Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    20/04/2021    0 recensioni
Prosegue la saga de “Le cronache dei draghi e dei re”, cominciata con “L'apprendista di fuoco” e continuata con “L'avvento dei Sette”. Il conflitto è ormai scatenato. Mentre le case nobiliari che governano l'occidente continuano ciecamente a misurarsi tra di loro, l'oriente è chiamato da solo al confronto con un nemico intenzionato ad estinguere l'intero genere umano. Sarà forse possibile sconfiggerlo utilizzando quell'antico e sopito potere chiamato magia? E al fine di utilizzare al meglio tale potere, è forse il caso che i sette maghi dell'origine vengano definitivamente annientati? È partendo da questi interrogativi di base che Constant della Casa Lannister sta infine preparando la sua guerra.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4

TRAPPOLA PER VOLPI

 

 

 

Per qualche motivo, proprio agli ultimi giorni prima di poter porre un assedio su Castel Granito, il re fece giungere nelle mani di Gino Barron una notifica con la quale gli chiedeva di ritardare quell'azione che pure lui stesso aveva da lungo tempo ispirato. Per lungo tempo Gabryaerys aveva insistito addirittura perché Gino muovesse in ogni caso il suo esercito. Basta con le missioni, basta con i viaggi di piccoli gruppi. La Corona richiedeva che l'Altopiano rimediasse immediatamente in merito alle voci di instabilità che sempre più numerose si ripetevano verso il sud del continente, oppure che si occupasse dei loro comuni nemici dell'ovest. In verità più nemici di Gabryaerys che di Gino, ma certo i Lannister ancora forti in quelle zone rappresentavano una minaccia. Era così che Gino si era infine deciso a marciare con tutta la sua potenza verso la capitale degli uomini della chimera. Aveva trovato sul suo passaggio l'ostacolo di Lannisport, il centro marittimo della zona: ma i Lannister lo avevano abbandonato. Erano stati sciocchi, secondo lui. Facendolo combattere sia a Lannisport che a Castel Granito, i familiari dell'ultimo sovrano prima di quello momentaneamente seduto sul Trono di Spade, avrebbero infatti potuto innescare una guerra di logoramento sulla quale le idee del giovane e guercio signore dell'Altopiano non sarebbero state ben chiare. Gino lo ammetteva con se stesso: era nuovo a quel gioco e, da quando i suoi rapporti con Braff si erano raffreddati, anche piuttosto solo. Più semplice sarebbe stata una guerra strategicamente impostata su un'unica battaglia, per quanto lunga poi quest'ultima potesse rivelarsi. E questo i Lannister gli avevano dato, praticamente svuotando Lannisport di qualsiasi forma di esercito per la resistenza, e anche di buona parte della cittadinanza: inutile per Gino, che di quelle terre si apprestava ad essere il nuovo conquistatore, sterminare una popolazione inerme e tra l'altro assai scarsa di numero.

Fu così che l'esercito della volpe e della rosa dorata quasi raggiunse Castel Granito; quest'ultima era praticamente a meno di un giorno di viaggio, quando il corvo con alle zampe le piccole insegne della Capitale, raggiunse di volata il giovane Barron. Per ordine del re, Braff ingiunse di fermare quel suo assalto per dirigersi alla Capitale al fine di organizzare quell'urgente incontro con Sua Maestà cui il re Targaryen spasimava sin da quando era stato incoronato, perché in effetti Gino e Gabryaerys non si erano proprio mai visti, per quanto il primo stesse per combattere una guerra anche per fare un favore al secondo e per rinforzare la loro alleanza, forgiata su inevitabilmente comuni interessi. Ma Gino decise di fregarsene: le trombe della guerra erano già scoccate e poi... si trattava ormai di quasi solo un giorno di cammino! Non si interrompeva un affare di quel genere a distanza di così poche ore. E da ultimo: Gino era estremamente motivato. Voleva dimostrare a se stesso di essere in grado di compiere da solo un'impresa importante, una esattamente ritagliata per il ruolo che la vita era finita per fargli ricoprire. Ci aveva già provato con la ricerca di Saestrya Martell tra le dune di Dorne, e non era andata bene. Gino si era sentito preso per il culo per tutto il tempo. Ora si era stufato: la conquista di Castel Granito sarebbe stata la sua grande impresa, l'inizio della storia di un giovane uomo divenuto Lord quasi per caso (in realtà per bieche manovre politiche) e che però alla fine – sempre in età piuttosto acerba – si era anche guadagnato un posto tra le fila dei conquistatori della storia del Westeros.

