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Autore: Marco1989    22/04/2021    0 recensioni
Due ranger del Kenya vengono reclutati da un magnate per una missione: recuperare un uomo ed un ragazzo dispersi su un'isola dopo un naufragio. Solo che non si tratta di un'isola qualsiasi: su di essa si trovano alcune delle creature più pericolose del pianeta, tornate dopo un sonno di 65 milioni di anni. E sono molto, molto affamate.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO TRE

 

La savana della Tanzania sembrava estendersi ininterrottamente fino all'orizzonte: una immensa distesa d'erba punteggiata qua e là da qualche pozza d'acqua e da alcuni stagni poco profondi che lentamente si asciugavano nella calura estiva e da qualche grossa roccia circondata da bassi cespugli. In alcune aree la prateria cedeva il posto a boschetti di acacie spinose, con qualche gigantesco baobab a rompere la monotonia.

Se la vita vegetale appariva abbastanza rinsecchita, quella animale era lussureggiante: vicino ad una delle polle più grosse c'era un grande branco di gazzelle, i mantelli chiari sul dorso, scuri sui fianchi e bianchi sul ventre che si confondevano nelle ondate di calore. Alcune erano chine sull'acqua fangosa per bere, altre brucavano l'erba giallastra. Poco lontano, un gruppo di grossi elefanti color marrone rossiccio sembrava muoversi quasi senza una meta, con l'indolenza di chi sa di non avere nulla da temere. Di fronte ad una delle macchie d'alberi, due giraffe dal mantello maculato, che andava a formare un disegno regolare e quasi ipnotico mangiavano tranquillamente le foglie delle acacie, incuranti delle spine aguzze.

Verso l'orizzonte si intravedeva una mandria di grossi animali cornuti, probabilmente gnu, che trottavano in una nube di polvere.

Tutti gli animali sembravano tranquilli: l'intero scenario, in effetti, trasmetteva una grande sensazione di calma, ed era simile alle fotografie che ritraggono gli scenari idilliaci del continente africano.

Le antilopi furono le prime ad avvertire la presenza di qualcosa di pericoloso, ma non ebbero il tempo di reagire: sul gruppo piombò di colpo un grosso leone maschio, lungo più di due metri e alto oltre la metà al garrese. Sia il mantello giallastro che la criniera erano sporche di polvere e strinate di sangue. Doveva essersi avvicinato di soppiatto, arrivando a brevissima distanza dalle prede prima che queste lo sentissero. Le antilopi tentarono una fuga disperata, ma il felino aveva già afferrato una femmina, e, una volta rovesciatala a terra, le spezzò l'osso del collo con un solo morso. La povera bestia morì all'istante. Il leone, lanciato un ruggito di sfida al cielo, iniziò a mangiare.

«Sua maestà ha fame. Strano, visto che solo tre giorni fa ha spolpato due indigeni fino alle ossa».

Le parole erano state pronunciate all'interno di un boschetto: nascosti dietro dei bassi cespugli, due uomini armati osservavano la scena di caccia con i binocoli. Il primo appariva completamente fuori posto: tarchiato, pallido, apparentemente spaventato, si asciugava continuamente il sudore. Portava un paio di antiquati occhiali rotondi, e sembrava dimostrare almeno quarant'anni, anche se con ogni probabilità ne aveva una decina di meno. Nonostante stringesse in mano una nuovissima carabina a ripetizione, somigliava più ad un ragioniere che ad un cacciatore. L'altro, quello che aveva parlato, doveva essere più vecchio, vicino almeno alla cinquantina, e sembrava il perfetto esempio del duro e dell'avventuriero: capelli castani corti completamente nascosti da un  cappello a tesa larga, camicia blu scura segnata, come anche il suo viso, da un lungo periodo passato all'aria aperta, così come il gilet marroncino che portava sopra di essa. In mano teneva una doppietta Holland & Holland di grosso calibro e dalla canna lunga, una splendida arma da caccia grossa.

Dietro i due uomini, appena visibile attraverso le frasche, si intravedeva una grossa jeep verde, il mezzo migliore per spostarsi attraverso i vari ambienti della savana.

«E' lui, mister Masterson?» chiese.

«Si, ne sono sicuro, mister Buckley» rispose l'uomo chiamato Masterson.

