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Autore: Kimando714    21/04/2021    0 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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Come vi avevamo anticipato, mercoledì scorso è stata pubblicata una nuova one shot: The night we met.
Per chiunque stia leggendo Walk of Life, troverete una certa coppia di personaggi a voi conosciuti, dato che si tratta di un racconto What If.
Approfittiamo di questo spazio anche per dirvi che abbiamo aggiornato il nostro profilo, aggiungendo diversi link ai nostri profili e sistemando l’elenco delle storie pubblicate. E potreste trovare anche un indizio non da poco sul sequel di Walk of Life, a cui ormai manca davvero poco, visto che per Youth siamo agli ultimi capitoli.
E ora vi lasciamo al nuovo aggiornamento :)




CAPITOLO 72 - IF TODAY WAS YOUR LAST DAY



 
 
Caterina si  stava spostando nello spazio dell’aula senza una meta sicura e precisa, osservando i banchi uniti in un angolo e ricolmi delle cibarie più varie; il chiacchiericcio dei suoi compagni di classe in certi momenti riusciva a superare perfino il volume della musica accesa pochi minuti prima.
Si guardò intorno, come a voler imprimere sulle proprie retine ogni singolo particolare di quel giorno, come se a distanza di settimane, mesi o anni, potesse tornare a ripescare tra i ricordi quei momenti precisi, ripercorrendo con gli occhi della memoria ogni dettaglio più piccolo.
Incrociò per alcuni secondi le figure di due suoi compagni, intenti a discutere animatamente di qualcosa, e scoppiare a ridere un attimo dopo; le bastò spostare lo sguardo di poco, per individuare Giulia, accanto a Valerio.
Per un attimo tornò con la mente al primo giorno di scuola di quell’anno, e ricordò il viso tirato di Giulia: in quel momento stava sorridendo, ma Caterina riusciva a cogliere una sottile vena di malinconia negli occhi chiari dell’amica e nei tratti un po’ forzatamente rilassati del viso. La comprendeva fin troppo bene nello smarrimento in cui dovevano trovarsi un po’ tutti, in misura diversa, in quella giornata.
Era del tutto strano, del tutto incomprensibile: non sembrava davvero che fossero passati cinque anni, con quelle persone e in quella scuola. Non le sembrava di aver vissuto tutto quel tempo, e non le sembrava possibile che di lì a poco avrebbero lasciato tutti il Virgilio, stavolta non solo per tre mesi estivi – ma per sempre.
Caterina si girò nuovamente verso le finestre, notando il sole alto in cielo e la bella giornata dall’aria estiva che li aspettava fuori dalla scuola.
Cominciava a capire davvero cosa avessero provato Nicola, Filippo e Pietro l’anno prima: se da una parte si sentiva quasi sollevata al pensiero di aver chiuso con il liceo, dall’altra le sembrava totalmente doloroso. Un dolore che avrebbe potuto quasi percepire fisicamente, tanto lo sentiva intenso.
Stava lasciando troppe cose, e quella consapevolezza non stava facendo altro che renderle l’addio più difficile.
Aveva cercato di godersi quegli ultimi giorni appieno, senza pensare troppo al dopo: erano state parole di Alessio, quelle, un consiglio spassionato da chi quell’addio l’aveva già vissuto.
 
My best friend gave me the best advice
He said each day's a gift and not a given right
 
Caterina si lasciò sfuggire un sorriso leggero, appena accennato: le era parso strano, il giorno precedente, pensare che quello sarebbe stato l’ultimo viaggio tra i sedili della Galliera. Le sembrava impossibile doversi lasciare alle spalle tutte le vicende vissute lì, ancora vivide nella sua memoria e nelle sensazioni che le davano appena le riportava alla mente.
Era stata una giornata di metà novembre, una giornata come un’altra, quella in cui aveva scambiato le prime parole con Alessio. Caterina se lo ricordava bene quel momento: le si era presentato così, senza una ragione precisa, senza alcun motivo esplicito. Non era stata la prima volta in cui l’aveva notato, quello no, ma era stata la prima volta in cui qualcosa era cambiato. Era stato il perfetto diversivo per distrarla da Nicola, ed era diventato piuttosto velocemente l’amico che l’aveva sostenuta e che lei stessa aveva sostenuto innumerevoli volte.
Non sapeva come sarebbe potuta andare se non avesse frequentato assiduamente quella corriera; non sapeva davvero se avrebbe conosciuto Alessio in un qualche altro modo, e se sarebbe stato lo stesso.
Alla fine, frequentare il Virgilio era servito anche a quello.
 


Le faceva strano aver cambiato corriera così di colpo, senza aver programmato nulla. Sulla Galliera non c’era mai salita prima, nemmeno per sbaglio, né al ritorno né tanto meno al viaggio della mattina.
Era successo tutto in una tarda mattinata di inizio ottobre, quando ancora non era troppo freddo per stare all’aperto e il sole faceva capolino tra le poche nuvole in cielo, e quando dall’inizio della scuola – del suo primo anno di liceo- non era passato nemmeno un mese.
Quando quel giorno era uscita un’ora prima da scuola, con Giulia e Valerio – le due persone con cui aveva legato di più in classe al momento-, aveva calcolato male i tempi: avevano deciso di fermarsi nella piazza di Piano Veneto, prima di incamminarsi verso la stazione per prendere la corriera, finendo per arrivare in ritardo. Alcune navette erano già arrivate da scuola, e la Mantova era drammaticamente piena di gente, seduti sui sedili e già in piedi lungo il corridoio.
Non le era rimasta qualche altra scelta, se non aspettare la Galliera: mancava ancora all’appello, e sperava vivamente che non tardasse molto oltre. Non aveva la minima idea di chi salisse su quella corriera, visto che la gran parte degli studenti che prendevano quella linea non abitavano a Torre San Donato. Chiunque frequentasse quella corriera, comunque, non poteva essere peggio di certa gente che prendeva la Mantova: al mondo bastava un solo Pietro Cadorna, e a Caterina la sua presenza sulla sua stessa corriera non era mai stata troppo gradita.
Era mentre aspettava con una vaga agitazione in corpo che la Galliera aveva svoltato l’angolo della stazione, e un minuto dopo stava già parcheggiando pochi metri più indietro da dove si trovava lei.
Per un attimo le si strinse il cuore: vide in pochi secondi vari ragazzi che si erano spostati come lei verso la corriera, per salirci. Se possibile ce n’erano anche di più di quanti ce ne fossero già sulla Mantova.
Caterina si avvicinò alla porta posteriore, sperando di non rimanere fuori dalla corriera. C’era diversa gente dietro di lei che spingeva avanti, e per poco non si vide cadere. Lanciò un’occhiata di fianco a sé: notò un ragazzo biondo, probabilmente di qualche anno più di lei, con la stessa aria indispettita. Sembrava essere di pessimo umore, le guance arrossate in un modo che rendeva più visibili le poche lentiggini del viso.
Caterina fu costretta a rigirarsi in avanti per l’ennesima spinta dalle retrovie, rischiando ancora una volta di inciampare.
-Volete piantarla di spingere? C’è posto per tutti qui sopra! Se avete fretta, andatevene a piedi, fareste prima!- il biondo accanto a lei si era finalmente girato indietro, sbottando scocciato come non mai. Per quanto avesse usato un tono odioso, sembrò sortire qualche effetto: la tensione sembrò allentarsi quasi istantaneamente.
Caterina tirò un sospiro di sollievo, giusto l’attimo prima che il biondo accanto a lei le si rivolgesse, cambiando totalmente tono e atteggiamento:
-È tutto a posto?-.
Caterina si voltò verso di lui titubante, annuendo piano: si sentiva leggermente in imbarazzo e in soggezione, davanti ad un ragazzo più grande che non conosceva affatto. La gentilezza con cui aveva parlato, tutto il contrario delle parole esclamate con asprezza poco prima, l’aveva comunque rassicurata almeno un po’.
-Odio quando la gente si comporta così- borbottò di nuovo il biondo, scuotendo appena il capo, e lanciando un’occhiata alla fila davanti a sé, che confluiva pian piano verso l’interno della corriera – Vai pure tu prima di me, per me non fa differenza-.
Caterina mormorò un “Grazie” ancor più imbarazzato davanti a quel gesto di disponibilità di un completo sconosciuto. Salì i gradini della corriera, guardandosi intorno: era così piena e affollata che le sembrava impossibile riuscire a trovare ancora un posto libero.
Rassegnatasi a rimanere in piedi per tutto il viaggio, non si era più voltata verso il ragazzo biondo di prima, anche lui in piedi poco più avanti di lei.
Solo quando fu vicina alla sua fermata, poco prima di scendere, si girò per pochi secondi verso di lui. Non ne conosceva neppure il nome, eppure, pur potendosi sbagliare completamente, le sembrava un tipo a posto. Scese dalla Galliera non ripensando troppo a lui, ma con la consapevolezza implicita che, quasi senza una ragione precisa, avrebbe preso quella corriera ancora altre volte nel futuro.


