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Autore: persempre_73    17/04/2021    7 recensioni
Questa one shot è l'epilogo della mia fanfiction Tutto in una notte, pubblicata anni fa. La pubblico autonomamente perchè l'ho scritta dopo tanto tempo, spinta da un'improvvisa ispirazione, Sentivo che quella storia aveva ancora qualcosa da dire. Consiglio la lettura dopo avere letto la long per evitare spoiler e comprendere il contesto.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy)
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TUTTO IN UNA NOTTE
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Epilogo
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“È già pronto a scrivere signor Larson? Aspetti, prendo un attimo fiato…
Mi sento emozionato, non amo parlare in pubblico, si figuri cosa possa provare ora a rilasciare addirittura un’intervista! Conoscendo bene lui poi sono sicuro che all’inizio storcerà il naso quando leggerà le mie dichiarazioni; è una persona molto riservata a cui piace proteggere la sua privacy più che decisamente, lo sapete tutti. Ma sono sicuro che dopo qualche colorita invettiva non se la prenderà più di tanto stavolta.
È il mio modo per salutarlo con rispetto e ammirazione e preparare Broadway a riaccoglierlo tra le sue braccia con caloroso affetto quando domani scalderà nuovamente con la sua maestria il suo pubblico dopo tre anni di assenza insieme alla Royal Shakespeare Company.
In attesa di un Macbeth che certamente non dimenticheremo facilmente, come non abbiamo in questi anni dimenticato il suo strepitoso talento, mi piacerebbe raccontare una piccola storia che lo riguarda.
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Chi sono io? È vero, scusatemi, sono una frana, non mi sono presentato ancora.
Mi chiamo Gordon Parker e sono l’ufficiale del mercantile militare Juppiter che ha tratto in salvo Terence Graham nel maggio di quattro anni fa durante il terribile naufragio della RMS Mauretania.
Sì, è anche un po’ grazie a me se il teatro shakespeariano conserva ancora nel suo firmamento una delle sue stelle più sfavillanti…
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Quando ripenso a quella notte mi assalgono ancora brividi violenti.
Non potete capire cosa si provi a guardare con i propri occhi l’Inferno… senza poterli richiudere dallo strazio per lasciare sgorgare le lacrime.
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Avevamo ricevuto l’SOS subito dopo l’impatto con l’iceberg ma riuscimmo a raggiungere i naufraghi solo di prima mattina. Purtroppo ci erano stati segnalati sulla rotta altri banchi di ghiaccio ed era troppo rischioso avvicinarci seguendo una traiettoria più tesa; dovevamo aggirare quegli ostacoli allontanandoci per qualche miglio per poi virare e tornare indietro verso di loro. Per fortuna il capitano del transatlantico, mi sembra si chiamasse… Stevens, era riuscito, con grande sangue freddo devo dire, a portare la nave fuori dall’area di rischio e così il nostro avvicinamento e le manovre di soccorso procedettero almeno senza ulteriori intoppi.
Questo però ci fece perdere alcune ore preziose. È ancora un atroce rammarico per me che riuscimmo a salvare meno della metà dei passeggeri.
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Non ero nuovo ad operazioni del genere. Mi era capitato altre volte di partecipare a missioni di salvataggio dopo gravi incidenti in mare così fui tra gli ufficiali prescelti per salire sui gommoni. Avevamo un solo ordine: salvare quante più vite ci fosse possibile, nel più breve tempo possibile.
L’ufficiale capo Brown, che dirigeva le operazioni, ci divise in quattro gruppi, inviandoci a perlustrare diverse aree verso i nuguli di scialuppe che si tenevano vicine, legate con i cordoni. Solo un gommone si avvicinò al punto dell’affondamento ma se ne venne via dopo una manciata di minuti perché c’erano davvero esigue speranze per le tante persone che erano rimaste ore in quelle acque ghiacciate, appigliandosi a qualunque oggetto galleggiante. Solo poche anime furono tratte in salvo tra quegli sventurati innocenti; ci fu detto chiaramente di non sprecare il nostro tempo con loro e concentrarci sulle persone nelle scialuppe.
