Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |       
Autore: A_Typing_Heart    17/04/2021    1 recensioni
Raim è il lavapiatti di un grande ristorante di Las Vegas e prende il suo lavoro come un banale mezzo di sostentamento per fare una vita tranquilla fuori dai guai che lo hanno segnato. La sua vita procede nella routine finché una sera un nuovo chef bussa alle porte del ristorante per chiedere un lavoro, dando una svolta inaspettata ad entrambe le loro esistenze.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«Devi essere pazzo per presentarti davanti a me.»
Non era la prima volta che sentivo lo chef Durand rivolgersi a qualcuno con quel tono altezzoso, ma mi sorprese sentirglielo fare a servizio ultimato, quando nelle cucine ero rimasto soltanto io a demolire lentamente la gran pila di pentole. Non era una mia abitudine ficcanasare, anzi; ma la straordinarietà della situazione mi portò ad abbandonare il mio angolo della plonge per poter vedere l’ingresso sul retro.
Quell’ingresso dava su una piccola area con una stradina asfaltata che correva tra la recinzione del resort che ci ospitava e la proprietà del casinò adiacente, uno spazio sufficiente per far passare i furgoni dei rifornimenti e dei rifiuti, e utilizzato solo per questi due servizi. Il solo altro a usare quell’ingresso ero io: uno sguattero non aveva il diritto di mettere piede nella sala tra il damascato porpora delle pareti e le sedie imbottite. Secondo chef Durand in verità erano pochi i diritti di uno sguattero, che doveva soltanto sentirsi onorato di essere ammesso nella cucina di un ristorante di livello… come se lavare la padella sporca che ha cucinato un piatto da sessanta dollari fosse più gratificante di lavare quella che ha cucinato un pancake da dodici dollari alla tavola calda.
Vidi la porta dell’ufficio dello chef aperta in cima alla scala che correva sulla parete e lui in piedi sulle due porte spalancate, ma non riuscii a vedere nulla del suo interlocutore, neanche la sua ombra dato che era proiettata dalla luce della cucina verso l’esterno.
«Sapete di chi sono figlio. Mettetemi alla prova se il mio curriculum non basta, non ho paura delle sfide.»
«Perché mai dovrei? Anzi… perché tu sei venuto proprio qui?» fece lo chef, desideroso di tenere un tono basso ma troppo arrabbiato per riuscirci. «Ci sono centinaia di ristoranti stellati che al tuo nome sarebbero felici di stenderti un tappeto rosso. Perché proprio da me, sapendo che non desidero avere a che fare con la tua famiglia?»
«Perché, nonostante la vostra condotta, mio padre ammirava… ammira tutt’ora le vostre capacità. So che voi avete molto da insegnarmi e non risparmierete di farmi faticare.»
Chef Durand esitò e guardò una busta che teneva in mano, che aveva tutta l’aria di una lettera. Alzò gli occhi su di me e io ebbi la prontezza di afferrare subito una teglia da forno e portarla al mio angolo già ingombro senza incrociare lo sguardo. Sapevo comunque che mi avrebbe seguito con quel cipiglio di falco fino al lavandino, come faceva ogni volta che mi permettevo di uscire dal mio invisibile perimetro di competenza.
«Bene, spiegato questo, torniamo alla questione principale» aggiunse allora, con quel suo tono altezzoso da regnante assoluto che così tanto detestavo. «Perché dovrei tenerti a servizio da me? Non mi servono altri cuochi, e neanche sguatteri. Non c’è posto per te qui, vai da qualcun altro.»
Chef Durand chiuse una delle porte e ne seguì un tonfo che non mi seppi spiegare. Incapace di trattenermi mi sporsi di lato a guardare, strofinando la spugna sulla casseruola a caso solo perché il fino orecchio dello chef sentisse che stavo ancora lavorando.
Chiunque fosse il nostro visitatore inatteso era agguerrito e aveva bloccato la porta con il piede. Indossava mocassini scamosciati grigi, qualcosa che io personalmente non mi sarei mai sognato di comprare per me stesso. Fu quello il primo pensiero che ebbi allora e trovo divertente aggiungere che in questo preciso momento ne ho un paio marroni nell’armadio.
«So che uno della brigata se n’è appena andato, vuol dire che qualcuno vi manca» insistette l’uomo. «Non chiedo un contratto né un posto fisso. Prendetemi in prova, vi dimostrerò che merito un posto nella brigata!»
Confesso che ero incuriosito: dopo due anni nella brigata di Durand lo conoscevo bene e sapevo anche se nessuno osava replicargli se non dicendo “sì, Chef” o profondendosi in scuse. Non avevo mai sentito nessuno rispondergli e insistere così tanto: sarebbe stato come rispondere in faccia a un capo di stato maggiore e si rischiavano circa le stesse conseguenze.
«Le occasioni ricche non ti mancheranno, ma non qui.»
«Chef Durand, vi ostinate anche con queste mie promesse di impegno e dedizione a negarmi un’occasione? Nonostante ciò che dovete a mio padre?»
«Questa poi! Che cosa dovrei mai dovere a tuo padre?»
La voce rispose con una dose notevole di incredulità e astio.
«Come potete chiederlo? Non avete certo dimenticato Vienna!»
«Non…!»
Lo chef si interruppe bruscamente e mi ritirai dietro l’angolo appena in tempo. In due passi tuttavia raggiunse la plonge e mi fissò con un sorriso posticcio che non mi convinse neanche per un attimo. Come avrebbe potuto, dato che non mi aveva mai sorriso da quando ero arrivato?
«Basta così, sguattero, torna domattina a finire.»