Prima ancora di arrivare a Castel Granito, Gino passò anche da Lungotavolo: una deviazione di solo poche ore, visto che essa si trovava sulla strada tra Altogiardino e le terre dei Lannister, solo un po' più a est. A Lungotavolo, Barron incontrò di nuovo, vispo e in salute, il suo vecchio precettore Sir Rollo il quale, nel poco tempo che aveva passato ad Altogiardino quando Gino lo aveva chiamato come suo consigliere dopo la morte dei fratelli Lorthan e Shane Tyrell, si era ammalato. L'aria dell'alta politica di palazzo doveva averlo avvelenato, visto che sostanzialmente Lungotavolo – dove per tutta la vita Rollo aveva risieduto e operato – era pur sempre un maniero di campagna. Quando tuttavia, vedendolo poi così in forma e ristabilito, Gino tornò a domandare a Rollo di seguirlo, almeno durante il suo assedio delle terre dei Lannister, il vecchio precettore non poté ancora una volta rifiutarsi al suo signore. Non è che Gino non si rendesse conto che Rollo fosse anziano, ma paradossalmente era probabilmente più quest'ultimo ad avere compassione del giovane Lord, accorgendosi – dopo qualche minuto di colloquio in solitario con lui – che fosse proprio lui quello debole tra loro due, rimasto senza amici ad occuparsi di un lavoro di potere il quale inevitabilmente finisce per lasciarti un po' da solo. Non che Gino non fosse pieno di cortigiani; quelli anzi di norma si moltiplicavano alle corti dei potenti. Ma reali compagni sinceri, con cui condividere ansie e preoccupazioni, oltre che gioie e gozzoviglie, quelle a un uomo di potere non nato per quel mestiere, spesso venivano a mancare. E Rollo lo capì, dunque fu lui in prima persona anzi a proporsi come accompagnatore del Lord verso la sua guerra occidentale. E, nonostante all'inizio un po' di ipocrita preoccupazione, infine anche lo stesso Lord dell'Altopiano accettò di buon grado la compagnia e il futuro consiglio del vecchio amico. Per inciso: fu anche per consiglio appunto dello stesso suo vecchio precettore che Gino decise di ignorare le pressioni del re affinché virasse con il suo esercito verso la Capitale. Gabryaerys aveva altresì lasciato trapelare che presto per Castel Granito i due eserciti congiunti del Barron e della Corona sarebbero potuti pure partire insieme, ma chiaramente solo dopo l'incontro tra il re e il suo grande vassallo. Questo avrebbe lasciato scoperta Altogiardino per un tempo minimo di un mese o un mese e mezzo, comodissimo per Constant Lannister non solo per riorganizzarsi, ma perfino – qualora lo avesse voluto – per scendere a sua volta alla conquista dell'Altopiano.

Insomma, per Gino e il suo nuovo (vecchio) consulente Rollo, quella del re degli Andali e dei Primi Uomini non era altro che una proposta piena di lacune, da non potersi fare altro se non scartarla, fingendo di non averla ricevuta. D'altronde, Gino Barron non sarebbe stato mica il primo Lord a non ricevere una comunicazione via corvo; o a fingere di non averla ricevuta. Certo, il re Naharis avrebbe comunque potuto ritentare, ma per quel momento Gino sperava di esser già sul campo di battaglia a incrociare le lame col Leone Nero, visto che Sua Maestà era stato così improvvido da ricordarsi di scrivergli solo a praticamente un giorno di distanza tra Barron e la più grande città sulla costa occidentale.

L'armata dei Barron/Tyrell raggiunse lo spazio un po' contorto dinanzi alle porte della città alle prime luci di un'alba assai poco convinta. I generali a cavallo che vennero incontro al Lord dell'Altopiano, di cui uno minuto dell'insegne dei Lannister, erano: il sedicente re Constant, Sir Bastian che pure Gino aveva incontrato sul campo della battaglia di Cowain, e poi appunto il leggendario Pylgrim, il Leone Nero. Gino invece si portò appresso il solo Jon Barthalo, di cui molto poco si fidava e preferiva averlo vicino a sputare sangue piuttosto che lontano a trescare con Shanty e i suoi parenti Tyrell. In termini di forza numerica, era chiaro che la battaglia dalle chimere non poteva essere vinta: gli uomini dell'Altopiano erano il doppio, e tendenzialmente più freschi e più giovani. Dunque, se i Lannister non avessero avuto una qualche forma di forza fisica superiore, o un altro tipo di asso nella manica a sorpresa, alla lunga sarebbero stati destinati a perdere. Gino tra l'altro si accorse solo in quel momento che nella sua breve vita solo in un altro vero campo di battaglia si era trovato: Cowain, per l'appunto. La cittadella da lui difesa alla fine aveva vinto, ma il dato interessante era che tra gli aggressori c'erano due dei generali che ancora una volta gli si paravano davanti: Constant Lannister e il bassetto e biondino Sir Bastian, del continente orientale. In quell'occasione, Gino non aveva aperto bocca: per il borgo marinaro all'estremo sud del continente era stata una certa Lady Trench a parlare, che poi era morta sul campo. Dall'altra parte invece erano stati proprio Sir Bastian e Constant a parlare e lo stesso schema pareva stare per ripetersi.

«Cari signori» esordì il curvo cavaliere dell'oriente «Vi presentò Constant della Casa Lannister: il vero re degli Andali e dei Primi Uomini»

«E questi è Gino Barron» fece un po' contrariato il proprio dovere anche Jon Barthalo «il Protettore dell'Altipiano»

«L'ultima volta che ci siamo visti» fece quindi re Constant, senza attendere oltre, «caro Gino Barron, rappresentavate l'autorità costituita: il re sul Trono di Spade. E ora che il re è cambiato, e con esso una intera dinastia, voi continuate a rappresentare l'autorità costituita: il re sul Trono di Spade. L'usurpatore, in questo caso»

«Ero un giovane, inesperto, rappresentante di una casata minore, allora» replicò Gino «Ora sono il signore di Altogiardino»

«Scalate bene, non c'è che dire. Sul combattere ho qualche dubbio invece: il vostro occhio destro a quanto pare giace ancora calpestato da qualche parte presso la spiaggia di Cowain»

«Io l'ho combattuto» s'immischiò Bastian «il mio martello ha affrontato la sua lama. Non è niente di temibile, in tutta onestà»

«Se non vado errato, signori, quella battaglia da voi è stata persa»

«Altri tempi, altri uomini, altri contesti» riprese di nuovo lo pseudo re «Allora io combattevo per il re Naharis e voi contro. E adesso... è il contrario: quanto strani sono i casi della vita»

«Strani e a volte solo utili a perder del tempo. Bando alle ciance, mylord: siete in numero assai inferiore. Prenderemo la città, il problema è se in un paio d'ore o in mezza giornata. Come intendete risolvere la situazione?»