Ci chiamavamo urlando come dei pazzi isterici per farci accorrere da una parte all’altra a tirare su quella povera gente appena ne udivamo un sussulto di vita.
Eravamo tristemente coscienti che per loro anche un solo minuto in più in quelle condizioni poteva fare la differenza tra la sopravvivenza e la morte ma, ve lo assicuro, era realmente un’angoscia avere l’obbligo e la responsabilità di dovere scegliere verso chi tendere le braccia.
A dire la verità erano quasi tutti incoscienti nelle scialuppe; non si riusciva davvero a capire chi fosse morto e chi solo crollato per lo sfinimento fisico e il gelo insopportabile.
In quello strepito di voci ad un tratto successe qualcosa che ancora ora mi mette la pelle d’oca al solo pensiero.
Udii una musica. Era una melodia dolcissima, prodotta da un carillon.
Un incredibile e stridente, quasi odioso contrasto con quel lugubre spettacolo di morte che mi circondava.
Proveniva dalla lancia numero otto. Quel numero era ben evidente sulla fiancata quando ci avvicinammo attirati dal suo richiamo.
In quel momento mi accorsi della ragazza.
Era minuta, bionda, pallida come un lenzuolo. Sembrava che avesse fatto uno sforzo immane per fare uscire dalla sua bocca quel flebile gemito con cui ci stava chiedendo aiuto.
“Siamo qui…” riuscì a dire, scossa dal tremore.
Fui io, non lo scorderò mai, ad avvicinarmi a lei e cercare di calmarla.
“È tutto finito” le dissi prendendo il suo esile corpo tra le braccia per issarla su qualche attimo prima che perdesse del tutto lucidità.
Ma quando la sollevai vidi che la sua mano si stringeva con uno scatto nervoso alla mano di una persona che era accanto a lei. Una stretta forte, salda, che opponeva resistenza al mio slancio a dispetto delle poche forze che ancora la animavano. Come se non volesse lasciarla andare.
“Terence…” le uscì in un sofferto lamento dalle labbra prima di crollare.
Istintivamente guardai il volto dell’uomo disteso accanto a lei avvolto in doppio strato di coperte.
Mi venne un colpo! Io conoscevo quell’uomo! Terence Graham! Ma certo! Quante volte lo avevo visto a teatro, esaltato dalla sua bravura! Quante lacrime di commozione mi aveva fatto versare quell’uomo in tante notti di pura magia!
Era in uno stato di torpore profondo. Aveva le labbra gonfie e scure. Mi inorridì vederlo in quelle condizioni. Lo chiamai pregando in cuor mio che mi rispondesse anche con una piccola reazione, con la ragazza sempre tra le braccia, prendendo le loro mani ancora intrecciate.
Mi sembrò allora di avvertire un minimo movimento di un suo dito, nell’attimo esatto in cui tentavo di separarli.
Poteva essere ancora vivo?
Non ci pensai più un solo secondo. Portai nel gommone la ragazza e tornai caricandomelo addosso velocemente.
Raccolsi poi da terra il carillon, che non aveva ancora smesso di suonare, richiudendolo con cura e mettendomelo in tasca per poterlo restituire alla sua proprietaria.
In breve tempo caricammo anche gli altri passeggeri di quella scialuppa. Era tra le prime che soccorrevamo ed avevamo ancora speranza di riuscire a salvarli tutti. Presto però dovemmo arrenderci all’evidenza. Avremmo perso quella lotta contro l’assideramento che continuava a mietere vittime incessantemente… In quelle lunghissime tre ore in cui rimanemmo in acqua fummo costretti a concentrare i nostri sforzi solo sulle persone che ci sembravano avere più probabilità di sopravvivere. Nelle ultime scialuppe trovammo quasi tutti cadaveri. Non sapete quanti rimpianti mi porto nel cuore da quelle tre ore maledette!