 
-A giudicare dalla tua faccia sognante stai pensando a qualcosa di veramente felice-.
Caterina si voltò di scatto, impreparata nel ritrovarsi faccia a faccia con una Giulia che la stava guardando piuttosto divertita.
-Di certo non stai pensando agli esami, questo è sicuro- disse ancora, affiancandosi a lei.
-Sei perspicace- annuì Caterina, con aria grave. La osservò per un attimo: era piuttosto evidente che stesse cercando di mascherare sotto l’ironia una certa preoccupazione. Non che per lei fosse diverso: cominciava ad essere quasi impossibile allontanare il pensiero della maturità, tantomeno quando si trovavano al loro ultimo giorno di scuola di tutta la loro vita. Mancava davvero troppo poco tempo, troppo poco tempo per doversi lasciare tutto alle spalle e guardare avanti verso qualche altro traguardo da raggiungere partendo di nuovo da zero.
Non doveva assolutamente permettere che l’ansia le rovinasse anche quel giorno.
-Ti va se camminiamo un po’?- Caterina lo chiese quasi esitante, ma Giulia annuì subito dopo. Avrebbe fatto bene ad entrambe allontanarsi per un po’ dalla loro classe.
 
Leave no stone unturned, leave your fears behind
And try to take the path less traveled by
That first step you take is the longest stride
 
Anche se non era tempo di intervallo, i corridoi erano abbastanza affollati. Nessuno all’ultimo giorno di scuola prestava troppa attenzione alla suddivisione delle ore di lezione, motivo per cui lei e Giulia poterono uscire indisturbate. 
Camminare lungo quei corridoi, fece tornare in mente a Caterina la prima volta che li aveva percorsi: erano passati quasi cinque anni interi dal suo primo giorno al Virgilio, ma riusciva a ricordare perfettamente quella giornata. Che fosse passato tutto quel tempo, con tutto ciò che questo significava di conseguenza, la faceva sentire strana.
Ripensò al primo giorno che aveva passato lì, alla prima volta che aveva percorso quei corridoi allora sconosciuti. Il disorientamento che aveva provato allora – una Caterina quattordicenne che metteva per la prima volta piede nella sua nuova scuola, nell’allora 1°A- era così simile a quello che sentiva ora, misto alla malinconia della consapevolezza che avrebbe dovuto lasciare andare tutto quanto in poco tempo.
“Sono davvero già passati cinque anni?”.
 
If today was your last day
And tomorrow was too late
Could you say goodbye to yesterday?
 
-Te lo ricordi il nostro primo giorno qui?-.
Caterina aveva parlato quasi esitante, girando l’angolo del corridoio, e rallentando appena il passo.
-Direi proprio di sì- annuì Giulia, sorridente – È stato un inizio quasi assurdo-.
 


L’aria che si respirava nella classe era tesa e agitata. Intorno a lei solo ragazzini sconosciuti, a cui ancora non riusciva ad associare ai loro visi un nome per ognuno. Si sentiva completamente sperduta, vulnerabile come non mai.
Solo il ragazzo con cui condivideva il banco accanto alla finestra in quel momento – Valerio, l’unico di cui conosceva il nome in quella classe, visto che le si era presentato poco prima- le ispirava un po’ di fiducia, sebbene fosse la prima volta che lo vedeva e non lo conoscesse affatto.
Tutto in quella scuola sembrava nuovo agli occhi di Caterina, e non avere riferimenti certi la stava mettendo in difficoltà. In quel momento il pensiero andò ai suoi vecchi compagni di classe delle medie, domandandosi se anche loro, nelle loro nuove scuole, si sentissero allo stesso modo. E chissà se provavano quella sensazione anche i suoi nuovi compagni di liceo, seduti nei banchi che riempivano il resto dell’aula.
Si guardò ancora una volta intorno: in quella classe ci sarebbe stato chi sarebbe diventato suo amico, e chi invece avrebbe ignorato, se non odiato ed evitato completamente. D’altro canto, il liceo doveva essere così: non era la scuola media, non erano i suoi vecchi amici, ed in quel momento erano ancora dei completi sconosciuti con cui avrebbe dovuto passare i futuri cinque anni della sua vita.
“Cinque lunghi anni”.
Quando era suonata la campanella dell’intervallo se ne era uscita fuori, seguita da Valerio. Avevano provato ad aggirarsi per la scuola, sperando poi di ricordare la strada per la loro classe; era stata pura sfortuna quando Caterina aveva perso di vista Valerio, tra la folla accalcata davanti alle macchinette, ai piedi della rampa di scale.
Si era guardata intorno varie volte, cercando di individuare l’altro, senza alcun risultato. E poi, mentre si voltava nuovamente indietro, in un ultimo tentativo, aveva colpito con il braccio una ragazza di fianco a lei. Una ragazza dall’aria vagamente famigliare, ma a cui non riusciva ad associare alcun nome.
-Scusami!- Caterina balbettò in imbarazzo, osservando l’altra, mentre questa si massaggiava la spalla colpita. Il viso nascosto dietro gli occhiali dalla montatura nera che portava, le lenti spesse a incorniciarle gli occhi verdi, ricordava davvero qualcuno a Caterina, che però non riusciva davvero a capire chi.
-Tranquilla, è tutto a posto- rispose questa. Aveva alzato lo sguardo, guardando Caterina assottigliando gli occhi per infiniti secondi. E poi, infine, aveva parlato, lasciando Caterina spiazzata:
-Non sei nella mia classe? Prima linguistico?-.
Caterina rimase alcuni secondi ammutolita: ora capiva la ragione per cui le sembrava di ricordare il viso dell’altra. Doveva averla vista giusto poco prima in aula, senza però riconoscerla in territorio sconosciuto.
-A quanto pare- Caterina annuì, di colpo un po’ rincuorata – Ma non credo di ricordare perfettamente la strada per tornarci-. Si sentiva totalmente stupida, e sperava solo di non fare la stessa impressione anche all’altra.
-Non è un problema- il sorriso che comparve sul viso della ragazza sembrò rassicurare Caterina, per la prima volta in quella giornata – Andiamo insieme, no? Io sono Giulia -.
Anche sul volto di Caterina comparve un timido sorriso, mentre si presentava a sua volta. Forse, per una volta, la fortuna le era venuta incontro.
E forse, nonostante quella fosse solo una sua sensazione, in quella giornata, non tutto era stato così negativo.


 
-Riuscivamo perfino a perderci in questa scuola, all’epoca- Caterina rise appena, scuotendo il capo divertita – Ora potremmo percorrere questi corridoi ad occhi chiusi-.
Giulia e Valerio non erano, ovviamente, gli unici che aveva conosciuto in quei primi giorni di scuola. Ci aveva messo un po’ ad abituarsi a quella nuova routine, a quell’ambiente che ora sembrava così tanto famigliare.
Dopo i primi mesi passati al Virgilio, era riuscita a trovare i propri riferimenti e i punti fermi su cui appoggiare la propria quotidianità.
Era successo così anche con Nicola.
 
