Storie originali > Horror
Segui la storia  |       
Autore: storiedellasera    18/04/2021    2 recensioni
Estate del 1968.
Tom, Wyatt e Evelyn sono dei ragazzi di Louistown, una piccola e remota cittadina americana.
Le loro vite stanno per essere sconvolte da un mostro crudele... un mostro che adora uccidere le persone e che predilige i giovani.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

♦ Evelyn ha un piano ♦








Evelyn passeggiava con le mani in tasca e lo sguardo rivolto verso il basso. I suoi voluminosi capelli castani coprivano strategicamente l'ematoma che aveva sul suo volto. Era ampio e raccapricciante, di un terso color viola e sfumature di ocra ai bordi.
< Chissà perché viene chiamato occhio nero ?... > Domandò la ragazzina a stessa < ..io non vedo alcun colore nero. >
Era così assorta nei suoi pensieri che a stento percepiva il mondo attorno a lei.
Le case, gli alberi, le persone e tutti gli altri elementi di Colonial Hill erano solo uno sbiadito miscuglio di forme e colori.
L'ematoma aveva smesso di farle male da un paio d'ore.
Evelyn, istintivamente, lo toccò con la punta del dito indice, come per controllare che fosse ancora lì. Non appena sfiorò il livido, una scarica di dolore le attraversò il corpo. La giovane strinse i denti e attese la fine di quel supplizio.
Immaginò un'ipotetica scena in cui qualche passante la fermava per chiedere cosa le fosse accaduto.
< Ieri sera sono scivolata nella vasca da bagno > fu la giustificazione che prese forma nella testa di Evelyn.
< Sono scivolata nella vasca da bagno > ripeté mentalmente, nel tentativo di perfezionare quella bugia. In effetti Evelyn, la scorsa sera, aveva veramente urtato contro la vasca. Ma la ragazzina non avrebbe mai rivelato a nessuno tutti i particolari che l'avevano portata a ferirsi in quel modo.
< Cosa potrei dire? Che un morto-vivente mi ha ridotta così? Che l'uomo mezzo marcio è venuto a trovarmi un'altra volta? > Evelyn sentì le lacrime agli occhi.
Erano lacrime generate da un senso di rabbia e frustrazione.
< E a questo punto qualcuno potrebbe chiedermi: chi è l'uomo mezzo marcio? >
Evelyn ridacchiò anche se non era per nulla divertita.
“Ed è qui che la storia si fa interessante” istintivamente rispose a quel pensiero con un sussurro. Si fermò, si guardò attorno per controllare che nessuno l'avesse sentita e, con un po' d'imbarazzo, riprese a camminare.
< Si dia il caso, mio caro ipotetico ficcanaso, che l'uomo mezzo marcio è mio padre. Lo so, può sembrare assurdo. Ma quel cadavere, altri non è che mio padre.
Erano due anni che non avevo sue notizie. Oh, ma non è stato sempre così. Io, mamma e papà vivevamo tutti ad Atlanta ed eravamo una famiglia normale. Certo... mio padre era un uomo taciturno e un giorno, dopo un litigio di troppo, finì con il divorziare da mia madre. Quindi io e mamma ci trasferimmo in questo buco di mondo chiamato Louistown. E a cominciare dall'anno scorso, papà... o il cadavere vivente di mio padre ...ha iniziato a tormentarci. >
Evelyn sospirò: < non so cosa sia successo a mio padre. Non so quale orrore lo ha trasformato in un mostro. So solo che ieri ho rischiato di morire. > La ragazzina non poté fare a meno di rivivere quella tremenda vicenda.

