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Autore: Ode To Joy    19/04/2021    2 recensioni
SPOILER CAPITOLO FINALE
“Non puoi passare la tua vita inginocchiata davanti a una tomba, Mikasa,” insistette Levi. “Se Eren è ancora da qualche parte, non è qui.”
“Eren non è più da nessuna parte, Levi,” ribatté Mikasa. “E adesso?” Domandò, forse più al cielo che al Capitano. “Che cosa succede adesso? Che cosa ci resta davvero?”
E Levi si limitò a dirle la verità: “il resto della nostra vita.”
Genere: Drammatico, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin Arlart, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A f t e r g l o w



Oh, I won't be silent and I won't let go
I will hold on tighter 'til the afterglow
(Ed Sheehan, "Afterglow")



Il mare era una tavola e faceva da specchio a un cielo tanto terso da sembrare irreale. Tutt’intorno vi era solo pace. E rovina.

Con l’unico occhio sano puntato verso l’orizzonte, Levi Ackerman decise che avrebbe ignorato quest’ultima in favore della prima, almeno fino a che i suoi doveri non lo avrebbero costretto a fare altrimenti. 

Sedeva in fondo a un piccolo pontile, con la spalla appoggiata a un palo di legno. La barca che vi era legata galleggiava lì a fianco, ignara di quello che era successo nel mondo. Levi dubitava che il suo proprietario avesse avuto la stessa fortuna. 

I ragazzi erano con lui.

Armin sedeva alla sua destra, mezzo metro più in là. Teneva le gambe strette al petto e il mento appoggiato sulle braccia incrociate. Gli occhi azzurri erano spenti, stanchi.

Levi aveva imparato a conoscere quel genere di stanchezza sul viso di un altro Comandante della Ali della Libertà. Quel giovane lo aveva portato in spalla fino a lì, insieme all’aiuto di Jean - che era in piedi con Connie, un paio di metri alle loro spalle - e avevano trovato insieme un posto tranquillo in cui riprendere fiato.

Per poi andare avanti.

Perché andare avanti era qualcosa dalla quale nessuno di loro poteva astenersi. 

Il dolore avrebbe vissuto il suo tempo, e Levi si sarebbe assicurato che i mocciosi ne sarebbero usciti tutti, a costo di prenderli a calci nel culo uno per uno. 

Tornare sulla costa era sembrato un buon punto di partenza per tutti - anche per i mocciosi di Marley e le loro famiglie. Una volta arrivati, avevano scoperto di non essere stati gli unici a pensarla a quel modo. 

Tra le macerie di quella che era stata la città di Liberio, i sopravvissuti avevano cominciato a organizzarsi. Stavano nascendo dei campi di soccorso per i feriti, si stava stilando una lista di scomparsi e un’altra di caduti - su nessuna delle due sarebbero apparsi tutti i nomi del caso. 

Intere famiglie erano state spazzate via, nessuno era rimasto a segnalare la loro assenza o a piangere la loro morte. Anche a distanza di anni, Levi ne era certo, sarebbe stato impossibile fare un bilancio realistico di quel massacro.

Levi sapeva chi aveva perso, chi aveva ucciso e chi era tornato con lui. E per questi ultimi era infinitamente grato.

“Armin, al campo ti cercano.”

Annie Leonhart comparve per spezzare il silenzio tra di loro.

Il giovane interpellato esitò - era stanco, molto stanco - poi fece per alzarsi. Levi allungò la mano e lo fermò.

“Jean, Connie, andate voi,” ordinò.

Tutti e tre i ragazzi lo guardarono perplessi - Armin più degli altri.

“É arrivato un messaggero da Paradis,” spiegò Annie. “Ha detto che consegnerà il messaggio solo al Comandante della Legione Esplorativa in persona.”

“Hanji è morta,” replicò Levi. “E la Legione non ha più ragione di esistere. Questi sono i soldati che hanno fermato la fine del mondo, non esiste nessun grado militare o nobiliare che si possa porre sopra a loro.” Lo credeva davvero e voleva che anche quei giovani se ne convincessero.

Un messaggio tanto importante poteva venire solo dalla Regina in persona. Historia non poteva sapere che Hanji era caduta in battaglia e che era stato Armin a succederle. 