Would you live each moment like your last?
Leave old pictures in the past
Donate every dime you have
If today was your last day
 
Stava cominciando ad abituarsi lentamente a quella nuova vita, a quel nuovo ritmo che il liceo le imponeva già da quei primi mesi. Cominciava persino ad abituarsi agli scomodi viaggi mattutini in corriera, al problema di trovare sempre un posto libero; alla fine non era così male come aveva creduto nei primi giorni.
Ormai conosceva di vista tutti gli studenti del Virgilio che si trovavano alla sua fermata, e quelli che prendevano comunque la sua stessa corriera. Non conosceva i loro nomi, solo i loro visi, ma a Caterina andava bene così. Le andava bene per tutti gli altri, tranne che per uno.
Si era ritrovata a pensarlo in una una mattina invernale qualsiasi, una di quelle mattine di cui non ricordi nulla se non la loro monotonia: la stessa corriera, lo stesso cielo scuro mattutino di Dicembre, lo stesso percorso. La corriera che ripartiva dalla sua fermata, e che si fermava a quella subito dopo, per far salire un’unica persona.
O, per meglio dire, un unico ragazzo.
Caterina non ci aveva fatto caso subito: le prime volte non si era nemmeno girata verso il corridoio, rimanendosene girata verso l’esterno del finestrino, unica fonte di distrazione di quei viaggi di venti minuti. Non ricordava la ragione per cui quella mattina, invece, si era girata, ritrovandosi a seguire i passi lungo il corridoio di un ragazzo che doveva essere poco più alto di lei. Non doveva avere nemmeno tanti anni di più – probabilmente uno, forse due.
Sembrava essere uno dei tanti che salivano su quella corriera ogni giorno, ma dopo quella mattina si era resa sempre più conto che aveva cominciato a non ignorare più ogni volta che la corriera si fermava per farlo salire. In un qualche modo lui era meno invisibile degli altri che affollavano quella corriera.
Le capitava di incrociarlo a scuola, lungo i corridoi, e poi sulla Galliera, nel viaggio di ritorno verso Torre San Donato. Sempre con gli stessi capelli biondi a ricadergli sulla fronte, e il solito sguardo lontano, dalle iridi di un azzurro piuttosto intenso.
Era continuata così per mesi, e Caterina, tra la routine scolastica delle giornate che passavano, aveva cominciato a pensarlo anche quando non lo incrociava nei soliti posti. E per quanto si sforzasse di evitare quei pensieri, cercando di convincersi che fosse un ragazzino uguale a tutti gli altri intorno a lei, non poteva fare a meno di pensare che avrebbe voluto saperne di più su di lui. Quei fili dorati e quello sguardo all’apparenza freddo l’avevano catturata più di quanto non avesse mai creduto.
Caterina si era abituata lentamente a quella nuova vita, a quel nuovo ritmo che il liceo le imponeva già da quei primi mesi, e all’infatuazione per quel solitario ragazzino biondo di cui non sapeva nemmeno il nome.
Non ancora.
 


Caterina sbuffò nel ricordare quel periodo: era così giovane, e anche in parte piuttosto ingenua … E anche così affascinata, affascinata da Nicola e da tutto ciò che lui poteva rappresentare. Era stato il primo ragazzo ad aver notato al Virgilio, il primo che aveva davvero catturato la sua curiosità e il suo interesse – e anche a farla soffrire immensamente.
Non ricordava esattamente come aveva scoperto il suo nome. Ricordava solo che c’era riuscita, e che era arrivata al suo numero di telefono, e che avevano cominciato a scriversi, anche se non era durata per troppo tempo – almeno fino a quando non era stato Nicola stesso, nel novembre 2010, a riavvicinarsi a lei.
“La storia continua a ripetersi”.
L’unico lato positivo era pensare che ora come ora, le cose tra loro avevano raggiunto un equilibrio tale da poter dire che stavano andando bene. Molto di più di quanto si sarebbe immaginata dopo tutto quel che era successo.
-Andiamo per di qua- Giulia la distrasse, strattonandola appena verso le scalinate che stavano quasi oltrepassando. Salirono i gradini fino ad arrivare al punto dove le due rampe parallele si incrociavano, e da dove si potevano vedere i distributori automatici collocati in basso, di fronte a dove si trovavano in quel momento.
-Qua è dove ci siamo finiti addosso io e Filippo- mormorò Giulia a mezza voce, e per un attimo Caterina credette che avrebbe quasi potuto vederle gli occhi farsi lucidi – Ci sono ricordi legati ad ogni angolo di questa scuola-.
 
Against the grain should be a way of life
What’s worth the prize is always worth the fight
Every second counts ‘cause there’s no second try
So live like you’ll never live it twice
Don’t take the free ride in your own life
 
Era vero, si ritrovò a pensare Caterina. Ed era altrettanto vero quello che Giulia aveva detto di quel punto dove le scale si intersecavano tra loro: ricordava, ora con una punta di divertimento che all’epoca di certo era mancata, il disastro che aveva provocato la totale mancanza d’attenzione di Filippo nello scendere quelle scale. Mancava d’attenzione che aveva avuto non poche conseguenze.
-Sì, quel giorno se lo ricorda bene anche la tua felpa che è finita con una macchia di caffè così- Caterina rise appena, ma si rilassò quando si accorse che anche Giulia stava ridendo.
-L’unica macchia di caffè che si è rivelata utile- disse, scuotendo appena il capo – Ne è valsa la pena. Adesso non avrei Filippo, se non fosse successo-.
Caterina annuì. In fondo erano le coincidenze che a volte muovevano i fili delle vite.
 


“Adesso non avrei Filippo, se non fosse successo”.
Ripensò a quelle parole che aveva pronunciato poco prima, mentre lei e Caterina continuavano a camminare per i corridoi del Virgilio, stavolta al piano di sopra, per qualche ragione a loro oscura decisamente più tranquillo e silenzioso rispetto al pianterreno.
Ripensò a quel giorno di diversi anni prima, a quanto la casualità avesse giocato in loro favore – suo e di Filippo, ma poi anche nei confronti di Caterina e Nicola.
Forse il caso aveva mosso gli eventi già tempo prima. Forse addirittura dalla prima volta che Caterina le aveva parlato di Nicola, proprio in quei corridoi della scuola.
Giulia sospirò profondamente: non avrebbe mai trovato risposte a quei suoi quesiti. Non che importasse più di tanto, non quando i ricordi e ciò che aveva le bastavano ampiamente.


 
La prima volta che Giulia era stata consapevole di aver puntato lo sguardo su Filippo Barbieri era stata una giornata totalmente comune alle altre. Era il primo sabato di scuola, l’ultimo giorno di quella prima settimana di seconda liceo; lei e Caterina se ne stavano aggirando per i corridoi della scuola, senza una reale meta, con il solo obiettivo di non rimanersene chiuse in classe per i pochi minuti della ricreazione. Era diventata un po’ una loro tradizione, quel loro girovagare ad ogni intervallo possibile.
Avevano appena girato l’angolo, arrivate di fronte all’atrio, costeggiando le scalinate ed arrivando infine al piccolo spazio dove vi erano i distributori automatici. C’era confusione: Giulia aveva perso di vista Caterina per alcuni attimi, divise da un gruppetto di ragazzini scalmanati che si erano messi a correre lungo il corridoio.
Aveva cercato di individuare l’altra in mezzo alla gente, senza quasi accorgersi – almeno non subito-, di essere finita a fianco di Filippo, in fila probabilmente per un caffè. Si era ritrovata ad alzare gli occhi per caso, ma trasalì quando si ritrovò ad incrociare un paio d’iridi nocciola per pochi secondi. Era stata una frazione di secondo, eppure a Giulia era parso un tempo molto più lungo, quasi i secondi si fossero dilatati.
Non era la prima volta che lo vedeva: la prima era stato tempo prima, in un giorno d’estate, quando però ancora non sapeva neanche chi fosse lui.
Non ricordava molti particolari di quella giornata di un mese prima, se non che Caterina aveva sbuffato sonoramente quando si era accorta dell’arrivo in piscina di Filippo e degli altri tre ragazzi che l’accompagnavano. Anche sforzandosi, Giulia non sarebbe mai riuscita a ricordare il volto degli altri, ma ricordava Filippo, il suono del suo nome e l’aria spensierata che sembrava caratterizzarlo sempre. Aveva notato quella sfumatura nocciola degli occhi, quei capelli corti e ricci, e quel viso spesso sorridente. Quando Caterina l’aveva nominato la prima volta, sempre quel pomeriggio d’agosto, Giulia aveva trovato che il nome Filippo calzasse a pennello per quella figura mite e semplice, per quegli occhi buoni e disponibili. Quegli occhi sembravano attrarla immancabilmente, sebbene appartenessero ad un completo sconosciuto.
Non sapeva com’era davvero Filippo – ne conosceva a malapena il nome-, né probabilmente l’avrebbe saputo mai. Sapeva però che nonostante il tempo passato l’aveva riconosciuto nell’immediato, nella confusione che accompagnava quella stessa consapevolezza.
Scosse il capo, chiedendosi cosa diavolo le stesse passando per la testa; si voltò di nuovo alla ricerca di Caterina, lasciando dietro di sé gli occhi color nocciola di Filippo Barbieri.


