Serie TV > Star Trek
Ricorda la storia  |       
Autore: Parmandil    22/04/2021    1 recensioni
Dopo tre anni di sanguinosa guerra civile, l’Unione Galattica si appresta a soffocare gli ultimi focolai di ribellione. Mentre i Voth colonizzano la Terra, una progressiva sterilità condanna gli esuli Umani all’estinzione. La Presidente Rangda si accinge a trasferire la capitale sul suo mondo d’origine, mentre prosegue l’indottrinamento di massa per cancellare ogni memoria del passato.
Messi di fronte all’annientamento, i ribelli della Keter giocano l’ultima carta. Andranno ad Andromeda, dove ancora vivono i Proto-Umanoidi, per implorarli di fare da arbitri della contesa. A loro si unisce la banda dello Spettro, la cui sorte è però segnata da un nemico implacabile e forse dal tradimento. Nel frattempo una forza inarrestabile avanza verso l’Unione, diramando un famigerato messaggio: «La resistenza è inutile».
È l’ultima battaglia per la salvezza della Terra. Molti la abbandoneranno, giudicandola persa; altri lotteranno fino all’ultimo per difenderla. E quando Rangda lancerà il suo ordine finale per estirpare l’Umanità, inizierà la corsa contro il tempo. Amico contro amico, fratello contro sorella, ciascuno compirà il suo destino. Al termine della Guerra Civile, la Galassia è cambiata per sempre. E anche per noi è tempo di dire addio agli eroi della Keter.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Borg, Klingoniani, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Star Trek Keter Vol. X:

Lotta per la Terra

 

QUESTI SONO TEMPI BUI,

LA PRIMA GUERRA CIVILE

DELLA STORIA FEDERALE.

INVECE DI ESPLORARE NUOVI MONDI,

LA KETER DEVE RICONQUISTARE

QUELLI CADUTI SOTTO LA DITTATURA

DELL’UNIONE GALATTICA.

CHIUNQUE LE SBARRI LA STRADA,

ANCHE IN BUONAFEDE,

NE CONOSCERÁ L’IRA.

 

 

-Prologo:

65,95 milioni di anni fa

Luogo: Terra (Sol III)

 

   Dopo oltre 160 milioni di anni d’incontrastato dominio, l’era dei dinosauri si avviava alla fine. Tutto era cominciato con la caduta del meteorite in quello che, molto tempo dopo, sarebbe stato chiamato Golfo del Messico. L’asteroide in ferro e iridio, del diametro di 10 km, era precipitato alla velocità di 30 km al secondo, rilasciando un’energia di un miliardo di megatoni. L’onda termica del primo impatto aveva incenerito le foreste e ucciso gli animali in un raggio di migliaia di km. Il terremoto aveva fatto più volte il giro del mondo, mentre l’onda d’urto marina aveva generato uno tsunami che in meno di un’ora aveva varcato il nascente oceano Atlantico, abbattendosi sulle coste africane ed europee. Ma questo era solo l’inizio; il peggio doveva ancora venire.
   Mentre l’oceano ribollente si richiudeva sul cratere appena formato, le foreste ardevano e l’onda anomala devastava le coste, si era verificato un altro fenomeno, ben più insidioso. Le ceneri e le polveri rilasciate dall’impatto si erano sollevate fino alla stratosfera. Qui i venti d’alta quota le avevano diffuse, finché tutto il pianeta ne era stato avvolto. Con quella cappa nera a bloccare la luce solare, la Terra era sprofondata nella notte perpetua. Le temperature erano crollate in tutto il globo e le piante, private della fotosintesi, erano avvizzite. Così gli animali erbivori avevano iniziato a morire; e con la loro scomparsa si appressava la fine anche dei carnivori. Ora i branchi di dinosauri vagavano nell’oscurità, alla vana ricerca di un pascolo. Per i grandi rettili era difficile trovare abbastanza cibo da sostentarsi. Andava meglio a quelli più piccoli come le lucertole, i serpenti, i coccodrilli e le tartarughe. E meglio ancora per i mammiferi e gli uccelli, che si erano evoluti dai rettili milioni di anni prima, rimanendo però confinati in piccole nicchie ecologiche.
   In una pianura innevata dell’America Settentrionale, un branco di Hadrosauri arrancava nella neve alta. I grandi animali erano sferzati dal vento gelido, che trascinava con sé il nevischio. Ogni tanto ficcavano il muso nella neve, cercando qualche pianticella al di sotto, ma ottenevano ben poco. Quando trovavano degli alberi, i sauri si alzavano sulle zampe posteriori e allungavano i colli più che potevano, per brucarne le foglie; ma la maggior parte dei rami era già spoglia. Allora non restava che riprendere la marcia. Qua e là giacevano le carcasse di altre povere bestie, morte di stenti. Alcuni piccoli mammiferi, simili a topi, vi zampettavano attorno, riempiendosi le pance. Al passaggio della mandria correvano a nascondersi negli anfratti del terreno, squittendo spaventati, ma non appena i dinosauri erano passati oltre si avventuravano di nuovo all’aperto.
   Come per tutti i dinosauri, anche per gli Hadrosauri stava per giungere la fine. Rispetto a poche settimane prima, il branco era falcidiato. I primi a morire erano stati i cuccioli, oltre agli esemplari anziani o malati, ma ormai anche gli adulti erano allo stremo. Erano così smagriti che le loro costole spiccavano sugli ampi fianchi. I loro richiami, simili a barriti prolungati, si affievolivano e si perdevano nella tormenta.
   D’un tratto la capobranco alzò il muso ed emise un richiamo di pericolo. La mandria si arrestò, disponendosi in formazione difensiva a cerchio. Sebbene il cielo fosse oscurato, così che tutto era in penombra, i sauri avvertivano l’odore del pericolo. Ben presto udirono un suono di passi ovattati dalla neve, accompagnati da un ringhio sommesso. Infine intravidero la sagoma in avvicinamento. Era un tirannosauro, una delle più perfette macchine per uccidere mai affinate dall’evoluzione; e puntava contro di loro. A dispetto della sua mole, corse con grande rapidità contro il branco. Gli Hadrosauri emisero tutti assieme un verso di sfida, così forte da sovrastare il vento; ma non bastò a spaventare il predatore affamato, che anzi accelerò la corsa nell’ultimo tratto. Le sue fauci formidabili si spalancarono, pronte a colpire. I denti lunghi e affilati come pugnali stavano per piantarsi nella gola della matriarca, quando l’intero branco svanì in un lampo bianco.
   Il tirannosauro lanciato alla carica continuò a correre per parecchi metri, prima di accorgersi che le sue prede erano svanite. Allora ruggì e si guardò attorno, cercando di ritrovarle, ma vide solo la pianura innevata, punteggiata di alberi secchi. Nemmeno il fine olfatto gli fu d’aiuto, perché non c’erano tracce da seguire; la mandria si era semplicemente dissolta. Era un problema che oltrepassava l’intelligenza del predatore, il quale si rassegnò a riprendere la sua marcia solitaria, nella speranza di trovare qualche altra preda, o magari una carcassa. Di quei tempi ce n’erano parecchie in giro; ma col procedere dell’estinzione sarebbero divenute sempre meno, finché anche per lui sarebbe scoccata l’ultima ora. Nel frattempo i piccoli mammiferi restavano acquattati nelle loro tane; la pelliccia li proteggeva dal freddo e le femmine allattavano i propri cuccioli, garantendone la sopravvivenza.
 