«Mi chiami Harry - disse il più anziano, calcandosi bene il cappello sulla testa - Ne è sicuro?».

«Si. Quella cicatrice che ha sulla schiena… gliel'ho fatta io con una fucilata quando ha attaccato il cantiere della ferrovia. Purtroppo non ho mirato abbastanza bene, o non saremmo qui».

In effetti dal dorso del leone sembrava mancare un pezzo di carne, apparentemente strappato da un proiettile di striscio, ma la ferita era già quasi cicatrizzata. Henry continuò ad osservare l'animale che mangiava per qualche secondo, poi tolse la sicura al fucile ed afferrò un sasso.

«Cosa sta facendo?» chiese Masterson, stupito dal gesto. In quel momento ricordò di non conoscere affatto il cacciatore che aveva assoldato, il quale era in effetti un ranger, guardacaccia nella parco nazionale di Serengeti. Quando era andato a denunciare alle forze dell'ordine due aggressioni successive a distanza di pochi giorni al cantiere ferroviario che gestiva da parte di un grosso leone, che gli erano costati cinque uomini e l'interruzione dei lavori alla strada ferrata che avrebbe dovuto migliorare il collegamento con il Kenya, gli era stato detto che, quando si trattava di mangiatori di uomini, l'unica soluzione era abbatterli, ed avevano affidato il caso al loro migliore ranger, l'inglese figlio di una famiglia di coloni Harry Buckley, ex cacciatore di professione e tiratore eccezionale, anche se dal carattere un po' insolito. Masterson non lo sapeva, ma stava per assistere ad una delle particolarità del suo metodo di caccia.

«Io concedo sempre una possibilità alla mia preda, signor Masterson» rispose, e prima che il direttore del cantiere potesse comprendere ciò che stava per accadere, scagliò il sasso con violenza e colpì il leone al fianco sinistro. L'animale, colto di sorpresa, si voltò, e subito vide i due uomini. Il suo muso coperto dal sangue della gazzella si deformò in una maschera di furore, e ruggì con rabbia. Harry aveva già alzato il fucile, e seguiva nel mirino i movimenti della testa dell'animale. Masterson, invece, tremava come una foglia, e non riusciva neppure a tirare indietro la leva per inserire un proiettile nell'otturatore.

Il leone ruggì di nuovo, e si lanciò al galoppo verso i due, le zanne scoperte in un ringhio silenzioso.

Masterson cacciò un urlo, lasciò cadere il fucile e si gettò a terra, le mani sopra la testa. Sentì un ruggito distante non meno di due metri, poi un singolo sparo, un tonfo, poi più nulla. L'uomo rimase sdraiato ancora per qualche secondo, poi alzò gli occhi, trovandosi di fronte il muso del leone.

Terrorizzato, balzò indietro cercando di raccogliere il fucile, per notare subito dopo che la testa della belva era spappolata da una scarica di pallettoni. Alzando lo sguardo, vide il ranger con il fucile fumante ancora sotto braccio che sorrideva.

«Un solo colpo? Wow!» esclamò il direttore, già dimentico della pessima figura che aveva fatto, e balzò in piedi esultante.

«Mi aiuti a caricarlo sulla jeep, voglio tornare alla centrale prima di notte».

 

La jeep entrò nella città di Seronera, ai confini del parco di Serengeti. Harry la diresse verso il comando dei Rangers, con il corpo del leone abbattuto nel retro. Aveva già lasciato Masterson al suo cantiere.

L'auto attraversò un cancello arrugginito e si fermò di fronte ad un'ampia costruzione ad un solo piano costruita in pietra e legno. Vicino c'era un ampio capannone di lamiera che veniva utilizzata come deposito per gli automezzi.

Dalla struttura, che era la sede dei Rangers che avevano il compito di sorvegliare il parco di Serengeti, uscirono due uomini, entrambi con in testa un cappello verde a tesa larga, e si diressero verso la jeep.

«Complimenti, Harry! - disse uno dei due, un ragazzone sui ventisei o ventisette anni, con i capelli quasi biondi e gli occhi color ghiaccio, vestito con la divisa regolare dei Rangers, alla vista del leone - Un animale gigantesco! E' una delle tue prede migliori».