«Ma Chef Durand, penso che sarebbe meglio…»
«Vai a casa. Ora.»
«Ah… sì, Chef.»
Ho detto che non avevo mai sentito nessuno ribattere a Chef Durand, ed ero incluso anch’io nella ciurma dei vigliacchi. All’epoca in realtà ero il principe dei vigliacchi, avevo troppo bisogno di quel lavoro infernale e ingrato per rischiare di perderlo per qualcosa di così sopravvalutato come l’orgoglio. Purtroppo non ebbi modo di intravedere l’uomo con cui lo chef salì nel suo ufficio e mi toccò andarmene con la coda tra le gambe e molte domande nella testa.
Chiaramente il giorno dopo mi presentai al lavoro con inedita aspettativa e morbosa curiosità; erano anni che non mi sentivo vivacemente incuriosito dai fatti degli altri. Smaltii tutto il lavoro che avevo lasciato in sospeso prima di prendermi una meritata tazza di caffè seduto fuori dalla porta di servizio, finché Leclaire non si affacciò per il solito rimprovero immeritato sulla mia pigrizia e mi intimò di scaricare il pesce quando il furgone arrivò. Non era una novità, ero uno sguattero e anche un garzone: parte del mio lavoro era pulire il pavimento della cucina, lavare le celle frigorifere quando lo chef disponeva, occuparmi dei rifiuti, scaricare i rifornimenti e portarli nella cella degli ingredienti e talvolta andare a recuperare qualcosa che mancava. Molto di rado mi veniva fatta la grande grazia di toccare gli ingredienti per aiutare a pelare patate o ripulire qualche ortaggio o frutto se i commis erano troppo occupati.
Caso volle che quella persona arrivasse mentre scaricavo enormi cassette di pesce semicoperto di ghiaccio tritato, e al mio terzo e ultimo viaggio nella cella lo notai immediatamente mentre seguiva Chef Malone, il braccio destro di Durand. Mi diede l’idea di un ragazzo giovane – avrei imparato solo più tardi che non era affatto giovane come mi era parso – con lunghi capelli castano scuro accuratamente pettinati in una coda bassa, un profilo dal naso dritto, la pelle scura di chi era stato due mesi alle Maldive e un paio di occhi vispi e attenti. Non lo conoscevo, non l’avevo mai visto, ma le poche parole che aveva avuto il coraggio di rivolgere allo chef Durand mi facevano sentire più bendisposto verso di lui che verso chiunque altro in quella cucina, anche se li conoscevo da molto più tempo.
«Chef Aguero è il nostro rôtissier, e responsabile delle portate di carne. Durante il servizio il nostro boucher Chef Porter gli fa da demi-chef de partie…»
Chef Malone era americano fino al midollo, nato e cresciuto in una piccola cittadina del Minnesota prima di studiare cucina, ma non usava mai una parola inglese se soltanto ne poteva usare una francese per dire la medesima cosa, il che ai miei occhi lo faceva sembrare snob ai limiti dell’inverosimile. Difficile scordarsi del mio primo giorno da sguattero, con lo chef Malone che mi bombardava di nomi francesi che non capivo con nessun intento se non mettermi a disagio.
La cosa però non turbava affatto lo sconosciuto ragazzo che annuiva con interesse e scorreva lo sguardo sul grosso pezzo di carne che il boucher – ossia, il macellaio – stava pulendo alla sua postazione.
“È ovvio che è un cuoco che ha fatto la scuola e tutto il resto”, ricordo di aver pensato.
Fu allora che si voltò verso di me. Smise di camminare ignorando lo chef Malone che proseguiva e di riflesso mi fermai anch’io, senza parole per lo stupore: ero abituato a essere praticamente invisibile per chiunque indossasse un’uniforme da cuoco se non aveva da gridarmi contro qualche ordine. Che mi sorridesse mi sembrava fuori dal mondo.
«E lei? Poissonier?»
A malapena venivo notato, figurarsi se venivo mai scambiato per un cuoco. Diedi uno sguardo al vassoio del pesce, ma prima che potessi articolare mezzo suono vidi incombere il peggior incubo della mia vita in quella cucina: il saucier e poissonier in carica, il principe del regno, ossia Aurélien Leclaire. Era un giovanotto venticinquenne di bell’aspetto, alto, ambizioso, quasi insopportabile e quel che era ancora peggio, era il nipote di Durand.
«Se cerchi il poissonier sono io» fece lui, lisciandosi il grembiule immacolato. «Sono il saucier e il responsabile di tutte le portate di pesce di questa cucina. Aurélien Leclaire.»
«Oh, certo… la conosco, ho visto la sua presentazione al programma di Vicky York… un piatto presentato in modo eccellente, chef Leclaire. Sarei felice se potesse riprodurlo per me, tempo permettendo.»
Quel ragazzo aveva fegato da vendere, ai miei occhi era improponibile chiedere a uno chef come Durand o Leclaire di preparare un piatto per me… anche se di certo avrei avuto una diversa autostima se solo fossi stato qualificato almeno come cuoco anziché essere il lavapiatti del regno. Non mi potevo neanche classificare come il Cenerentolo: almeno lei nella fiaba era una vera nobile.
«Che diavolo fai lì impalato?» mi fece allora Leclaire, con uno sguardo truce. «Aspetti che il pesce vada a male qui fuori? Portalo in cella, Rain Man!»
«Sì, chef, mi scusi.»
