti dolcezza, non ce n’è motivo. Non vogliamo farti del male.-
-Ci terrai compagnia per qualche ora e nient’altro.-
Al pianto della bambina si aggiunsero anche le urla di Peter.
-Mammi! Aiuto!-
Quel terrore infantile le trafisse il cuore. Non riusciva neppure più a vederlo. Cercò di voltarsi, di liberarsi e raggiungerlo anche se, davanti a lei, Joy seguitava a singhiozzare sull’orlo dell’isteria.
-Piccola scimmietta pestifera!-
L’uomo spintonò Peter per togliersi definitivamente di torno il corpicino che gli si era aggrappato e non lo mollava. Il bambino gridò, piombò sull’asfalto, poi più niente.

-Fermo! Alt! Stooooooop!-
L’urlo perforò le orecchie di Mark. Schiacciò il pedale per arrestare il furgone mentre Philip tirava  il freno a mano. La vettura ruotò su se stessa in un improvviso e violento testacoda. A Bruce il cocktail tornò su con un rigurgito e solo un miracolo gli impedì di vomitare. Philip spalancò lo sportello e saltò giù che il furgone non si era ancora arrestato. Corse indietro sulla strada verso il parcheggio del supermercato.
-Philip!- lo richiamò Julian -Dove accidenti vai?-
-Forse in bagno?- tentò Bruce.
-Cazzo e non poteva dirmelo in un altro modo?- Mark teneva il volante stretto tra le mani, faticando ancora a credere di essere riuscito a fermarsi senza danni -C’era bisogno di inchiodare così?-
-Deve essere stato uno stimolo improvviso e parecchio urgente.- Julian cercò l’amico attraverso i finestrini, ma quell’accozzaglia che riempiva il retro del furgone gli impediva di vedere.
-Torna indietro Mark!- lo sollecitò Amy.
-Devi andare in bagno anche tu?-
-No!-
-Allora per quanto mi riguarda possiamo anche lasciarlo qui. Stiamo più larghi.-
Philip si fermò senza fiato davanti a un brutto ceffo che teneva una bimba in lacrime sospesa in aria per le bretelline di una minuscola salopette di jeans. Lei si agitava, le lacrime e il moccio le rigavano il viso, le guance le erano diventate scarlatte per lo sforzo. Una mollettina con Hello Kitty le penzolava sulla fronte, appesa a una ciocca sfilacciata di capelli, lì lì per cadere. Indossava solo una scarpina bianca, l’altra era finita a terra. Un corpicino con dei pantaloncini blu e una maglietta verde mela era riverso sul selciato. Giaceva su un fianco, un braccio sotto la testa, l’altro adagiato scompostamente lungo il corpo. Teneva gli occhi chiusi, lunghe ciglia nere gli ombreggiavano le guance paffute.
L’uomo che teneva la bambina guardò Philip, poi il furgone che faceva retromarcia e avanzava a tutta birra. La vettura li raggiunse in quel momento di stallo, con uno stridio di freni e una puzza di copertoni bruciati.
Mark evitò per un pelo di investire il ragazzino steso a terra di cui s’accorse, minuscolo com’era, solo all’ultimo istante. Julian e Bruce saltarono giù per primi, poi lo fece anche Landers, tremante, cadaverico, le mani a premersi le guance, gli occhi spalancati.
-Non l’avevo visto!- urlò fuori di sé -Porco mondo non l’avevo visto! C’è mancato un pelo! Mioddio!- si lasciò cadere in ginocchio tremante, accanto al bambino, in preda allo shock -Non l’avevo visto! Non l’avevo visto! Non ci posso credere! Per poco non lo investo! Non lo avevo visto! Mondo bastardo, non l’avevo visto!- continuò con una litania che fece da sottofondo alla fuga dei tre motociclisti, i quali sparirono in una puzzolente nuvola di gas.
-Codardi!- gridò Bruce agitando i pugni in aria -Ora scappate, cazzoni!- appagato da una vittoria che non gli era costata mezza fatica, si volse per capire chi avevano soccorso.
Jenny era a un passo da lui, lacrime di sollievo che le inondavano il viso. La fissò sbigottito, aprì la bocca per dire qualcosa poi ci ripensò e si volse in cerca di Philip. Lui stava accorrendo con la bimba in braccio, la scarpina in una mano e l’espressione ancor più sorpresa di quella del compagno.
-Oh Philip!- gemette la ragazza tremando come una foglia -Che paura ho avuto!-
Julian diede voce allo stupore di tutti.
-Non ci posso credere! Philip, come hai fatto a riconoscerla? Voglio dire, non andavamo mica così piano!-
Il silenzio che seguì fu riempito dalla nenia di Mark. Si volsero a guardarlo. Continuava a stare inginocchiato accanto a Peter, le braccia tese verso di lui, senza il coraggio di toccarlo.
-Non l’ho visto! Non l’ho visto! Vi rendete conto? Potevo investirlo! È stato un miracolo! Porca miseria non l’avevo visto! Potevo ucciderlo! Potevo diventare un omicida! Un uccisore di bambini, un infanticida! Oddiooooo!-
Bruce gli andò vicino e lo spintonò.
-Ahò, mo’ smettila. Che è?- Mark alzò su di lui uno sguardo da ebete -Non l’hai investito, non l’hai preso, non l’hai ammazzato. Falla finita!-
Jenny corse verso di loro, si chinò a sollevare il figlio tra le braccia e se lo strinse al petto.
-Grazie Mark, ci hai salvati. Sei arrivato appena in tempo!-
La gratitudine di Jenny lo riscosse. Riacquistò il controllo, la calma. Si mise in piedi e la guardò tronfio.