 
-Credo che alla fine questi siano stati cinque anni positivi- Giulia spezzò il silenzio che si era formato, lo sguardo però lontano – Anche se abbiamo avuto tutti i nostri alti e bassi, non credo sarebbe stata la stessa cosa anche altrove-.
-Ovvio che no- replicò Caterina, posizionandosi di fronte a lei sorridente – Altrove sarebbero stati cinque anni piuttosto noiosi-.
Giulia rise piano, annuendo; era ovvio che non potevano sapere come sarebbe stato se non si fossero mai incontrate, se avessero deciso di frequentare scuole diverse – se una qualsiasi delle persone che avevano conosciuto lì avesse percorso strade differenti.
Ma andava bene così, anche continuando a pensare che quella era stata l’alternativa migliore tra le tante. Il Virgilio era anche tutto quello, tutto quello che avevano vissuto e quello che erano diventate.
 
If today was your last day
And tomorrow was too late
Could you say goodbye to yesterday?
 
 
*
 
If today was your last day
Would you make your mark

By mending a broken heart?
 
 “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”.
Giulia ricordava come fosse ieri il momento in cui aveva pensato quelle parole il primo giorno di scuola della quinta. Di certo erano mesi che si preparava psicologicamente a quel momento, all’entrata definitiva a quell’Inferno, ma non pensava sarebbe successo in una apparentemente tranquilla giornata soleggiata, perfetta per una scampagnata al mare, come quella del 18 giugno.
Nella sua mente, nove mesi prima, aveva associato quella data ad un qualche paesaggio tetro, con il cielo plumbeo e coperto di nuvole cariche di pioggia. Invece, con suo sommo disappunto, si ritrovava a fissare i raggi mattutini del sole già alto in cielo, azzurro e limpido come non lo vedeva da tempo.
Se prima aveva sempre odiato il caldo – non sopportandolo minimamente, soprattutto nei momenti in cui si sentiva quasi svenire per la pressione troppo bassa-, in quel preciso istante, appena fuori dall’entrata del Virgilio, lo aborriva con tutta se stessa.
Non mancava molto al momento di entrare dentro la scuola per iniziare la prima prova d’italiano. Giulia si sentiva già soffocare, per il caldo e l’agitazione. Accanto a lei Caterina, invece, sembrava quasi tranquilla, anche se quella era solo l’apparenza esterna; di fronte a sé, invece, Valerio teneva in mano i fogli con gli ultimi schemi che gli rimanevano da ripassare dalla notte appena trascorsa.
Fu questione di pochi attimi, prima che Valerio cominciasse a muovere forsennatamente i fogli, l’aria disperata e senza alcuna speranza:
-Gesù, gesù, gesù! Ma perché dobbiamo fare questa roba? Gesù!-.
-Se continui così potresti anche entrare in un coro gospel- replicò Caterina, picchiettando nervosamente il piede a terra.
-Cerchiamo di mantenere la calma. Se iniziamo già così, non oso immaginare tra poco- aggiunse Giulia, pur senza convinzione alcuna nelle sue stesse parole. In realtà anche lei si sentiva ad un passo dal tracollo psicologico.
-Mantenere la calma?- domandò Valerio, un sopracciglio alzato con aria scettica - … Immagina, puoi-.
Giulia scosse la testa, rassegnata.
Ed era solo l’inizio.
 


La situazione che si prospettava davanti agli occhi di Giulia era quanto di peggio avesse mai vissuto: sul banco al quale si trovava appoggiata se ne stava in bella vista il foglio con le tracce per il tema d‘italiano – le tracce più orrende e ardue che avesse mai letto in vita sua-, e il foglio della brutta copia scritto per metà, e scarabocchiato per tre quarti.
Lanciò un’occhiata all’altro lato del corridoio, a circa poco meno di due metri da lei: Caterina, allineata sulla sua stessa fila, intenta a scrivere copiosamente, e Valerio, al banco davanti al suo, che sembrava perso in chissà quali pensieri.
In quel corridoio angusto Giulia si sentiva soffocare: dentro alla scuola c’era davvero un caldo asfissiante, che non aiutava per niente nella concentrazione. Avvertì di nuovo la testa girarle, come era già capitato nelle ore passate.
“Ti prego, non fare strani scherzi” pensò implorante, rivolta al suo stesso corpo, “Non ora”.
Si fermò un attimo, posando la penna sulla superficie ludica del banco, e passandosi le mani sul viso sudato: ancora un giramento di testa, e la vista che le si era annebbiata per ben più di un fugace secondo.
Che sarebbe successo se fosse svenuta lì? Forse si sarebbe ripresa dopo poco e avrebbe continuato  a fare il suo esame. O, nei peggiori dei casi, avrebbero chiamato l’ambulanza e lei sarebbe stata portata in ospedale, e addio prima prova. No, quell’ultima ipotesi non doveva assolutamente tramutarsi in realtà.
Eppure la testa continuava a girarle, e i contorni degli oggetti sul suo banco cominciavano a farsi meno nitidi, sfocati nonostante la vicinanza, con il caldo che non la lasciava respirare.
“Non ora, ti prego, non ora…”.
Giulia non poté fare altro che constatare che, invece, il suo stesso corpo stava facendo di testa sua.
Mentre la vista le si oscurava, riuscì a sentire qualcuno accanto a lei che la chiamava – forse Caterina, o forse qualcun altro-, sempre più distante e meno udibile.
Davanti a Giulia, solo il nero.
 
You know it’s never too late
To shoot for the stars
Regardless of who you are
 
*
 
So do whatever it takes
‘Cause you can’t rewind
A moment in this life
 
-È stato fantastico! Un colpo di genio!-.
La voce di Valerio non era così vivace da parecchi giorni a quella parte, ma causò comunque a Giulia una smorfia stizzita che non passò inosservata.
-Peccato che il mio svenimento non fosse finto- ribatté lei, nonostante la risata di Caterina di fronte ai soliti battibecchi tra lei e Valerio.
-Non importa, il bene comune viene prima di quello individuale- Valerio continuò con il suo entusiasmo, ignorando completamente l’espressione contrariata di Giulia.
Il giorno prima non aveva potuto niente contro la perdita dei sensi: fortunatamente era stata questione di pochissimi minuti, ma gran parte dei professori della commissione aveva optato per farla riposare – sotto sorveglianza- per un po’, fino a quando non si era sentita pronta per riprendere l’esame.
Quel poco tempo in mezzo a tutto quel trambusto che il suo svenimento aveva causato, era bastato per creare un clima di confusione generale. Con i prof distratti a pensare a come risolvere la sua situazione, era stato il momento perfetto per il conseguente scambio di informazioni e suggerimenti sulle tracce dei temi tra gli studenti della 5°A, passando praticamente inosservati.
L’unica speranza di Giulia per quel giorno, quando ci sarebbe stata la seconda prova, era di non ripetere la stessa scena. Per il momento si sentiva meglio: il pomeriggio precedente era andata a farsi vedere da un medico, e poi in farmacia aveva fatto scorta ingente di magnesio e vitamine. Il fatto poi che quella mattina non ci fosse lo stesso caldo del giorno precedente la rassicurava ancora di più: il cielo non era ancora troppo nuvoloso per far presagire un temporale, ma non lasciava pensare nemmeno ad un’altra giornata umida e afosa come la precedente.
Poteva andare tutto bene.
 