Questa era la cosa più fastidiosa del lavoro al Liaison: chef May, responsabile dei contorni e delle portate vegetariane, all’inizio del mio ingaggio come sguattero mi trovava lento ai limiti del ritardo mentale e se ne uscì con un crudele nomignolo scaturito dal mio nome reale che secondo lui si adattava bene al mio ritardo. Infatti il mio nome è Efraim Manning, ma tutti mi chiamano Raim. Raim Manning. Capite che l’assonanza ha fatto molto del lavoro al posto di chef May, ma lui si vantava della sua geniale trovata come avesse introdotto una nuova specialità nel menu anziché aver appioppato un nomignolo a un collega, come un bambino delle elementari.
Ormai non avevo reazioni visibili a nomignoli e insulti, tuttavia guardando l’aria indispettita sul viso del nuovo arrivato mi sentii come rincuorato. Aveva tutta l’aria di essersi irritato per come ero stato trattato e ne ebbi conferma mentre trafficavo per aprire la cella con una mano sola.
«È vostra abitudine rivolgervi così al personale?»
«È solo il nostro plongeur. È un lavapentole e un fattorino, non cucina.»
«Pulisce i vostri strumenti. Vi mette in condizione di lavorare il più velocemente possibile e di non trovarvi a lavare per ore dopo un duro turno di servizio» insistette lo sconosciuto. «Avete forse dimenticato la gavetta che avete fatto? Avete dimenticato quanto sia importante questo ruolo?»
«Signor Micheaux» gli fece Leclaire con un gelo che mi era familiare. «Se davvero rimarrete con noi, vi consiglio di ricordare bene la gerarchia di questa cucina e comportarvi di conseguenza.»
«Sì, chef Leclaire, sarà fatto… ma sappia che ciò non mi impedirà di dire “grazie” e “per favore” a tutti.»
Parole come quelle erano senza precedenti nella cucina del Liaison e mi lasciarono sbalordito. Sbalordito ma anche felice: avere almeno una persona che mi trattasse da essere umano non avrebbe potuto farmi che bene e mi trovai a sperare con tutte le forze che il giovane Micheaux restasse nella brigata prendendosi il posto lasciato vacante dalla partenza dello chef Basile.
 
*

Micheaux continuò ad aggirarsi per la cucina e le celle seguendo chef Malone e la sous-chef Kleiner che gli illustravano meticolosamente il dedalo di regole da seguire con annessi i paradossi, o almeno quelli che io reputavo tali. Preso a lavare casseruole, teglie, coltelli e altri strumenti man mano che venivano usati per le preparazioni non riuscii a scollarmi dalla plonge neanche per incrociare lo sguardo con lui, e alla consueta pausa pre-servizio ero ancora pieno di tegami da asciugare.
«Ciao.»
Mi spaventò sentirmi rivolgere la parola, non lo nego. Durante la pausa lo chef Durand restava nel suo ufficio e per tutti gli altri era il momento di un ultimo tè, caffè o sigaretta. Ero abituato a restare solo durante quei dieci minuti e l’ultima cosa che mi aspettavo era che lo chef nuovo venisse a parlarmi.
«Pare che lo chef Malone non ritenga necessario presentarci, quindi lo farò da solo. Sono Sahan Micheaux» si presentò tendendomi una mano affusolata. «Mi direste il vostro nome? Continuo a sentirvi chiamare Rain Man.»
«Io… non c’è bisogno di questa formalità, chef Micheaux, datemi del tu come fanno tutti» mi affrettai a dire mentre gli stringevo la mano; ricordo di aver pensato quanto fosse piccola rispetto alla mia. «Mi chiamo Raim. Raim Manning.»
«Ohh… Rain Man, ecco perché!» osservò lui, e sorrise. «Raim, mh? Hai forse qualche origine mediorientale?»
«No, non che io sappia, signore. È solo il diminutivo di Efraim.»
Sahan si mise a ridere con una tale allegria che mi portò a sorridere di rimando.
«Signore? Signore a chi? Se vuoi che ti dia del tu fai lo stesso, no?»
«Uhm… sicuro? Mi è sembrato che foste piuttosto formale…»
«Mi hanno insegnato a essere formale e ossequioso con gli chef, ma se a te non importa allora ti posso dire che non importa neanche a me» rispose lui scrollando le spalle. «Quando facevo la scuola eravamo tutti molto amichevoli, e anche nella brigata che ho lasciato ci chiamavamo tutti per nome.»
Mi trovai ad annuire e un velo cadde tra di noi. Eravamo entrambi persone estroverse anche se lui lo sembrava molto più di me, e accantonare la formalità del rispetto forzato spazzò via di netto dettagli come il fatto che ci conoscevamo da un minuto.
«Sembra che fossero ambienti piacevoli, perché te ne sei andato?»
«Mh… beh… ci stavo bene, sì… ma quando un cuoco non trova più impegnativo fare il suo lavoro vuol dire che ha preso tutto quello che può dal posto in cui sta… è ora di cambiare e rimettersi in discussione.»
«Questo è molto audace, Sahan. Non ti fa paura cambiare?»
«Se non fa paura non è difficile abbastanza» sentenziò lui, e si appropriò di uno strofinaccio. «L’ultimo posto dove sarei voluto andare era proprio dallo chef Durand… quindi ho pensato che fosse proprio qui che dovevo venire.»
Stavo per elogiare con una punta d’invidia tanto coraggio, ma vederlo prendere una casseruola e asciugarla mi fece rivedere le priorità.
«Non farlo!» sbottai prendendogliela dalle mani. «Questo è il mio… posto… insomma… è il mio lavoro.»
«Che male c’è se ti aiuto? Stiamo aspettando con le mani in mano.»
