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Autore: Nexys    19/04/2021    3 recensioni
La disperazione di un fiore di ciliegio, che non sa sbocciare. Solitudine e tristezza che collimano quando ormai il peso della propria solitudine è troppo da sopportare. E' in quel momento che Kaoru cede a se stesso, e crolla. E' difficile essere se stesso, in un mondo in cui nessuno prova il desiderio di stargli accanto. Non lo ha voluto Ainosuke, e non lo vuole nemmeno Kojiro.
Questa è la storia - breve - di come Kaoru ha sbagliato i conti e commesso un errore.
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Dal testo: “Smettila… io non sono…”.
Joe gli chiuse le labbra con una mano. Per la prima vera volta, lo anticipò. “No. Sei molto di più. Molto più di quanto possa essere una donna”.
Kaoru tremò, scuotendo il capo, prigioniero di sensazioni che non sapeva decifrare o tradurre. Odiava sentirsi disarmato, ma più di tutto, odiava illudersi. Fraintendere.

[Matcha Blossom] [Kojiro/Kaoru] [Fluff] [Angst]
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kaoru Sakurayashiki, Kojiro Nanjo
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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“Rilevati 117 battiti per minuto, in aumento”.

Kaoru li sentiva tutti alla perfezione, uno per uno, come se il suo cuore avesse improvvisamente deciso di sfondargli la cassa toracica. Quella non era rabbia, no. Forse lo era in minima parte - e odiava doverlo ammettere - un 5% scarso, ma il 95% rimanente era solo e soltanto ansia. 
La solita, inutile e ignobile ansia che gli toglieva il respiro, quando si sentiva messo con le spalle al muro dal senso di inferiorità che la giovinezza gli aveva lasciato addosso - no, non la giovinezza.
Ainosuke.




Tutto era iniziato in spiaggia, quel giorno; si era sin da subito amaramente pentito di essersi aggregato a quella marmaglia di imbecilli, convinto che fossero piuttosto stati loro ad aggregarsi a lui, senza invito. Se ne era pentito per tanti motivi, a partire dal chiasso che Langa, Reki e Miya si erano messi a fare, fino all’elemento disturbante che lo aveva costretto a rinchiudersi - senza saperlo - nel box di legno umido dentro al quale avevano lasciato i borsoni ed effetti personali.
Kojiro.
Da che ne avesse memoria, lui era sempre stato un elemento piuttosto irritante, caratteristica che con gli anni non aveva fatto altro che acuirsi e peggiorare, fino a diventare insostenibile.

“E’ consigliabile rivolgersi a…”

“Carla, taci”, sbottò, seduto in modo sgraziato, quasi con disperazione. Si era abituato al fatto che Kojiro flirtasse con ogni singola donna reputasse alla sua portata, ma non riusciva ad accettarlo.
Non voleva accettare ancora una volta di non essere all’altezza, di non meritare i suoi sguardi. Di non essere attraente, inferiore ad una qualsiasi ragazza dal fare civettuolo alla quale Joe si fosse mai interessato.
Adam lo aveva disprezzato, non ricambiato, abbandonato e lasciato indietro come un rifiuto. E non per colpa del suo essere un uomo, ma per non essere stato abbastanza da poter stare al suo fianco. Con Kojiro era anche peggio: non sarebbe mai stato attraente ai suoi occhi, alla sua altezza, femminile a sufficienza, da poter competere con una donna e meritare i suoi sguardi. Non sarebbe mai, mai stato una donna, neanche se avesse voluto esserlo.
Kaoru si strinse una mano al petto nel tentativo di allentare la stretta che gli mozzava il respiro. Era abituato a convivere con l’ansia sin dalla più acerba giovinezza, ma quella crisi improvvisa si stava man mano trasformando in un attacco di panico. Tremava come una foglia nell’immaginarsi di nuovo solo, a guardare Joe da lontano, circondarsi e bearsi delle attenzioni femminili. 
Attenzioni che, lo sapeva bene e se lo sentiva dentro come l’unica vera verità mai rivelata, avrebbe tanto voluto offrirgli, senza riuscire ad ammetterlo per davvero.
“Quanto sei forte!”.
“Sei splendido!”.
“Usciresti con me?”.
Con banalissime frasi di circostanza, nei suoi pensieri vedeva ognuna di loro arrogarsi lo sporco diritto di rubargli del tempo, toccarlo, baciarlo e chissà quanto altro ancora, che lui non avrebbe mai potuto sapere, avere, nemmeno desiderare.

Odiava doverlo pensare, ma era consumato da una gelosia irrefrenabile. Come se non bastasse, quel disgraziato non aveva neanche lontanamente pensato di trascorrere un po’ del suo tempo con lui e tutti gli altri. No, si era circondato di terzi incomodi senza ritegno, ragion per cui all’ennesima vomitevole smanceria, Kaoru non aveva resistito un istante di più.
Senza guardare in faccia nessuno, coperto dal proprio telo mare come se avesse voluto proteggersi dal biasimo altrui, si era alzato e dileguato, giusto un momento prima di crollare emotivamente come un ragazzino inesperto e deluso. Ferito.
Se non fosse stato così orgoglioso, l’elegante Cherry Blossom avrebbe sciolto il nodo che gli opprimeva la gola con un pianto liberatorio. Aveva ignorato anche Miya, il quale probabilmente era stato l’unico ad accorgersi della sua improvvisa dipartita, e in cuor suo sperava che non gli fosse venuto in mente di andare a cercarlo; non avrebbe saputo davvero come giustificarsi.