   Centinaia di chilometri sopra la cappa di polveri, l’astronave giaceva in orbita stazionaria, scintillando argentea alla luce solare. Era un vascello a forma di disco e per ironia della sorte aveva lo stesso diametro dell’asteroide responsabile di quel cataclisma. Al centro del disco vi era una grande cupola, entro la quale era stato ricreato l’habitat degli Hadrosauri, com’era prima della catastrofe. Le piante già vi crescevano, illuminate da potenti lampade, e quando le bestie vi furono teletrasportate presero subito a mangiarle avidamente. Era la prima scorpacciata che facevano da settimane. La scomparsa del tirannosauro e l’improvvisa trasformazione del paesaggio non sembravano averli scossi; del resto non erano abbastanza intelligenti da porsi domande. Il branco si aprì a ventaglio per meglio brucare, sotto lo sguardo vigile dei custodi del parco.
   Costoro erano umanoidi nelle linee generali e indossavano uniformi bianche o argentee. Avevano il cranio glabro, sormontato da un lieve affossamento e con le vene in evidenza. Gli occhi erano infossati, naso e orecchie appena abbozzati; la carnagione aveva una tonalità beige. Un tempo erano i soli umanoidi della Galassia, tanto che chiamavano se stessi il Popolo, senza bisogno di ulteriori definizioni. Ora che, grazie ai loro lunghi sforzi, altre specie umanoidi cominciavano a evolversi, c’era chi li chiamava i Progenitori.
   «Rapporto» disse il Capitano Turut, avvicinandosi alla finestra panoramica per osservare gli Hadrosauri.
   «Abbiamo preso tutto il branco» riferì il Custode Iesei. «È uno dei pochi che restano. Ma ci vorranno altre navi, e molti altri viaggi, per evitare il collo di bottiglia genetico».
   «Certo, certo» fece il superiore, sovrappensiero. «Senza un’adeguata varietà genetica, questi magnifici animali non vivranno a lungo nel nuovo ambiente. Ma non si preoccupi: il Consiglio Evolutivo mi ha appena confermato che arriveranno le navi richieste».
   «Davvero? Cominciavo a temere che se ne lavassero le mani!» si lasciò sfuggire un altro custode.
   «Ci hanno provato, ma io ho insistito e beh... ho ancora qualche amico al Comando» disse il Capitano, con un mezzo sorriso.
   Tutti i presenti sapevano quanto fosse difficile allestire un’operazione del genere. Salvare una specie dall’estinzione sembrava facile a parole, ma all’atto pratico diventava un’impresa titanica. In primo luogo bisognava trovare un pianeta simile a quello d’origine, e già questo non era facile, sebbene la Galassia ospitasse miliardi di mondi. I parametri da considerare, infatti, erano innumerevoli: composizione e pressione atmosferica, forza di gravità, irraggiamento solare, campo elettromagnetico, durata del giorno, ciclo stagionale, stabilità climatica e tettonica, solo per citare i principali. Dopo di che la specie prescelta doveva essere inserita in un ambiente adatto. Le specie, infatti, non si evolvono da sole; sono sempre inserite in un ecosistema, nel quale interagiscono con le altre secondo schemi complessi e mutevoli. Trapiantare una singola specie su un mondo alieno significava quasi sempre condannarla all’estinzione. Perciò bisognava inserire dapprima le piante, poi gli animali inferiori e solo da ultimo la specie oggetto d’interesse. E non era finita: nel caso di specie non ancora senzienti, come i sauri, bisognava inserire anche i predatori naturali, perché tenessero sotto controllo la popolazione, evitando l’esplosione demografica. Infine l’intero ecosistema andava monitorato a lungo, per rilevare e correggere i problemi che immancabilmente si presentavano.
   Era davvero un grosso sforzo, in termini di risorse e personale impiegato; e non era ripagato da alcun guadagno. Ma i Progenitori non facevano queste cose per profitto. Le facevano semplicemente perché davano valore alla biodiversità, e in special modo all’intelligenza, che cercavano di far sviluppare. Non volevano restare per sempre soli nella Galassia, no! Volevano un futuro in cui la Via Lattea pullulasse di specie simili a loro, ma non identiche, così che ognuno potesse imparare qualcosa dagli altri. Era un sogno che li aveva animati per lunghissimo tempo, anche se i primi approcci con i “figli” non erano stati lieti come speravano, tanto che col tempo si erano fatti sempre più cauti e schivi.
   «Però è triste che il Consiglio abbia deciso di non intervenire sul clima del pianeta» commentò Iesei. «Questo è uno dei mondi con più biodiversità che esistano. Anche se ci siamo accorti troppo tardi del meteorite, potremmo fare molto per migliorare la situazione».
   «Ad esempio?» chiese l’altro Custode, di nome Sotatos.
   «Beh, non sono un climatologo, ma so che si possono ionizzare le particelle elettrostatiche dell’atmosfera con un impulso del deflettore» rispose Iesei. «Questo le trasforma in plasma la cui energia può essere scaricata, usando l’astronave come parafulmine».
   «Vuole arrostire la mia povera nave?» fece il Capitano, ironico.