Risposi senza la minima vergogna né esitazione: in due anni ero stato addestrato a quel credo tanto da non metterlo in discussione.
«Uno chef non lava le pentole… gli sguatteri sono fatti apposta.»
«Uno chef se è fortunato abbastanza da avere uno sguattero non lava le pentole durante il servizio» precisò lui, lievemente accigliato, riprendendosi la casseruola. «E in ogni cucina dove sono stato ogni chef pulisce la sua postazione, e a fine servizio pulisce anche i pavimenti, la cappa aspirante, la griglia e i forni.»
Lo guardai come un naufrago della prima guerra mondiale che viene salvato e informato che nel frattempo è finita anche la seconda. Immaginare Durand o chiunque dei suoi sottoposti maneggiare uno spazzolone mi era impossibile.
«Sul serio? Degli chef… lavano il pavimento?»
«Non siamo mica divinità, siamo persone come tutti, con doveri come tutti» obiettò Sahan, in tono asciutto «Detto questo, questi chef hanno dimenticato che cosa significa stare in cucina. Non ti portano nessun rispetto, ma il tuo lavoro gli permette di iniziare un servizio più riposati e di andarsene a dormire prima quando finiscono.»
Sahan aveva una visione della cucina come io non avevo mai neanche lontanamente immaginato potesse essere. Nella cucina di chef Durand avevo imparato a vivere come in un regime di semilibertà, vedendo Durand come il giudice, Malone come il direttore del carcere, Kleiner come l’agente di sorveglianza e tutti gli altri come vicini spioni pronti a denunciarmi per farmi rispedire in galera. Anche se avevo imparato che cosa rendeva nervosi i singoli chef per poterlo evitare e mi ero abituato a fare il lavoro come volevano che fosse fatto, non avevo mai avuto la minima ambizione di avanzamento né di poter entrare nelle loro grazie: evitare la loro collera mi bastava per tornare a casa e tirare le somme pensando che era andata bene.
Sahan mi studiò durante il mio assorto silenzio e lo trovai ancora preso a guardarmi fisso quando mi riscossi. Notai in quel momento che i suoi occhi castani erano più verdi al centro.
«Dove lavoravi prima, Raim?»
«Da nessuna parte» risposi di getto. «Voglio dire, non avevo mai fatto lo sguattero. Ho risposto a un annuncio, quando sono arrivato per il colloquio era già stato preso un ragazzino… ma lui ha dato forfait e il mio numero era in cima alla lista per il rimpiazzo.»
«Ma quindi tu non sei un cuoco?»
Mi trovai a ridere di gusto.
«Un cuoco, io? Figurarsi, io cucino solo pancetta e uova a colazione… no, no… di tanto in tanto se Isabel è troppo occupata faccio qualcosa per aiutarla… pelo patate, soprattutto. Sono un eccellente pelatore di patate.»
Sahan rise allegramente e non una singola cosa in lui mi fece pensare che il suo atteggiamento sarebbe cambiato nei miei confronti dopo aver saputo che non ero della sua stessa casta. Asciugammo gli ultimi utensili in silenzio e mi affrettai a riportarli alle postazioni – ormai conoscevo a memoria come ogni chef teneva la sua, in modo da sistemare i loro coltelli e strumenti dove erano soliti metterli – quando il maître Kerr annunciò l’arrivo del primo tavolo con due scampanellate prima di tornare in sala a passo svelto. Confuso, Sahan guardò prima il passe e poi me.
«Che succede?»
«Niente, il maître annuncia l’arrivo del primo tavolo così, e…»
Non ci fu bisogno di spiegare altro: la brigata fece rientro in cucina e si piazzò ai posti di combattimento: chef May alla sua postazione piena di verdure allineate in pirofile come un buffet, chef Aguero al suo angolo con gli spiedi pronti e i forni già caldi, chef Porter vicino a lui a mettere padelle sui fornelli a scaldare, Leclaire davanti ai suoi pentoloni di zuppe e salse e nei pressi del suo regno del pesce, presidiato dalla commis Isabel Villalba, chef Kleiner intenta a riprendere le preparazioni preventive dei dessert e ultimo ma mai ultimo il capitano Malone al passe, pronto a leggere gli ordini e criticare aspramente qualsiasi pecca.
In tutto ciò, naturalmente, io mi ritirai nella nicchia dove era stata ricavata la zona di lavaggio. Con mia sorpresa trovai Sahan ancora lì.
«Che fai qui?»
«Beh… non mi hanno dato un ruolo, quindi osserverò e darò una mano dove mi viene chiesto» fece lui, per nulla rabbuiato. «Quindi se ti serve aiuto fischia che arrivo!»
«Non dire sciocchezze» gli sibilai, sotto lo sguardo truce di chef Malone da lontano. «Sei un cuoco, no? Non sei certo qui per imparare a lavare pentole di rame.»
«Perché no? Io imparo tutto, non si sa mai quando una cosa può tornare utile. Nella mia vecchia cucina usavamo alluminio anodizzato, quindi non so bene come si tratta il rame, potresti insegnarmelo.»
Quella frase mi colpì, perché in tempi precedenti anche io ero dell’idea di apprendere da chiunque e qualsiasi genere di cosa… anche se quelle che avevo scelto di imparare non avevano fatto altro che rovinarmi la vita. In quel momento guardando Sahan ebbi la sensazione di stare guardando quello che avrei potuto essere se avessi scelto diversamente, e questo mi fece provare del sincero affetto per lui. Fu allora che davvero decisi di usare qualsiasi informazione e occasione per aiutarlo ad avere il posto che desiderava.
