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Autore: sacrogral    17/04/2021    7 recensioni
... in cui il cavaliere innamorato si lascerà andare a pensieri vaghi, la donna soldato azzarderà onestà intellettuale, il divin marchese mostrerà due facce e finalmente la trama andrà un po’ avanti, mentre l’autore pensa che un bicchiere di Maudit potrebbe decisamente giovare.
Questa storia è il continuo di un'altra storia, contiene riferimenti ad altre mie storie.
La descrizione di Oscar è per te, mia Beatrice, e il motivo lo sai. Se dovesse dispiacerti, perdona l'autore, in fondo siamo solo ombre e la vita è un sogno dentro a un sogno.
Genere: Avventura, Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né ‘l debito amore
 

In cui il cavaliere innamorato si lascerà andare a pensieri vaghi, la donna soldato azzarderà onestà intellettuale, il divin marchese mostrerà due facce e finalmente la trama andrà un po’ avanti, mentre l’autore pensa che un bicchiere di Maudit potrebbe decisamente giovare.
 

Tutto è stato forzato, adattato, romanzato; soprattutto la Storia, sicuramente la Legge.
I protagonisti appartengono a RiyoKo Ikeda; il marchese de Sade all’umanità.

 
“La volta scorsa era primavera” disse Oscar, ricordando la loro visita al marchese de Sade, per eseguire un ordine infelice, in un giorno rivelatosi per lui particolare. Ricordava di aver pensato a Shakespeare e a se stessa durante il tragitto, rammentava di essersi rimproverata per aver indugiato su pensieri deboli; rammentava che quello che le era apparso come un segno di debolezza l’aveva resa più dura verso quell’uomo che durezza meritava, ma secondo André anche comprensione; e ricordava adesso la casa vuota, priva di servitù, e quell’uomo che era apparso come un pazzo e come un mistero, che per tutto aveva una giustificazione (1). Per André chiunque meritava comprensione, tutti avevano diritto a una seconda possibilità. Non era quello un pensare da soldato, rilevava lei; e più il tempo passava più lei credeva che avesse ragione.
“Adesso invece è autunno, ed è tempo di vendemmia” terminò André Grandier.
Cavalcavano lenti fianco a fianco, e intanto osservavano quello su cui non si erano soffermati la volta precedente – perché si osserva solo quello che si vuol vedere – nello specifico, le vigne.
Lunghi tratti percorrevano, brulicanti di giovani uomini e giovani donne, che raccoglievano le uve, e cantavano, e urlavano, e faticavano in allegria. Vigneti curati e rigogliosi, vigne felici che davano uve felici. Non vi era traccia del silenzio pregresso, al contrario la campagna brulicava di confusione e vita, e sembrava che una massa di gente dei dintorni si fosse mossa per la vendemmia del nuovo Maudit.
“Quel pazzo dà lavoro a fittavoli e contadini dei dintorni. E il cibo per le giornate, senza dubbio” constatò Oscar, pensando alla gestione delle poche vigne Jarjayes, ad Arras, grazie alle quali lei, il generale e sua Maestà, cui Agustin de Jarjayes faceva puntualmente dono  della metà dell’imbottigliato annuale, potevano godersi all’occasione il vino di famiglia, con lo stemma di famiglia a dargli un gusto particolare.
“E nessuno di questi tempi, di fronte alla penuria di lavoro e cibo, sembra arretrare all’idea di stare al suo servizio” considerò André, e osservò di nuovo il vivace movimento nella vigna, estesa. “Estesa la vigna, estesa la produzione” pensò André Grandier, che diffidava del Maudit, dopo aver visto gli occhi di Joss, un bandito buono, e quelli di Gobemouche, un poeta preoccupato sotto la facciata della follia, e di Foret, che non poteva mentire.
Appena giunsero, Oscar notò i cavalli al pascolo, e non riuscì a resistere; la volta scorsa, non aveva avuto modo di avvicinarli, André invece sì: “Eliogabalo, Nerone, Agrippina, Semiramide e Caligola, Oscar. Così ha chiamato i suoi cavalli” le aveva detto, ridendo, dopo.

André la precedette verso la casa, e pensò che c’erano gesti di lei, piccoli impulsi verso il mondo, che sarebbero rimasti sempre quelli della bambina Oscar, che lui continuava a vedere dietro il grado di generale di Brigata, dietro i gesti controllati, dietro le forme fattesi alte e flessuose come un mandorlo in fiore.