La scorsa sera, l'uomo mezzo marcio si era ripresentato nell'appartamento di Evelyn e di sua madre, Wiara. Aveva sorpreso la ragazzina sul buio corridoio che portava alla sala da pranzo. Per un'infinita manciata di secondi, i due rimasero a fissarsi.
Evelyn avvertì immediatamente le sue mani congelarsi. Il suo sangue stava defluendo dalle sue dita per andare chissà dove. Accadeva tutte le volte che provava una grande paura. E in quel momento Evelyn era terrorizzata oltre ogni dire. La sua mente iniziò a formulare pensieri che sfuggivano al controllo della giovane... pensieri anche bizzarri come: < quante volte il mostro è apparso nell'appartamento? >
Evelyn conosceva bene la risposta. Dall'inizio dell'anno, suo padre-morto era apparso quattro volte nell'appartamento... e sempre di notte.
Tutte le volte, l'uomo cercava di accanirsi su di lei o su Wiara.
Evelyn era veloce e agile e perciò riusciva a nascondersi sotto il letto o in qualche angolo dell'appartamento. E allora tratteneva il respiro mentre sentiva sua madre subire l'aggressione del mostro.
Quella creatura si accaniva contro la donna con estrema violenza.
In quelle occasioni, Evelyn provava una grande rabbia e vergogna -oltre al terrore, ovviamente- per non essere in grado di difendere sua madre.
Ma sapeva benissimo che non poteva sconfiggere il mostro, tanto meno impensierirlo. C'era qualcosa nel suo aspetto, nella sua statura... o semplicemente nel suo essere ...che faceva sentire Evelyn minuscola e impotente.
Lei era un gattino di fronte a una terrificante egemonia fatta di carne putrescente e ossa parzialmente esposte.
Mentre fissava il mostro sul corridoio, la mente di Evelyn fu attraversata da un altro pensiero: < sarò in grado di nascondermi anche questa volta? >
Improvvisamente l'uomo mezzo marcio scattò contro di lei. La ragazzina sentì il terrore crescere ancora di più nel suo corpo. Era una paura che aggrediva le sue viscere, le torceva e le corrodeva dall'interno, come se avesse tracannato tutto d'un fiato una fiala d'acido.
Le sue gambe scattarono, il suo corpo compì una torsione così fulminea che Evelyn avvertì un doloroso contraccolpo alla base del collo. Si voltò e iniziò a fuggire per il corridoio.
Nel buio dell'appartamento vide la sagoma della porta del bagno stagliarsi a pochi passi da lei. La luce nel bagno era accesa, Evelyn spesso si dimenticava di spegnerla.
La paura l'aveva quasi portata alla follia quando fu costretta a rallentare per entrare nel bagno. Riuscì appena in tempo a chiudere la porta a chiave quando il mostro si schiantò contro di essa. Stava cercando di sfondarla.
L'impatto della creatura contro il solido legno della porta produsse un potente frastuono che strappò via un urlo dal petto di Evelyn. Lei indietreggiò e le sue gambe urtarono la vasca da bagno. Perse l'equilibrio e, nel vado tentativo di restare in piedi, afferrò la tenda della vasca. Uno a uno, gli anelli della tenda schizzarono via dall'asta ed Evelyn finì con il volto contro il bordo della vasca. L'impatto fece esplodere nel corpo della ragazzina una sensazione di torpore e dolore. Evelyn si accasciò a terra mentre il bagno iniziò a roteare su se stesso. Le sue orecchie si riempirono di fischi mentre la luce al neon sulla sua testa si era trasformata in un bagliore accecante.
Evelyn non perse i sensi, anche se la caduta l'aveva stordita. Udì l'uomo mezzo marcio allontanarsi dalla porta del bagno. Subito dopo Evelyn sentì sua madre urlare. Wiara doveva essersi svegliata proprio in quel momento. Il mostro aveva iniziato a sfogarsi su di lei.
Distesa sul pavimento del bagno, Evelyn si sentì di nuovo impotente... con le urla e le suppliche di sua madre che le arrivavano da un'altra stanza.
La luce del neon era ancora accecante.
Evelyn si coprì gli occhi con l'avambraccio e iniziò a piangere.



⁓•⁓•⁓•֍•⁓•⁓•⁓



“Che hai fatto alla faccia?”
Quella domanda strattonò via Evelyn dai suoi ricordi. Non era più distesa sul bagno, a sentire sua madre gridare, ma era tornata alla sua passeggiata per Colonial Hill. Di fronte a lei, due occhi scuri la stavano fissando da dietro un paio di fondi di bottiglia. Timothy-il-nanerottolo sembrava esser sbucato fuori dal nulla. Del resto Evelyn era completamente assorta nei suoi pensieri, e se il ragazzino non avesse parlato, lei lo avrebbe di sicuro urtato.
Il nanerottolo emanava un profumo dolciastro di zucchero filato alla fragola.
“Allora... che hai fatto alla faccia?” Continuò lui, preoccupato e sfacciato allo stesso tempo.
“Ecco...bhè...” Evelyn iniziò a biascicare delle parole sconnesse.
< Sono scivolata sulla vasca dal bagno... > le suggeriva la sua mente <... è così difficile da dire? E' tutto il giorno che provi questa battuta. Sono scivolata, avanti, dillo! >
Ma in un angolo più remoto del suo cervello, un altro pensiero iniziò a prendere forma: < ho bisogno di aiuto. >
“E' stato Ron Davis a ridurti così?” Chiese Timothy, il quale iniziava a spazientirsi.
Tirò fuori dalla tasca un chewing gum impacchettato in una carta bianca con strisce rosse e blu. Evelyn riconobbe immediatamente quei colori.
Si trattavano delle sue gomme preferite, le gomme degli Atlanta Braves.
Ebbe l'impulso di chiederne una a Timothy ma desistette: “perchè pensi che sia stato Ron a farmi questo?” Domandò lei.
Il nanerottolo si limitò ad alzare le spalle. Si infilò la gomma in bocca e ne fece un grande palloncino rosa.
Evelyn lo fece scoppiare con il dito indice.
“Faccia-da-pizza è qui nei dintorni...” rispose Timothy “...ho visto il tuo occhio nero e allora ho pensato che Ron ti avesse conciata per le feste. Sai... per quella scaramuccia al campo da baseball.”
Evelyn sollevò un sopracciglio: “Ron è qui? A Colonial Hill?”
“Oh si! E non è da solo. Con lui ci sono anche Joe Limpshire e suo fratello, Curt. Stanno dando la caccia a Wyatt Sinclair e Tom Williams. Avranno saputo che quei due si trovano da queste parti... sai di chi sto parlando?”
Ma Evelyn era corsa via.