«Se vuoi un’occasione» gli sussurrai allora, mentre il maître si avvicinava al passe, «tieni d’occhio chef May… usa delle presentazioni complicate e gli antipasti rallentano sempre un po’ per causa sua. Se riesci ad aiutarlo quando si impantana farai una bella figura.»
«Così complicate?» domandò lui, interessato. «Scusami, mi sposto più vicino per vederle.»
Si defilò immediatamente e al sentire la comanda preparai le mie spugne e il limone per togliere l’odore di aglio dalle pentole che mi sarebbero arrivate. Per un po’ ebbi modo di seguire il fermento della cucina alle prime ordinazioni e di vedere quanto Sahan fosse attento all’impiattamento machiavellico di chef May; poi toccò a me venire fagocitato dalla valanga di ordinazioni, o piuttosto dalla quantità di stoviglie generate dagli chef che si applicavano a smaltirle.
Chef May non si arenò al punto di aver bisogno di una mano grazie alla notevole quantità di zuppe richieste come antipasti e il mio giovane protetto – per quanto uno sguattero fosse in grado di proteggere un cuoco quanto il guscio di una vongola avrebbe potuto proteggerla dai calci di un canguro – non ebbe occasione per mettersi in luce.
Nulla avrebbe distinto quel servizio da qualsiasi altro se non fosse stato per quell’inaspettato ringhio che uscì di bocca a chef Leclaire. Alzai la testa dal mio lavandino denso di schiuma e vidi che Sahan teneva fra le mani una delle ciotole di  Leclaire, e soltanto il gesto che fece per riprenderla mi fece capire che il ringhio di prima era in realtà un poco amichevole invito a ridargliela.
«Non potete servirla, chef Leclaire!» replicò Sahan, con nessuna intenzione di tenere bassa la voce. «Questa salsa sta diventando acida, non potete usarla, e non vi permetterò di farlo.»
«Non sai di che cosa parli! Torna ad asciugare le pentole con Rain Man, è quello il tuo posto!»
Assistetti atterrito a qualcosa di simile a un tafferuglio tra i due, che tentavano di prendersi la bastardella di salsa, poi d’istinto mi lanciai verso di loro per dividerli come se la porta dell’ufficio di Durand che si apriva mi avesse dato un segnale di partenza. Anche se avrei preferito usare la mia stazza per sollevare Leclaire e allontanarlo finii per puntare a Sahan e tirarlo indietro: era molto più facile per tutti lasciare che quel viziato nipote avesse quello che voleva per chiudere le ostilità. Sahan non si ribellò a me ma lanciò un’occhiata velenosa al mio indirizzo mentre si spostava una corta ciocca di capelli che gli era sfuggita dalla coda.
«Quella salsa è andata a male, Raim!»
«Calmati, Sahan» gli sussurrai pianissimo all’orecchio. «Leclaire è il nipote di Durand. Non lo prendere di petto o sei fregato.»
Durand scese le scale come un fulmine e fu davanti a noi in un attimo. Mi affrettai a lasciar andare Sahan e raddrizzarmi come un soldato sull’attenti, mentre Sahan fissava torvo Leclaire mentre si aggiustava la giacca che gli avevo stropicciato. Lo chef mascherava sempre piuttosto bene la collera, ma i suoi occhi erano già minacciosi abbastanza.
«Che cosa sta succedendo?»
«Questo pivello sta cercando di sabotare il servi–»
Accadde in una frazione di secondo: Sahan afferrò la bastardella strappandola da una presa distratta di Leclaire e la rovesciò deciso dentro il lavabo della postazione del pesce. Schizzi di salsa bianca puntinata di pepe verde finirono tutt’intorno, ma la gran parte scomparve nello scarico sotto gli occhi increduli e indignati dei due chef imparentati e i miei, che erano più vicini alla paura che alla sorpresa.
Ero senza fiato e senza idea di cosa dire o fare, ma Sahan aveva messo su un musetto ostinato da bambino che in un altro frangente avrebbe fatto tenerezza.
«Quella salsa era inacidita e chef Leclaire la voleva usare» scandì a denti stretti. «Avvelenare un cliente non è ammissibile a prescindere dalle giustificazioni.»
«Questa è la tua opinione, e anche del tutto fuori strada!» sbottò Leclaire. «Ora vai tu là fuori a dire al cliente che non può avere quello che ha ordinato perché un pallone gonfiato ha buttato la salsa!»
«Benissimo, ci vado, e avrò premura di spiegar loro esattamente perché è successo.»
Sahan si era già voltato verso il passe senza la minima esitazione, ma Durand lo acchiappò per il braccio con una ferocia che mi mise in allarme.
«È per questo che sei qui? Tuo padre ti ha mandato a portare scompiglio nella mia cucina?» gli ringhiò contro, strattonandogli il braccio. «Sei fuori, mi hai capito?! Torna da dove sei venuto, e dì a tuo padre, quel bugiardo, imbroglione e invidioso che lo chef Durand gli rinnova lo stesso augurio che gli fece a Vienna!»
Al primo accenno di dolore nell’espressione di Sahan scattai immediatamente per allontanare lo chef da lui e il commis pasticciere Baader arrivò nello stesso momento per far indietreggiare lo chef e stemperare animi fin troppo accesi.
«Calmatevi, chef Durand, non perdete la testa!»
«Sahan, ti ha fatto male?»
Sahan sembrava più agguerrito che mai e seppure si stesse massaggiando il gomito scosse deciso la testa.
«Sto bene, Raim.»
«Esigo che tu te ne vada immediatamente dalla mia cucina, Micheaux.»