«Grazie mille, Jim. Non ne avevo mai visto uno tanto grande. E' stato un peccato doverlo abbattere, ma si era abituato troppo al sapore della carne umana per rimanere in vita. Ci pensi tu a bruciare il corpo?».

«Si, certo - rispose il ragazzo - Harry, c'è un uomo dentro che vuole parlare con te. E' venuto fin qui apposta».

«Chi è?».

«Non ha detto il suo nome, ma sembra un uomo d'affari o qualcosa di simile da come è vestito».

«Odio gli uomini d'affari, ma dubito di poterlo evitare. Dov'è?».

«Credo sia in sala mensa - disse Jim con voce ironica - Buona fortuna!».

Harry entrò nella centrale ridacchiando e si diresse verso la mensa. L'ampia stanza era in quel momento vuota, ad eccezione di un uomo tarchiato sulla quarantina, vestito con giacca bianca e pantaloni dello stesso colore, che mangiava tranquillamente una bistecca offertagli dai Rangers.

«Buon appetito» disse Harry con artificiosa gentilezza.

L'uomo alzò gli occhi, lo squadrò da capo a piedi, poi chiese: «Harry Buckley, suppongo».

«In persona. Lei chi è?».

«Mi chiamo George Mc Manaman. Piacere» disse, alzandosi dal tavolo e stringendo la mano ad Harry.

«Mi hanno detto che lei voleva parlarmi. E' vero?».

«Si, ma si tratta di una faccenda molto importante, e preferirei parlarne in privato».

Dopo aver gettato un'occhiata dubbiosa alla sala vuota, Harry si costrinse a dire: «Venga nella mia stanza, allora» e si diresse verso l'uscita. Mc Manaman raccolse da terra una valigetta nera e lo seguì, lasciando metà della bistecca nel piatto.

Attraversarono un corridoio, poi entrarono in una stanza relativamente piccola, arredata, almeno parzialmente, in stile tropicale: un'amaca di rete al posto del letto, un armadietto d'acciaio, una scrivania, un attaccapanni appeso al muro e una sedia di vimini. Harry Buckley era un tipo decisamente spartano, nonostante quella stanza fosse il luogo dove passava la maggior parte del suo tempo. Aveva una casa a Seronera, ma vi passava al massimo un giorno ogni venti.

Harry appese cappello e fucile all'attaccapanni, poi si sedette sull'amaca: «Avanti, parli. Qui non può sentirci nessuno».

Mc Manaman si sedere sulla sedia, poi estrasse semplicemente una fotografia e la porse ad Harry: «Mi dica se riconosce l'animale che è raffigurato qui sopra».

Harry la guardò: ritraeva un grande lucertolone, color verde sporco sul dorso e color polvere sul ventre, con un collo lunghissimo terminante in una testa minuscola, un corpo massiccio, quattro zampe da elefante e una possente coda poco più corta del collo. Era sulla riva di un fiume, in mezzo ad una distesa di erba verdissima, con un bosco di alberi sullo sfondo.

Resistendo alla tentazione di sospirare, chiedendosi se il suo interlocutore lo stesse prendendo in giro, Harry disse: «E' un dinosauro, un sauropode direi, almeno a quanto ne so. Un modello fatto molto bene, tra parentesi: non ne avevo mai visti di così realistici, neanche in televisione. Tecnologia digitale?».

«No, signor Buckley. E' fatto così bene perché non è finto».

«Come, scusi?».

«Quello che ha davanti non è né un modello riprodotto né una ricostruzione al computer: quella foto l'ho scattata io all'animale vivente».

Harry lo fissò con aria perplessa, sempre più convinto che l'uomo fosse un buffone o un folle: «Mi sta prendendo in giro, vero?».

Mc Manaman tirò fuori una seconda fotografia: «Le sembra un modello o una ricostruzione al computer questa?».