«Combattendo fino alla morte, Lord Gino»

«Mi va benissimo. Ma sappiate che una resa incondizionata, solo in questo momento, potrebbe salvare delle vite e con esse la possibilità di un dialogo. Occuperemo il castello per un po' ma, se vi inchinerete al re, un giorno forse potrete tornare a rivendicare il vostro nome su questi scogli aridi che chiamate casa. A me non interessa Castel Granito, m'interessa ribadire la mia autorità e quella di Sua Maestà»

«Dimenticate una cosa, giovanotto...»

«Cosa?»

«Che sono IO l'unico vero re. E sarà la verità a spazzar via voi, il vostro esercito e soprattutto quell'usurpatore cui vi ostinate a reggere il moccolo». Detto questo, Constant girò rapidamente il cavallo e tornò verso le sue truppe.

«Cercheremo di risparmiarvi la vita» disse l'impavido Pylgrim, parlando per la prima volta, e anche lui poi dirigendosi verso dove già il suo re si era rivolto. E infine Sir Bastian: «E anche quell'unico occhio che vi rimane».

Purtroppo Gino aveva lasciato ai suoi avversari l'ultima parola. Un ennesimo sgarbo di cui si sarebbe ricordato sul campo, di lì a qualche momento. In verità, non gl'interessava assassinare nessuno di loro, e della leggenda che ammantava il Leone Nero aveva pure un poco di timore. Ma, se le circostanze lo avessero obbligato, li avrebbe affrontai tutti. E, se le circostanze lo avessero obbligato, Gino sarebbe pure stato disposto a ucciderli tutti.

Cominciò bene, con molto entusiasmo: la prima fila di soldati gregari avversari venne fin da subito annichilita dagli uomini al suo comando, e lui personalmente ne fece fuori circa cinque senza versare alcuna goccia di sangue o sudore. C'era qualcosa che gli puzzava: si stava verificando tutto fin troppo facile. I soldati dei Lannister erano come stanchi e impreparati. Certo, loro avevano dalla loro parte l'alone del mistero e della leggenda: Constant e Pylgrim. Per fronteggiare lo stregone, che Gino aveva già avuto modo di vedere sul campo di battaglia, e il vecchio cavaliere veterano di mille battaglie, Gino aveva fatto una sorta di cernita: aveva individuato i dieci più forti ed esperti combattenti tra le sue schiere e li aveva spartiti. Cinque avrebbero dovuto stare su Constant, non appena il re stregone avrebbe cominciato con i suoi micidiali trucchi di magia. E gli altri cinque invece sull'impetuosità gagliarda del Leone Nero.

Quando Constant cominciava con le sue diavolerie, all'inizio – anche se Gino li aveva preparati, i suoi uomini – era necessariamente un momento di grande meraviglia e panico per tutti. Non solo il fuoco padroneggiava infatti il mago ex Primo Cavaliere, ma anche il ghiaccio, e li combinava insieme un inaudito quanto trascinante esempio di forza d'urto. Con un raggio dei suoi ben scagliato, il re stregone poteva fare fuori nemici a decine: bisognava impedirglielo, per questo Gino pensò di mettergli subito addosso i più abili tra i suoi sicari, uno dei quali venne abbrustolito praticamente subito, ancor prima di cominciare. Ma dopo una prima fase di assestamento, la strategia riuscì a trovare dunque un suo buonsenso. Anche il vecchio Leone Nero trovò le sue difficoltà prima di atterrare uno solo degli uomini che Gino mise su di lui; e nel frattempo il Protettore dell'Altopiano, come il resto del suo esercito, si dedicò a falcidiare la manovalanza. Questo fin quando non venne raggiunto da Sir Bastian, con il suo martellaccio da guerra...

Il comandante orientale dell'altro esercito si avvicinò a lui con fare sinuoso: Gino d'altronde si era accorto di lui fin dalla distanza, quindi chiaramente non si stava trattando di un agguato, né dall'una né dall'altra parte, bensì di una sfida. Per la seconda volta nella sua vita Gino si apprestava infatti a combattere contro l'uomo col martello. Erano passati molti mesi, anzi qualche anno. Gino si era addestrato sia come guerriero-ombra che come spadaccino, e d questo Bastian se ne accorse. Inevitabilmente il tipo di combattimento che caratterizzava il generale orientale era un combattimento di potenza, lento e fortissimo al momento dell'impatto. Dunque adatto contro avversari inesperti, oppure in mezzo a una mischia contro avversari numerosi e per lo più distratti. Ma nell'uno contro uno con Gino della Casa Barron, Sir Bastian dell'oriente non era più quello che si trovava in una situazione di vantaggio. Sapeva difendersi bene, e dunque neanche Gino riuscì a colpirlo per tutto un primo tempo, ma far roteare quell'attrezzo enorme sostanzialmente a vuoto, mentre Gino gli danzava attorno, lo fece affaticare maledettamente.