Se Timothy diceva il vero, allora Wyatt e Tom stavano correndo un grande pericolo.
Curt Limpshire era un personaggio famoso a Louistown. Tutti conoscevano il temperamento violento e irascibile del ragazzo.
Evelyn sentiva il dovere di intervenire. Del resto Wyatt e Tom l'avevano difesa al campo da baseball, quando Joe e Ron aveva iniziato a scagliargli pietre e pezzi di terra. Wyatt aveva persino ferito Joe alla testa.
Con ogni probabilità, Ron e i fratelli Limpshire volevano vendicarsi su di lui e sul suo amico, Tom.
Mentre Evelyn correva, ogni suo passo riaccendeva il dolore del suo livido.
Cercò di ignorare quella sensazione ma era impossibile. La sua faccia pulsava e sembrava andare a fuoco. La ragazzina fu costretta a rallentare. Iniziò a perlustrare ogni vicolo di Colonial Hill, ogni incrocio e ogni piazza.
< Perchè mai Wyatt e Tom sono venuti in questo quartiere? > Si domandò Evelyn.
Perlustrò anche il retro della St.Peter Church, che era il vecchio luogo di raduno dei ragazzi di Louistown.
Stava per perdere le speranze, quando scorse da lontano Tom Williams. Quei suoi capelli a caschetto, di quello strano colore del grano, erano inconfondibili.
Il ragazzino passeggiava per una delle vie principali del posto. Chiacchierava con Wyatt, che era al suo fianco. I due non sapevo che Curt Limpshire era sulle loro tracce... o di sicuro non sarebbero rimasti così calmi e tranquilli.
“Idioti” commentò Evelyn con un sussurro. Avvertì poi un tonfo al cuore quando spostò il suo sguardo su Wyatt.

Evelyn non l'aveva mai detto a nessuno... ma era follemente innamorata di Wyatt. Si era sentita svenire quando il ragazzino l'aveva applaudita al campo da baseball o quando l'aveva difesa dalla sassaiola di Joe e Ron.
E poi c'era stata la serata del festival, quando Evelyn aveva rischiato di scontrarsi proprio con Wyatt. Allora aveva avvertito una strana sensazione nello stomaco e le sue gambe avevano iniziato a tremare per l'emozione... un tremolio così evidente da risultare osceno, o almeno queste erano le considerazioni di Evelyn. Eppure né Wyatt né il suo amico Tom si erano resi conto di quel particolare. Evelyn, quella sera, aveva fatto appello a tutte le sue forze per conservare la sua solita e glaciale espressione da sfinge.
Per sua fortuna, l'incontro con Wyatt e Tom fu molto breve.

“Idioti” ripeté Evelyn. Prese un grande respiro e si diresse rapidamente verso i due ragazzini.


⁓•⁓•⁓•֍•⁓•⁓•⁓



Curt Limpshire infilò le mani in tasca. Le sue dita trovarono subito il coltello a serramanico che portava sempre con se. Si domandò se era opportuno usarlo su quei due bastardi di Wyatt e Tom. Magari bastava sfregiarne solo uno così da mettere in riga anche l'altro. O forse era più opportuno tracciare una lunga e profonda linea sulla testa di Wyatt. Bisognava ferire il ragazzino che aveva ferito Joe. Occhio per occhio dicevano i popoli antichi, giusto?
Wyatt e Tom avevano bisogno dell'intervento educativo di Curt. E se solo avessero cercato di reagire... allora Curt Limpshire avrebbe tagliato le orecchie a entrambi.

Curt era un ragazzo di diciassette anni. Aveva frequentato la stessa scuola di suo fratello, Joe. Ma era stato espulso due anni fa per aver picchiato un suo compagno di classe per un motivo che Curt neanche ricordava.
Ci vollero tre professori per separare Limpshire dall'altro ragazzo. Ma prima che ciò accadesse, Curt aveva già liberato la bocca del suo compagno di classe dall'ingombro dei denti.
Era un ragazzo alto e forte... molto forte, con corti capelli dorati, occhi scuri, zigomi sporgenti e un mento marcato. La vita di campagna aveva indurito la sua muscolatura che già assomigliava a quella di un uomo adulto.
Passava le mattine e qualche ora del pomeriggio a lavorare la terra, anche sotto il sole cocente. Il resto della giornata la dedicava ai suoi passatempi che di solito prevedevano una cassa di birra consumata sul retro di una Pontiac e diverse molestie rivolte a tutti coloro che avevano la sfortuna di incontrarlo.