“Uno splendido animale” sentì una voce dietro di sé “Veramente bello, ma difficile da domare e si piega solo a frustate” André si voltò “L’altro, invece, è un cavallo, e come sapete di cavalli non conosco un granché”. Suo malgrado, il giovane sorrise.
“Come state, amico mio?” chiese il marchese de Sade, l’aria per niente sorpresa, come sempre, come se avesse aspettato proprio la loro visita.
André lo vide a volto scoperto (2), i capelli ingrigiti, lunghi, scomposti, ma l’espressione ineffabile, il sorriso ambiguo, l’umore ottimo. Sembrava felice di vederlo, sinceramente.
“Spero che vi portino qui nuove più liete rispetto all’ultima volta che ho avuto il privilegio di avervi ospiti sotto il mio tetto” affermò, sempre lieto, il marchese, e sembrava molto sicuro di sé, come uno che non teme niente “Ma ditemi” gli chiese ancora, tenendolo sulla porta, con la disinvoltura che si può usare verso un servo o verso un caro amico “avete per caso di nuovo bisogno di me, per una buona azione?” e lo disse come se avesse pronunciato una boutade, e divertente.
“Ve ne parlerà, Oscar, monsieur. Vi trovo benissimo. E libero. La lettre de cachet…”
“Oh, quella” e accompagnò le parole con un gesto della mano, a ricamare l’aria “Mia suocera la usa e la ritira a suo piacimento, e la Monarchia sembra aver altro a cui pensare rispetto all’invalidarla o al riconoscerla. Adesso è un periodo buono, forse la signora ha trovato modi diversi per soddisfare i suoi bisogni rispetto al tormentare il sottoscritto”.
André stava per rispondere che ne era davvero lieto, ma fu anticipato da voci femminili dall’interno della casa, che interruppero la conversazione di cortesia:
“Marchese, ne avete ancora per molto? Noi attendiamo”
“Sì, lupacchiotto, il tempo passa…”
Un’ombra di turbamento sembrò attraversare il volto di de Sade, ma nulla di paragonabile a quello che si dipinse sul viso di André Grandier.
Apparvero indi due ragazze, che definire discinte sarebbe ingeneroso. I volti allegri, arrossati, facevano contrasto stridente con la pelle delle spalle segnata da quelli che parevano segni di frustate, si stupì André, a cui le fanciulle sembravano non dare importanza.
“Solo un istante, mademoiselles, solo un istante. Nel frattempo, proseguite da sole, e non abbiate timore che i nostri patti restano immutati”
Le ragazze non erano ancora sparire, fra risatine e sfiorandosi fra di loro in una maniera che André pensò tutt’altro che innocente, e il marchese de Sade era già tornato fatuo, rivolgendosi all’ospite:
“Dicevamo?”
“Marchese, quelle signorine…”
“Sì, due ragazze indigenti, che son qui per la vendemmia, ma molto desiderose di apprendere, che nel tempo libero rendo edotte sulle teorie del Leviatano di mister Hobbes a proposito dell’assolutismo dello Stato, e sul nominalismo sia logico sia morale –  un’opera di carità di cui non mi vanto in giro. In fondo, anche l’uomo deforme trova specchi che lo rendono bello (3). Ma cosa ne dite di entrare, adesso, mio buon amico? Il comandante Oscar sta giusto per raggiungerci”.
“Volentieri” lo assecondò il suo buon amico, ancora perplesso, attendendo giusto il tempo che Oscar arrivasse.
 