Stavolta l'immagine mostrava lo stesso animale mentre brucava tranquillamente le fronde di una pianta simile ad una conifera, ma non era solo: dietro di lui c'era un intero branco di creature lontanamente simili a rinoceronti, ma dotati di un collare osseo intorno alla testa, due corna supplementari sopra gli occhi e una lunga coda da rettile. Non aveva modo di stabilirne precisamente le dimensioni, ma confrontandoli con gli alberi sembravano più grandi di un elefante. Harry da ragazzo si era molto interessato ai dinosauri, e riconobbe negli animali dei triceratopi, o comunque una specie dello stesso genere. Con un brivido, dovette ammettere che non sembravano veramente modellini e riproduzioni. Se da una parte sembravano a dir poco perfetti, dall'altra sui corpi si vedevano le piccole imperfezioni, le ferite, le rughe tipiche di animali reali. Sembravano… vivi.

«Com'è possibile? - chiese Harry, che quasi balbettava, non volendo ammettere quella che era l'impensabile verità - Non possono… non è possibile che… sta dicendo che sono veri?».

Mc Manaman lo fissò negli occhi, leggendo incredulità, ma anche la gioia di un bambino che spera di veder realizzato un sogno impossibile. Annuì con la testa.

Harry rischiò seriamente un infarto: era bianco come uno straccio, e sudava copiosamente. La sorpresa era stata totale. Tutto ciò che riuscì a dire fu: «Com'è possibile».

«Lei per caso ha letto il libro "Jurassic Park"?».

Harry scosse la testa: «No, ho visto solo il film. Cosa c'entra?».

«Io sono il direttore di un'industria di ingegneria genetica - rispose Mc Manaman - La G.G.E., che sta per Global Genetic Engeneering. Ci occupiamo di tutto, dagli interventi per rendere più produttivi i vegetali per la produzione alimentari a rendere resistenti alle malattie gli animali da allevamento, ma abbiamo sempre avuto piani molto più ampi. Se libro e film di "Jurassic Park" sono piaciuti al mondo intero, per noi sono stati una fonte di ispirazione. Non avevamo mai neanche pensato alla possibilità di ricreare i dinosauri, ma dopo due anni di studi approfonditi abbiamo concluso che esistesse veramente la tecnologia necessaria per provare a creare dei cloni di animali preistorici. Sono serviti altri tre anni di lavoro, ma alla fine, impiegando delle tecniche in parte simili a quelle che aveva immaginato Crichton, ci siamo riusciti: combinando il DNA recuperato da zanzare conservate, per l'appunto, nell'ambra, e completandolo con quello di uccelli moderni, i parenti più prossimi dei dinosauri, abbiamo ricostruito diverse creature risalenti al Mesozoico, sia vegetariane che carnivore, inclusi alcuni animali giganti, come ha visto dalla foto. Abbiamo ripreso dal libro anche l'idea dell'isola: abbiamo preso in gestione dal Belize un remoto lembo di terra nel Golfo del Messico, l'abbiamo modificata con piante ed alberi antichi perché ricordasse il più possibile il mondo di 65 milioni di anni fa, vi abbiamo trasferito animali ed attrezzature e per due anni abbiamo continuato il lavoro, ricreando quasi una ventina di specie di dinosauro provenienti da ogni parte del mondo, che siamo riusciti ad attribuire a specie ritrovate nel corso degli ultimi due secoli. Abbiamo costruito un centro per i visitatori, un laboratorio per gli scienziati ed i paleontologi che avessero voluto studiare i nostri fossili viventi, delle recinzioni elettrificate per separare i territori delle diverse specie, visto che non avevamo intenzione di scatenare una indiscriminata lotta per la sopravvivenza, un piccolo eliporto per facilitare l'accesso di turisti e materiali, visto che non siamo riusciti a trovare un punto adatto per un porto stabile, ed una modernissima centrale elettrica, funzionante in parte grazie al movimento delle onde ed in parte ad energia solare».

Harry era letteralmente stupefatto: ciò che stava sentendo sembrava la trama di un film di fantascienza, eppure sentiva che, per quanto assurdo, poteva essere reale.