Quel giorno, Curt Limpshire si aggirava per Colonial Hill come un coyote famelico. Le grandi spalle incurvate, le mani infilate in tasca e i suoi movimenti frenetici descrivevano chiaramente tutta la rabbia che si agitava nel giovane.
Alle sue spalle, Joe e Ron non osavano parlare. Si limitavano a seguirlo.
Joe aveva due punti di sutura sulla testa, lì dove Wyatt l'aveva colpito con una pietra. Joe non aveva confessato a nessuno il modo in cui si era ferito... a eccezione di suo fratello.
Nessuno, secondo Curt, poteva permettersi di toccare un Limpshire.
Aveva sentito dire che Wyatt e Tom si trovavano a Colonial Hill, probabilmente alla ricerca di qualche bancarella o carretto dei gelati che non aveva ancora smontato dopo il festival. Quasi tutti i ragazzini di Louistown, quel giorno, orbitavano attorno Colonial Hill per quello stesso motivo.
“F-forse sono andati via” aveva piagnucolato Ron a un certo punto, stanco per aver camminato così tanto.
Curt si voltò di scatto verso faccia-da-pizza e lo fulminò con occhi di fuoco.
Ron era convinto che il ragazzo avrebbe estratto il suo coltello a serramanico. Per sua fortuna, ciò non accadde.
“Chiudi la bocca, tette-mosce!” Ringhiò Curt. Era l'unico ragazzo che poteva permettersi di chiamare Ron con quel nomignolo.
“Chiudi la bocca... o ti taglio il cazzetto che hai e ti costringo a mangiarlo!”
Faccia-da-pizza si limitò ad annuire. Sentì i suoi occhi gonfiarsi di lacrime e fece appello a tutte le sue forze per non piangere... altrimenti Curt avrebbe iniziato a deriderlo o a infierire su di lui.


⁓•⁓•⁓•֍•⁓•⁓•⁓



Ciò che Curt, Joe e Ron non potevano sapere era che Wyatt e Tom erano già stati portati in salvo da Evelyn.
La ragazzina si era precipitata verso i due amici, avvisandoli del pericolo a cui stavano andando incontro.
Se non fosse stato per Evelyn, Tom e Wyatt avrebbero lasciato Colonial Hill per recarsi su Main Streat, la via più veloce per tornare a casa. E proprio su quella strada avrebbero incrociato il loro cammino con Ron e i fratelli Limpshire.

Evelyn aveva portato Wyatt e Tom nel condominio in cui viveva.
I due ragazzini, ancora frastornati per quella vicenda, seguivano la giovane senza fare domande. Il palazzo in cui si trovavano sembrava esser uscito fuori da un libro dell'orrore. Le rampe di scale erano immerse in una sinistra penombra mentre le luci dei viari pianerottoli producevano uno strano e fastidioso ronzio.
L'aria era gelida e viziata. Tom avvertì l'odore pungete di muffa mista a un altro elemento che non riuscì a identificare. Era vomito.
Uno scatto di uno scarafaggio in un angolo di un corridoio fece sussultare il ragazzino. Altri particolari, come la grata arrugginita dell'ascensore o un enorme ragno vicino a una porta, rendevano ancora più inquietante quell'atmosfera.
Tutti sapevano che Colonial Hill era il quartiere più povero della città... ma Tom ignorava completamente lo stato di degrado in cui volgevano i condomini di quella zona. Nella sua mente da ingenuo, era convinto che ogni ragazzino di Louistown avesse un enorme campo a sua disposizione, o magari un giardino o altri posti baciati dal sole.
Di certo Evelyn non aveva la stessa fortuna di molti altri suoi coetanei. Nel corso dei due anni passati a Louistown, c'erano stati dei segnali che suggerivano le modeste condizioni di vita della ragazzina. Segnali che Tom aveva stupidamente ignorato fino a quel momento, come il fatto che Evelyn indossasse sempre il solito paio di scarpe da ginnastica, ormai vecchie e logore. Oppure il fatto che la giovane non avesse mai festeggiato halloween poiché non aveva un costume per l'occasione.

“Facciamo in fretta...” sussurrò Evelyn mentre iniziava a salire le scale “...il mio appartamento è al terzo piano. Mamma non c'è, rientra tardi dal lavoro e non voglio farmi vedere dai vicini mentre sono sola con due ragazzi.”
“Hai devi vicini impiccioni” commentò Wyatt senza alcuna malizia.
“Oh, altroché!” Rispose lei. Poi pensò < si... certo, impiccioni. Ma quando vengo aggredita da mio padre allora diventano tutti sordi e ciechi. >
Raggiunsero il terzo piano. Su una porta di solido segno si trovava una targhetta che riportava la scritta: Wiara Reese e Evelyn Reese.
Wiara aveva conservato il suo cognome da sposata nella speranza di agevolare l'integrazione di Evelyn nella comunità americana. Certo... Evelyn era nata in America, parlava a stento il polacco, adorava popcorn e patatine fritte... oltre ad essere una fan sfegatata per gli Atlante Braves. Eppure la maggior parte degli abitanti di Louistown si riferivano a lei come la figlia della polacca oppure la figlia della rifugiata. Ai loro occhi non era una vera e propria americana.
Evelyn sospirò nel vedere quella targhetta, estrasse la chiave dell'appartamento da una sua tasca, aprì la porta e invitò Wyatt e Tom a entrare.