All'improvviso tuttavia avvenne l'inaspettato. Gino si distrasse. Si distrasse anche per una cosa positiva: i suoi uomini, quelli con le insegne della volpe rampante e della rosa dorata, erano in irreversibile vantaggio e stavano buttando giù la porta del castello. Lo fecero: cominciarono ad entrare, anche senza il loro comandante in capo. In quel secondo esatto, mentre l'unico occhio di Gino si concentrava per un istante su quell'azione, arrivò un colpo secondario di Bastian. Non era quello principale con la punta del martello, ma quello di ritorno per permettere al guerriero orientale di riequilibrarsi. In pratica, Gino venne semplicemente colpito dal legno centrale dell'arma in una maniera sgraziata che fece un po' male al suo fianco, ma che soprattutto fece cadere il Sir orientale col culo per terra. Arrivò quindi Jon Barthalo, grondante sangue da tutte le parti, ma in piedi e fiero, che aiutò rapidamente il Protettore dell'Altipiano a rialzarsi e gli disse: «È finita: siamo entrati. Dentro non hanno difese!». Gino quindi lasciò che di Bastian si occupassero almeno sei dei suoi, appena accorsi dietro a Jon, mentre lui veniva sempre da quest'ultimo preso per la spalla ed accompagnato dentro la roccaforte storica dei Lannister. Finalmente, forse, Gino aveva vinto tutto da solo una sua battaglia. Senza Braff, senza il re, senza nessun'altro. Aveva preso una decisione, l'aveva perseguita e aveva conquistato una vittoria. Ora il problema sarebbe stato cosa farci con quella diavolo di Castel Granito, ma sarebbe venuto dopo. In quell'esatto momento, tutto quello che Gino – la volpe dei Barron – aveva per la testa era: un breve, meritato, riposo per tutti e poi... festeggiamenti in suo nome e gloria lunghi almeno un paio di settimane.

 

 

 

Nel segreto dei terrazzamenti nascosti e dei cunicoli scavati del castello, Marcus Lannister attendeva. Xenya l'esploratrice, il suo secondo Pashamanyna e Daessenya la giovane fanciulla con cui pure avevano stretto un'amicizia fin dal Miriedos, all'altro capo dell'oceano, erano tutti con lui e lì vicino da qualche parte doveva star svolazzando – alla ricerca di un topolino piuttosto che di un'arvicola – anche la sua chimera Shirley. Per la verità, e anche paradossalmente, Marcus aveva conosciuto Daessenya proprio lì, nelle terre dell'occidente. La ragazza aveva seguito il giovane principe cavaliere e la sua sorellina Mirietta, ancora in vita, per le strade della città. Poi si era presentata come una donna indipendente, attratta dalla storia di Mirietta, principessina reggente di una intera regione del Westeros. In quell'occasione, Marcus e Mirietta erano stati intercettati e messi in cella da quello che ora era un alleato: re Constant, che Marcus neppure adesso – che stava lavorando per lui – considerava il vero re. Il vero re era Napoleon, figlio di Axelion, fratello primogenito di Marcus e ucciso dall'usurpatore orientale adesso seduto sul Trono di Spade. Però Constant era il cavallo migliore su cui puntare in quel momento: sarebbe stato, a giudizio di Marcus, il miglior reggente in attesa della maggiore età del piccolino. E c'erano tutte le premesse perché tutto andasse bene: la donna che zio Constant aveva amato, era morta in circostanze violente quando ancora entrambi erano due ragazzi, e lo zio era rimasto così scioccato da quell'evento, da non aver più amato una donna in tutta la sua vita. Quindi non aveva avuti figli. E quindi, Napoleon avrebbe potuto rappresentare una sorta di surrogato per il reggente che, nelle speranze del principe Cavaliere della Chimera, avrebbe cresciuto il piccolo come suo e fatto di lui il migliore dei sovrani. E così la linea del sangue tanto cara al padre di Marcus, re Lionel, sarebbe stata ristabilita e tutto sarebbe tornato per il meglio. Certo, doveva succedere che ogni cosa filasse liscio, ovvero che Constant, una volta ottenuta la corona, non si lasciasse prendere dalla famosa sete di potere che prende tutti gli uomini che ne assaggiano anche solo un pochino, o almeno questo dicevano alcuni libri di storia che Marcus ricordava vagamente di aver studiato quando era più piccolo.

Constant, dal canto suo, ogni volta che a un pranzo o a una cena si toccava l'argomento, tendeva a svicolare: se messo alle strette, lasciava trasparire una certa fede nelle malelingue che sostenevano Napoleon essere il figlio del defunto anche lui Henrich Bolton, e non del re prima di Gabryaerys. Ma la verità era che era stato raggiunto un equilibrio un po' delicato tra lo zio e il nipote, e nessuno dei due voleva far precipitare il tutto. Per questo Marcus ora si trovava nei terrazzamenti segreti di Castel Granito, immischiato anche fisicamente in un conflitto che in buona sostanza riguardava solo Constant e decisamente non il piccolo Napoleon, al momento da qualche altra parte in balia delle bizze di sua madre, Lady Abigail Baratheon.

Marcus aveva quindi affilato le sue lame insieme con almeno un terzo dell'esercito della chimera. Ora bisognava solo aspettare che Gino Barron prendesse il castello e che si sentisse abbastanza al sicuro da ordinare alle sue guardie di abbassare le proprie armi. Dopodiché sarebbe cominciata la carneficina delle volpi.