   «Ehm, nossignore, gli scudi ci proteggerebbero...» corse ai ripari il Custode, ma vedendo il sorriso bonario del superiore si tranquillizzò.
   «Io credo che il Consiglio abbia ragione» disse a sorpresa Sotatos. «L’estinzione è parte naturale del processo evolutivo. È solo attraverso di essa che si liberano le nicchie ecologiche rimaste a lungo occupate, permettendo la diversificazione delle specie superstiti».
   «Sì, ma per riempire quei vuoti occorrono milioni di anni!» si lamentò Iesei. «Nessuno di noi sarà più al mondo, per allora. Dal nostro punto di vista è un impoverimento e basta».
   «Dobbiamo guardare oltre la nostra limitata prospettiva individuale» disse il Capitano, sebbene anche lui fosse dispiaciuto. «Comunque ditemi: quante specie si estingueranno?».
   «Secondo gli ultimi calcoli, potremmo perdere il 70% di tutte le specie del pianeta» rispose il Custode, con un groppo in gola.
   «Addirittura?!» si sgomentò Turut. «Aspetti... questa percentuale include le specie marine?».
   «Sì, purtroppo» confermò Iesei. «La mancanza di luce e l’acidificazione dei mari sta uccidendo il plancton, con ricadute su tutta la catena alimentare. Spariranno i grandi rettili marini, ma anche buona parte dei molluschi e dei coralli».
   «Vedrò se si può fare qualcosa» mormorò il Capitano, ma non ci sperava molto. Preservare le specie marine era ancora più difficile che farlo con quelle terrestri.
   «Comunque non sarà l’estinzione peggiore che questo mondo abbia visto» rivelò Sotatos. «Ho studiato la sua storia evolutiva e ho scoperto che 185 milioni di anni fa vi fu una catastrofe ancora peggiore, che spazzò via il 90% delle specie marine e il 70% di quelle terrestri. In quel caso, la moria spianò la strada all’evoluzione dei sauri. Stavolta potrebbe spianarla ai mammiferi e agli uccelli».
   «Io scommetto sui mammiferi» disse Iesei. «Sono omeotermi, hanno il cervello più sviluppato e forniscono più cure parentali. Se l’intelligenza si evolverà mai su questo pianeta, verrà da loro» predisse.
   «O dagli Hadrosauri» corresse il Capitano. «È per questo che li stiamo salvando».
   «Già, gli Hadrosauri...» mormorò il Custode, osservandoli meditabondo. «I loro branchi hanno una struttura sociale abbastanza complessa, ma ne devono fare di strada! Se mai diverranno senzienti sul loro nuovo pianeta, sarà in un futuro lontanissimo».
   «Se ciò dovesse accadere, e se faranno ricerche sulla loro evoluzione, si accorgeranno di non essere imparentati con la maggior parte delle specie locali» notò il collega. «Perciò dedurranno che il loro mondo d’origine è un altro. Mi chiedo se avranno il desiderio di rintracciarlo» mormorò, sfiorandosi il mento.
   «Perché no? Tutti desiderano sapere da dove vengono» disse Iesei.
   «Ma se nel frattempo questo mondo avesse sviluppato un’altra specie senziente... magari dai mammiferi, come dici tu... non pensi che si scatenerebbe un conflitto?» chiese Sotatos.
   Iesei rimase così interdetto che non riuscì a rispondere; per parecchi secondi vi fu il silenzio. «Suppongo che il pericolo esista, ma... suvvia! Stiamo parlando di specie che non esistono ancora» disse infine. «Non sappiamo se questi sauri diverranno senzienti, né se lo faranno i mammiferi. Se anche fosse, accadrà quasi certamente in epoche diverse, per cui non s’incontreranno mai» concluse.
   «E anche se fossero contemporanei, difficilmente si troveranno» intervenne il Capitano. «Vede, è proprio per evitare qualunque conflitto che stiamo trasferendo gli Hadrosauri dall’altra parte della Galassia. Se anche i loro remoti discendenti cercassero il proprio mondo d’origine, non lo troveranno mai, tra le miriadi di pianeti simili».
   «Mah, non so...» fece Sotatos, poco convinto. «Ho l’impressione che se un popolo tecnologicamente progredito vuol trovare il suo luogo d’origine, allora ci riuscirà, a costo di setacciare la Galassia».
   «Chissà!» fece il Capitano. «Comunque non sono problemi che ci riguardano. Abbiamo una tabella di marcia da rispettare, quindi smettiamola di perdere tempo! Se il carico è pronto, possiamo lasciare l’orbita».
   «Affermativo, l’habitat è al completo» confermò Iesei.
   «E i sensori medici dicono che non ci sono patogeni in grado di sterminare il branco» aggiunse Sotatos, consultando i dati che scorrevano su un oloschermo.
   «Ottimo. Turut a plancia, facciamo rotta per la Riserva 474» ordinò il Capitano, premendosi il comunicatore agganciato al colletto.
   «Agli ordini, signore» rispose il Primo Ufficiale.
   La grande astronave discoidale fece manovra, uscendo gradualmente dall’orbita terrestre. Nell’habitat centrale gli Hadrosauri continuarono a brucare, inconsapevoli sia d’essere stati salvati, sia del grande destino che li attendeva. L’equipaggio invece tornò alle proprie incombenze, inclusi il Capitano e i due Custodi. Erano tutti fieri di stare salvando un’altra specie promettente; ma se ne avessero sapute le conseguenze, il loro orgoglio sarebbe svanito, lasciandoli nell’angoscia e nell’incertezza.
 