Finì di scrivere il riassunto di spagnolo con una certa punta di soddisfazione. Fino a quel momento non c’erano stati intoppi: stava svolgendo la sua seconda prova tranquillamente, concentrata su quel che doveva scrivere, e cercando di farlo al meglio.
C’era molto più silenzio rispetto al giorno precedente, e le prime ore erano volate letteralmente. Era ormai la fine della quarta ora, il momento ideale per prendersi qualche minuto di pausa per fare il punto della situazione: aveva quasi finito, le mancava solo la composizione finale, e le rimanevano comunque due ore per poterla scrivere e poi copiare in bella tutto ciò che aveva buttato giù fino a quel momento. Ce la poteva fare, decisamente.
In mezzo a tutto quel silenzio, interrotto solamente dal rumore ruvido delle penne sui fogli di carta, però, sembrava esserci qualcosa di strano, qualcosa di stonato in sottofondo. Un ticchettio piuttosto forte, regolare, che sembrava provenire dall’esterno. Esattamente come se stesse …
Giulia si alzò di qualche centimetro dalla sedia, allungandosi verso la porta aperta della classe su sui dava quel tratto di corridoio: al di là della porta, e al di là delle finestre, un tremendo acquazzone si stava abbattendo sulla scuola e su tutto ciò che vi stava intorno. Le venne un groppo alla gola pensando alla sua idea brillante, avuta quella mattina, di andare in bicicletta fino alla fermata della corriera.
-Che hai?- Caterina lo mormorò a bassissima voce, praticamente inudibile.
Si era voltata verso di lei, con aria curiosa e preoccupata allo stesso tempo; doveva essersi allarmata per l’espressione disperata e fissa verso le finestre di Giulia, incapace di staccare lo sguardo da quello sfacelo.
Non ricevendo alcuna risposta, anche Caterina diresse lo sguardo nella stessa direzione di Giulia, e nel momento stesso in cui si accorse lei stessa del temporale, non poté impedire alla penna di caderle di mano:
-Ho lasciato i finestrini dell’auto aperti!-.
Giulia, rimessasi a suo posto a malincuore, si ripromise di non pensare che sarebbe potuto andare tutto bene anche il giorno della terza prova.
Forse così la sfortuna ci avrebbe visto meno bene.
 
Let nothin’ stand in your way
‘Cause the hands of time
Are never on your side [1]
 
*
 
Mancavano sempre meno giorni alla terza prova, quello era l’unico dato di fatto. Un dato di fatto che la stava spingendo a desiderare enormemente di sotterrarsi sotto i libri di inglese e tedesco e la marea di cose che ancora doveva ripassare.
Era decisamente indietro, rifletté Caterina. Cercò di ignorare il fatto che doveva anche rifinire e studiare pure la tesina: doveva già fare i conti con le maledettissime quattro materie della terza prova – come se fossero poche-, senza dover aggiungere anche il carico degli orali.
Nei giorni passati aveva cercato di ripassare alla bell’e meglio filosofia, inglese e tedesco, ma nell’aprire il quaderno di matematica si era sentita letteralmente morire. Funzioni, simboli, enunciati di cui capiva poco o niente. Aveva provato a sfogliare quel quaderno, cercando di concentrarsi e sforzandosi di ripetere alcune formule, o cercando di svolgere qualche esercizio – cose che non avevano cambiato la sua situazione piuttosto precaria nel ripasso della materia. 
Erano stati tutti motivi sufficientemente convincenti per spingerla a chiamare in aiuto Nicola, che proprio in quel momento di distrazione aveva smesso di seguire nelle sue lunghe spiegazioni. Era stata una fortuna che le sue lezioni a Venezia fossero ormai finite, e che fosse riuscito a ritagliarsi quelle poche ore di sabato pomeriggio per uno stacco dallo studio disperato da sessione estiva per venire a darle ripetizioni.
Ora che si trovavano seduti al tavolo del salotto di casa sua, nell’afoso pomeriggio di metà giugno, davanti a calcoli e grafici matematici, Caterina – per la prima volta in vita sua- non poté fare a meno di trovare la matematica quasi piacevole, ma sempre altrettanto incomprensibile.
-Da questo grafico dovresti essere in grado di trovare come minimo il dominio della funzione, gli asintoti, e i limiti. È facile- stava dicendo Nicola, quando si decise a tornare a dargli attenzione senza pensare a tutto ciò che ancora le rimaneva da studiare. 
Era almeno mezz’ora che stavano parlando di funzioni e grafici, e per quanto Caterina si trovasse in difficoltà con gli esercizi che l’altro le sottoponeva, non poteva fare a meno di divertirsi nell’osservare Nicola in quella versione troppo giovane di professore; continuava a picchiettare la penna che aveva in mano sul foglio, indicando le linee del grafico che Caterina faticava ancora a capire.
-Sei davvero sicuro che io possa capire tutte queste cose da un solo disegno?- ribatté lei con una punta di sarcasmo, interrompendolo – Non sono un’indovina-.
Caterina scoppiò a ridere nel notare l’espressione disperata di Nicola:
-Sì, sono sicuro. E sono anche sicuro che sia una fortuna che siate anche così indietro con il programma di quinta superiore, perché altrimenti la terza prova sarebbe per un quarto un fallimento puro-.
-Tu sei un genio che ha frequentato il liceo scientifico, abbi pietà per i comuni mortali come me- rise nuovamente lei, costringendolo a scuotere rassegnato il capo:
-Sei almeno preparata bene nelle altre materie?-.
Caterina si morse il labbro inferiore, trattenendo a stento un’altra risata: le faceva strano vedere Nicola così preoccupato per lei, premuroso nel volerla aiutare il più possibile. Non lo vedeva così da tempo, da così tanto che non ricordava nemmeno quale fosse stata l’ultima volta che avevano passato un pomeriggio insieme stando così bene – nonostante i dannati grafici delle funzioni.
-Devo ancora finire di ripassare, ma direi comunque abbastanza- rispose lei, sotto lo sguardo attento dell’altro – Di certo sono già molto più preparata in partenza che in matematica. Son due settimane intere  che non faccio altro che studiare. Non ho praticamente avuto tempo per fare altro-.
Nicola annuì piano. Sembrò soppesare quelle parole, rabbuiato in viso e chiuso in pensieri che Caterina non riusciva a decifrare, ma fu questione di pochi attimi prima che le rivolgesse un sorriso:
-Fortuna che siamo tornati a parlarci, giusto in tempo per poterti dare ripetizioni di matematica ed evitarti una probabile debacle-.
Caterina fece finta di guardarlo offesa:
-Tutta questa spiritosaggine da dove l’hai tirata fuori, che ancora non l’ho capito?-.
Nicola rise, anche se le parve fosse una risata vagamente forzata. Si ritrovò a sospirare, gli occhi abbassati sugli schemi e i grafici matematici che Nicola aveva provato a spiegarle fino a quel momento.
-Comunque sì, fortunatamente siamo tornati a parlarci-.
Percepì lo sguardo di Nicola su di sé, pur rimanendo in silenzio. Lo sentì sospirare di nuovo a fondo, e se lo immaginò mentre si mordicchiava le labbra indeciso, chiedendosi se parlare o meno. Era sicura che se lo stesse domandando, anche se non aveva idea di cosa stesse cercando di trattenere.
-Ci hai mai pensato a come sarebbe andata se non avessimo provato a sistemare le cose?-.
“Quindi sta pensando a questo”, si ritrovò a ponderare Caterina, “Sta pensando a noi due”.
Rimase in silenzio per i primi secondi, e a nulla valsero i suoi sforzi per sembrare non troppo sorpresa: non si era aspettata che Nicola potesse ritirare fuori l’argomento proprio quel giorno, così apparentemente all’improvviso, stupita forse perché negli ultimi due mesi non era mai successo.
-No, non ci ho mai pensato- ammise a mezza voce, dopo secondi in cui si era soffermata a riflettere – Forse perché non ho più motivo di pensarci. Le cose stanno andando bene, ed è ok così-.
Si voltò verso Nicola, giusto in tempo per vederlo annuire.
-Posso farti una domanda?- le chiese subito dopo. Stavolta fu il turno di Caterina di muovere il capo in assenso.
-Ti sei mai chiesta se le cose tra noi ora funzionano perché siamo solo amici, e se magari tornerebbero a non funzionare altrettanto bene se … - si interruppe per qualche secondo, lo sguardo abbassato – Se ci riprovassimo? A stare insieme, intendo-.
Stavolta fu il turno di Caterina di spostare gli occhi lontani da quelli di Nicola: si sentì vulnerabile, in quel momento, sotto osservazione, impreparata a quella domanda che le era appena stata rivolta.
-A volte me lo domando. Il fatto è che … - si bloccò anche lei, la gola improvvisamente secca – Siamo stati bene in questi mesi, nonostante tutto. E non sai quanto questo mi faccia piacere-.
Nicola continuava a guardarla con sguardo confuso, come se si aspettasse da un momento all’altro qualcosa di negativo. Caterina si morse il labbro inferiore, indecisa su come proseguire: non aveva previsto di dover lanciarsi in una conversazione così complicata in un momento simile. Forse non aveva preventivato di doverne parlare mai, anche se da quel lato poteva aver peccato di ingenuità.
Sospirò piano, passandosi una mano sul viso, la matematica ormai dimenticata del tutto.
-Però credo che tornare insieme adesso sarebbe un errore-.
Il silenzio era calato irrimediabilmente, e Caterina ebbe timore che, se avesse alzato lo sguardo su Nicola, lo avrebbe trovato a guardarla con delusione.
-Un errore?- ripeté lui, con la stessa voce esitante di prima. 
Alzare lo sguardo verso il viso dell’altro procurò a Caterina una fitta: era sicura che Nicola stesse cercando di non lasciare troppo a vedere le sue vere emozioni, cercando di mantenere un tono di voce tutto sommato neutrale, ma non poteva controllare anche il suo sguardo. Era evidente che le due cose stessero cozzando, e che le sue speranze non stavano trovando il riscontro che probabilmente si era aspettato. 
 