Ricordo che quando tutto finì me ne rimasi per un tempo indefinito seduto con le mani tra i capelli; non riuscivo a scrollarmi da quello stato di apatia. A quante persone avrò chiesto scusa…
Lo faccio ancora, ogni sera, da allora, scusatemi per non essere stato più veloce. Avrei voluto salvarvi tutti!
Mi perdoni, signor Larson, sono un emotivo lo so, quando penso a quei momenti mi commuovo sempre. Ha per caso un fazzoletto? Ecco, grazie… Un attimo che mi riprendo e ricomincio a raccontare…
Che cosa stavo dicendo… ecco… sì… mentre ero lì immobilizzato dalle mie angosce, mi tornò alla mente il volto sofferente di Terence Graham.
Che ne era stato di lui? I medici a bordo erano riusciti fare qualcosa per non lasciarlo andare?
Fu quel pensiero a scuotermi e spingermi ad alzarmi da quella sedia. Cominciai a chiedere di lui in giro. Si stavano già diffondendo a bordo le notizie sulle celebrità che avevamo tratto in salvo. Un altro ufficiale mi portò nel reparto dove stavano praticando le manovre di rianimazione più disperate. Le infermiere presenti, indaffarate come api di un alveare, mi confermarono che l’attore era lì ma mi intimarono seccamente di allontanarmi senza dirmi altro. Non c’era proprio il tempo per perdersi in chiacchiere inutili con qualche curioso ammiratore. Lì dentro c’era un subbuglio incredibile, non invidiai per niente il personale medico.
Almeno però tirai un timido sospiro di sollievo. Se non altro non era stato trasportato negli ambienti adibiti a camere mortuarie…
Risalendo nella zona della nave che era stata allestita in corsie per accogliere i tanti feriti, rividi fortuitamente la ragazza bionda. Giaceva nel corridoio addormentata su una piccola brandina. Il suo volto aveva ripreso un colorito più vivo. Aveva una bella carnagione, pensai, ed un’espressione molto dolce….
Di fianco le avevano posto una piccola targhetta col nome. Era tra i pochi superstiti che erano riusciti ad identificare. Mi avvicinai cercando di non svegliarla e sollevai la piccola borsa poggiata accanto a lei per inserivi all’interno il carillon.
Candice. Anche il suo nome era così dolce…
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Passò qualche giorno senza sapere nulla di loro, anche se quelle due mani strette non le avrei scordate con leggerezza. Mi aveva scosso e toccato profondamente quell’immagine.
Ancora una volta per puro caso mi trovai una settimana dopo al Medical Center, di passaggio per una visita ad un collega dello Juppiter che era stato lì ricoverato. Vidi l’addetto alla sorveglianza che cercava di respingere educatamente alcune ragazzine, ammiratrici dell’attore Terence Graham che cercavano di fargli recapitare dei fiori. Mi affrettai al banco della reception spiegando che ero stato il soccorritore di quell’uomo durante il naufragio e chiedendo se davvero fosse lì e come stesse.
Potete capire la mia gioia quando mi fu detto che erano riusciti a salvarlo!
Era vivo! Aveva rischiato di rimanere in quelle scialuppe gelate e invece miracolosamente io lo avevo portato via dall’inferno…
E lui era sopravvissuto!
Senza neanche ragionarci su, altrimenti probabilmente il pudore mi avrebbe bloccato, chiesi di potergli fare avere un biglietto da parte mia. Gli scrissi quello che provavo. Che ero semplicemente felice per lui. Quella felicità reale in parte compensava tutta l’afflizione che mi aveva regalato quella notte. Firmai il piccolo foglio per fargli sapere come mi chiamavo. Non pretendevo nulla da quella mie parole.
Eppure, con mia grande incredulità, la sua risposta mi arrivò qualche giorno dopo.
Chiese di potermi incontrare. Voleva ringraziarmi di persona.
Fu così che lo rividi di nuovo.
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Mi sentivo emozionato quando mi fu concesso di andare a visitarlo nella sua stanza. Ricordo che aprii esitante e imbarazzato la porta, non sapendo cosa sarei riuscito a dirgli.