Forte delle parole del suo Capitano, Jean si mosse per primo. “Facci strada, Annie.”

Connie lo seguì a testa alta.

Quando furono spariti in fondo al pontile, Armin affondò il viso tra le braccia con un sospiro. “Ti ringrazio.”

Levi non rispose.

“Vorrei chiudere gli occhi e non aprirli più,” aggiunse il più giovane, poi alzò la testa di colpo come se si fosse destato da un momento di dormiveglia. “Perdonami, non dovrei-“

“Lo vorrei anch'io,” ammise Levi, l’unico occhio sano fisso sul mare. “Sono così fottutamente stanco da così tanto tempo.” Non avrebbe detto a quel ragazzino che aveva sperato di morire in battaglia, che quel a presto rivolto a Hanji era stato inteso in modo molto più letterale di come i fatti lo avevano reso.

“Si può essere stanchi della vita, Armin, non è una colpa né una vergogna.” Concluse. Non era il genere di rassicurazione di cui quel giovane aveva bisogno, ma era la sola che Levi poteva offrire. 

Armin si umettò le labbra e inspirò a pieni polmoni l’aria profumata di mare. “Domani... È la sola cosa a cui riesco a pensare: domani. Cosa succederà, domani? Che ne sarà di noi, domani? Come…” Il nodo che gli stringeva la gola si fece troppo stretto. “Come farò a svegliarmi ogni giorno in questo mondo,” gli sfuggì un singhiozzo, “solo per ricordare quel che è successo,” ingoiò aria come un naufrago, “e che lui non c’è più?”

Levi non conosceva la risposta a quella domanda. Lui era il primo a non sapere cosa ne sarebbe stato del suo domani. Era come se fossero morti anche loro.

“Guarda,” disse Levi, indicando l’orizzonte con un cenno del capo. Lì, verso est, dove il mare e il cielo si toccavano e i colori dell’aurora erano più vivi, presto sarebbe spuntato il sole. “Il mondo è andato distrutto,” mormorò, “eppure sorge un nuovo giorno.”

E così avrebbero fatto anche loro: sarebbero vissuti attraverso quel dolore, fino a che quel domani si sarebbe mutato da condanna a opportunità.

Il mondo stava rinascendo e loro sarebbero andati incontro allo stesso destino.

Levi guardò quel giovane che con tanta determinazione si era sollevato per proteggerli, prendendo per sé il merito - o la colpa - di aver ucciso Eren Jeager, e seppe con amarezza che non si sarebbe più concesso altri istanti d’incertezza. Avrebbe camminato a testa alta per il resto della sua vita.

“È una femmina!” Fu Connie a dare il grande annuncio, percorrendo il pontile saltellando. “È piccolina perché è nata in anticipo, ma è sana e forte. Vi annuncio ufficialmente l’arrivo della Principessa Frieda Reiss!”

“Frieda Ymir Reiss,” lo corresse Jean con fare molto più sobrio, stringendo tra le mani la lettera della Regina con eccessiva cura.

Era così strano pensare che in quel mondo si potesse ancora nascere e non solo morire, pensò Levi ma decise di non rovinare quel momento vagamente lieto con i suoi pensieri. “La prima discendente di Ymir a venire alla luce in una realtà senza Titani,” mormorò.

“Jean, che cosa c’è?” Domandò Armin, preoccupato dall’espressione cupa dell’amico.

Jean si umettò le labbra piegando i fogli tra le sue dita con cura. “Non è firmata da Historia,” disse. “Ma da Mikasa.”

Connie si voltò tanto velocemente che il collo gli fece male. “E non potevi dirlo subito?”

“Non volevo farlo davanti a quelli di Marley,” si giustificò Jean, mentre Armin scattava in piedi. Levi fece per fare lo stesso, poi ricordò di avere le gambe fottute.

Armin prese la lettera con mani tremanti, la esaminò: “è la sua calligrafia,” confermò, con un sorriso sollevato e gli occhi pieni di lacrime. “È a casa con Historia,” concluse. “È al sicuro, sta bene.”

Nessuno aveva avuto sue notizie dopo la battaglia. Durante il loro viaggio verso il mare, Armin aveva detto loro qualcosa sul dare a Eren una degna sepoltura, e nessuno aveva osato fare domande.