Da un po' di tempo, l'esploratrice Xenya viveva tutte quelle circostanze con tutta l'aria di un pesce fuori dall'acqua. Era come se l'amicizia e in qualche misura la gratitudine che ancora sentiva di avere nei confronti di Mirietta, l'avessero costretta a lasciarsi trascinare da eventi di cui evidentemente le importava meno che poco. Marcus la comprendeva: quello non era il suo mestiere, lei in pratica era una navigatrice; e quello doveva fare: stare in mare. Aveva resistito perfino troppo secondo il principe di Lannister, e lui a sua volta sentiva ormai come una specie di affetto nei confronti della donna che più di ogni altro aveva dimostrato un sincero attaccamento nei confronti della sua piccola sorellina, che adesso aveva dato il nome a un intero continente: il Miriedos. O se non affetto, per lo meno si sentiva in grande debito con lei. E nelle ultime settimane, in cui l'aveva vista così insofferente, perfino in obbligo di fare qualche cosa: ma cosa si poteva fare con una donna, abituata a pensare e lavorare come un uomo? Semplici parole di conforto e confronto di sicuro non sarebbero state opportune. Quindi...? Quindi il principe Marcus attese. Fino a quando non fu proprio Xenya a rivolgergli la fatidica parola, proprio in quel tempo di attesa che insieme stavano passando presso i terrazzamenti di Castel Granito.

«Principe, io t'informo» esordì l'esploratrice, mentre affilava una lama alla cote, «che questa è l'ultima battaglia che combatto con voi. È stato bello e utile conoscervi tutti, a voi signori di Lannister, e vi auguro il meglio. Ma questa guerra per me finisce qui. Spero già domani mattina di poter ritirare l'ancora e salpare. Speriamo» precisò, facendo riferimento a Pashamanyna che era lì accanto e stava partecipando alla comunicazione.

«Sì» fece Marcus, con un filo di amarezza, «Lo capisco». Xenya gli ricordava dannatamente sua sorella. Fisicamente poco, anche se qualcosa c'era: tenevano entrambi i capelli in una sorta di caschetto, ma Xenya era molto più alta e molto più matura. Però nei termini del carattere, per come Marcus si ricordava della sua sorellina, non riusciva a non rivedere nella navigatrice che aveva scoperto il Miriedos una sorta di versione più adulta di Mirietta. E il pensiero che adesso, per la seconda volta, l'avrebbe perduta un po' gli dispiaceva. Anzi, gli dispiaceva molto. All'improvviso tutta la realtà che aveva attorno gli si sgretolò; Xenya aveva un obiettivo, magari non chiarissimo, ma sicuramente più chiaro del suo: prendere il mare. Lui invece non aveva niente. Si rese conto che stava per combattere una battaglia, per versare del sangue, e senza che gl'importasse granché di tutto quello. Certo, trovava giusto onorare la memoria dei suoi padri, e ristabilire la linea di successione, rimettendo Napoleon sul trono, ma... quel progetto avrebbe impiegato mesi, se non anni. E lui davvero aveva tutta questa passione per la guerra e la politica? Come un fulmine a cielo sereno, come se gli stesse leggendo dentro, come se Marcus più che un cavaliere di carne non fosse altro che un tomo di carta, Xenya dunque gli disse: «Ti dirò quello che una volta dissi a tua sorella: vieni con me». Era come se la terra stesse tremando e le nubi stessero tuonando. Un cavaliere, un guerriero qualsiasi, prima di una importante battaglia, doveva essere tranquillo, avere un animo sereno; e invece quelle poche parole dell'esploratrice riscossero l'animo del principe cavaliere fin nel suo più atavico profondo. Ancora una volta, lei gli lesse tutto in viso, e gli disse: «Non ci capisco niente di retorica e paroloni, non mi metterò qui a disquisire con te su cose che già sai, tipo che questa non è la tua guerra. Sai benissimo tutto, quindi non voglio convincerti: conto che lo faccia da te medesimo. Io ti dico solo che domani parto, se le condizioni me lo permetteranno. E c'è posto»

«Xenya, i-io ti ringrazio e-e...». Non disse altro. Non emise neanche più un suono, perché non aveva nulla da dire. Sebbene qualcosa dentro di lui gli diceva di concentrarsi sull'operazione imminente, non riuscì a immaginare un suo immediato futuro diverso dal mare, in compagnia di Xenya e del suo secondo navigatore. Fu ancora una volta, e per l'ultima, l'esploratrice a interrompere quell'imbarazzante momento, lanciandogli un sorriso sornione e dicendogli: «Pensaci solamente un po' su, va bene?»

«Sì. Grazie molte per avermelo chiesto» fece Marcus, liberandosi in un sospiro di sollievo. Poté dunque ritornare a concentrarsi sul massacro che da giorni, con gli zii Constant e Pylgrim e con Sir Bastian dall'oriente, si era programmato.

Dai terrazzamenti, gli uomini guidati dal principe cavaliere raggiunsero ogni corridoio segreto, ogni cunicolo e ripostiglio della immensa magione di Castel Granito. Erano circa duecentocinquanta. L'effetto che gli uomini di Barron dovettero vedersi subite, doveva essere come qualcosa di magico, oltre che di terribile. Nemici armati, in un momento di ristoro in cui loro non lo erano, che venivano praticamente fuori dalle pareti per pugnalarli senza pietà. Molti dormivano e chi non dormiva era ubriaco. Fu la carneficina più grande cui Marcus avesse partecipato. Avrebbe provato orrore, se l'atto stesso che stava compiendo non gli richiedesse già tutte le energie e la concentrazione, tanto che semplicemente il Cavaliere della Chimera non ebbe il tempo per fermarsi a contare quante vittime stavano cadendo in quella trappola per volpi.