Terence era seduto su una sedia a rotelle, ancora visibilmente provato dalla drammatica esperienza vissuta. Accanto a lui c’era la ragazza bionda, Candice. Mi venne un groppo in gola quando vidi quelle mani che si stringevano ancora sulle sue gambe. Non credo di avere mai visto tanto amore nello sguardo di un uomo e di una donna…
Mi senti di troppo in quel silenzio commosso che sembrava non tollerare spiacevoli interruzioni e feci per ritirarmi ma lui, accortosi di me, mi chiamò per nome chiedendomi di avvicinarmi a loro.
Chissà perché mi aspettavo un ringraziamento sentito ma formale. Lo conosciamo tutti dai giornali, Terence Graham non è una persona prodiga di parole, dai modi tutt’altro che affettati; ai più potrebbe apparire fin troppo asettico e scostante; e invece quel giorno lui mi accolse con un sorriso affabile che mi alleggerì il cuore. Mi chiese se poteva ringraziarmi con un abbraccio. Non scorderò mai il modo in cui mi cinse la vita attirandomi a sé e benedicendo il cielo che avessi scelto di raccoglierlo da quella scialuppa. Di averlo scelto!
Vedendomi con le lacrime agli occhi cercò subito dopo di sdrammatizzare, dicendomi che mi ero guadagnato senz’altro un posto in prima fila nell’anteprima del suo prossimo spettacolo, anche se, a ben vedere, avevo già assistito in esclusiva alla sua più riuscita prestazione in una tragedia.
Non so da dove diavolo gli venisse la forza di scherzare anche in quelle condizioni!
Gli risposi che lo ammiravo enormemente e che lo aveva già visto più volte a teatro ma che avrei preferito da quel momento in avanti vederlo agonizzare solo su un palcoscenico. Preferivo decisamente il sorriso riconoscente che gli vedevo ora stampato in viso, accarezzato a distanza dalla mirata amorevole della sua compagna.
Già, Candice. Anche lei mi ringraziò con calore. Rimanemmo per un po’ a chiacchierare amabilmente come conoscenti qualsiasi. Mi sentivo così felice di avere contribuito a proteggere quel loro amore così straordinariamente forte da arrivarmi da subito dentro e conquistarmi senza riserve, anche se non li avevo mai visti prima insieme!
Da allora abbiamo preso a scriverci e siamo diventati amici. Anche se sinceramente non mi sarei mai aspettato dopo quell’unico breve incontro di ricevere un invito per le loro nozze che si tennero circa un anno dopo.
In quella occasione ancora una volta fui sorpreso da loro.
Aprii l’elegante invito contenuto nella lettera aspettandomi di leggere il risonante nome di qualche albergo di lusso di New York o Chicago dove si sarebbe svolto un sontuoso ricevimento, invece mi stavano invitando in una minuscola località nelle campagne dell’Indiana, La Porte. La cerimonia si sarebbe tenuta lì in un orfanatrofio dal nome simpatico, la “Casa di Pony”.
Terence, non ti innervosire, ti prego, quando leggerai questa intervista, ormai sono passati tre anni; so che allora non avete voluto raccontare niente alla stampa di quelle nozze ma mi piace l’idea di far conoscere, senza essere troppo invadente nella vostra vita familiare, almeno lo spero, le splendide persone che siete entrambi. Perché la gente vi possa apprezzare ancora di più e volere bene come ho facilmente imparato a fare io.
Ebbene, quando arrivai in quel luogo quel giorno soleggiato di primavera, dopo un viaggio non propriamente agevole, mi ritrovai davanti un piccolo edificio immerso nel verde, dignitoso ma non certo appariscente né tantomeno sfarzoso. La sua sola vista da lontano però mi regalò un senso di serenità che non provavo da tempo. Quel luogo sembrava avvolto in un’aurea accogliente d’amore.
La prima irrazionale impressione mi fu dopo pochi minuti confermata dalla conoscenza delle persone schiette e gioviali che vi vivevano. Era l’orfanotrofio dove era cresciuta Candice, prima di essere adottata da William Andrew, come lei stessa ha reso ormai di dominio pubblico.