Lo ha riportato a casa, pensò Levi. La comprendeva: aveva fatto la medesima cosa con Erwin, anni prima. 

“È riuscita ad arrivare prima di noi,” disse Connie, incredulo.

“Ci ha preceduti e non si è fermata,” replicò Jean. Per rispetto, non fece riferimento al fatto che Levi li aveva rallentati di parecchio.

“È viva…” Armin strinse la lettera al petto e si lasciò andare a un pianto liberatorio. “È viva…”

Jean gli passò la mano sulla schiena per tranquillizzarlo, Connie non riuscì a dire alcunché.

Levi tornò a guardare il mare. “Ti ha ascoltato,” disse all’acqua quieta. “Per una volta, Eren, lei ti ha ascoltato.”

Il sole tagliò l’orizzonte.




 

Tornare a casa non fu affatto semplice.

La lettera di Mikasa non annunciava solo la nascita della piccola Frieda, ma anche di qualcosa di più oscuro, di cui Eren stesso aveva gettato le basi. Ormai consapevoli dello stato di prigionia in cui erano versati per più di un secolo, gli Eldian di Paradis avevano alzato la loro voce sopra il silenzio di morte lasciato da Eren sul continente.

Lo stesso spirito che anni prima aveva rovesciato la falsa monarchia, incoronando Historia come Regina, ora invocava a gran voce una libertà vendicativa, assetata di sangue.

“E continueranno a urlare,” concluse Historia, guardando la bambina addormentata tra le sue braccia. Aveva partorito nella sua residenza di campagna, lontano dalla capitale e dai tumulti. E lì, quasi dieci giorni dopo la morte di Eren, gli ultimi superstiti delle Ali della Libertà l’avevano raggiunta.

Era pallida, Historia. I lunghi capelli biondi erano acconciati in una treccia morbida, che le ricadeva sulla spalla destra. I segni scuri sotto i suoi occhi erano marcati quanto i loro. Anche lei aveva combattuto la sua battaglia e ora stringeva al seno la sua amata vittoria: una figlia che non aveva davvero desiderato, avuta da un uomo che non amava.

Seduto vicino al caminetto acceso, Levi la vedeva come una donna adulta per la prima volta. La creatura tra le sue braccia non avrebbe mai sofferto per le tristi circostanze che avevano portato alla sua nascita, ne era certo. Historia non avrebbe mai fatto a sua figlia ciò che aveva ferito lei. 

La loro Regina era in piedi, vestita di una semplice camicia da notte coperta da una vestaglia color cipria. E sebbene la vita l’avesse già sconfitta non sembrava avere alcuna intenzione di chinare la testa.

Quei tristi occhi azzurri lo cercarono. “Mi dispiace per Hanji.”

Levi non sapeva fino a che punto lei fosse complice di Eren, ma il suo dolore era sincero e lo accettò con un cenno del capo. 

Si rivolse poi a Jean a Connie, entrambi fermi dietro la poltrona del Capitano. “I miei uomini hanno raggiunto le vostre famiglie. Sono al sicuro e farò in modo di farvi salutare i vostri cari, prima di partire.”

Connie fece per esultare ma non ne ebbe il tempo. “Partire?” Domandò. “Partire per dove?” Guardò Jean in cerca di risposte, ma l’amico fissava il pavimento con le labbra serrate e l’espressione di un condannato a morte.

“Non possiamo restare su Paradis,” disse Armin. Era rimasto in disparte, con la schiena appoggiata alla porta chiusa. Levi era dell’idea che stesse evitando di proposito d’incrociare lo sguardo di Historia.

“La gente che invoca una guerra di vendetta è la stessa che sosteneva Eren durante il suo colpo di stato,” spiegò. “Siamo stati noi a uccidere Eren. Ai loro occhi, siamo nemici come il resto del mondo.”

Connie spalancò la bocca per protestare.

“Non urlare o sveglierai la bambina,” intervenne Jean con voce atona e l’amico si calmò all’istante. “A quanto pare, dobbiamo pagare un prezzo anche per aver salvato il mondo.”