«Credevamo che fosse tutto perfetto - continuò Mc Manaman - ed eravamo pronti per rivelare la nostra scoperta al mondo intero, quando si verificò un problema imprevedibile: la centrale elettrica subì un gravissimo guasto, e noi impiegammo oltre ventiquattro ore per farla ripartire, abbastanza da esaurire i generatori che avevamo predisposto. Nelle quasi sei ore di assenza totale di corrente gli animali sfondarono le recinzioni, uccisero diversi operai e guardiani ed arrivarono ad assalire il centro di controllo. Capimmo di non avere alcuna possibilità di riprendere il controllo, perciò decidemmo di evacuare l'isola. La G.G.E. rischiò la bancarotta. Molti, nel consiglio direttivo della società, proposero di sterminare gli animali e cancellare ogni traccia di quello che avevamo fatto, ma riuscii ad oppormi: feci notare che, se la situazione sull'isola si fosse stabilizzata, avremmo avuto la possibilità di presentare ugualmente la nostra scoperta. Un Mondo Perduto, per quanto artificiale, dove i dinosauri avevano ricostruito l'ambiente naturale di un'epoca scomparsa. Ci avrebbe reso comunque degli eroi. Le azioni della compagnia sarebbero salite alle stelle. Abbiamo quindi deciso di lasciare le cose come stanno per almeno un decennio, aspettando di vedere come si sarebbero evolute le cose».

Harry era completamente stupefatto, e faticava addirittura a parlare: «E' incredibile - riuscì a dire - Su un'isola dei Caraibi esistono dei dinosauri vivi e veri. E'… fantastico! Da quanti anni vivono liberi lì?».

«Quasi due» rispose semplicemente Mc Manaman.

«Ok, sto cercando di accettare questa cosa - borbottò Harry - Non è facile, credo lo possa capire. C'è una cosa, però, che non capisco: tutto questo com'è legato a me? Perché, su un intero pianeta, ha deciso di rivelare questa bomba proprio a me?».

«Perché di recente è sorto un problema di natura assolutamente inaspettata. L'isola che abbiamo preso in gestione, Isla de Rocas Negras, è disabitata, e con qualche mazzetta abbiamo convinto il Belize a dichiararla zona militare vietata. Quindi, da quando abbiamo evacuato, non c'è più stato alcun essere umano. Due settimane fa, però, una delle poche telecamere di controllo ancora attive sull'isola ha individuato quelli che noi abbiamo identificato come i resti di un battello da diporto schiantati su una delle spiagge. Su di essi era ancora leggibile il nome "Green Star". Abbiamo fatto qualche ricerca, ed abbiamo trovato una segnalazione di scomparsa fatta alle capitanerie di porto di tutti gli Stati Uniti e di Kingston: una barca con quel nome è scomparsa durante una tempesta nel Golfo del Messico. A bordo c'erano un grosso industriale di Biloxi, Lawrence Roberts, suo figlio Alexander ed un capitano di mare, che era il timoniere del battello, John Garrett. La ex moglie di Roberts aveva denunciato la sua scomparsa dieci giorni prima. Abbiamo individuato delle tracce semi-cancellate che dimostravano che i tre uomini, sopravvissuti al naufragio, si erano inoltrati nella giungla».

Harry fece due veloci conti mentali: «E' passato quasi un mese da quando sono finiti sull'isola, mi sembra impossibile che tre esseri umani possano essere sopravvissuti tanto a lungo in mezzo ai dinosauri».

«Sembrava assurdo anche a noi, a dire la verità, ma ci sono dei fatti nuovi: non più di dieci giorni fa una seconda telecamera, in un'area diversa dell'isola, ha registrato una sagoma di sembianze umane che attraversava rapidamente i cespugli, e non più di una settimana fa il solo microfono ancora attivo sull'isola ha registrato quello che è stato identificato come uno sparo. Questo ci ha convinto che, appena sette giorni fa, ci fosse ancora qualcuno vivo sull'isola, e potrebbe esserlo ancora».

«Non lo avrei mai detto: crederei a stento se mi raccontassero che un uomo è sopravvissuto un mese da solo qui nella savana, figuriamoci in quello che sembra il luogo più pericoloso del mondo. In ogni caso, per quanto abbia suscitato la mia curiosità, non ho ancora capito il mio ruolo in questa storia».