Mai in vita mia ho assistito ad una festa più piena di risate spensierate. Quanto affetto sincero circondava benevolmente quella giovane coppia!
Tra gli invitati c’erano persone evidentemente di elevato ceto sociale e personaggi famosi come i colleghi di Terence della compagnia Stratford, in cui allora recitava, primo tra tutti il leggendario per me Robert Hathaway, ma c’erano anche tantissime persone di estrazione più modesta. E poi tanti bambini, i piccoli orfani di quella casa, che scorrazzavano allegri e festanti per il prato riempendo di voci e colori quel quadro bucolico. Non c’erano stridii e contrasti in quell’allegro miscuglio di umanità varia. Si avvertiva in tutti solo la voglia di festeggiare un uomo ed una donna uniti da un sentimento di rara bellezza, a cui tutti si sentivano ugualmente legati.
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Rimasi anche io abbagliato come Terence, lo ammetto, quando Candice arrivò vestita come una leggiadra nuvola bianca nell’angolo di quella collinetta lì vicino, che avevano allestito per la funzione religiosa, accompagnata dalle sue due graziose amiche damigelle.
Il suo candido abito sobrio ma elegante non aveva particolari vezzi e sgargianti abbellimenti di crinoline e pizzi. Bello di una bellezza semplice e vera, come lo è chi lo indossava.
Bastavano i suoi splendidi occhi verdi felici, limpidi e scintillanti come due piccoli smeraldi, ad impreziosirlo.
Ero felice anche io, nel mio piccolo, di avere contribuito alla luce di quel sorriso che le rischiarò il volto quando raggiunse Terence all’altare.
Ricordo che in quel momento gli occhi di quell’uomo erano gonfi di un pianto a stento e maldestramente trattenuto.
Non facevo fatica a immaginare perché avesse lottato caparbiamente con tutte le sue forze, andando ben oltre i suoi umani limiti quella notte per non rinunciare alla luce di quel sorriso…
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Arrivò poi il momento del ricevimento, divertente e poco ossequioso delle etichette, come da loro a quel punto cominciavo ad aspettarmi.
Mi mescolai ai loro amici senza pormi più imbarazzi, unendomi ai tanti sonanti brindisi che si susseguirono in quelle ore che volarono via lievi, continuando ad ammirare da lontano i loro abbracci, le loro risate e i loro scherzi complici.
Vi starete chiedendo se non avessi bevuto troppo, vero?
Chi? Proprio il serioso Terence Graham che sfugge come la peste le occasioni mondane e risponde a monosillabi alle domande nelle interviste mandando in bestia i poveri giornalisti che cercano di sapere di più di lui per appagare la curiosità del suo pubblico? Vedo che il signor Larson sorride, avrai fatto penare anche lui, caro Terence, o sbaglio?
Serioso quel giovane uomo felice che volteggiava serrato a sua moglie al centro dell’improvvisata pista da ballo, senza curarsi minimamente delle attenzioni suscitate con le loro scaramucce giocose e le loro effusioni?
Serioso quell’ironico marito che rintuzzava a tono con irriverenza alle bonarie frecciatine degli amici sul suo carattere scontroso e geloso sotto gli occhi fintamente imbronciati della sua Candice?
No, non avevo bevuto troppo, almeno non tanto da ubriacarmi, il solerte dottor Jason Dean che era seduto accanto a me non me lo avrebbe permesso, e sì, indubbiamente non conoscete sul serio Terence Graham.
Terence è anche quel giovane uomo… acuto, generoso e ironico, finalmente in quel giorno libero di vivere la sua felicità a caro prezzo stretta tra le dita, di cui conosceva tutta la sua inestimabile ma anche precaria preziosità.
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Terence e Candice avevano avuto l’idea di chiedere agli invitati, invece di far loro regali, di sottoscrivere donazioni per la fondazione a favore dei parenti delle vittime del Mauretania, verso cui si erano strenuamente prodigati in quei mesi. Loro stessi avevano fatto in quell’occasione un cospicuo versamento insieme a John Freymond, l’altro fondatore e ispiratore di quella lodevole iniziativa benefica, anche lui presente alla cerimonia con il suo adorabile nipote.