Just have a little patience
I’m still hurting from a love I lost
I’m feeling your frustration
Any minute all the pain will stop [2]
 
Nicola ancora rimaneva in silenzio, in attesa di una risposta che Caterina tardava a dargli. Si sentì un po’ come il sabato di marzo in cui si erano rivisti dopo mesi, quando non aveva idea di cosa ne sarebbe uscito dalla loro conversazione o come avrebbe fatto meglio a comportarsi. Esisteva però un’unica via, che aveva imparato a seguire dopo tutto quello che era successo – con Nicola e anche con Giovanni-: quella della sincerità.
-Siamo cambiati- iniziò Caterina, a mezza voce ma con determinazione – Magari non sono passati così tanti mesi da quando abbiamo smesso di parlarci a quando siamo tornati a farlo, ma siamo cambiati entrambi. Tornare insieme non sarebbe comunque più la stessa cosa di prima, o almeno credo-.
Caterina trasse un altro respiro per calmare i battiti del cuore prima di pensare a come continuare.
“Mi serve tempo”.
A volte, in quei due mesi in cui pian piano lei e Nicola avevano ripreso i contatti – parlandosi quando si incontravano a Torre San Donato quando lui era di passaggio nei weekend, o quando si scambiavano messaggi tra una lezione e l’altra, o ancora quando uscivano in compagnia dei loro amici- si era soffermata a volte a pensare alla possibilità di tornare con lui. Non poteva negare a se stessa quel che provava – ancora-, né che una parte di lei cominciava a sperarci, ma non riusciva nemmeno a ritenersi sicura di volerlo fare il prima possibile.
Era quello che doveva cercare di comunicargli, in un modo o nell’altro, senza nascondergli più niente.
-Però cambiare non vuol dire funzionare- riprese, alzando lo sguardo su di lui – E se dovessimo mai riprovarci, dobbiamo farlo dopo aver capito se ne vale la pena. E per questo serve tempo-
Nicola sembrava interdetto, tutt’altro che deciso sul da farsi: aveva socchiuso in paio di volte le labbra, come per voler dire qualcosa, per poi rimanere in silenzio di fronte allo sguardo perso di Caterina.
-Quindi un po’ ci pensi alla possibilità di tornare insieme, prima o poi?- le chiese infine, cercando di non apparire troppo esitante.
 
Just hold, me close, inside your arms tonight
Don’t be too hard on my emotions
‘Cause I need time
My heart is numb, has no feeling
So while I’m still healing
Just try and have a little patience
 
-A volte sì- ammise Caterina – Ma tornerò con te se e quando sentirò che sarà l’unica cosa giusta da fare-.
Osservò Nicola annuire. Era difficile dire cosa potesse star pensando – se quelle sue parole gli lasciavano uno spiraglio sufficientemente grande per avere speranza, o se si sentisse ugualmente deluso. Avrebbe quasi voluto abbracciarlo, forse per farlo sentire meno sbagliato e sentirsi meno in colpa nei suoi confronti; si trattenne a stento, incapace di lasciarsi andare ad un gesto così spontaneo in quella situazione così fragile. Passarono diversi attimi prima che Nicola parlasse:
-Le cose sono già cambiate diverse volte, magari cambieranno ancora-.
“Già, le cose cambiano in continuazione” si ritrovò a pensare Caterina, “E anche le persone”.
In quel lasso di tempo che le parve infinito, Caterina non poté fare a meno di chiedersi se dopo quella giornata sarebbe cambiato di nuovo tutto tra loro. Volle credere che Nicola l’avesse capita, e che avrebbe di nuovo rispettato il suo pensiero così come aveva fatto in quegli ultimi due mesi in cui entrambi si erano messi alla prova. Sperava di vedere Nicola accettare quelli che erano i suoi sentimenti attuali, riuscire a fargli capire fino in fondo il suo punto di vista, e non ripetere gli stessi errori che avevano commesso sei mesi prima.
-Però serve tempo per capirlo, e avere pazienza e non accelerare le cose- disse ancora.
Non riusciva a pensare di aver sbagliato nell’aver pronunciato quelle parole: dopo mesi dal loro secondo inizio le si era presentata l’occasione per mantenere fede alla sincerità reciproca che si erano ripromessi per i momenti futuri, e non aveva nascosto nulla di ciò che realmente pensava. Per quanto le fosse risultato difficile, e per quanto ancora le sembrasse arduo risollevare la situazione, nel tornare indietro Caterina non avrebbe voluto dire null’altro di diverso.
 
I’ll try to be strong
Believe me, I’m trying to move on
It’s complicated but understand me
 
Quando Nicola tornò a guardarla, si sentì sollevata: era evidentemente teso, ma dava anche l’impressione di non voler andare contro le sue affermazioni.
-Sì, credo che sia giusto così-.
Le sorrise timidamente, forse per rincuorarla maggiormente:
-In fondo, piuttosto che perderti del tutto, preferirò sempre averti anche solo come amica-.
Caterina prese un respiro profondo, consapevole che per quanto Nicola avesse accettato a tutti gli effetti ciò che gli aveva appena detto, non era riuscito del tutto a nascondere il velo di tristezza che gli rendeva gli occhi meno luminosi.
-Non è detto che le cose rimarranno sempre così, come ora- la voce inizialmente insicura le si fece molto più convinta – Però non forziamo gli eventi, ok? Voglio avere del tempo per me, per capire fino a che punto mi voglio spingere, e poi cercare di fare la cosa migliore per entrambi-.
Aveva cercato di trattenersi, ma alla fine non aveva potuto fare a meno di lasciare una carezza sulla spalla di Nicola. Fu un contatto fugace, delicato, ma che le era servito per fargli capire che era seria su ciò che stava dicendo.
Nicola aveva seguito con lo sguardo il movimento fluido della mano, annuendo piano:
-Va bene- rispose, prima di lasciarsi andare di nuovo ad un sorriso timido – Pazienza sarà la parola chiave-.
Sarebbe stato disposto ad aspettarla sul serio, senza sapere se davvero avrebbero potuto ricostruire qualcosa insieme? Caterina non aveva alcuna certezza, ma qualcosa le diceva di sì.
-Esatto- stavolta anche lei gli sorrise di rimando, in modo spontaneo – Però sono fiduciosa. Per la prima volta dall’inizio di quest’anno lo sono, e sono felice di esserlo davvero. A volte il tempo può essere sul serio chiarificatore-.
Si sentiva davvero felice, per la prima volta in più di sei mesi, di come le cose stavano andando, felice per la possibilità di riparare ad errori che, nel ripensare al passato, avrebbe volentieri evitato in partenza.
Avvicinò una mano a quella che Nicola teneva appoggiata sulla superficie del tavolo; la avvicinò tanto da rischiare di sfiorarla, ma mantenne uno spazio minimo sufficiente per impedirne il contatto e percepirne comunque il calore.
Non lo stava guardando in viso, ma fu sicura che anche sul volto di Nicola il sorriso inizialmente appena accennato si fosse fatto ora più visibile e luminoso.
 