   All’insaputa dei Progenitori, un’altra nave stellare si trovava nell’orbita terrestre in quelle ore. Il suo sofisticato occultamento la rendeva invisibile, persino per i sensori di quell’antica specie; e non era nemmeno la sua caratteristica più notevole. L’USS Keter, infatti, era l’unica nave temporale al servizio della Flotta Stellare nel tardo XXVI secolo. In verità c’erano anche delle navette temporali, ma nessuna aveva abbastanza energia da tornare indietro di milioni di anni; solo la Keter poteva visitare un passato così remoto. Se era lì, dopo molti tentativi andati a vuoto, era nella speranza di garantirsi un futuro.
   Sulla plancia vi era silenzio, rotto solo dal ronzio dei sensori. Gli ufficiali, appartenenti a varie specie secondo l’usanza della Flotta, fissavano il vascello dei Proto-Umanoidi con sentimenti ambivalenti. Questo valeva anche per il Capitano Hod. Nativa di Elaysia, aveva corti capelli biondi e grandi occhi violetti che le davano un’aria angelica; ma ora quegli occhi erano corrucciati e l’espressione era indurita. «Dunque la nostra teoria era esatta» commentò con distacco. «I Voth non lasciarono la Terra con le loro forze e per loro scelta. Furono trasferiti dai Progenitori quand’erano ancora delle bestie».
   «Se lo sapessero, sarebbe un bel colpo al loro orgoglio» commentò il Comandante Norrin, l’unico Hirogeno al servizio della Flotta.
   «È logico che sia così» disse Terry, l’Intelligenza Artificiale della nave, che svolgeva anche il ruolo di Ufficiale Tattico. «I Voth ci hanno detto che la loro storia scritta copre 20 milioni di anni. Dunque c’era un gap di quasi 46 milioni di anni da colmare. Tanto c’è voluto, perché gli Hadrosauri si evolvessero nei nostri nemici». La proiezione isomorfa, che aveva l’aspetto di una giovane Umana dagli occhi a mandorla, stava analizzando il vascello dei Proto-Umanoidi.
   «Hai detto bene: i nostri nemici» disse Vrel, il timoniere. «Nella nostra epoca sono troppo potenti per sconfiggerli, ma qui nel passato sono ancora degli animali. Se vogliamo colpirli dobbiamo farlo adesso, prima che i Proto-Umanoidi li trasferiscano nel Quadrante Delta». Il mezzo Xindi, in passato uno dei membri più gioviali dell’equipaggio, aveva un’aria truce. Da quando sua sorella Lyra lo aveva quasi ucciso perché militava nel campo avverso, era uno degli ufficiali più determinati a vincere, a costo di violare le regole della Flotta Stellare.
   «Sarebbe un buon modo per risolvere i nostri guai» convenne Zafreen. L’Orioniana, addetta a sensori e comunicazioni, condivideva l’opinione del suo fidanzato sulla necessità di prevalere a ogni costo.
   «La nave dei Proto-Umanoidi ha lo scafo in tetraburnio, ma la cupola centrale è in semplice trasparacciaio» disse Terry, che aveva completato l’analisi tattica. «I suoi scudi sono abbassati. Se la cogliamo di sorpresa, possiamo infrangere la cupola e disarmarli prima che abbiano il tempo di reagire».
   «Volete davvero assalire una nave che non ci ha fatto nulla di male?» chiese Ladya Mol. La Vidiiana veniva raramente in plancia, essendo il Medico Capo, ma il Capitano l’aveva convocata per sentire il suo parere.
   «Già, non è proprio nello stile della Flotta Stellare» mugugnò Norrin.
   «Le abbiamo provate tutte per fermare i Voth, e abbiamo fallito!» protestò Vrel. «Questo è l’unico modo che ci resta. Se torniamo al presente con un nulla di fatto, tanto vale arrenderci».
   «Non dobbiamo necessariamente usare le armi» insisté Ladya. «I maggiori successi della Flotta Stellare sono derivati dal dialogo. E sappiamo che i Proto-Umanoidi hanno un’indole pacifica. Se ci mostriamo a loro e spieghiamo la situazione, è probabile che acconsentano a non salvare gli Hadrosauri».
   «Questo non possiamo saperlo con certezza» disse Vrel, cupo. «Se scoprono che quei lucertoloni diventeranno una delle maggiori potenze galattiche, potrebbero essere ancora più determinati a salvarli. Il che ci costringerà ugualmente allo scontro, con la differenza che avremo perso il fattore sorpresa».
   «Che usiamo le buone o le cattive, non abbiamo modo di sapere se i Proto-Umanoidi manterranno la parola» ragionò Norrin. «Potrebbero prometterci di lasciar estinguere i sauri e poi, quando ce ne saremo andati, continuare a trasferirli. Vedete, quella è una sola nave e possiamo anche batterla» disse indicando il vascello sullo schermo «ma ricordate che alle spalle ha la civiltà più popolosa mai esistita nella Via Lattea. Se ingaggiamo lo scontro, arriveranno i rinforzi e ci sommergeranno col numero».
   «E allora dobbiamo arrenderci senza nemmeno provare?! A che serve questa missione, se non possiamo fare nulla?» insorse Zafreen.
   «La decisione spetta al Capitano» disse il Comandante nel suo tono pacato.
   L’Elaysiana, che stava ancora fissando il vascello dei Proto-Umanoidi, lo udì appena. Era da quando aveva deciso di fare quel tuffo nel passato che si chiedeva come ne avrebbe approfittato. Gli Accordi Temporali imponevano alla Flotta Stellare di non alterare la Storia per alcun motivo, nemmeno per salvare milioni di vite. Gli unici interventi leciti, anzi doverosi, consistevano nel correggere le modifiche apportate da altri. E certo non c’era infrazione più grave che cancellare un’intera specie senziente. Dunque la loro ricerca era stata vana? Non restava che un mesto ritorno al presente, dove li attendevano la sconfitta e la schiavitù? E se invece violavano gli Accordi, cancellando i Voth, come sarebbero sfuggiti ai paradossi temporali? Era una trappola senza via d’uscita, comprese il Capitano. «Scacco matto» mormorò, così piano che nessuno la udì.
 