Mi fecero una grande tenerezza quando insieme ringraziarono i presenti per la loro generosità raccontando come si stessero impegnando personalmente per sostenere le famiglie toccate dalla tragedia. Pensai che anche se la buona sorte aveva concesso loro di sopravvivere a quel mostruoso incubo, entrambi non si sarebbero mai liberati dal suo opprimente ricordo, portando in fondo al cuore un senso di colpa difficilmente soffocabile dalle coscienze nei confronti dei tanti che di quella notte non erano riusciti a vedere la fine.
Ma almeno, da anime nobili quali entrambi sono, avrebbero fatto tesoro di quel prezioso privilegio riservato loro, non dando per scontata la bellezza di ogni attimo della vita che avevano ricevuto miracolosamente in dono e cercando di alleviare, per quanto possibile, la sofferenza e il disagio materiale di quanti erano stati meno fortunati.
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Conservo ancora gelosamente la fotografia scattata subito dopo con gli sposi insieme ai testimoni di nozze.
Io sono accanto a Terence, alla sinistra di William Andrew e di Adrian Foster, altro superstite del naufragio e suo grande amico. All’epoca quest’ultimo era ancora convalescente, non aveva avuto la fortuna di avere gli stessi suoi veloci tempi di ripresa. Non riusciva a tenersi in piedi ma volle comunque alzarsi per essere immortalato con noi, sorretto con fermezza dal signor Andrew. Mi ha fatto tanto piacere sapere da una lettera di Candice (sì, la dolce consorte di Terence adora scrivere lettere…) che ora si è ripreso completamente. Lo meritava anche lui, so che entrambi sono stati insigniti dallo Legion d’onore americana di un riconoscimento d’encomio per gli atti di eroismo compiuti durante il disastro.
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Tutto questo racconto, con cui spero sinceramente di non avervi annoiato, per farvi conoscere quanto già credo tutti abbiate percepito vedendo recitare su un palco Terence Graham anche solo una volta!
Dietro quel magnetico e caleidoscopico primo attore dalle mille sapienti sfumature interpretative che tutti ormai da tempo apprezziamo si cela un uomo di rara e splendida umanità, capace di emozionare fino alla commozione il suo pubblico perché è con la stessa profondità che vive ogni sua emozione.
Un uomo in grado di donare amore dalla bocca delle creature che anima perché conosce l’amore, la forma più pura ed assoluta dell’amore… Che riga di sofferenza ogni parola pesante che declama perché quei brividi gli hanno realmente graffiato il petto e il cuore, facendolo sanguinare ma mai fermarsi. Perché, io lo conosco
bene ormai, Terence è un’anima luminosa e forte, di quelle che ti lasciano un segno quando le incontri, anche solo sfiorandole, e ti restano dentro per sempre. Così, come quando esci da quel teatro dopo averlo visto, con le sue parole che ti rimbalzano in testa e ti accompagnano sulla tua strada non concedendoti di relegarle facilmente all’oblio. Ti sembrano vere, vissute, ti scavano dentro. Ti prendono a pugni e poi ti prendono per mano.
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Ecco, come sempre ho divagato, signor Larson… perché non mi ha fermato?
E tu, caro Terence, sul serio non me ne volere se ho reso pubblica una piccola parte di te. Hai una cena pagata quando finalmente a breve potremo rivederci e riabbracciarci lontano dai riflettori.
Ti auguro un grande successo nella tua Broadway che ha visto accedersi la tua fulgida stella ed auguro a Broadway di godersi la tua piena maturità.
Sarò felice di rivedere Candice, perché so che sicuramente sarà al tuo fianco come sempre e magari anche di potere conoscere il vostro piccolo prezioso tesoro, Eleanor Emily.
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Con infinito affetto
Il tuo amico e più grande ammiratore
Gordon Parker”
 
  
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