Certo, qualcuno degli uomini di Lord Gino ebbe anche il tempo di reagire e di assassinare qualcuno dei loro, ma la grande, sterminata, massa cadde quella notte, e un altro risibile numero riuscì a scappare. Marcus in prima persona, seguito da una dozzina di suoi uomini armati, spalancò la camera da letto dove Gino Barron aveva deciso di accogliere la sua puttana da festeggiamento. Gli disse: «Il vostro esercito è stato decimato, Protettore dell'Altopiano. Rivestitevi e ditemi in quale zona del castello tenete prigionieri Sua Maestà e il Leone Nero. Dopodiché, parleremo». Per un attimo, Marcus ebbe come l'impressione che Gino stesse pensando di reagire; di allungarsi e recuperare l'arma più vicina che avesse lasciato accanto al letto. Era giovane e con le spalle larghe: perfino più giovane di lui. Avrebbe potuto venirne fuori un bel duello. E invece non fu così. Il giovane Lord Barron si limitò a rispondergli: «C'è un anziano signore, tra i miei attendenti. È il mio antico precettore, Sir Rollo. Lui... è solo un diplomatico di lunghissima esperienza, se domandate ai vostri consiglieri sicuramente lo conosceranno. È utile ed è un uomo di servizio non d'armi, non val la pena ucciderlo»

«Il luogo esatto di prigionia di Constant e Pyglrim, mylord» si trovò a insistere Marcus «dopo parleremo».

 

 

 

Apparentemente Gino ottenne quello che aveva richiesto: il massimo da uno che si trovava nelle condizioni di un prigioniero, raggirato e sconfitto. I Lannister gli avevano teso una trappola degna delle peggiori cronache di guerra, una cosa inaudita. Nella storia millenaria del Westeros doveva esser sicuramente accaduto qualcosa del genere in qualche momento: ma nulla di cui il Gino, giovane studente della periferica Lungotavolo, fosse in grado di ricordarsi. Un colpo da manuale: non avendo i numeri per sconfiggerlo, i Lannister avevano usato la strategia, e avevano congegnato la trappola perfetta, servendosi di quel dannato castello che avevano, il quale di per se stesso – Gino se ne rese conto purtroppo solo troppo tardi – era un po' come una trappola. Labirintico e avviluppato su se stesso: Altogiardino non era fatto a quel modo. Lì prevalevano la grazia architettonica e l'estetica floreale, anche nella struttura. L'architetto che l'aveva fatto, aveva dovuto pensare al bello, più che all'utile. Per Castel Granito non era stato così, e Constant, Pylgrim, quel Marcus... erano tutti stati abbastanza abili da servirsene alla perfezione.

Ora si apriva tutto un nuovo capitolo della vita del giovane Lord. Gino era un alleato di Gabryaerys: certo. Ma Gabryaerys non era un suo amico, né suo fratello. Non l'aveva nemmeno mai incontrato! Certo, c'era Braff: lui era suo amico, anche se non come una volta. Si sarebbe adoperato per liberarlo? In questa semplice domanda si concentrava tutta la questione della prigionia di Gino. I Lannister avevano già chiarito che, almeno per il momento, non intendevano ucciderlo. Quindi, se Gino tradiva, e poi Braff o Gabryaerys o entrambi con i loro trucchetti fossero stati in grado di liberarlo: lo avrebbero ucciso loro, prima o poi. Comunque se li sarebbe fatti nemici. D'altro canto, se Gino non tradiva poteva probabilmente rimanere un prigioniero mantenuto a pane e acqua per il resto della vita. Pane, acqua e minacce di morte.

Forse tutto questo per il momento era prematuro. A Gino una cosa era importata in realtà fin dal momento del suo arresto per mano di Marcus Lannister, mentre stava festeggiando l'apparente vittoria tra le gambe di una cortigiana dai capelli color carota. Della vita di Rollo. Gino era figlio unico, sua madre non l'aveva mai conosciuta e suo padre era stato ucciso proprio da quel re Constant che adesso lo aveva fregato. Rollo era la cosa più vicina a una famiglia che Gino avesse in quel momento. Ed era solo un vecchio, non un guerriero pericoloso. Gli bastava che lo mandassero a casa. E, a quanto gli dissero, realizzarono quel suo ultimo desiderio in un paio di giorni. Dopodiché, prigioniero in quel castello che per pochi momenti aveva pensato di possedere come Lord, Gino venne lasciato a ribollire nella sua solitudine per un po'. All'inizio contò i tramonti: il primo, il secondo, il terzo, il quarto; ma poi un giorno se ne dimenticò, e perse il conto, anche se ragionandoci un po' sopra non dovevano esser passate più di due settimane. Finalmente venne re Constant a trovarlo in cella.

A prima vista, Gino avrebbe detto che non aveva tanto l'apparenza di un re, quanto più quella di un guerriero. Vero: vestiva di abiti raffinati, ma non sontuosi. E anche il modo di muoversi era come quello di uno che non ci tenesse troppo ad apparire superiore. Quando era piccolo, Gino ricordava che anche su re Lionel, fratello di Constant, e re per tutti gli anni dell'infanzia del giovane Barron a Lungotavolo, si raccontava che non avesse mai smesso con i suoi modi da guerriero. Quel ceppo di Lannister era notoriamente un po' così: nobile di nome, ma di fatto... c'erano molte più famiglie che ci tenevano a sottolinearlo: i Tyrell, per esempio, che Gino ben conosceva.