Quando ormai il sole smise di accarezzargli il viso attraverso le assi di legno che componevano il box, Kaoru si rese conto di aver perso la cognizione del tempo. Il vociare che aveva fatto da sfondo alla sua crisi si era trasformato in un silenzio graduale, segno che ormai la giornata si stesse avviando verso la fine, e che avesse passato veramente molto tempo da solo a piangersi addosso, senza però piangere davvero. Scosso dal terrore di poter essere trovato in condizioni a dir poco deplorevoli, si sforzò con tutto se stesso di darsi un tono, rialzandosi per poi recuperare la propria borsa. Di lì a poco, quasi sicuramente lo avrebbero raggiunto per recuperare le loro cose, e a quel punto sarebbe accaduto l’inevitabile.
Facendosi forza a suon di paura, uscì con aria circospetta, sgattaiolando via sullo skate per fare ritorno presso l’albergo in cui aveva deciso di alloggiare, pregando qualsiasi entità superiore affinché non fosse scoperto. Nessun convenevole, nessuna parola, semplicemente corse - volò - nella sua stanza, chiedendo agli ospiti con un filo di voce di non far entrare nessuno e di non essere disturbato. Gli altri avrebbero occupato un’altra stanza, altre stanze, altri alberghi: non gli importava, non in quel momento, in quella sera così infelice.
Con lo stomaco chiuso, il respiro affannoso e una stanchezza gelida nelle membra, si buttò sotto l’acqua della doccia nel tentativo di rilassarsi, fallendo.
Il pensiero era martellante, violento, sempre più pesante. 
Con chi avrebbe passato la notte? Si era accorto della sua sparizione? Gliene importava qualcosa?
E perché mai avrebbe dovuto?
Quando si rivestì con un kimono di seta, indugiò alla finestra aperta della stanza, ad osservare un cielo ormai stellato. L’aria tiepida che soffiava, la brezza marina, gli parve gelida. 
Affondò nel futon senza alcuna grazia, come un fuscello spezzato dalla corrente. Si sentiva sfinito, senza forze, un perfetto idiota in piena crisi adolescenziale, senza alcun appiglio. Si sfilò l’auricolare in-ear che lo legava a Carla e lo lanciò in un angolo della camera senza alcun interesse. Non c’era ninna nanna che lo avrebbe calmato, non quella sera, non quella notte. 





Con il cuore stretto in gola da un singhiozzo trattenuto a stento, non si accorse di nulla. Un braccio vigoroso gli cinse improvvisamente un fianco da sotto la coperta, facendolo sobbalzare per un solo momento, di puro terrore. Da sdraiato sul fianco che era, si mise a sedere con una velocità che lo stordì, nel tentativo di sfuggire a quella presa. Voltatosi con un’espressione quasi di orrore, ci mise diversi istanti per riconoscere i lineamenti dell’uomo che si era intrufolato nel suo letto senza emettere un suono. Come aveva fatto a non sentirlo?
Ma soprattutto, come aveva fatto a entrare?
“Ko… jiro?”, mormorò con voce flebile, smorzata da un mix di emozioni violente e, in quel momento, intraducibili. “Come…”.
“Hai lasciato la porta aperta…”, mentì il vigliacco, premendo una mano sul suo fianco, rivolgendogli un sorriso sghembo, costretto però a ritrattare sulla propria versione dei fatti per evitare una paranoia da parte del delicato fiore di ciliegio che gli stava tremando accanto. “… scherzo. Sono entrato dalla finestra”.
Kaoru scosse la testa, travolto da un’insieme di consapevolezze contrastanti. La prima a prendere il sopravvento fu la rabbia. Si scostò bruscamente dal contatto con la sua mano, solo per potergli dare le spalle e darsi un tono che, probabilmente, Joe avrebbe smentito. Non ci sarebbe cascato nemmeno un idiota come lui.
“Non sei il benvenuto”, disse, scuotendo la testa, abbracciandosi le ginocchia per stringersele al petto. Si morse il labbro, socchiudendo gli occhi nel sentirlo muoversi alle proprie spalle.
“E tu non sai mentirmi”, rispose risoluto Kojiro, con un sussurro roco al suo orecchio, per il quale Kaoru tremò ancora. “Dov’eri finito?”.
“Non sono affari che ti riguardano”.
Un attimo di silenzio li separò. Breve, ma intenso. “Ti ho cercato tutto il pomeriggio, ho girato come un i-…”
L’uomo dai lineamenti eleganti si voltò bruscamente, con un’espressione sofferente dipinta in viso, lo sguardo color oro contrito e congelato. Questa volta fu Kojiro a smettere di respirare di fronte alla sua rabbia.
Era perfetto e bellissimo, vestito di gelosia.
“Nessuno te lo ha chiesto!”, ringhiò, affondando una mano affusolata tra le coperte, stringendole con dolore. “Non mi interessa, non mi importa, come non è mai importato a te, e…”
Joe aggrottò le sopracciglia. “E..?”.
Cherry Blossom gli diede di nuovo le spalle, stringendo i denti seccamente. “Vattene. Torna a sollazzarti con una di quelle sgualdrine che tanto ti piacciono”.
Quelle parole pronunciate a voce alta, per Kaoru divennero improvvisamente reali. Una parte di sé sperò di averle urlate ad un frutto della sua immaginazione, ma la sua inequivocabile razionalità smentì ogni sua tacita preghiera.
Cadde un silenzio disagevole, ed improvvisamente ebbe freddo. Ne ebbe fino al momento in cui chiuse gli occhi cedendo alla sua disperazione.