André Grandier avrebbe ricordato a tratti, ma per tutta la vita, un pomeriggio inutile della sua fanciullezza. Le sorelle di Oscar avevano voluto un’altalena per i loro giochi appena meno che infantili, e il padre le aveva accontentate. La corda che tratteneva l’asse di legno era lunghissima e spingerle era una fatica non da poco. Un giorno, poi, una delle ragazze era caduta e nessuna aveva voluto più salirci. Oscar, quel pomeriggio, volle provare per gioco; André acconsentì a spingerla, e man mano che volava verso l’alto, gridava anche che la spingesse più forte. Gli alberi scricchiolavano come sotto raffiche di vento. Saliva sempre più verso il cielo, felice, le guance imporporate di piacere, e il ragazzo, sudato più che dopo una lunga corsa, la vedeva ridere un momento quando tornava a terra, per poi sparire dalla parte opposta, mentre la primavera attorno a lei e per lei fioriva. La spingeva verso l’alto con tutte le sue forze, i suoi piedi quasi toccavano, nell’ascesa, le foglie più alte degli alberi. Quando discendeva, abbassava un poco la testa, rimaneva ferma un istante, poi una forza la portava via, lei ricadeva con la testa abbandonata indietro, con gli occhi chiusi, persa in chissà quale sogno; i capelli erano mossi dal vento, e sembravano formare un’aureola in alto, quando entrava nel sole, sembravano avvicinarla agli angeli e lei era tutta d’oro, nel brillare del sole e del riso, nella sua giovinezza spensierata che premeva per uscire e scoppiava all’esterno.
D’improvviso, il generale l’aveva vista e da lontano l’aveva sgridata: “Oscar, smettila subito. È un divertimento da ragazzine sciocche”.
André aveva visto l’espressione mutata del volto, nel breve passaggio davanti a lui, mentre ancora l’altalena e Oscar volavano per forza d’inerzia; e aveva sentito un formicolio strano alla nuca, che era sempre l’annuncio di un pericolo e di una intuizione. E così aveva fatto appena in tempo a scattare in avanti, in modo da intercettare il corpo di Oscar a volo mentre cadeva verso terra, e a ricevere il peso di lei addosso per impedire ogni danno. Offesa e irritata, Oscar si era lanciata nel vuoto dell’altezza considerevole, senza pensare e impaziente. A lui che temeva di essersi rotto qualcosa nel riceverla, che adesso la separava col suo corpo dall’erba e dalla terra umida, e sul momento neppure aveva pensato a quanto fosse calda lei su di lui, bloccato dal peso stesso di quella che era senza dubbio una ragazza, tanto era ansioso di capire se fosse davvero tutto intero; a lui Oscar aveva detto solo: “Ti sembra un salto da ragazzina sciocca, questo?”
Nella mente giovane di André le due espressioni, di abbandono estatico prima e di fredda determinazione poi, si erano incastonate l’una con l’altra, legate in quel nastro verde di conoscenza che costringeva la vita di lui, come ormai era conscio.
E fu quell’espressione di fredda determinazione che vide sul volto del colonnello Jarjayes, mentre si avvicinava con passo deciso al marchese de Sade che, benevolo, la osservava.
 
“Immagino desideriate il mio aiuto per un’altra missione impossibile” ridacchiava fra sé il divin marchese “Ma vi avverto che son molto impegnato, in legittime mansioni” precisò ancora, di umore eccellente “È tempo di vendemmia e, con vostra grazia, produco un nettare d’eccellenza. Se la vostra fosse una visita di cortesia, mi vorrei pregiare di farvi assaggiare la mia scorsa vendemmia in totale liberalità. Ci tengo che le uve vengano pigiate, e spremute, solo da ragazze giovani, possibilmente vergini. Ma, di questi tempi, la morale è decisamente più tollerante” e rise, per la facezia che senza dubbio considerava tale “Ma vi assicuro che i piedi nudi di fanciulle in tenera età danno al vino una grazia particolare –  Oscar ricordò i suoi pensieri a proposito del vino dei Jarjayes, e senza motivo arrossì –   e a me una vasta gamma di possibilità di far qualcosa per queste infelici, altrimenti puro carico per la famiglia. Vi assicuro, mi sommergo di debiti pur di garantire un piacevole soggiorno alle signorine che accorrono per la mia vendemmia, e nessuna se ne va insoddisfatta” e rise ancora, beandosi delle sue proprie parole.