   Tutto era cominciato tre anni prima, dal loro punto di vista, ovvero nel 2590. In quell’anno i Voth avevano raggiunto lo spazio federale, contattando la Keter. Inizialmente amichevoli, avevano spiegato d’essere in cerca del Mondo Perduto, ovvero il pianeta d’origine della loro specie. Il precedente incontro con l’USS Voyager, la nave federale dispersa, li aveva convinti che quel mondo fosse la Terra, data la loro affinità genetica con gli Umani. Ma per esserne certi dovevano fare delle analisi sul posto, confrontando il loro DNA con le altre specie terrestri, così da ricostruire l’albero filogenetico. Sperando che ciò permettesse di stabilire buone relazioni, il Capitano Hod li aveva accompagnati fino alla Terra. Qui i Voth erano stati accolti in pompa magna dalle autorità federali, ottenendo il permesso di compiere le loro ricerche. Entro la fine dell’anno, la teoria dell’Origine Lontana era stata confermata; così erano iniziati i guai.
   I Voth, infatti, avevano lanciato un ultimatum alla Terra, esigendo l’immediata restituzione del pianeta. Essendosi evoluti per primi non volevano spartirlo né con gli Umani, né con le altre specie federali che ormai costituivano una buona metà della popolazione. Di conseguenza avevano circondato la Terra con la loro potentissima flotta, impedendo i trasporti e le comunicazioni, e avevano dato al governo dieci giorni per arrendersi. Se i Terrestri non se ne andavano di propria volontà, avrebbero pensato loro stessi a deportarli sugli altri mondi federali.
   La crisi era scoppiata nel momento peggiore, perché l’Unione Galattica – nata dalla fusione di Federazione, Impero Klingon e Repubblica Romulana – era già nel caos. Ciò si doveva alle politiche della Presidente Rangda, leader del Partito Abolizionista. Nei suoi cinque anni di mandato la Presidente, supportata dai mass media, aveva in gran parte smantellato la Flotta Stellare, delegandone le funzioni a vari uffici governativi sotto il suo diretto controllo. Privata di astronavi e personale, la Flotta era stata incolpata di non riuscire più a mantenere l’ordine alle frontiere, dove cresceva l’attrito con i vicini e si moltiplicavano le bande di pirati. A quel punto Rangda aveva mantenuto la promessa elettorale di abolire la Prima Direttiva, “per motivi umanitari”. Vere o no che fossero le motivazioni, il risultato era stato catastrofico. A popoli primitivi erano state fornite tecnologie che essi non comprendevano e che subito avevano rivolto a scopi bellici, massacrandosi tra loro o attaccando i vicini. Ancora una volta la Flotta Stellare, sempre più dissanguata, aveva dovuto intervenire, prendendosi tutto il biasimo dei fallimenti.
   Così, quando i Voth avevano assediato la Terra, la Flotta sparpagliata non aveva fatto in tempo a radunarsi. Scaduto l’ultimatum senza che Rangda avesse risposto, i Voth avevano iniziato a sequestrare i Terrestri. Ai federali non era rimasto che attaccare, scatenando una sanguinosa battaglia attorno alla Terra. E quando, malgrado le circostanze sfavorevoli, la Flotta era stata sul punto di prevalere e i Voth già iniziavano a ritirarsi, la situazione era precipitata. Rangda aveva ordinato alla Flotta di arrendersi e collaborare con i Voth al trasferimento forzato dei Terrestri. La Terra infatti sarebbe stata ceduta a loro, salvo l’isola artificiale di Atlantide in cui si trovavano i palazzi del governo; in cambio i sauri avrebbero firmato un trattato di pace e collaborazione.
   Davanti a quell’ordine che sapeva di tradimento, molti equipaggi si erano ribellati. Su ogni nave della Flotta era scoppiata la lotta tra lealisti e ribelli, mentre le Intelligenze Artificiali di bordo obbedivano in gran parte all’ordine presidenziale, prendendo il controllo dei vascelli. La gloriosa ammiraglia Enterprise-J, ribellatasi all’ordine, era stata spietatamente distrutta da un vascello lealista. Le altre navi ribelli, tra cui la Keter, erano fuggite dal sistema solare, mentre i Voth sbarcavano in forze sulla Terra, venendo accolti come liberatori.