E’ finita.

Una mano calda gli cinse lentamente il fianco, poi fu l’intero braccio, ed entrambe le braccia forti dell’uomo a stringerlo da dietro, mettendosi seduto alle sue spalle. Kojiro appoggiò il mento alla sua spalla per potergli mormorare piano all’orecchio, sospirando profondamente.
“Non esistono abbastanza parole e ideogrammi per rappresentare la tua stupidità”, sussurrò, accarezzandogli quasi teneramente l’addome ed il petto fasciati dal kimono. Cherry Blossom sussultò, cercando di liberarsi, senza riuscirci. Sentì il nodo in gola farsi più stretto.
“Smettila… io non sono…”.
Joe gli chiuse le labbra con una mano. Per la prima vera volta, lo anticipò. “No. Sei molto di più. Molto più di quanto possa essere una donna”.
Kaoru tremò, scuotendo il capo, prigioniero di sensazioni che non sapeva decifrare o tradurre. Odiava sentirsi disarmato, ma più di tutto, odiava illudersi. Fraintendere.
Kojiro non aveva intenzione di tacere e demordere, non quella sera. Liberò la sua bocca per accarezzargli il viso, muovendo l’altra mano per sfiorare il suo petto all’altezza del cuore. L’uomo che aveva tra le mani si lasciò toccare in segno di resa, incapace di emettere un suono, troppo concentrato a non crollare di nuovo. 
Joe sorrise, non visto. “Elegante…”, mormorò, chinando il viso per baciargli una spalla. “Attraente…”, soffiò prima di mordergli una spalla, scostando il tessuto delicato con i denti, beandosi della sua reazione. Soffocò una risata bassa, gentile, prima di voltargli piano il viso con le dita. Kaoru deglutì appena, incrociando il suo sguardo.
“Perché ti prendi gioco di me..?”, mormorò pianissimo, mordendosi il labbro inferiore. Il cuore rischiava di esplodergli in petto, mentre cercava in tutti i modi di non peggiorare la situazione. Si sentì un debole, alla mercé di un uomo che - come aveva fatto Ainosuke - lo avrebbe sempre e solo preso in giro. Sarebbe sempre stato così. Ne era certo. Doveva crederci, accettarlo, e un giorno forse avrebbe smesso di soffrire.
L’occhiata torva e rovente dell’uomo che aveva di fronte lo fece tentennare e dubitare per un secondo. Un secondo che fu più che sufficiente per provare un’emozione ancora diversa.
“Perché non vuoi credermi?”, e questa volta fu Joe a ringhiare, prendendogli il viso tra le mani, sfiorando i suoi zigomi perfetti con i pollici. “Kaoru?”.
Cherry Blossom chiuse gli occhi. “Perché io non sono una donna. E non potrò mai…“.
“Tu mi piaci così come sei, anche se sei un quattrocchi arrogante”.
A questo, Kaoru non riuscì a ribattere. Non ci riuscì perché si ritrovò zittito da un paio di labbra calde premute sulle proprie, nel tentativo disperato di farsi accettare.
Il loro primo bacio fu caldo e morbido, gentile e pieno di parole non dette. Accettazione, affetto, comprensione. Il nodo che serrava la gola di Kaoru si sciolse quando finalmente potè respirare a pieni polmoni il profumo maschile del suo amante, un istante prima di baciarlo di nuovo e spingerlo a coricarsi sul futon per baciarlo ancora, e ancora.
Ancora una volta, prima di lasciarsi cingere in un abbraccio gentile che aveva desiderato a lungo senza saperlo, ottenendone consapevolezza solo nel momento in cui aveva provato che cosa volesse dire.
Che cosa significasse sentirsi amato, voluto, come Ainosuke non aveva saputo fare.
Per una notte, e forse per molte altre, non sarebbe stata Carla a cullarlo fino al mondo dei sogni; il respiro lento e confortante di Kojiro era una ninna nanna perfetta per mettere a tacere la sua ansia. Le sue braccia erano un posto nel mondo più che sufficiente.
Non avrebbe mai potuto e voluto chiedere di meglio.





 
"This is you, this is me, this is all we need
Is it true? My faith is shaken, but I still believe
This is you, this is me, this is all we need
So won't you stay a while?"

(Hold Me While You Wait, Lewis Capaldi)










 
  
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