«Credevo che ormai fosse chiaro - rispose Mc Manaman - Abbiamo deciso che sarebbe disumano lasciare degli uomini a morire lì, ma anche ammesso che le autorità credessero alla nostra storia, impiegherebbero tanto di quel tempo a muoversi che, una volta che fossero pronti a salvarli, le ossa dei naufraghi sarebbero già divenute dei fossili. Visto che in un certo senso è colpa nostra se attualmente sono in pericolo, abbiamo stabilito che è responsabilità della G.G.E. salvarli, quindi stiamo organizzando una piccola spedizione che si recherà sull'isola. Abbiamo già assoldato un paleontologo, un esperto in macchinari, un meccanico di prima scelta, un pilota e diversi esperti in sicurezza. Abbiamo acquistato armi ed attrezzature all'avanguardia, ma ci manca qualcuno in grado di guidare l'operazione sul campo: gli uomini che ho reclutato sono esperti, ma sono sostanzialmente dei mercenari, mi serve qualcuno che sappia come sopravvivere in natura, che sappia confrontarsi con il lato selvaggio del mondo. Qualcuno come lei. Che cosa ne pensa?».

Harry lo fissò come un savio può guardare un pazzo: «E' sicuro di sentirsi bene?».

Mc Manaman sembrò adombrarsi: «Senta, ci stiamo organizzando affinché questa missione sia curata nei minimi dettagli: stiamo lavorando alla sicurezza e prevedendo anche gli imprevisti, in modo che nessuno si faccia male».

«Come avete fatto quando avete preparato l'isola per ospitare i dinosauri? - chiese con sarcasmo il ranger - Sembra che non abbiate capito un accidente dai vostri sbagli! Quanto a me, vedermela con i leoni ed i coccodrilli è una cosa, li conosco da una vita e sono capace di prevedere le loro mosse, in un certo senso. I dinosauri, dai quali nessun essere vivente può sapere cosa aspettarsi, sono una faccenda completamente diversa».

«So bene che ci sono centinaia di cose che possono andare storte - insistette l'uomo d'affari - Con animali simili non si può essere realmente sicuri di niente, ma non possiamo neanche lasciare degli esseri umani a morire lì senza tentare nulla per salvarli! Stiamo lavorando affinché l'intera operazione non duri più di due giorni, il tempo necessario per trovare i naufraghi e portarli via. Cercheremo, nel frattempo, di tenerci lontani dai territori dei carnivori. Comunque, non abbiamo discusso della cosa più importante per lei».

«Cioè?».

«Il suo compenso: le offro quarantamila dollari».

Harry sbuffò. Erano tanti soldi, ma non abbastanza per rischiare la vita fino a quel punto: «Neanche per il doppio ci verrei».

«Allora le offro il quadruplo - ribatté Mc Manaman deciso - Centosessantamila dollari per al massimo cinque giorni di lavoro. Anzi, no: sono disposto ad arrivare a duecentomila».

Ad Harry iniziarono a fischiare le orecchie: non aveva mai visto una simile quantità di denaro nella sua vita, e perfino i quarantamila iniziali sarebbero stati oltre due anni di stipendio come ranger.

«Ha detto due giorni sull'isola?» chiese con tono vago.

«Esatto, non di più».

«E che cercheremo di tenerci quanto più lontano possibile dai carnivori?» proseguì.

«Si, ma non posso credere che un uomo con la sua fama abbia paura di queste creature».

«Chiunque con un po' di cervello ne avrebbe, ma per duecentomila dollari sono pronto a scendere all'inferno a tirare la coda al Diavolo. Accetto, mister Mc Manaman».

L'uomo sorrise: «Perfetto! Inizierò subito a programmare il suo trasferimento per via aerea a…».

«Un attimo solo».

L'uomo d'affari rimase bloccato a metà del discorso.

«Lei è stato piuttosto vago su ciò che avete creato - lo incalzò Harry - Voglio sapere quali animali ci troveremo di fronte. Quali sono le specie che avete creato?».

Mc Manaman impiegò qualche secondo per rispondere: «Beh, la risposta non sarà esattamente precisa: alcune delle nostre specie non corrispondono esattamente ai ritrovamenti fossili. Le abbiamo attribuite per comodità a specie descritte, ma probabilmente si tratta di animali appartenenti alla stessa famiglia, benché distinti. Servirebbe uno studio prolungato da parte di un team di biologi e paleontologi per capirlo con esattezza - tirò fuori dalla valigetta un documento dall'aria ufficiale - In ogni caso, questa è la lista completa delle creature attualmente presenti sull'isola. Non abbiamo però un'idea precisa del numero dei soggetti, dall'ultimo conteggio ci sono stati quasi due anni di predazione e riproduzione incontrollate».