Mentre Baader tentava di mediare consigliando allo chef di non prendere decisioni drastiche sull’onda della rabbia e la commis Isabel proponeva prima di pensare a come rimediare l’assenza della salsa il mio cervello si scollegò dalle loro voci. In quel momento l’idea che Sahan se ne andasse mi risultava intollerabile; era l’unico con cui riuscissi a parlare tranquillamente, da pari, senza che pensasse a me come una specie di elettrodomestico dal funzionamento singhiozzante. Stabilii che se c’era un modo di salvarlo era dimostrare che aveva ragione e quindi, appena voltato verso il lavabo, afferrai una piccola ciotola d’acciaio che lo chef usava per la citronette e assaggiai col dito la salsa che ci era schizzata dentro. Reagii immediatamente con una smorfia.
«Ha ragione, è acida!»
La mia esclamazione spense il volume di tutti gli altri, che mi guardarono sorpresi, e in un paio di casi indispettiti: in quanto sguattero ero già fuori posto a essere così lontano dalla plonge; figurarsi se potevo permettermi di assaggiare una pietanza e dare un parere a dei cuochi diplomati.
Senza aggiungere nulla porsi la ciotola agli altri. Baader e Isabel l’assaggiarono con reazioni più che imbarazzate e alla fine Durand si decise a fare lo stesso con il fidato cucchiaino d’oro che teneva nel taschino. Chiuse gli occhi per un lungo momento in cui mi parve tentare di controllare la furia, poi guardò Sahan.
«Volevi un’occasione, è così? L’avrai ora» sentenziò, agitandogli contro il cucchiaino come fosse un’arma carica. «Non era ben fatta, ma la salsa era recuperabile, non acida. Buttarla è stato stupido e arrogante. Dovevi venire immediatamente da me se eri sicuro che non andasse bene.»
«Dati i nostri precedenti dubitavo di ricevere giudizi impar–»
«Sto parlando, Micheaux, ascoltami o vattene subito da questa cucina!» lo tacitò Durand, in tono duro ma senza gridare. «Chiederò al maître di proporre in sala un piatto speciale come sostituzione di quello che non possiamo preparare. Sta a te creare un piatto all’altezza di risollevare i nostri ospiti dopo quella che è senz’altro una delusione.»
Guardai Sahan con apprensione, ma la sua rabbia era completamente svanita lasciando posto a un bruciante entusiasmo.
«Non ve ne pentirete, chef!»
«Me ne sono già pentito, Micheaux, ma come sempre l’ultima parola spetta al cliente. Questo tuo padre te lo avrà insegnato, presumo» ribatté Durand riponendo il suo cucchiaino nella tasca. «Solo se il tuo piatto verrà apprezzato ti darò una seconda chance qui da noi, mi sono spiegato?»
«Oui, chef.»
«I clienti stanno già aspettando il secondo, quindi ti consiglio caldamente di sbrigarti… e un’altra cosa» aggiunse quando vide Sahan in procinto di scattare. «Hai fatto questo disastro per arroganza, perciò se speri di essere perdonato rimedia da solo a quello che hai fatto. Nessun altro chef qui dentro ti aiuterà.»
Mi sentii malissimo, ma se Sahan era preoccupato lo nascose piuttosto bene. Durand si voltò verso Malone al passe.
«Che altro doveva uscire con il salmone?»
«Due quaglie e un arrosto» disse lui senza uno sguardo alle comande, come sempre.
«Quanto per quaglie e arrosto?»
«Cinque minuti, chef» rispose risoluto Aguero dal suo angolo delle carni.
«Hai otto minuti, Micheaux. Non puoi rallentare tutta la cucina» fece Durand senza guardarlo, e fece un cenno a Malone. «Passate alla comanda successiva senza salmone e poi tornate a quel tavolo. Tornate tutti al vostro lavoro, e se vedo anche solo un commis passare uno spelucchino a Micheaux licenzio lui e chi gli ha dato una mano, sono stato chiaro?»
«Sì, chef!» fu la risposta in coro della cucina.
Mi trovai smarrito e confuso in mezzo alla postazione delle zuppe quando la cucina riprese il normale tran-tran. Sahan si mordicchiò il labbro per un momento, poi iniziò a guardarsi intorno.
«Quanti ordini di zuppa abbiamo ancora?»
Lo chiese a voce molto alta e chiara, ma non venne alcuna risposta. Guardai lo chef Malone e chef Durand, insolitamente insieme al passe, ma nessuno dei due fiatò. Sahan ripeté la domanda con il medesimo silenzio come risposta. Lo vidi mordersi il labbro e in quell’attimo capii che si era reso conto di aver fatto una mossa azzardata a prendersela con Leclaire in modo tanto ostile. Tuttavia, io non ero disposto a perderlo senza fare niente; non se c’era una cosa qualsiasi che potessi fare.
Malone mi fissò a occhi sgranati quando mi precipitai al passe a leggere le comande, quasi avesse visto un cane aprire un libro. Forse dubitava ancora che avessi mai imparato a leggere, non saprei dire perché fosse così sorpreso.
«Sono… una zuppa di pesce e due di pomodoro, Sahan!»
Incrociai lo sguardo di Durand, ma per la prima volta non riuscii a capire che cosa stesse pensando. Non riuscivo a capire se fosse arrabbiato, indispettito, sorpreso o che altro. Cercai di farmi coraggio sostenni lo sguardo con lui.
«Avete detto che nessuno chef e nessun commis può aiutarlo, ma non avete parlato di sguatteri.»