⁓•⁓•⁓•֍•⁓•⁓•⁓



L'appartamento era piccolo, freddo e scarsamente illuminato.
I pochi mobili che arredavano le stanze erano vecchi e logori, proveniente da un'altra epoca e forse rimediati durante qualche svendita nel quartiere.
Il silenzio era surreale, interrotto solo dal ticchettio di un orologio e dal debole ronzio del frigorifero di marca Northstar.
Evelyn non si aspettava di provare un simile imbarazzo... e anche i suoi ospiti provavano la sua stessa sensazione. Wyatt e Tom non facevano altro che scambiarsi occhiate interrogative.
“Avete sete?...” Si sforzò di domandare Evelyn “...posso darvi dell'acqua o del tè freddo. Ho anche del kool-aid.”
“No, grazie. Sto bene così.” Rispose Wyatt.
Tom invece scosse il capo. Avrebbe voluto rispondere anche lui... ma non era in grado di parlare. Del resto Tom si agitava tutte le volte che posava lo sguardo su Evelyn... e in quell'occasione, mentre si trovava nel suo appartamento, il ragazzino non riusciva neanche a pensare.
Avrebbe voluto chiedere a Evelyn cosa avesse fatto all'occhio, ma lasciò che fu Wyatt a formulare quella domanda. Come tutta risposta, Evelyn disse semplicemente che era scivolata.
In quel momento, la giovane fu attraversata da un brivido lungo tutta la schiena. Alzò gli occhi verso il corridoio, proprio nel punto in cui era apparso suo padre la scorsa sera.
Per un istante Evelyn sperimentò di nuovo l'orrore che aveva provato in quei terribili momenti. Allora un agghiacciante pensiero saettò nella sua testa: < e se il mostro non avesse mai lasciato l'appartamento? >
Si trattava di un'idea ridicola, dato che le apparizioni dell'uomo erano brevi e non avvenivano mai di giorno.
Eppure Evelyn sentiva l'agitazione crescere dentro di se.
Wyatt e Tom si accorsero del suo umore, e istintivamente si guardarono alle spalle... come per sincerarsi che nessuno li stesse osservando.
Evelyn pensò che non nessun uomo o donna meritasse di provare paura della propria abitazione. Un conto era temere qualcosa che poteva accadere per strada o in qualche luogo strano e bizzarro. Ma provare terrore per qualcosa che esisteva nella propria casa era un'emozione orrenda e...
“...insopportabile” commentò Evelyn con un filo di voce.
“Cosa?” Chiese Wyatt.
Lei scosse il capo. “Venite come me” la ragazzina portò i due amici nella sua camera da letto.