‘Cause the scars run so deep
It’s been hard but I have to believe
‘Cause I need time
My heart is numb, has no feeling
So while I’m still healing
Just try and have a little patience
 
*
 
Era l’ultima. Era davvero l’ultima prova.
O almeno, l’ultima prima dell’orale, ma sempre meglio di nulla.
Quella mattina, il lunedì della settimana dopo, Giulia non aveva sprecato nemmeno tempo a sperare in un qualcosa di positivo durante quella giornata. Voleva solo entrare in quella maledetta scuola, e occupare le seguenti tre ore a portarsi sempre più vicina alla fine di quell’esame.
Era con quell’obiettivo ben fissato in testa che in quel momento, seduta al solito banco – lo stesso che aveva usato per le precedenti due prove-, stava scrivendo forsennatamente, dedicandosi a finire le tre domande di tedesco. Fino a quel momento non c’erano stati particolari problemi: si era già occupata di inglese e filosofia, domande particolari ma non troppo ostiche, e quando avrebbe finito anche con tedesco sarebbe rimasta solo matematica.
Fu qualche minuto dopo, quando effettivamente arrivò al foglio di esercizi, che si rese conto che il grado di facilità delle prime tre materie veniva compensato dall’astrusità dei quesiti di matematica. Sospirò profondamente, stanca e irritata: non le importava più di nulla. Voleva solo finire tutto, uscirsene da lì, e pensare all’ultima fatica dell’orale, e poi finalmente al resto dell’estate che l’aspettava, prima dell’inizio dei corsi dell’università a Venezia.
Iniziò a leggere il primo esercizio, pensando già a come potersi muovere per risolverlo al meglio, quando una risata non troppo sommessa spezzò l’atmosfera concentrata che si respirava in quel momento.
Giulia alzò il capo di scatto, la fronte aggrottata e un sopracciglio alzato per la curiosità; le bastò poco, comunque, per individuare la fonte delle risate, ormai incontrollate.
Valerio, rosso in viso come non mai, sembrava stesse quasi per soffocare a forza di ridere: non sembrava affatto sul punto di smettere, ma anzi, continuava sempre più forte, tanto da richiamare l’attenzione del resto della classe e dei professori seduti alla cattedra.
-Ma che ha?- Giulia si rivolse ad una frastornata Caterina, seduta come sempre ad un banco dall’altro lato del corridoio, e che sembrava saperne ancora meno di quanto non potesse saperne lei. Si limitò ad alzare le spalle con fare incerto
-Non ci capisco più niente!- Valerio cercò di pronunciare quelle uniche parole distinguibili tra le risate, scuotendo la testa con fare rassegnato – Oggi è una giornata così elettrizzante-.
Seguì qualche secondo di silenzio, Giulia ancora sbigottita e non del tutto certa di quel che Valerio voleva dire.
-Nel senso che cercherei volentieri la prima presa della corrente dove infilare le dita- finì Valerio, con un ultimo accesso di risate isteriche.
L’occhiata che Giulia e Caterina si scambiarono non ebbe bisogno di altre parole. Gli esami avevano dato alla testa a chiunque.
 
*
 
Gli esami erano stati estenuanti, a tratti davvero complicati; Caterina era piuttosto sicura che si fossero appena concluse due tra le settimane più ardue della sua vita al Virgilio.
Quando quella mattina era uscita dall’aula, subito dopo l’esame orale, aveva tratto un respiro profondo, il primo ad essere davvero di sollievo dopo giorni pieni d’ansia. Mancavano solo tre giorni alla fine di giugno, e finalmente poteva dire che la sua estate stava per iniziare proprio in quel momento: niente più esami da sostenere, niente più pagine da ripassare, niente più notti insonni a causa dei mille pensieri. Voleva soltanto godersi quella settimana prima dell’uscita dei fatidici voti finali.
Caterina chiuse per un attimo gli occhi stanchi, godendosi quell’attimo di puro relax: non sapeva da quanto tempo si trovasse stesa sul suo letto, le cuffiette nelle orecchie e il lettore mp3 acceso in riproduzione casuale. Sapeva soltanto che, in quel frangente, poteva benissimo pensare di essere in paradiso. Per il momento avrebbe rimandato il pensiero del voto, dell’università, della ricerca di un appartamento a Venezia, di tutto il resto: ci sarebbe stato tempo dopo, tra qualche settimana, quando finalmente si sarebbe ripresa dalla fatica che la maturità aveva richiesto.
Solo l’illuminarsi del display del suo cellulare, accanto a lei, la distrasse quando finalmente riaprì gli occhi; lo afferrò per scoprire che Nicola le aveva appena mandato un messaggio. Le chiedeva solo come era andata quella mattina, e Caterina si ritrovò comunque a sorridere tra sé e sé nel leggere le parole che le aveva scritto in quel breve messaggio.
Era passata quasi una settimana dal loro ultimo incontro, le cose tornate alla normalità che esisteva da due mesi ormai – portando avanti quell’amicizia che nessuno di loro stava forzando a diventare per forza qualcos’altro. Era una cosa del tutto nuova, per lei, essere una sorta di amica per Nicola, ma più semplice di quel che si era aspettata.
“Ma forse le cose cambieranno”.
Ripensò ancora una volta al sabato precedente, a quel che si erano detti, e si sentì ancor più sicura della decisione che aveva preso per entrambi.
Non aveva intenzione di correre, di illuderlo e poi rinunciare a tutto: voleva solamente vivere ogni momento come veniva, rinascere dopo mesi di tormento, e ritrovare la fiducia in sé stessa e verso Nicola che le serviva per ricominciare sul serio. Non sapeva davvero come sarebbe andata, ma non aveva fretta: ogni cosa sarebbe venuta naturalmente, senza forzare la mano.
In quel momento, per lei e Nicola, la pazienza di saper aspettare il momento più propizio – il momento in cui il passato sarebbe stato davvero alle spalle di entrambi- sembrava essere l’arma migliore.
Continuò a sorridere, mentre si metteva seduta sul letto, pensando al messaggio da scrivere in risposta a Nicola.
 

“Quando ho piantato il mio dolore nel campo della pazienza, mi ha dato il frutto della felicità” - Kahlil Gibran
 
*
 
If today was your last day
And tomorrow was too late
Could you say goodbye to yesterday?
Would you live each moment like your last?
Leave old pictures in the past
Donate every dime you have?

Would you call old friends you never see?
Reminisce of memories
Would you forgive your enemies?
 