«Gli sguatteri non cucinano» osservò lui con un accenno di sorriso. «Per questo non ne ho parlato. Ma se ritieni di non essergli di intralcio sei libero di aiutare, le tue padelle possono aspettare sette minuti.»
Era chiaro che se non mi aveva rispedito alla plonge era solo perché era sicuro che non sarei stato di alcun aiuto per Sahan o che addirittura lo avrei affossato. Mi sentii insultato più che dai molti nomignoli presi in quei due anni e serrai la mascella come mi veniva naturale fare in quei casi. Decisi di superare i miei stessi limiti per poter essere di una minima utilità. Volevo che Sahan restasse, lo volevo più di qualsiasi altra cosa.
Tornai da lui, in piedi sulla porta della dispensa.
«Ci sono sette ordinazioni di salmone» gli dissi con vaga apprensione. «Non è detto che tutti chiedano lo speciale, qualcuno potrebbe cambiare con un altro piatto… che cosa pensi di cucinare, Sahan? Dovresti scegliere qualcosa che cuocia in fretta, perché…»
«Grazie, Raim, so che cosa cucinare. Perdonami, ho fretta.»
Lo guardai agguantare riso, dei pesci grigi che all’epoca non avevo la minima idea di cosa fossero e due barattoli di spezie. Così carico temevo rovesciasse qualcosa e mi feci avanti prendendogli il vassoio di pesci e il pacco di riso.
«Posso fare qualcosa per aiutarti? Qualsiasi cosa» gli dissi, e mi accorsi di quanto suonai supplichevole. «Non sono un cuoco, ma…»
«Restane fuori o Durand ti licenzierà in tronco!»
Non lo nego: il modo in cui mi aveva risposto prima mi aveva urtato, perché credevo che davanti alla sua migliore occasione anche qualcuno di gentile come lui non si sarebbe preoccupato di me. Mi sentii sollevato di capire la ragione di quell’improvvisa freddezza e sorrisi mentre lo seguivo fuori dalla cella frigorifera. 
«Ha detto che non ti posso essere di aiuto, quindi posso fare come mi pare.»
Sahan si fermò di colpo guardando verso lo chef al passe, ma lui non gli ricambiò lo sguardo. Rimase accigliato mentre predisponeva un tagliere, un lungo coltello e delle padelle.
«La pensa davvero così?»
«Avevi dubbi?»
«Pochi, in realtà. Bene, Raim, aiutami. Ne ho bisogno.»
Non so se lo focalizzai subito, ma a ripensarci ogni volta che torno a quel momento mi rendo conto di quanto fu importante per me sentire che qualcuno aveva veramente bisogno del mio aiuto: non mi succedeva da quando ero ragazzino e mia nonna si ruppe una gamba. Non mi ero mai sentito davvero necessario e in particolare gli chef, quando si arrabbiavano davvero, amavano sottolineare quanti sguatteri sarebbero arrivati a prendere il mio posto se solo avessero schioccato le dita.
«Farò quello che posso, Sahan. Dammi delle istruzioni!»
Sahan allineò delle padelle sui fornelli e mise il pesce sul tagliere.
«Devo sfilettare il pesce e pensare al riso. Ho bisogno che ti occupi tu delle altre cose.»
«Dimmi che cosa.»
«So che c’è del cocco nella dispensa. Rompi il guscio e raccoglimi la polpa e l’acqua che c’è dentro… un paio dovrebbero bastare.»
«Come li apro, Sahan? Non so come si fa!» gli dissi mentre mi precipitavo a prenderli.
«Prendi la mannaia e mettiti su una scodella» mi spiegò mentre muoveva il coltello dentro al pesce come una danza samurai, senza esitazione. «Dai dei colpetti lungo una linea e raccogli l’acqua del cocco, poi forza l’apertura usando la lama come leva… attento alle mani, Raim. Non avere troppa fretta.»
Seguendo le sue istruzioni per la prima volta presi in mano dei coltelli della cucina per sporcarli invece che per lavarli. Riuscii ad aprire il cocco piuttosto agevolmente e sempre eseguendo le direttive trasformai il cocco in una crema, che Sahan mescolò con la zuppa di pomodoro e il brodo di pesce. Mentre mescolavo il riso nelle padelle per lasciare libere due mani più preziose delle mie lo seguivo con la coda dell’occhio e mi sorpresi quando mi porse una cucchiaiata di quel brodo arancione e corposo che aveva ottenuto.
«Assaggia. In cucina bisogna assaggiare sempre tutto» mi disse con serietà. «Ho bisogno che tu mi dica che gusto senti.»
Mi resi perfettamente conto del ghigno di scherno di Leclaire, che d’altronde era proprio vicino a noi a curare gli altri piatti di pesce. Feci appello a tutte le mie più profonde e inutilizzare capacità e assaggiai la zuppa.
«Pomodoro… sento il pesce, il cocco, qualcosa di piccante… peperoncino o… qualche altra cosa che solletica il naso.»
«Bene, è lo zenzero» mi svelò con un sorriso. «Qualche altra cosa?»
«Mi sembra un riso che prendo al take-away indiano» replicai a bassa voce, con un tono mortificato.
Sahan emise una risata allegra.
«Bene, perché ho aggiunto curry, cardamomo verde, peperoncino e zenzero. Deve sembrare indiano!»
«Però» aggiunsi mentre stava prendendo una mestolata della zuppa, «credo che manchi un po’ di sale.»
Sahan mi guardò sorpreso e non fu l’unico: dal passe chef Malone ci guardava come non credesse ai suoi occhi. Si era girato verso di me come se mi fosse appena scoppiato un petardo tra le mani.