“Mi dispiace…” Si limitò a dire Historia. “Se foste così gentili da scendere di sotto, i miei uomini vi stanno aspettando in cortile. Vi chiedo scusa, ma il tempo a vostra disposizione è davvero poco.”

I due giovani la ringraziarono per quello che stava facendo e fecero come era stato detto loro. Dalla semplicità con cui uscirono dalla porta, Levi dedusse che non avevano affatto capito che quella era l’ultima occasione di dire addio alla loro Regina.

Rimasti in tre - esclusa la neonata addormentata - Historia si avvicinò all’uomo che era stato il suo Capitano. I suoi occhi azzurri passarono in rassegna tutte le ferite coperte dalle fasciature e il suo viso divenne ancora più triste.

Levi era così stanco di vedere le stesse ombre negli occhi di chiunque. “Se vuoi prendermi di nuovo a pugni, puoi farlo.”

Historia sgranò gli occhi, incredula, poi le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro ma smorzato da una sfumatura dolce. “Sono felice che tu sia vivo.” Era sincera anche questa volta.

Levi non aveva altro da dirle e così lei.

Gli occhi di Historia cercarono Armin e lui rispose a quello sguardo timidamente, ma accettò di non avere vie di fuga a sua disposizione. L’unica cosa che fece fu rimandare il momento del vero confronto. “Mikasa?” Domandò, avvicinandosi.

“La vedrai domani,” lo rassicurò Historia. “Passa la maggior parte del suo tempo nel luogo in cui riposa Eren, ma torna sempre per mangiare qualcosa e prendersi cura di sé.”

Era positivo, pensò Levi, significava che era distrutta dal dolore ma non aveva intenzione di soccombergli.

“Grazie per averle offerto riparo,” aggiunse Armin.

“Non hai motivo di ringraziarmi,” replicò Historia. 

Il ragazzo fissava il pavimento, lei spostò il peso della bambina su di un solo braccio e allungo la mancina per afferrare la mano dell’ex compagno di squadra.

Armin la strinse. 

Levi non se ne sorprese: tra le persone che più volevano bene a Eren, c’era anche lei e Armin non poteva che riconoscerlo.

“Ci ha provato,” disse Historia con voce rotta. “A cercare un altro modo, intendo. Ci ha provato, davvero.”

Armin annuì. “Lo so… Lo so…” 

Un altro modo. Tutti loro si sarebbero fermati a chiedersi e se…? per il resto della loro vita e ogni riflessione sarebbe stata completamente inutile. Eren aveva scelto e questo non si poteva cambiare.

“Stupido…” Mormorò Levi a voce tanto bassa che i due giovani piangenti non lo udirono. “Stupido, moccioso.”




 

Levi doveva ammettere che quello era un bel posto per riposare: le colline verdi tutt’intorno, Shiganshina in lontananza. Eliminate le ultime rovine delle Mura, anche i raggi del tramonto sarebbero riusciti ad accarezzare quell’umile tomba ai piedi dell’albero. 

Sì, quel luogo ispirava pace.

E Mikasa aveva riportato Eren a casa.

“Che cosa ci fai qui?”

Era ovvio che Armin l’avrebbe raggiunta sulla tomba di Eren. Ma lui, Levi, non doveva averlo previsto. E in quel quieto caos che li divorava tutti, la calma della fanciulla con la sciarpa rossa era ciò che lo spaventava di più.

“Mi ha portato Armin.” Fu la risposta ovvia di Levi. Si sorreggeva su di un bastone come se avesse il doppio dei suoi anni. Qualunque cosa rendesse speciale il sangue degli Ackerman era sparita insieme alla maledizione di Ymir. Non c’erano più cieli in cui volare per Levi. Non c’erano più mostri d’abbattere per poi essere glorificati come eroi. L’ultimo Titano giaceva sotto la terra su cui Armin e Mikasa erano inginocchiati.

Ma Levi preferiva chiamarlo solo Eren.

“Hai scelto un bel posto,” aggiunse.

L’espressione di Mikasa si addolcì. “Giocavamo qui da bambini,” spiegò, e Armin annuì per confermare le sue parole.