«Voglio essere molto chiaro» esordì quindi il re che aveva deciso di fargli visita in cella «strategicamente io dovrei ucciderti, mylord. Dubito che la famiglia Tyrell, o il re con cui hai deciso di schierarti, pagherebbero per te un qualche genere di riscatto. E ad ogni modo non vedo che cosa potrebbero offrirmi: di sicuro non mia nipote Hana, che sarebbe la loro unica vera merce di scambio. Denaro? Non mi serve. Quindi: ho semplicemente un ragazzino che per qualche mese ha giocato a fare il Lord. Un gioco decisamente più grande del suo. E quindi, in qualsiasi dei termini che io abbia considerato, direi che non mi servi. E, anzi, economicamente mi costi il vitto e l'alloggio di cui usufruisci. Non avevo neanche alcuna ragione per accontentare la tua unica richiesta, quella di liberare Sir Rollo, che pure conosco e cui mi legano... un paio di ricordi, non spiacevoli. Lui è stato liberato, per meriti in realtà suoi, e non tuoi. Mettiti nei miei panni: lasciarti in vita, non farebbe della mia immagine una figura di re poco risoluto? Troppo misericordioso, anche quando l'occasione non lo richiederebbe? Ragioniamo a parti inverse: se fossi io prigioniero di Gabryaeris o di Lord Braff, cui – mi dicono – ti lega una qualche amicizia... loro mi risparmierebbero? E tu? Lo faresti? Stavi per farlo?»

«Ah, io non l'avrei fatto di certo» rise Gino fra i denti. Lo disse e rise, ma in verità se ne pentì già nel momento in cui lo stava facendo.

«Provi... un qualche sentimento di antipatia particolare nei miei confronti?» azzardò quindi il re, accorgendosi dell'astio del Barron, «Oppure sei semplicemente scorbutico di tuo? Continua pure: agevolerai la mia decisione in merito alla tua sorte»

«Hai già ucciso un Barron. Non sarà strano ucciderne un secondo»

«Io non ho mai ucciso un Barron» dichiarò Constant con una certa convinzione. Che faccia tosta per un re! Mentire così spudoratamente, e senza ormai più alcuna ragione, a un prigioniero dentro ad una angusta cella. A questo punto, più per disperazione che per provocazione, perché veramente non aveva più nulla da dire né da fare, nessuna idea per la testa, Gino si liberò in una risata ancora più grassa. Quel porco spudorato di un bugiardo, che aveva assassinato suo padre perché rifiutatosi di aderire all'alleanza di ferro a suo tempo formata da Constant, i fratelli Tyrell e lo stregone orientale poi diventato re: Gabryaerys Targaryen. All'inizio, era infatti stato pianificato che Shane Tyrell avrebbe dovuto sedersi sul Trono di Spade, secondo i piani dei congiurati. O almeno, questo era quello che Lord Braff aveva un giorno piegato a Gino Barron per filo e per segno... Lord Braff, il suo amico.

Il falso re non poté che giudicare a quel punto troppo ingiuriose per lui quelle risate e quelle insinuazioni: Gino al suo posto avrebbe concluso la stessa cosa. Si rigirò su se stesso quindi e fece per lasciare la sua cella, anche se prima di farlo si concesse un'ulteriore e definitiva minaccia: «La vostra vita è in bilico, Gino Barron: voi non mi servite. E prenderò molto presto una decisione sul cosa fare di voi».

Passò qualche giorno ancora. A Gino giunse la voce, tramite i suoi secondini che forse Constant voleva mandarlo alla Valle del Leone a fargli prestare giuramento come confratello Cavaliere della Chimera. A molti nobili scomodi (per esempio figli cadetti) spettava quella sorte, che onestamente non infastidiva per niente, a questo punto, il giovane Lord senza un occhio: decisamente molto meglio quello rispetto a una corda sopra un patibolo. Quello del secondino – cosa nota a tutti – era notoriamente il mestiere meno silenzioso del mondo: Gino poté ascoltare bellamente i suoi due carcerieri mentre discutevano di tutto quello durante una merenda, a una camera di distanza dalla cella nella quale si trovava lui. E loro davano molto più probabile la Valle, almeno cinque contro uno. Ma la sorte di Gino – la buona sorte tanto per cambiare – stava per riservargli una inaspettata e gradevolissima sorpresa...

Essa arrivò che era notte, tanto che Gino ancora non dormiva proprio profondamente ma si apprestava a farlo, e una delle sue due guardie era andata già a casa, visto che intorno alla mezzanotte sempre una delle due se ne andava presso la famiglia, lasciando la sola altra a fare l'intera notte con lui e quegli altri tre o quattro prigionieri che i Lannister tenevano in quella specie di stalla adibita a prigione.

Nel pieno della notte, una voce femminile destò la sua attenzione. Gino era ancora mezzo addormentato, e la ragazza parlava un po' sottovoce, ragion per cui non capì bene quello che essa disse al suo unico secondino di quella notte. Ma, sebbene soffuso, il tono pareva insistente e parzialmente allarmato. Convinse l'idiota ad allontanarsi. Quindi, e qui strette la fortuna, venne da lui con un mazzo di chiavi: Gino non riusciva a immaginare quando e come l'avesse preso; poteva anche essere una copia, per quanto ne sapeva. Il fatto rimase che la ragazza iniziò a provare le chiavi proprio per aprire la sua cella. Solo osservandola bene, il giovane Lord (o ex Lord?) di Altogiardino si accorse che quella... era Daessenya. La sua Daessenya, l'unica ragazza che aveva mai amato in vita sua. Si erano conosciuti a Cowain e perdutamente innamorati, ma poi lei – cresciuta nella città governata da un'ex puttana (Xalandra) ed amministrata da donne indipendenti – aveva cominciato a sentirsi troppo “stretta” da quel genere di rapporto, e dunque aveva deciso di dirgli addio per sempre e scomparire; lasciò finanche la stessa Cowain per il fine di non farsi più rintracciare da Gino.