   Era solo l’inizio della persecuzione. Accusati di alto tradimento e terrorismo, i ribelli erano stati braccati dai loro ex colleghi lealisti, riformati nella nuova Forza di Pace dell’Unione. Questi Pacificatori, com’erano detti, avevano pieni poteri militari e rispondevano solo a Rangda. Avevano interrogato amici e parenti dei ribelli, cercandone la complicità per tendere trappole che si erano concluse con l’arresto o persino l’uccisione dei fuggitivi. Ai superstiti non era rimasto che radunarsi su Kronos, formando un Consiglio Federale e un Comando di Flotta in esilio. Riesumando il vecchio nome di Federazione, avevano giurato di detronizzare Rangda e riconquistare la Terra; ma la strada era tutta in salita. Così era iniziata la Guerra Civile federale.
   Nel frattempo i Voth deportavano milioni di Terrestri, sia Umani che alieni, rimpiazzandoli con i loro coloni. Nella loro “magnanimità” si erano offerti di preservare il patrimonio culturale, così che gli abitanti potessero tornare a visitarlo da turisti. Ma la Presidente Rangda aveva altri piani. Accusando la cultura umana d’essere arretrata e intollerante, ne aveva decretato la totale cancellazione. I monumenti, i musei e le aree archeologiche erano stati bombardati dalla nuova ammiraglia dei Pacificatori, il Moloch, e i database culturali erano stati cancellati con un click. I cittadini stessi erano stati invitati a consegnare i beni culturali in loro possesso, così che fossero distrutti. E lo avevano fatto: alcuni per paura, altri perché indotti dalla propaganda. Infine la Terra stessa aveva ricevuto un nuovo nome: Vothan, la patria dei Voth.
   Giorno dopo giorno, la condizione degli Umani era peggiorata. I programmi scolastici erano stati riscritti, eliminando l’insegnamento della loro cultura e presentandoli come i responsabili di tutti i mali dell’Unione. I mass media li accusavano d’essere i responsabili della Guerra Civile: ogni Umano era visto come una potenziale spia e favoreggiatore dei ribelli. Gli altri cittadini erano esortati a diffidare degli Umani, a non condividere gli spazi pubblici, a tenere lontani i propri figli dai loro. Le organizzazioni statali, come anche le aziende private, non assumevano più Umani e licenziavano quelli già in servizio con dei pretesti.
   Ben presto gli Umani erano stati ammassati nei cosiddetti Centri di Rieducazione, costruiti in luoghi isolati e sorvegliati da Pacificatori armati. Lo scopo ufficiale dei Centri era accertarsi che gli Umani fossero fedeli all’Unione, prima di rimetterli in libertà. In pratica si trattava di campi di concentramento, come avevano scoperto gli agenti della Flotta. Gli ospiti erano sottoposti a pesanti umiliazioni, per spezzarne l’amor proprio, e a tecniche di propaganda che sconfinavano sempre più nel lavaggio del cervello. I più riottosi finivano sulle Lobo-Sedie, da cui si rialzavano con danni neurologici permanenti. Esaminando i reduci di quei Centri, i medici della Flotta avevano fatto un’altra orribile scoperta: tutti, sia uomini che donne, erano stati sterilizzati a loro insaputa. Se gli specialisti non trovavano la cura – e dopo un anno d’affannose ricerche brancolavano ancora nel buio – la specie umana era condannata all’estinzione.
   Davanti a questi orrori di cui non si vedeva la fine, gli oppositori di Rangda avevano passato al setaccio la sua biografia, cercando almeno di capire da dove le venisse quest’odio viscerale e implacabile contro gli Umani. Tutte le ricerche erano state vane, nel senso che non era stato possibile rintracciare un solo episodio in cui la futura dittatrice avesse subito qualche torto da parte loro. L’unica conclusione a cui erano giunti gli psicologi era che probabilmente Rangda si era imbattuta nella propaganda anti-umana in giovane età e aveva finito per crederci, o comunque l’aveva adottata per avere successo. Questa propaganda, infatti, aveva attraversato come un fiume carsico tutto il XXVI secolo, dimostrando una straordinaria capacità di adattarsi alle mutevoli situazioni politiche e di far presa su popoli diversissimi. Ma con la salita al potere di Rangda era diventata ancor più pervasiva e martellante; e i ribelli tremavano al pensiero di doverne ancora vedere le estreme conseguenze.
 