Levi annuì. “Vorrei poter fare qualcosa di simile per la Quattrocchi,” ammise. Non aveva mai pensato a come commemorare Hanji - si era illuso di morire prima di porsi il problema - lo fece ora e si rese conto che non avrebbe mai potuto recuperare i suoi resti come aveva fatto con Erwin.

“Sono certa che Historia lo farà, anche senza un corpo,” disse Mikasa. “Posso prometterti che mi assicurerò che lo faccia.”

Levi allontanò gli occhi dalla lapide priva di nome per spostarli sulla giovane. Lei, nonostante il viso stanco, rispose con fierezza.

Armin spalancò la bocca e prese a scuotere la testa. “Mikasa, non-“

“Ho già avuto questa conversazione con Historia,” lo interruppe Mikasa. “Lei è disposta a ospitarmi per i tempi a venire.”

“Non avrà alcun potere se il popolo chiederà a gran voce la tua testa,” replicò Levi. Si era diretto alla tomba di Eren con l’intenzione di essere gentile, ma la mocciosa e la sua ottusità non gli rendevano le cose semplici.

“Non mi farò uccidere,” disse Mikasa, ferma. 

“E quando la tua presenza diverrà un pericolo per Historia e la sua bambina, cosa farai?”

“Non accadrà.”

“Mikasa, ragiona!” Levi perse la calma, come quando le aveva urlato di recuperare il controllo di sé per uccidere il giovane che amava.

Armin irrigidì le spalle e ingoiò a vuoto, come se non fosse ufficialmente il Comandante in carica. 

Ma Mikasa era salda nella sua decisione e se doveva affrontarlo e sconfiggerlo a parole, lo avrebbe fatto. Non aveva importanza che avesse il cuore ridotto a pezzi.

“Armin, puoi lasciarci un attimo,” chiese lei all’amico.

Il giovane Comandante ubbidì ma con reticenza.

Levi inspirò profondamente dal naso. “Dai…” La incitò. “Dimmi qualunque stronzata tu abbia pensato per convincermi.”

“Io…” Mikasa esitò e per un attimo sembrò avere di nuovo quindici anni. “Ti ringrazio… Per tutto…”

No, questo Levi non se lo era aspettato.

“Grazie per tutto quello che hai fatto per lui,” aggiunse lei. “Grazie per essermi stato vicino nel momento peggiore...”

Era stato l’attacco di Levi - il suo ultimo volo - a permettere a Mikasa di uccidere Eren - era stato l’ultimo volo anche per lei. Tutti erano stati indispensabili, ma l'affondo decisivo era stato il loro.

Inoltre, la testa di Eren avrebbe avuto poco valore senza quella di Zeke.

Levi allontanò quel pensiero orribile con un sospiro stanco. Quando s’inginocchiò accanto a Mikasa, lo fece a fatica ma lei non fece nulla per aiutarlo: gli permise di mantenere integro il suo orgoglio. “Non hai neanche vent’anni, Mikasa,” le disse, guardando dritto in quegli occhi scuri.

“Per la Legione Esplorativa, sono una veterana.”

“Per una donna libera, sei solo all’inizio della tua vita,” replicò Levi. 

Gli occhi di Mikasa si riempirono di lacrime, ma non avrebbe mai pianto di fronte a lui ne era certo. “Anche Eren ha detto qualcosa di simile. Alla fine, è venuto anche da te?”

Levi scosse la testa. “No, non lui.” Era stato furbo Eren, si era risparmiato un calcio in faccia prima dell’ultimo saluto.

“Erwin e Hanji?” Domandò Mikasa, rispettosa.

Levi annuì. “Loro… E tutti gli altri. Chiunque sia morto per questa vittoria.”

Lei si morse il labbro inferiore e guardò l’orizzonte incendiato dal tramonto. “Non chiamarla vittoria,” lo pregò. “Non lo è.”

E Levi non poteva che darle ragione. Ad Armin aveva raccontato una bella bugia sul domani, ma non gli aveva detto che - celato dal caos generale della fine della battaglia - aveva pianto tutte le lacrime che non aveva versato in quegli anni. Non aveva conti in sospeso con le persone che amava, ma quanto faceva male pensare al resto della sua vita senza Erwin e Hanji.

A loro avrebbe dedicato ogni suo giorno, fino alla morte.