Tom sentiva il cuore battergli forte nel petto. Non era mai entrato in una stanza di una ragazza. La immaginava come una sorta di nuvola rosa arredata con soffice moquette, armadi pieni zeppi di vestiti e un letto sommerso da bambole e cuscini.
Pareti grige, uno scarso arredamento e un letto che sembrava più una brandina si palesarono di fronte a Wyatt e Tom quando entrarono nella camera di Evelyn.
Le pareti erano tappezzate da un impressionante numero di poster e locandine che raffiguravano shuttle, astronauti e tutto ciò che comprenda l'esplorazione spaziale.
Un grande poster, vicino la porta, raffigurava un bambino che volgeva lo sguardo verso un cielo stellato, una scritta in fondo diceva: explore the universe.
Un altro poster, posto alla destra del letto, mostrava la sagoma di uno shuttle mentre lasciava la Terra, e un titolo a grandi lettere: welcome to the cape Kennedy air force station. Sulle pareti erano appesi anche dei vecchi disegni di Evelyn. Uno di questi mostrava la ragazzina sulla luna. Era insieme a sua madre e ad un alieno verde. Sorridevano tutti e tre.
Solo un elemento, appeso su quelle pareti, non parlava di spazio. Era un calendario.
Le ragazze di Louistown avevano l'usanza disegnare un cuore sulla data del loro compleanno.
Sul calendario di Evelyn, il cuore era disegnato sulla casella del 18 Agosto.
Tom l'aveva notato... quell'unico, microscopico indizio che provava che la camera apparteneva a una ragazza.
Wyatt ridacchiò: "cos'è questa roba, Eve? Hai rubato la tua stanza da un museo della nasa?"
"Adoro lo spazio..." commentò lei "...guardate." Si precipitò verso una parete tappezzata di immagini di diversi satelliti. Iniziò ad elencarli uno dopo l'altro, a memoria, e descriveva le missioni che dovevano svolgere o che avevano compiuto. Più parlava e più la sua maschera da sfinge si sgretolava, rivelando una ragazzina carica di entusiasmo e di passione.
Lei interruppe a metà il suo discorso quando si rese conto che Wyatt e Tom la stavano fissando con occhi spalancati. Erano imbambolati, come se improvvisamente si fossero ritrovati a fissare una perfetta sconosciuta. E in certo senso era così.
Evelyn si schiarì la gola e si mise a sedere sul letto.
Wyatt si sedette sul pavimento. Era un'abitudine che aveva fin da bambino e non gli sembrò affatto un gesto strano.
Tom lo imitò.
"Hey... "esclamò quest'ultimo "...ma quella...?" Si era accorto, solo in quel momento, di una vecchia mazza da baseball posta vicino al letto.
Evelyn si voltò verso quell'oggetto: "oh... si. E' proprio la mazza che ho usato per umiliare Joe Limpshire."
"Lo sai che appartiene proprio a Joe?" Domandò Wyatt.
Evelyn alzò le spalle: "ora è mia. E' un souvenir per aver battuto quel biondino di merda."
Scoppiarono a ridere tutti e tre. Quelle risate scacciarono via l'imbarazzo che stavano provando. Non potevano ancora rendersene conto, ma Tom, Wyatt ed Evelyn diventarono amici proprio in quell'istante.
"Perchè ci hai portato qui?..." Chiese poco dopo Wyatt e Evelyn "...so che volevi salvarci da Curt. Ma perchè ci hai portato proprio qui?"
Evelyn smise di sorridere. Un'ombra scese sul volto.
Quel cambio di umore impensierì Wyatt e Tom.
"Parlatemi dell'uomo mezzo marcio." Chiese la ragazzina.
I due ragazzi sul pavimento sussultarono. Si scambiarono una rapida occhiata. Erano stupiti e impressionati. Migliaia di domande iniziarono a vorticare nelle loro menti... ma neanche uno di quei quesiti venne espresso.
Wyatt sembrava particolarmente agitato: "d-di cosa stai parlando, Eve?"
"Ieri sera vi ho sentiti parlare dell'uomo mezzo marcio" Evelyn sembrava esser tornata la solita sfinge di ghiaccio. Il suo sguardo sembrava penetrare la mente dei due ragazzini.
Wyatt alzò le spalle: "io e Tom stavamo parlando di un film horror."
Evelyn alzò un sopracciglio: "indossa una giacca rossa, ha la carne putrefatta e gli manca un occhio."
"Ma... come fai...?" Tom non finì quella domanda. Si era messo in ginocchio, pronto a scattare in piedi.
Evelyn invece rimase calma. Indicò il livido parzialmente coperto dai suoi capelli e continuò: "lui viene a trovarmi di notte. Cerca di farmi del male... ma io sono più veloce di lui e allora quel mostro si sfoga su mia madre."
"Cosa le fa?" Chiese Tom con un filo di voce.
Evelyn scosse il capo: "non farmi rispondere..." le sue mani si chiusero a pugno, stropicciando le coperte del letto "...voi l'avete incontrato di giorno?"
"Perchè vuoi saperlo?" Domandò Wyatt.
"Perchè voglio trovarlo" il tono di voce di Evelyn impensierì i due ragazzi.
Tom indicò il suo amico: "lui dice di sognarlo."
"Non è vero..." si apprestò a rispondere Wyatt "...non è affatto vero."
"Ma tua madre dice che hai gli incubi!"
"Lascia stare quello che dice mia madre, Tom!" Wyatt era sempre più nervoso.
Si alzò, puntò un dito contro Evelyn e disse: "cosa pensi di fare? Di andare a trovare l'uomo mezzo marcio? E magari vuoi rompergli il cranio con quella mazza da baseball?"
Evelyn fece appello a tutte le sue forze per restare calma: "detto in questo modo..." rispose lei "...il mio piano può sembrare riduttivo."
Wyatt era così nervoso che iniziò a ridacchiare. Si voltò verso Tom: "dico... l'hai sentita?"
Tom cercò di farlo calmare. Ma Wyatt, che ora sembrava più spaventato che arrabbiato, non voleva sentir ragione.
"Tu cerchi un modo per farti ammazzare, Eve. E io mi tiro fuori questa storia."
Era impallidito e le sue mani tremavano.
Ormai era chiaro che Wyatt era spaventato a morte e che cercava di mascherarlo fingendosi arrabbiato.
Lui uscì dalla camera da letto. Il suo intento era quello di abbandonare l'appartamento, abbandonare Colonial Hill e dimenticare  tutta quella stramaledetta storia. Ma le lacrime lo colsero mentre si trovava sul corridoio. Allora poggiò la schiena contro il muro e si lasciò scivolare a terra.
Tom lo raggiunse. Evelyn decise di restare in camera. Sapeva che era sconveniente intromettersi in momento così delicato e intimo.
In cuor suo provava una certa invidia nei confronti di Tom. Lei avrebbe dato qualunque cosa per consolare Wyatt, per stringerlo tra le sue braccia e cullarlo amorevolmente.