L’aria della mattina del 2 Luglio sembrava frizzante e leggera, una brezza tenue che muoveva le fronde degli alberi lungo la strada verso il Virgilio. Quando Giulia scese dall’auto di Filippo, nel parcheggio della scuola, si guardò intorno, sperando di scorgere l’auto di Caterina. Dovette chiudere ed aprire gli occhi diverse volte per accorgersi che, anziché l’auto dell’amica, avrebbe dovuto cercare l’auto di qualcun altro: in piedi di fianco ad una macchina dal colore scuro se ne stavano Pietro e Caterina, probabilmente loro stessi appena arrivati lì. La sorpresa di vedere quei due insieme non diminuì nemmeno quando Giulia li raggiunse in fretta, seguita da Filippo.
-Che diavolo ci fai qui con … - Giulia iniziò a parlare, la fronte corrugata in confusione, ma Pietro la interruppe quasi nell’immediato, rivolgendosi però a Filippo:
-Oh, ma chi si rivede!- disse, il solito tono canzonatorio e il ghigno stampato in volto, che causarono uno sguardo torvo da parte di Filippo e Caterina – Pippo, non pensavo avresti avuto così tanta nostalgia di me dopo appena quindici minuti che non ci vedevamo-.
Giulia sbuffò sonoramente, incredula del fatto che lei e Caterina avrebbero scoperto del loro voto finale in compagnia di Filippo e Pietro.
Era già passata una settimana dagli orali, che avevano sancito la fine degli esami di maturità. Non erano andati brillantemente per nessuno, ma erano comunque sopravvissuti tutti – probabilmente nessuno era riuscito a farsi bocciare. Se si sforzava, anche in quel momento Giulia poteva ricordare bene il senso di serenità e libertà che aveva provato non appena aveva varcato la soglia dell’aula dove si erano svolti gli orali, per uscire e respirare finalmente senza sentirsi schiacciata dall’ansia. La maturità, in quel momento, era sembrata già un ricordo lontano, qualcosa appartenente al passato e che non faceva più paura.
Si era sentita pronta a respirare di nuovo con calma, a godersi l’aria estiva, e pensare alla libertà appena ottenuta. Ed ora era di nuovo lì, al Virgilio, per scoprire finalmente quale sarebbe stato il punteggio finale.
-Ora capisco dove stavi andando, quando poco prima di partire ti ho visto andartene con l’auto da casa tua- rispose pacatamente Filippo, rispondendo a Pietro.
-E chiederò di nuovo- intervenne di nuovo Giulia, sperando che nessuno la interrompesse di nuovo – Come mai ci sei tu qui con lei?-.
-Si è solo offerto di darmi un passaggio, per non farmi rimanere a piedi. Alessio dovrebbe tornare da Venezia tra qualche giorno, e Nicola è sobbarcato di studio per il prossimo esame, e non mi sembrava il caso di distrarlo ancora- spiegò tranquillamente Caterina, sorridendo appena prima di indicare Pietro – E comunque non gliel’ho chiesto io, me l’ha proposto lui-.
-Perché, checché se ne dica di me, sono un gentiluomo- rispose Pietro, con finta superbia, tanto da causare una risata in Giulia.
-Come no- borbottò Filippo. Prima che Pietro potesse protestare, Giulia parlò di nuovo:
-Direi che forse faremmo meglio ad andare dentro-.
-Concordo- mormorò Pietro, con fare fintamente irritato – Meglio finire qui questo siparietto. Andiamo a vedere quanto siete state secchione in questo detestabile liceo-.
La distanza tra il punto in cui si trovavano nel parcheggio e l’entrata della scuola non era mai sembrata così enorme a Giulia come in quel momento, e immaginò che dovesse essere lo stesso per Caterina. Stavano camminando più in fretta rispetto agli altri due, come se stessero esaurendo il tempo a disposizione.
I quadri degli esiti finali dell’esame dovevano essere stati appena affissi: non c’erano molte altre persone oltre a loro nell’atrio, e ciò facilitava loro il compito di individuare quelli della loro classe.
-Non è che dareste voi per primi un’occhiata?- tentò Giulia, appena varcata la soglia della scuola, e fermatasi a guardare Filippo e Pietro con sguardo supplichevole – Credo d’essere un po’ in ansia-.
-Ansia da prestazione?- il ghigno malizioso di Pietro si procurò un’occhiataccia da parte di Giulia – Pardon, intendevo ansia da prestazione da esame-.
Con aria spavalda e con totale disinvoltura, Pietro si girò, sotto lo sguardo incredulo degli altri tre, avvicinandosi ai quadri affissi alla parete di fronte a loro. Non ci dovette mettere molto a individuare quelli della 5°A, perché si bloccò quasi subito di fronte a un tabellone in particolare. Quando si voltò di nuovo verso gli amici, Giulia si sentì ad un passo dal secondo svenimento.
-Siete delle secchione, sul serio- più che allegro, Pietro sembrava quasi indignato – Non quanto Tessera o Alessio, s’intende, ma … -.
Non fece in tempo a finire la frase che Giulia e Caterina lo superarono, incollandosi davanti al cartellone.
Un ottantacinque per Giulia e un ottantatré per Caterina.
Ottantacinque e ottantatré.
Sembrava che i loro sforzi fossero finalmente serviti a qualcosa.
-Complimenti ad entrambe- stavolta era stato Filippo ad avvicinarsi a loro, un sorriso luminoso stampato in viso – Siete state brave, ragazze. Meglio di me e il qui presente Pietro di sicuro-.
L’unica risposta che ebbe da entrambe fu una risata, insieme isterica e sollevata, immagine di tutta la tensione accumulata nelle settimane precedenti.
Quelle cifre erano il segno evidente che tutto fosse finito, stavolta per davvero. Si erano chieste entrambe molte volte cosa avessero provato Nicola, Filippo e Pietro l’anno precedente, durante quel periodo: ora lo riuscivano a capire e a provarlo loro stesse.
Giulia si guardò intorno, a tratti spaesata. Il tempo al Virgilio sembrava essere un capitolo definitivamente chiuso, pronto ad essere sostituito con un altro nuovo, pronto per essere vissuto, anche se quello sarebbe stato un ultimo giorno che avrebbe ricordato ancora per un po’.
 
Would you find that one you're dreamin' of?
Swear up and down to God above
That you finally fall in love

If today was your last day





 
[1] Nickelback - "If today was your last day"
[2] Take That - "Patience"
Il copyright delle canzoni appartengono esclusivamente alle rispettive band e autori.
NOTE DELLE AUTRICI

If today was your last day... at school!Ebbene sì, non dovete preoccuparvi troppo. Il titolo si riferisce solamente a questo giorno particolare per Giulia e Caterina: l'ultimo giorno di scuola.Questo presuppone, come avete potuto notare, che ci sia stato un salto temporale tra Don't go away, ambientato a inizio aprile, e questo capitolo, ambientanto invece tra l'inizio di giugno e, nell'ultima particina, l'inizio di luglio. 
Nel corso degli anni, come avete potuto leggere, giorno dopo giorno le cose sono cambiate: a
bbiamo scoperto come, attraverso i flashback, sia Giulia che Caterina sono entrate in contatto la prima volta con i loro amati (e come avrete notato, nessuna delle due pensa a Pietro, poverino💔). L'ultimo giorno di scuola però non è l'ultima occasione per tornare nel liceo, perchè ovviamente non vanno dimenticati gli esami... Ebbene sì. I nostri "eroi" sono riusciti ad affrontare, nonostante un ottimismo pressoché assente (un po' come quello di Max Verstappen quando ci sono gp in Italia), le prime due prove scritte, ma non tutti ne sono usciti illesi... Vero Giulia? 🤕(e sì, nell'anno domini 2014 l'esame di Stato per il liceo linguistico era strutturato in ben tre prove scritte più l'orale, per immensa gioia del maturandi). E tra una inevitabile conversazione tra Caterina e Nicola, in cui hanno parlato di un loro possibile ritorno come coppia (ma Caterina ha messo bene in chiaro le cose: se mai succederà, non sarà una cosa che accadrà a breve. Insomma, resterà tutto da vedere ... Secondo voi come finiranno le cose tra loro?), le nostre eroine (ma anche Vale, eh!) sono ufficialmente diplomate! Con la fine del percorso liceale si concludono anche i capitoli ambientati proprio al Virgilio, il luogo dove tutto è iniziato... Ma non preoccupatevi: sono ancora molte le avventure che necessitano di essere raccontate.Come avete potuto intuire da alcuni indizi lasciati qua e là in questo capitolo, il futuro di Giulia e Caterina si incrocerà di nuovo con quello dei nostri "maschietti" in quel di Venezia. Siete pronti per altre scenette comiche tra Giulia e Pietro? E loro stessi saranno pronti? Chi lo sa!
Tornate mercoledì 5 maggio per il primo appuntamento in una (quasi) nuova location. 

Kiara & Greyjoy


PS. Seppur con estremo anticipo, ci teniamo ad augurare un grande in bocca al lupo ai maturandi di quest'anno!

 

 

 

 

 
 
   
 
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