   «Norrin, a lei la plancia. Mi avverta se i Proto-Umanoidi accennano a lasciare l’orbita» raccomandò il Capitano. Dopo di che si ritirò nel suo ufficio, per riflettere. Non aveva ancora raggiunto la scrivania che udì una voce alle sue spalle. Qualcuno l’aveva seguita, malgrado il suo evidente desiderio di restare sola.
   «So cosa pensi». A parlare era stato Juri Smirnov, il consulente storico di bordo. Era uno dei pochi Umani presenti sulla Keter, nonché l’unico passeggero civile. Tra i consiglieri di Hod era quello che detestava maggiormente i Voth, per ciò che avevano fatto alla Terra; ma non lasciava che ciò offuscasse il suo giudizio.
   Riconoscendo la sua voce, il Capitano si girò di scatto. «Vorrei che il viaggio nel tempo non fosse mai stato inventato» disse, fissandolo con occhi colmi d’angoscia. «Così non dovrei prendere questa decisione!». Ciò detto raggiunse la scrivania e si lasciò cadere stancamente sulla poltroncina. Con il perfezionamento del viaggio temporale si era molto discusso se impedire la nascita di una persona equivalesse all’omicidio, e di conseguenza se cancellare un intero popolo si configurasse come genocidio. Alcune specie, come i Krenim e i Na’kuhl, sostenevano che non fosse così, perché nella nuova linea temporale quelle persone non erano mai esistite; gli unici a ricordarle erano i responsabili dell’alterazione. Ma l’Unione Galattica aveva stabilito che cancellare le persone dalla Storia era l’equivalente morale di ucciderle.
   «Su questo siamo d’accordo» disse Juri, accostandosi. «Ma ricorda che quando i Na’kuhl cercarono di alterare la Storia, noi lottammo strenuamente per fermarli. E ora vorresti fare la stessa cosa?!». Posò le mani sulla scrivania e si curvò in avanti, accostando il viso a quello del Capitano.
   «Senti chi parla... tu eri in combutta con loro!» rinfacciò Hod, alzando su di lui uno sguardo tagliente, anche se poi se ne pentì.
   «Sì, per salvare mia sorella; e alla fine ho dovuto sacrificarla per fermarli» le ricordò l’Umano, raddrizzandosi. «Ma le controindicazioni non sono solo d’ordine morale. Ci sono anche problemi pratici. Nella loro lunghissima storia, i Voth hanno interagito con molti altri popoli. Cancellali e stravolgerai anche le altre civiltà».
   «Magari in meglio» borbottò l’Elaysiana, con l’aria di chi ha una gran voglia d’ubriacarsi.
   «Sai bene che non è così. I Voth furono decisivi per sconfiggere i Vaadwaur un millennio fa e oggigiorno tengono a bada i Borg. Senza di loro, gran parte della Galassia sarebbe spacciata. E te lo dice uno che odia i Voth per quello che ci hanno fatto» disse Juri.
   «Potremmo alterare la Storia senza cancellarli» propose il Capitano. «Basta fare in modo che non incontrino mai la Voyager, o meglio ancora, che non formulino la teoria dell’Origine Lontana».
   «Prima o poi ci avrebbero scovati comunque» ribatté lo storico. «E non devo essere io a ricordarti i rischi di una qualunque alterazione. Gli Agenti Temporali del futuro potrebbero piombarci addosso per fermarci. Oppure incapperemo in qualche paradosso che ci annienterà».
   «Insomma, abbiamo le mani legate» concluse Hod.
   «Qui nel passato, sì» confermò Juri. «Ma la conoscenza di come sono andate le cose può tornarci utile nel presente».
   «I Voth non cambieranno politica alla luce delle nostre scoperte» disse l’Elaysiana, pessimista. «Non ci renderanno la Terra, ora che l’hanno colonizzata. E probabilmente non ammetteranno nemmeno il loro debito nei confronti dei Progenitori, orgogliosi come sono».
   «No, ma sappiamo che i Proto-Umanoidi esistono ancora nel presente» ricordò l’Umano. «Ora che abbiamo le prove del loro intervento, potremmo inchiodarli alle loro responsabilità».
   «È da molto che ci rifletto» annuì il Capitano. «I Proto-Umanoidi non s’immischiano mai nelle nostre faccende, ma stavolta chissà...» disse, con sguardo remoto.
 