Oscar lo osservava e lo ascoltava, con sentimenti ambigui, contrastanti. Ricordava l’espressione del marchese di fronte alla “Bestia di Parigi”, che se l’era fatta nei calzoni quando quell’uomo gli aveva gridato: “Bu”. (4) Ma ricordava anche gli occhi di quell’orco di oste, disperato fra i Parigini, espressione carica di senso di colpa per vari motivi, e i sensi di colpa li provano solo le brave persone, mentre quelli come il marchese scrollano le spalle e trovano sempre un alibi, oppure non considerano come tali le pessime azioni, avulsi da ogni idea di tempra morale. E lei aveva imparato a credere agli occhi del popolo – pensò con una fitta al petto a Marie Antoinette – lei aveva imparato a credere agli occhi di Foret. Non alle parole, agli occhi. Quasi non prestava più attenzione alle fiorite digressioni del marchese, che pareva distratto, si avvicinava all’enorme finestra, faceva cenni di saluto, si voltava nuovamente verso di loro, cianciava del Maudit. Maledetto Maudit.
A un certo punto guardò André Grandier, e lo vide concentrato sui gesti di monsieur le marquis, finché non sentì gli occhi di lei addosso e si voltò, e lei notò un lieve tremito delle labbra.
“A carte scoperte, André?” chiese, per sapere.
“A carte scoperte, Oscar” confermò lui “Glielo dobbiamo.”
E Oscar Françoise de Jarjayes cominciò a raccontare una storia al marchese de Sade, che si interruppe all’istante e si sedette ad ascoltare.
 
“Quindi, riassumendo” disse de Sade, che non l’aveva interrotta neppure una volta “siete qui perché pensate che il mio Maudit sia maledetto, e sia la causa di malesseri, pazzie e in sintesi tanto male che va attanagliando i sudditi del nostro pregevole sovrano, dico giusto?”
Monsiuer” affermò Oscar, risoluta “Mi par inutile che facciamo finta di non conoscere la vostra propensione a godere del dolore altrui, nonché della sofferenza. Le vostre opere parlano chiaro, il vostro messaggio è diffuso e Parigi intera conosce la vostra filosofia. Le vostre opere passano di mano in mano, e danno consistenza ai pruriginosi desideri di nobili e popolani. Gli analfabeti se le fanno leggere, gli illustratori le illustrano. Voi avete pagata cara la vostra libertà di pensiero. Impossibile pensare che non ci sia un legame e del vero in quello di cui il popolo, non i nobili, vi accusa. Io non so come o cosa avete fatto, ma il vostro vino è maudit, è maledetto. Dovete interrompere la vendemmia, e ritirare dalla vendita il prodotto precedente. Pensate al bene della povera gente, se non dei nobili, signore”.
Il marchese de Sade abbassò la testa.
Poi la alzò, e sul suo volto non c’era traccia del nobile cortese e affabile che li aveva accolti. Era l’espressione che la Sfinge aveva rivolto a Edipo, pensò André, che non aveva aperto bocca. Ma teneva, consapevole, la mano sulla pistola.
“Avete letto le mie opere, dicevate un tempo, o erro?” gli si rivolse de Sade. André annuì.
“Allora dovete sapere, sciocco ragazzo” alzò il tono di voce “dovete per forza sapere che ho dedicato la vita a una battaglia contro le ridicole superstizioni. Dovete sapere che sostengo, assolutamente sostengo, che Dio sia la menzogna più grande che sia stata mai propinata agli uomini, e se l’ateismo necessitasse di martiri, il mio sangue è qui pronto (5); dovete sapere che per me Bene e Male sono parole vuote, che cambiano significato nel tempo e nello spazio, e sono inutili, di fondo inutili. E voi” guardò Oscar, che a sopracciglia aggrottate lo ascoltava “voi, che mi avete, credevo, compreso, accettato vorrei dire, e mi avete fatto avere carta e penna quando non avevo altro che il mio sangue e la mia merda per scrivere, voi venite nella mia casa, alla mia presenza, a dirmi, ad affermare, che io sia in contatto con poteri sovrannaturali del Male, trattandomi come il più insipiente degli uomini, quando il materialismo che professo è radicale? Ditemelo voi, madamigella, in modo molto semplice e chiaro: se non esiste Dio, come può esistere il demonio, o ogni sua emanazione? Se l’uomo è solo su questa terra, trafitto da un raggio di sole, ed è subito sera, a chi mai potrei rivolgermi io, al di fuori che a me stesso, per danneggiare a distanza questi plebei che tanto parete avere a cuore?”
Aveva alzato la voce. Oscar Françoise e André Grandier si resero conto, all’unisono, di non averlo mai sentito alzare la voce.
“Signore, io non so cosa possa esser accaduto, né quale sia il vostro grado di responsabilità, ma fatto è certo che chiunque beva il vostro vino ha reazioni fuori dalla norma, come vi dicevo. Una giovane ragazza sta combattendo una battaglia contro demoni che non le son familiari, e ci dicono che le prigioni sono colme di assassini che prima eran persone rispettabilissime. Il vostro vino, signore…”
“Il mio vino” gridò ancora de Sade “Ecco il punto: il mio vino! Trattandosi di me, non avete avuto dubbi, vero, colonnello? Trattandosi di me. Voi siete come tutti gli altri, e io sono il più disprezzabile dei mortali, perché avevo creduto, in qualche maniera articolata e infame, avevo creduto. Come se non conoscessi gli esseri umani. Come se non sapessi che l’egoismo è la prima legge di natura (6) e la comprensione fra cosiddetti simili è impossibile. Voi, signori, siete entrati in casa mia per offendermi, per danneggiarmi e per portare in questa casa quanto di più vile vi sia al mondo, una qualsiasi credenza nell’aldilà”.
“Non osate” si alzò André, che non riusciva a tollerare quel tono verso Oscar, né quelle parole  “Voi mentite, signore. Ve lo leggo in faccia. Tutte queste affermazioni da illuminista estremo altro non sono che un modo per nascondere la vostra responsabilità. Mi stupisco che un culture del male come voi non si vanti addirittura, e perda tempo a negare. Offendete i natali del comandante parlando così, e pure la sua intelligenza. Sono a vostra disposizione per darvi soddisfazione, signore!” si espose, dimentico di se stesso.
Soddisfazione a me la darete a modo mio, disprezzabile popolano” si inalberò ancora di più de Sade “Povero idiota, l’universo è una causa, non un effetto (7). Ma che volete capire, voi? Neanche avete inteso che io amo molto la vita, perché è unica e sola, e altrove ci aspetta solo buio e nulla eterno. E neppure avete capito che, dandovi le spalle e guardando fuori, non salutavo i miei fittavoli, ma li chiamavo a convegno”.