Harry afferrò il foglio ed iniziò a scorrerlo:

G.G.E

Lista creature ricreate

- Corythosaurus

- Parasaurolophus

- Kritosaurus

- Tenontosaurus

- Hypsilophodon (?)

- Gastonia (?)

- Pinacosaurus

- Prenocephale (?)

- Psittacosaurus

- Bagaceratops

- Triceratops

- Styracosaurus

- Stegosaurus (?)

- Brachiosaurus (?)

- Camarasaurus

- Saltasaurus

- Pteranodon

- Pterodactylus (?)

- Peteinosaurus

- Coelophysis (?)

- Cryolophosaurus (?)

- Noasaurus (?)

- Rugops (?)

- Tyrannosaurus Rex

- Velociraptor (?)

Harry sobbalzò diverse volte leggendo i nomi dei carnivori, e rischiò un mancamento quando I suoi occhi si posarono sul T-Rex, ma fu l'ultima riga a colpirlo particolarmente: dovette leggere tre volte prima di convincersi che c'era veramente scritto "Velociraptor".

Alzò lo sguardo dal foglio: «Qualcosa capisco di dinosauri: per "Velociraptor" intendete…».

Mc Manaman sembrò arrossire: «Beh, il nome in realtà non è esatto. Abbiamo ritrovato l'ambra in Nord America, quindi non è sicuramente la specie asiatica. Per di più è decisamente più grande, anche dei fossili di Deinonychus. Potrebbe trattarsi di una specie imparentata con l'Utahraptor, ma considerando che il nome con i quali li conosce la maggior parte della gente è quello…».

«E voi siete stati tanto folli da ricreare una macchina di morte come un Raptor gigante? - incalzò Harry - Un branco di leoni è nulla in confronto ad una muta di esseri come quelli».

Sul volto dell'uomo d'affari si dipinse uno sguardo indignato: «Senta, quando ci è capitata l'occasione e sono nati i primi esemplari non abbiamo potuto non approfittarne! Si tratta di una delle specie più famose al mondo, addirittura più del tirannosauro. Inoltre, quei duecentomila dollari dovrà pure guadagnarseli! - poi tornò a sorridere con cordialità: «Se faremo le cose nel modo giusto, comunque, non li vedrete neanche. Sarà una semplice passeggiata nella foresta».

Harry rimase pensieroso per qualche secondo, poi disse: «Verrò, ma non da solo. Le credo sulla parola riguardo alla bravura dei mercenari che ha reclutato, ma io voglio qualcuno di cui potermi fidare ad occhi chiusi. Se non mi consente di reclutare un secondo ranger di questo parco, può anche rinunciare alla mia presenza».

Mc Manaman dovette riflettere per poco: «Va bene, può arruolare un altro uomo, purché lo faccia in fretta».

Harry non dovette chiedersi per più di qualche secondo chi chiamare, e ancora meno tempo occorse a convincere Jim: non appena ebbe chiara la situazione, risultò subito chiaro che il ragazzo sarebbe andato anche gratuitamente, pur di vedere i dinosauri. Alla fine, però, firmò ugualmente un contratto da centomila dollari.

Occorsero solo poche ore ai due ranger per prendersi un paio di settimane di congedo: già prima di sera, sistemate le pratiche burocratiche ed impacchettate armi e bagagli, salirono su un piccolo aereo che li condusse all'aeroporto internazionale di Nairobi, dove li attendeva un jet che li avrebbe condotti in Belize, a supervisionare gli ultimi preparativi per la spedizione.

Harry non lesse mai il retro del foglio che gli era stato fornito da Mc Manaman: lasciò la Tanzania convinto che la cosa peggiore che si sarebbe trovato ad affrontare sarebbero stati i presunti Velociraptor. Non poteva sapere della presenza di altri due tipi di dinosauri. Il primo genere, i Compsognathus, non lo avrebbe certamente preoccupato: si trattava di un minuscolo carnivoro, poco più grande di un pollo.

Diversa era la situazione per il secondo tipo:

- Giganotosaurus

  
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