-Hai proprio ragione! Sono arrivato appena in tempo e vi ho salvati!-
Philip si avvicinò camminando rigido come uno zombie e tenendo ancora la bimba stretta a sé. Joy aveva smesso di piangere e si era aggrappata con le piccole dita alle pieghe della maglietta del ragazzo. Sprofondata tra quelle braccia che la tenevano stretta, sembrava finalmente a suo agio. Le sue guance erano ancora arrossate, il viso bagnato di lacrime e di moccio che le colava dal nasino. Jenny si avvicinò, tirò fuori un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e con la mano libera cercò di ripulirla. Poi rimise a posto la mollettina sui capelli e le sorrise.
-Stai bene?-
Joy era troppo piccola per capire e risponderle, però le sorrise e mugolò felice.
-Ta-taaa!-
Quando aveva urlato a Mark di fermarsi, Philip non sapeva perché lo aveva fatto. Ciò che gli era comparso davanti, passando veloce a bordo del furgone, era stato lo sguardo disperato di due occhioni terrorizzati. Tutto il resto era inspiegabile. Non immaginava assolutamente di andare a salvare Jenny.
Bruce gli si accostò e lo sgomitò.
-Adesso è tutto chiaro, Philip.-
Lui si volse speranzoso.
-Davvero?-
-L’hai lasciata perché non hai voluto assumerti le tue responsabilità.-
-Siediti dietro Callaghan.- gli disse Mark -Non puoi stare davanti con la bambina in braccio.-
-Allora passo io davanti.-
Harper corse verso il furgone solo per accorgersi deluso che Julian aveva avuto la sua stessa idea.
-Andiamo con ordine, Bruce. Sono arrivato prima io.-
Philip non si mosse. Preferì restare piantato come un palo dove gli altri lo avevano lasciato. Osservava Joy che gli sorrideva, gli ingranaggi della sua testa giravano impazziti.
La bimba, grata dell’attenzione che lui le stava dedicando, alzò una manina sporca di lacrime e di moccio e gliela passò sullo zigomo in una goffa carezza. Philip si tirò istintivamente indietro, si affrettò a ripulirsi e per sicurezza l’allontanò un po’ da sé.
-Chi accidenti sei tu?-
-Ta-taaa!- rispose lei con un verso entusiasta.
Mark si sporse dal finestrino.
-Insomma Callaghan, sali o no?- e sottolineò il suo richiamo con una strombazzata di clacson.
Philip si riscosse, raggiunse di corsa gli altri e montò sul furgone accanto a Bruce. Jenny sedeva dietro di loro, in terza fila tra Evelyn e Amy. Era ancora pallida di spavento e stringeva a sé il bambino privo di sensi, accarezzandogli la testa e mormorandogli qualcosa.
Mark incrociò il suo sguardo attraverso lo specchietto retrovisore.
-Stai bene, Jenny?-
-Sì, non mi sono fatta niente.-
-E il miracolato?-
-Adesso dorme.- lanciò un’occhiata a Peter, poi si protese verso Philip che le sedeva proprio davanti.
Joy se ne stava tranquilla tra le braccia del ragazzo, un pugnetto in bocca e gli occhi fissi sulla strada, incantata dalle luci dei lampioni che comparivano e sparivano in successione. Jenny le accarezzò la testolina, attirando così l’attenzione della piccola che tirò fuori dalla bocca il pugno gocciolante di saliva e lo allungò verso di lei.
-No, grazie. Mangialo tu.-
La bambina rise e se lo rimise in bocca, tornando a fissare la strada.
-Philip, quando sei stanco di tenerla passala a me.-
Il ragazzo rispose con una specie di grugnito. Mark rise.
-E quindi? Non sei contento di aver riunito la tua famigliola?-
-Certo Philip che potevi pure dirlo. Cos’è questa moda di fare le cose di nascosto? Prima Amy e Julian, poi tu e Jenny…-
-Dire cosa?-
-Che ti sei riprodotto.-
-Non mi sono riprodotto, non sono una moltiplicazione.-
-Sei lo stesso triplicato!-
-Pensa che io avevo capito che vi eravate lasciati.- buttò lì Evelyn con aria saputa.
-Oh Mark, accidenti!- l’improvvisa esclamazione di Jenny li fece sobbalzare -Devi assolutamente tornare indietro, ho dimenticato la spesa in macchina… Non l’ho neanche chiusa, la macchina!-
-Non dire stronzate. Sai quanta benzina ci vuole per rifare tutta la strada? E solo per un paio di buste!-
-C’erano anche i pannolini! Come faccio a cambiarla? A quest’ora ormai i negozi sono chiusi.-
Evelyn gliene piazzò davanti una confezione integra.
-Questi qui non vanno bene?-
-Vanno benissimo! Ma guarda, sono esattamente gli stessi che compro io!-
-Mark, perché vai in giro con una scorta di pannolini?-
-Non ne so nulla, Harper. Ce li avrà messi Philip.-
-No, io no!-
-Be’, chi ce li ha messi è stato previdente.- rise Jenny contenta e soddisfatta.
-Risolto il problema pannolini, vi faccio presente che sono quasi le dieci e io ho sonno, oltre che fame. Dove ci fermiamo? Qui intorno non c’è niente.-
Bruce aveva ragione. Da quando avevano lasciato il parcheggio del supermercato procedevano nel buio più assoluto. Non c’era un lampione, non c’era un negozio, non c’era una casa e la stradina tutta curve che Landers aveva imboccato senza accorgersene aveva cominciato a inerpicarsi in un bosco fitto e impenetrabile.
-Amy, hai una piantina della zona?-
La ragazza frugò nello zaino scampato all’incidente. La trovò e la porse a Julian, ancora umidiccia e molto, molto fragile.
   
 
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