"Wyatt..." sussurrò Tom, confuso e preoccupato nel vedere il suo amico reagire il quel modo. Concesse al ragazzino il tempo di riprendersi.
Wyatt, un pò imbarazzato, si asciugò le lacrime.
Con voce ancora tremolante disse: "avevo già incontrato il mostro... prima di quella volta nell'erba alta."
"Intendi dire dal vecchio Price? Quando stavamo fuggendo da Ron?"
Wyatt annuì: "l'avevo già visto. Era... Febbraio. Si, si, era Febbraio."
"Perchè non mi hai mai detto nulla?" Tom si sedette di fronte a lui. Il pavimento era gelido ma non ci fece caso.
Wyatt si strinse nelle spalle: "cosa vuoi che ti dica? Che ero troppo spaventato per raccontarlo? Ero così traumatizzato che non riuscivo a credere che era accaduto sul serio. E poi non avevo subito collegato il mio primo incontro con quello che è accaduto nell'erba alta."
"Vuoi raccontare?"
Wyatt prese un gran respiro e si guardò attorno. Evelyn era rimasta nella sua stanza, sul letto. Lei poteva vedere e ascoltare i due ragazzi, dato che la porta era rimasta aperta.
Wyatt provò un certo fastidio. Non voleva confessare un ricordo così spaventoso di fronte a uno spettatore. Ma riuscì a sopportarlo e iniziò a raccontare: "era un pomeriggio di Febbraio. Il sole era già tramontato e io mi annoiavo in casa. Fuori pioveva e non potevo neanche uscire. Allora pensai di fare uno scherzo a mia madre... uno dei miei soliti scherzi."
Tom annuì: "intendi dire quando ti nascondi dentro qualche armadio per spaventare i tuoi?"
Wyatt stirò un amaro sorriso e annuì: "mi infilai nell'armadio dei miei genitori. Ma mia madre non si muoveva dalla cucina. Forse aveva delle cose da fare o forse stava parlando al telefono con qualcuno. Lei è sempre attaccata a quella maledetta cornetta.
Ad ogni modo... mentre ero nascosto nell'armadio, e spiavo la camera attraverso le ante socchiuse, iniziai a sentirmi... ecco ...stretto."
"Stretto?" Domandò Tom, perplesso.
"Si... insomma ...come se improvvisamente non fossi più solo nell'armadio. Fu allora che cercai di uscire, ma non ci riuscivo. Avevo la sensazione di essermi avvinghiato tra i vestiti appesi nell'armadio. E più mi dimenavo e più mi sentivo bloccato. Era come stare dentro... dentro... come si chiamano?"
"Sabbie mobili" intervenne Evelyn dalla sua camera.
"Come?" Chiese Wyatt, alzando la voce.
Lei rispose: "le sabbie mobili. Se ci finisci dentro... allora più ti agiti e più sprofondi."
Wyatt annuì: "si... una cosa del genere. Ero sicuro di non esser solo nell'armadio. C'era un uomo... e aveva iniziato a strangolarmi."
Evelyn si portò le mani alla bocca. Quel racconto la stava terrorizzando a morte.
Anche Tom era spaventato, i suoi occhioni azzurri erano fissi su Wyatt.
Lui continuò: "non riuscivo a vedere il mio aggressore... ero solo in grado di intravedere le maniche della sua giacca rossa. E la cosa più spaventosa era che avevo visto quella giacca poco prima di entrare nell'armadio.
Non so come sia possibile... forse l'uomo mi stava tendendo un agguato e io, nel vedere i suoi abiti, pensai che fossero solo alcuni dei vestiti appesi nell'armadio.
Non so spiegarmi come sia riuscito a entrare in casa mia e a nascondersi così bene. So solo che riuscii a sfuggire alla sua presa per miracolo. Allora mi precipitai fuori dall'armadio e corsi via. Quel giorno ero così traumatizzato che non fui in grado di parlare. Nei giorni successivi mi ero convinto che era stato solo frutto della mia immaginazione."
Wyatt si alzò da terra e si sistemò i vestiti: "Tom, quando siamo usciti dall'erba alta... e mi hai detto che un mostro ci aveva inseguiti, un mostro che indossava una giacca rossa ...bhè... ho collegato subito i due casi. Sono convinto, anzi, sono assolutamente sicuro che il mostro che ci ha inseguiti era lo stesso che si nascondeva nell'armadio dei miei genitori. Da allora faccio incubi quasi ogni notte."
"E' lo stesso mostro che mi ha chiamato tra i filari del granturco della mia fattoria" concluse Tom.
Evelyn scese dal letto e raggiunse i due ragazzi sul corridoio: "è lo stesso mostro che appare di notte in casa mia. Ho bisogno di una mano."
Wyatt scosse la testa: "chiama la polizia o qualcun altro. Io non so come aiutarti... e se non ti dispiace, adesso vorrei tornare a casa."
Il ragazzino si diresse verso l'uscita e abbandonò l'appartamento.
Tom non sapeva cosa fare o cosa dire. Fu in quel momento che Evelyn lo chiamò: "Tom... quel mostro cerca di ammazzarmi..."
Lui sentì una fitta al cuore. Voleva aiutarla, voleva aiutarla con tutte le sue forze: "dammi... dammi un pò di tempo e ne riparleremo" disse.
"Quando?" Chiese Evelyn con voce tremolante.
Tom temette che stesse per piangere: "non lo so."
"Quando?" Insistette lei.
"Domani... va bene se ci incontriamo domani?"
Evelyn annuì.
Tom la salutò con un cenno del capo per poi voltarsi e raggiungere Wyatt. Quest'ultimo stava già scendendo le scale del condominio.