E fu in quel preciso istante che Oscar e André videro entrare una decina di uomini, come evocati dalle parole del marchese.

“Poveri sciocchi” concluse de Sade “Son forse io uomo da duello, o da battaglie alla pari? Mia arma è l’intelletto, non la forza fisica. In Russia i padroni chiamano i propri contadini anime, perché li possiedono in anima e corpo. E io possiedo questa gente in anima e corpo, perché li nutro, li vesto, li rispetto come non fa il vostro governo, il vostro Leviatano, mostro desideroso solo di perpetuare se stesso. A chi credete che obbediscano, loro?”
Oscar e André, spiazzati, si trovavano davanti quella che per loro era una folla di uomini, truci ma disarmati, sporchi e con l’espressione cattiva, poveri ed esaltati.
“E adesso è il mio turno di essere offensivo” affermò il marchese, a voce bassa “e di divertirmi, naturalmente”.

Alla Disperazione, il piccolo Foret si lasciò sfuggire di mano un bicchiere – Charles Ouvres, usuraio, adesso morto per sempre – alzò gli occhi all’affresco, in cui la Morte trionfava ridendo, e attirava a sé giovani e vecchi, uomini e donne, nobili e plebei, e disse al nulla che lo circondava: “Madamigella Oscar è in pericolo”. Il silenzio della Disperazione vuota fu l’unica eco alla sua voce.
 

  1. Il riferimento va alla mia storia Sarebbe un pazzo colui che adottasse un modo di pensare solo per piacere agli altri. Il titolo è una frase di Donatien-Alphonse-Francois, marchese de Sade, appunto.

  2. Lo si precisa perché, chi avesse letto la mia Per l’uomo non c’è altro inferno che la stupidità o la malvagità dei suoi simili lo ricorderà in altra attitudine. Possono scappare, nel corso della storia, riferimenti a questa precedente, come ad altre.

  3. Frase attribuita al marchese D.A.F. de Sade.

  4. Per saperne di più, cfr. la storia Per l’uomo non c’è altro inferno che la stupidità o la malvagità dei suoi simili – come anticipato, qualche ricordo resta.

  5. Frase del marchese D.A.F. de Sade.

  6. Idem.

  7. Idem.

 
 

  
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