E li avrebbe vissuti tutti, nel bene e nel male, perché era il solo modo per dare un senso alla loro morte.

“Non puoi passare la tua vita inginocchiata davanti a una tomba, Mikasa,” insistette Levi. “Se Eren è ancora da qualche parte, non è qui.”

“Eren non è più da nessuna parte, Levi,” ribatté Mikasa. “E adesso?” Domandò, forse più al cielo che al Capitano. “Che cosa succede adesso? Che cosa ci resta davvero?”

E Levi si limitò a dirle la verità: “il resto della nostra vita.”

Mikasa inspirò profondamente dal naso, poi lasciò andare un sospiro. “E tu la vuoi?” Domandò con voce rotta. “Senza Erwin e Hanji, la vuoi ancora?”

Levi annuì. “È nostro dovere farlo.”

“E chi ce lo starebbe ordinando?” 

“Loro,” rispose il Capitano, indicando la lapide spoglia con un cenno del capo. “Ogni loro parola o azione. Ogni momento della loro esistenza. Ogni loro respiro. Tutto ciò che era loro ci ordina di vivere, di andare avanti. E non ti lascerò qui a morire perché non riesci a smettere di vegliare sulle sue spoglie.”

Mikasa allontanò lo sguardo dall’orizzonte per fissarlo sul suo viso. Per la prima volta da quando la conosceva, Levi ebbe difficoltà a reggerlo.

“Passa?” Domandò, disperata, sull’orlo del pianto. “Per te sono passati quasi cinque anni. Se è vero che il tempo rimargina ogni ferita…”

Fu il turno di Levi di perdersi nell’orizzonte colorato dal sole calante. “Il dolore si vive, Mikasa, non si cancella.”

“Non è quello che ti ho chiesto.”

“Vuoi che ti dica che un giorno aprirai gli occhi e l’assenza di Eren non ti farà più male?” Levi era disposto a farlo se questo l’avesse convinta a staccarsi da quella tomba, ma non avrebbe giovato a nessuno. “No, Mikasa, lui ti accompagnerà sempre. Tuttavia, il suo ricordo smetterà di schiacciarti… Certo, ora non puoi crederlo possibile, ma accadrà.” Il Capitano si umettò le labbra. “E accadrà più velocemente lontano da qui.” Fece un ultimo tentativo.

Non servì a nulla.

“Questo è il luogo in cui ho trascorso gli istanti più felici della mia vita,” raccontò Mikasa, mentre una brezza leggera le scostava i capelli corvini dal viso. “Il mondo potrà essere grande e pieno di luoghi splendidi, ma questo è il mio paradiso. Non potrò ritrovarlo in nessun altro posto.”

Levi non sapeva che altro dire di fronte a quelle parole. Fece leva sul bastone e si alzò in piedi. “Resta viva, Mikasa.” Fu l’ultimo ordine che le diede.

“Levi…” Si alzò in piedi anche lei. “Prima dell’ultimo attacco, quando era divenuto chiaro quello che dovevamo fare, hai detto che avresti voluto dire qualcosa a Eren.”

Il Capitano annuì. “Sì, ricordo.”

“Cosa volevi dirgli?”

E Levi non perse quell’ultima occasione per ricordarle che era ancora troppo giovane perché potesse sconfiggerlo. “Un giorno te lo dirò,” promise. “In un luogo che non conosciamo, lontano da qui.”

Mikasa non insistette. “Addio Capitano.”

Arrivederci, Mikasa.”

Lì, di fronte al riverbero di un tramonto rosso come la sciarpa di lei, poteva essere il loro ultimo saluto. Per quel che Levi ne sapeva, lui e Mikasa avrebbero potuto non incontrarsi mai più.

Non lo sapeva. Come poteva?

Ancora una volta, nonostante tutto, fece un’altra scommessa con la vita.

E il sole scomparve dietro la linea dell’orizzonte.
 






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IG @od3t0j0y 



Se preferite, Marta Magro.

Marta è più che sufficiente.

Se vi va di fare qualche chiacchiera da fandom,

di parlare dello scrivere o semplicemente per fare due parole,

Scrivetemi!

Scrivo tragedie ma sono simpatica, giuro ✌🏻

 

 

   
 
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