⁓•⁓•⁓•֍•⁓•⁓•⁓



Quella notte, Tom non riusciva a prender sonno.
La sua camera era immersa in un silenzio spettrale. Nel suo letto, il ragazzino fissava il soffitto rischiarato dalla luce lunare. Pensava e ripensava a tutta quell'assurda storia dell'uomo mezzo marcio: ciò che era capitato a Evelyn, gli incubi di Wyatt, la folle corsa nell'erba alta, quel raccapricciante sussurro nel campo di grano... < hey, ragazzino! >  
Tom rammentò di nuovo quella spaventosa voce.
< Hey, ragazzino! Hey, ragazzino! Hey, ragazzino! >
In cuor suo sperava di non dover più rivivere quei momenti. Sperava che si trattasse di un evento unico, nato e morto in solo terrificante giorno.
Ma dopo le rivelazioni di Evelyn e Wyatt, Tom era ormai certo che prima o poi avrebbe dovuto affrontare la situazione. Mentre cercava invano di dormire, Tom comprese che i problemi non potevano essere nascosti sotto il tappeto come se fossero polvere. Non potevano semplicemente essere ignorati e... aspettando il normale corso degli eventi -pura fantasia- tutto si sarebbe sistemato da solo.
Oh, no... bisognava rimboccarsi le maniche, agire e magari subire le conseguenze.
Tom era cresciuto in un luogo idilliaco. Una bella fattoria illuminata dal sole, una madre amorevole e un padre divertente. Era un angolo di mondo perfetto che, fino ad allora, aveva protetto Tom dagli orrori della vita... come la guerra del Vietnam e i tumulti che si stavano verificando in America.
Ma un mostro era apparso nel suo angolo di mondo. Un mostro affamato che non poteva essere ignorato.

"Hey, ragazzino!"
Tom scattò in piedi. Non era stato un frutto della sua immaginazione. Aveva di nuovo sentito quell'orrendo e rauco sussurro.
Iniziò a tremare e a sudar freddo. Era terrorizzato. Sentiva la gola secca e un macigno nello stomaco che gli impediva di muoversi.
Quella voce sembrava così innaturale. Qualcosa, magari nel timbro, la rendeva inumana.
Tom iniziò a guardarsi attorno, le sue gambe sembravano pietrificate. Non era in grado di compiere un singolo passo.
Notò solo in quel momento tre ombre nere proiettate su una parete della camera. Tom si voltò verso la finestra e notò tre piccole macchie spalmate sul vetro.
Il ragazzino strizzò gli occhi nella speranza di mettere a fuoco quelle immagini. Erano cicale. Tre grasse cicale sulla sua finestra. Muovevano lentamente le loro antenne per esplorare e studiare la superficie vetrosa a cui aderivano.
La vista di quegli insetti provocò un brivido lungo la schiena di Tom.
"Hey, ragazzino!"
Tom sussultò. L'intero suo corpo fu scosso da indicibili tremori. Quel sussurro proveniva dalla sua stanza... e per essere più precisi ...proveniva dall'armadio.
Tom si voltò lentamente verso quel mobile. Le ante erano socchiuse e attraverso quell'oscuro spiraglio si potevano intravedere i vestiti appesi del ragazzino.
C'era qualcos'altro nell'armadio. Qualcosa che assomigliava... a una mano deforme.
Gli occhi di Tom si posarono sulla chiave dell'armadio, era infilata nella serratura delle ante.
Il ragazzino scattò senza neanche pensarci. Richiuse le ante dell'armadio, girò la chiave e fece scattare la serratura. I tremori che lo aggredirono in quel momento gli provocarono una sensazione simile a una convulsione.
Per diversi interminabili secondi, Tom rimase a fissare l'armadio parzialmente nascosto dalle ombre della notte. Non sapeva cosa fare, cosa pensare... non era più in grado di ragionare. Eppure il suo istinto gli suggeriva che non era solo nella sua camera, che qualcosa lo stesse tenendo sott'occhio. Qualcosa che era in agguato... qualcosa che stava traendo un sadico piacere nel vedere Tom in quello stato.

La mattina dopo, Diana Williams e Scott Williams trovarono il loro figlio addormentato sul tappeto della sala.



cic

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: storiedellasera