   Quando Hod rientrò in plancia, seguita da Juri, gli ufficiali capirono dal suo cipiglio che aveva preso una decisione inappellabile.
   «Capitano, i Progenitori stanno lasciando l’orbita» avvertì Zafreen.
   «Registri tutto coi sensori, ma restiamo occultati» ordinò l’Elaysiana, accomodandosi sulla poltrona di comando.
   «Non li fermiamo?!» insorse Vrel, girandosi con tutta la sedia.
   «No» confermò il Capitano. «In questa guerra, l’unico tabù che ancora regge sono gli Accordi Temporali. Non saremo noi a infrangerli. Non ci metteremo al livello dei Na’kuhl, che volevano cancellare intere specie per il loro tornaconto».
   «E allora siamo spacciati!» inveì il timoniere. «Se Jaylah fosse qui, glielo direbbe anche lei» aggiunse, per compensare il fatto che lui e Zafreen erano in minoranza.
   Norrin si alzò a mezzo, sul punto di redarguire il timoniere per la sua insubordinazione, ma poi lasciò perdere e si risedette. Anche lui era combattuto sull’argomento. Non intendeva contestare l’ordine del Capitano, tuttavia vedeva avvicinarsi il giorno in cui la Flotta si sarebbe sbandata e tutti loro avrebbero dovuto fuggire su mondi lontani per sopravvivere. Nel suo caso, ciò significava riunirsi al clan di Cacciatori; e non sapeva se la sua amata Ladya avrebbe accettato di seguirlo.
   «L’Agente Chase non è qui, e comunque il suo parere non cambierebbe la mia decisione» chiarì il Capitano. In realtà era lieta che la mezza Andoriana, un tempo capo della Squadra Temporale, avesse lasciato la Keter per unirsi ai corsari. Se avesse dissentito su una questione così cruciale sarebbe stata capace di ammutinarsi, trascinando altri con sé.
   «Capitano...!» esclamò Zafreen, con una nota di disperazione. In quella il vascello dei Proto-Umanoidi schizzò a transcurvatura, scomparendo in un lampo bianco. Ora non lo avrebbero più ripreso, neanche volendo. La loro grande occasione era sfumata.
   Un senso di sconforto serpeggiò nella plancia, mentre tutti tornavano alle loro occupazioni. La tensione accumulata negli ultimi giorni si era spezzata, lasciando gli ufficiali stanchi e delusi. Non restava che tornare nel loro tempo, a incassare nuove sconfitte. Hod si rese conto che alcuni di loro avrebbero lasciato la Flotta. Il regolamento non lo consentiva, in tempo di guerra, ma i disertori trovavano spesso il modo di svignarsela. Quell’equipaggio, rimasto saldo per otto anni attraverso le sfide più micidiali, era sul punto di sfaldarsi. E il peggio era che il Capitano lo capiva. Lei stessa era tentata d’arrendersi alle forze soverchianti dei Pacificatori e alla loro ancor più soverchiante ideologia, che in pochi anni aveva riplasmato le coscienze dei cittadini, facendogli accettare ciò che un tempo era impensabile.
   «Plancia a sala macchine» disse l’Elaysiana, aprendo un canale. «Signor Dib, ci riporti nella nostra epoca. Qui abbiamo finito».
   «Già» mugugnò Vrel, rigirandosi in avanti con la sedia. «Stavolta è proprio la fine». 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Star Trek / Vai alla pagina dell'autore: Parmandil