«Mi spiace… voglio solo dire… se lo servissi a me io chiederei del sale.»
Lui assaggiò la zuppa con molta concentrazione e alla fine aggiunse un altro pizzico di sale prima di rimestarla. Pure nella concitazione sorrideva con la bocca e con gli occhi.
«Mi fido di te, Raim. Dopotutto hai un palato buono per non essere uno chef, non trovi?»
Non avevo assolutamente la presunzione di avere un buon palato dato che cucinavo pochissimo per me stesso ed ero cliente fisso di molti fast food della zona, ma avrei imparato a ricredermi su quel punto.
Sahan mi chiese di continuare a mescolare il riso dopo avergli aggiunto il brodo di pesce. Obbedii e di tanto in tanto buttai un occhio dalla sua parte per guardarlo mentre affettava in piccoli tranci i filetti di ricciola e mescolava spezie in una ciotolina di olio. Ancora non avevo idea di che cosa stesse cercando di preparare, perché era ormai evidente che non era un risotto con pesce.
«Speciale al passe tra trenta secondi!» annunciò a quel punto, e prese i piatti da servizio. «Raim, impiatto i primi due da solo, ma tu trovami il cannello per la crème brûlée, sii gentile.»
Dopo un momento di confusione partii verso il bancone in fondo, quello riservato esclusivamente ai dessert. Fu una fortuna che gli chef lasciassero a me il compito di ricaricare il gas del cannello, così sapevo esattamente dove trovarlo senza dover ribaltare la postazione alla ricerca di uno strumento che Baader non poteva dirmi dove trovare.
«Eccolo, ma che cosa devi…?»
Mi bloccai quando arrivai al passe: Sahan aveva impiattato tre speciali con una montagnola di riso al centro che sembrava un’isola affiorante in un mare di un vivace arancio, e i pezzi di pesce erano messi come un fiore al di sopra del riso. Erano coperti di un olio speziato. Non aveva affatto l’aria di un piatto francese, ma faceva venire l’acquolina in bocca.
Sahan mi sorrise mentre mi derubava del cannello in un modo che sembrava una carezza più che un gesto brusco come ci si aspetterebbe dalla fretta, l’accese senza esitazione e abbrustolì appena il pesce: l’olio speziato come reazione al calore sprigionò un intenso aroma che solleticava il naso e anche l’immaginazione. Mi sembrava impossibile che qualsiasi cliente potesse non avere voglia di assaggiarlo non appena posato sul tavolo.
Sahan spinse uno dei piatti verso Durand e Malone, entrambi dall’espressione indecifrabile. Senza una parola Malone prese due cucchiai puliti e il piatto venne assaggiato nelle diverse parti: riso, zuppa e pesce. Il maître Kerr attendeva con il fiato sospeso l’autorizzazione a servire e a me dava l’impressione che fosse molto colpito dall’aspetto invitante dei due speciali fuori menu.
«Emmett, servi gli speciali… con tutte le dovute scuse per il disguido» fu il solo commento di Durand.
«Oui, chef.»
«Tavolo sette, due arrosti e un vegetariano!» chiamò Malone, come nulla fosse successo. «Quanto tempo?»
«Tre minuti per l’arrosto, Chef!»
Sahan lasciò il passe portando via il piatto assaggiato dagli chef e senza sapere cosa fare lo seguii come un cagnolino. A ogni passo l’odore del piatto sembrava dare una sfaccettatura diversa e non mi spiegavo come fosse possibile qualcosa di così magico.
«Dobbiamo servire altri speciali… stammi vicino, ti insegno come impiattarlo da manuale!»
«Io… ora ce la fai anche da solo a cucinare?»
«Se non ne arrivano una valanga penso di farcela, sì… la zuppa è pronta, preparo un po’ di riso in modo che debba solo finire e sia più veloce…»
«Allora io torno al mio posto… chiamami se ti servono due mani.»
Presi la ciotola con il guscio di cocco, il colino e tutto ciò che avevo sporcato nella preparazione, pronto a tornare al mio angolino e smaltire le stoviglie che si erano accumulate. Sahan aveva l’espressione confusa e mi diede l’idea che avesse dimenticato che non ero un cuoco. Feci del mio meglio per sorridere alla sua delusione.
«Mi sono divertito a cucinare con te, Sahan» gli dissi a bassa voce, perché Leclaire tendeva le orecchie per sentirci. «Ma questa è la tua occasione, non la mia… fai una bella figura e resta qui con noi. Sei un bravo ragazzo e ho bisogno di qualcuno di simpatico, qui dentro.»
Tornai al mio lavandino – intasato di pentole, pinze, cucchiai e quant’altro – con la sensazione piacevole di aver fatto qualcosa di davvero importante per la prima volta in molti anni. Stavo pulendo i coltelli con attenzione quando sentii fioccare ordinazioni extra o cambi di comanda dal passe, tutti con lo speciale in lista. Sahan diede un tempo stimato per il servizio successivo e poi fece capolino da dietro la postazione del pesce, con un sorriso sfolgorante.
«Mi prepareresti altro cocco come hai fatto prima?»
Sorrisi e mi asciugai le mani in fretta.
«Oui, chef!»

 
La storia verrà aggiornata ogni sabato.

Per seguire gli aggiornamenti o leggere la storia puoi seguire le mie pagine su:
Facebook: @atypingheart
Twitter: @a_typing_heart
Wordpress: notturnoofnovel.wordpress.com
Wattpad: @a_typing_heart
AO3: @a_typing_heart
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: A_Typing_Heart