Daessenya era diversissima. Sempre bella, se vista con la luce giusta che il chiaroscuro delle lanterne sistemate sul corridoio poteva permettere. Ma i suoi capelli, che una volta erano biondo paglierino, si erano schiariti; e poi, una volta, li teneva a caschetto; adesso erano... un po' superficialmente sistemati in una sorta di lunga treccia leggermente improvvisata. Ma soprattutto... la ragazza era emaciata, pallida, molto più magra di quanto Gino ricordasse. Sembrava debole. E poi... a completare il quadro, Daessenya aveva anche un'improbabile pancione gonfio: l'unica parte florida, di quelle sue quattro ossa minute. Era incinta. E di chi?

«D-Daessenya» balbettò il giovane, guercio, Lord andandole incontro, sfiorandole teneramente una mano tra le sbarre. «Cosa ci fai qui?»

«È una storia troppo lunga, mi spiace. Io ho tempo, ma tu non ne hai molto»

«Stai rischiando...?»

«No, non preoccuparti. So il fatto mio», qui la ragazza trovò la chiave e la girò dentro il lucchetto.

«Lo hai sempre saputo», replicò Gino, sorridendo e cominciando a seguirla. Il suo odore era rimasto lo stesso. Era forse l'unica cosa, insieme ai suoi occhi pieni di vita e d'orgoglio.

«Sto per portarti a una finestra» riprese Daessenya «Guarda giù: puoi buttarti in modo tale da rotolare dolcemente fino alla scogliera, e di lì al mare. Segui la costa verso sinistra, arriverai al porto. È enorme, dubito che qualcuno si accorgerà di te. E la città... lei stessa ha migliaia di abitanti. Potrai disperderti tra le sue strade. Se sarai bravo, riuscirai a fuggire da qui».

Con un piede praticamente già fuori da quella stretta feritoia alla quale era stato condotto, Gino di Lungotavolo replicò con un'altra domanda: «Perché lo stai facendo?»

«Non potevo fare diversamente» gli sorrise lei «sei sempre il padre del bambino che porto in grembo». Concludendo con questo colpo di bombarda quel loro fugacissimo incontro, Daessenya baciò quindi la guancia sinistra del giovane Lord e sostanzialmente lo spintonò giù verso la scogliera, non dando alcun tempo a Gino né di metabolizzare l'informazione, men che meno di elaborare un qualche genere di risposta.

Mentre rotolava giù per quel pendio che – in tutta onestà – guardandolo dalla finestra, e sentite le parole incoraggianti di Daessenya, gli era sembrato ben meno lungo e ben meno ripido, Gino dunque pensò al fatto che stava per diventare padre. E che Daessenya, avendolo tagliato sotto ogni aspetto dalla sua vita, probabilmente avrebbe cercato di tenergli quel futuro bambino distante. Solo che la cosa, così riflettendoci solo superficialmente, lo faceva sentire molto male. Il bambino era anche suo: lei non poteva prendersi ciò che almeno per metà gli apparteneva! Ma non avrebbe mai litigato con lei: l'amava troppo. Solo che stava sbagliando. Avrebbero potuto essere felici insieme, Gino avrebbe potuto rinunciare a tutto per lei. Per loro. E invece lei, ancora una volta, lo respingeva. Sotto sotto, perché anche lei lo amava troppo e voleva per lui che diventasse il grande Lord che per tutta una fase della sua vita Gino era stato costretto ad essere. Ma adesso, a Castel Granito, molto era rapidamente cambiato: quasi tutto. E la vita che Daessenya portava in grembo era un altro ulteriore fattore che scompaginava tutto l'immenso e caotico quadro dell'esistenza del giovane Barron. Oh, sì: lui avrebbe solcato la costa e raggiunto quel dannato porto, certo. Sarebbe emerso dall'acqua, facendo finta di niente, per poi perdersi nel mezzo dei passanti o di chi, in quella tarda ora, avrebbe potuto trovarsi nei pressi del molo sul mare. Dopodiché però non sarebbe uscito dalla città. Si sarebbe camuffato in qualche modo. E, indipendentemente da ciò che avrebbe rischiato, e da ciò che la stessa Daessenya avrebbe rischiato, sarebbe tornato al castello. Avrebbe parlato con lei, le avrebbe mostrato le sue ragioni e l'avrebbe convinta: oh, sì. Questa volta sì: sarebbe stato così insistente che alla fine, e per la prima volta con Daessenya, l'avrebbe spuntata lui! Insieme avrebbero per sempre lasciato quel luogo e... sarebbero andati da qualche parte, insieme. Vivendo forse un po' alla giornata all'inizio, ma sempre insieme. E quando lei avrebbe dato alla luce il loro piccolino, lui sarebbe stato lì accanto a lei a tenerle la mano, e baciarla. E baciarli tutti e due. Le cose sarebbero solo potute migliorare. Per sempre, insieme.

   
 
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