Passano pochi minuti e finiamo per
fronteggiarci. Lo zio che mi dà
di spalle rivolto al camino, io nero di rabbia in centro alla stanza.
Due
pianeti simili che vanno alla deriva e John nel mezzo che non sa dove
stare.
Nessuno di noi tre accenna a una
parola, mentre mi sento il cuore in tumulto. Oggi devo affrontare Serge
e mi
sento abbandonato come se avessi un buco dentro lo stomaco, e la testa
in
fiamme.
Allora John, mi guarda e mi
raggiunge, sa che sono agitato, perché mi conosce
più di Sherlock e si rivolge
a entrambi.
"Adesso, basta. Mettete da
parte ogni risentimento. Ora Sherrinford ha bisogno di sostegno, e tu
che sei
suo zio lo aiuterai." Si è schierato, e mi sento sollevato,
se non mi sono
vicini, non posso farcela.
Sherlock si volta, lui non concede
niente a nessuno, lui non ama nessuno tranne John e Rosie.
Mycroft è oltre.
È nella sfera
degli affetti familiari quelli acquisiti per nascita. Io non sono
niente.
Niente d'importante se disturbo i
suoi equilibri.
John lo fissa, si aspetta
qualcosa, sa del perché lo ama, sa come lui è
interiormente. E non sbaglia,
perché il corpo sinuoso di Sherlock si avvicina a me. Sotto
una cascata di
riccioli neri, che fremono vinti nell'ammettere che io sia vitale e che
sono una
parte di suo fratello. "Mi dispiace, non sono un buon esempio per te
come
zio, ma tu resta quello che sei."
Lo sento vicino mentre tenta una
scusa approssimativa.
"Zio, perdonami, ma non mi
piace essere un motivo d'intralcio tra voi, non voglio fare del male
né a papà,
né a te. So quanto vi amate. Scusa le mie parole avventate."
Non è tipo
che si commuove, ma va via rapido mentre John mi fa segno di lasciarlo
andare.
"Pranziamo ragazzo, prendi la
forza di cui hai bisogno e andiamo avanti." Watson è una
brava persona, lo
seguo silenzioso e mangiamo tutti insieme, senza tornare sulle parole
che ci
siamo detti solo per amore di una persona in comune, che nemmeno lo sa:
Mycroft.
Mangiamo silenziosi, poi lo zio
riceve una chiamata e deve uscire, ma prima mi fissa. "Sherrinford oggi
non fare di testa tua, e non reagire alle provocazioni. Scordati quello
che ci
siamo detti." Annuisco con la testa bassa. Mentre esce preoccupato.
Ma non riesco a togliermi di testa
le sue frasi.
Mi arriva un altro messaggio di
Serge, vuole vedermi tra un'ora al porticciolo.
"Devo uscire, mi
dispiace." Mi alzo frettoloso, mentre John è in allarme.
"Ricordati di togliere il
cerotto. E calcola i tempi d'intervento." Ma sono distratto. Mi si para
davanti arrabbiato. "Hai ascoltato quello che ho detto? Non pensare
alla
discussione con Sherlock."
Alzo le spalle, e lui tenta di
fermarmi, vado in camera a togliermi i vestiti comodi che uso per casa.
Quando
esco lo evito, mentre cerca di richiamarmi. Sono arrabbiato con tutti,
ho dato
il mio appoggio alla famiglia e proprio ora mi volta le spalle.
Sono o no, un Holmes anch'io?
Possibile che ancora non mi abbiano accettato? Questo dubbio mi fa
perdere la
testa, se mai ne possiedo una, perché adesso non vedo che
rabbia e rancore.
Credevo di contare qualcosa, di
fare la cosa giusta. Se voglio sapere chi era mia madre, a loro cosa
può
importare? Visto che sono stato abbandonato per anni, quale
può essere la mia
colpa in tutto questo?
Sento il cellulare vibrare,
immagino sia Anthea, lo vedo dallo schermo, ma sono così
adirato che non
rispondo. So esattamente di sbagliare, ma nessuno mi farà
desistere
dall'autodistruzione.
Urto un passante, nella fretta di
arrivare da Serge. Infilo le mani in tasca mentre mi rigiro la memoria
usb
nella tasca.
Eccolo Serge, tozzo e palestrato,
vestito di lusso, anche lui con un cappotto Crombie come quello di
papà.
"Ciao, ragazzino!" Già
come inizio mi fa irritare. "Serge, che piacere vederti, si nota la tua
eleganza."
Ride, ma a metà. "Sei
arrogante come sempre, mi piacerebbe sculacciarti, ragazzino."
Lo fisso torvo. "Tu provaci e
il tuo padrone non vedrà più nulla." Sento
tremare la mano infilata in
tasca.
Ride di nuovo agitando la testa
calva. "Avanti non tirare la corda, ragazzino dammi quello che mi
serve."
"La vuoi, Serge?" Agito
la memoria per aria di fronte al suo naso. Mi fissa con gli occhi scuri
e non
si trattiene. "Imbecille, vuoi mettere un annuncio, che tutti lo
sappiano?" Mi prende per il braccio e lo stringe, perdo la calma, gli
piazzo un calcio e lascia la presa. Ma la reazione è rapida,
forte, mi allunga
uno schiaffone che fa decisamente male. "La mia pazienza è
finita, piccolo
cialtrone, non assomigli per niente a tuo padre, magari non sei nemmeno
suo
figlio." È vicino, decisamente troppo, sento il suo alito
impregnato di
fumo di sigaretta.
"Vattene affanculo, Serge
questa la tengo io. Fa il cane da guardie ad Auberton, digli che questa
gliela
do di persona. Anche ora, se vuole." Serge vibra di rabbia, so che sto
rischiando, ma l'auto nera di Albert arriva improvvisa e scende Anthea.
"Stavolta te la cavi, idiota,
la prossima volta non arriverà papino a salvarti il culo."
Si allontana
con un sorriso falso, aggiustandosi il vestito.
"Serge, sarò un idiota,
ma
questa oggi non la porti al tuo padrone. Ora va a sbavare dal lui."
Anthea mi ha ritrovato tramite il
chip, si avvicina con fare sinuoso, la conosco è preoccupata
e anche furiosa,
ma lo maschera bene. "Sherrinford ti ho cercato dappertutto, possibile
che
finisci per fare quello che vuoi? Dovevamo fare acquisti, te lo sei
scordato?"
La voce è calma, lo sguardo che mi restituisce potrebbe
incenerirmi.
Parto con la recita, mi calmo e
sono soave come un bambino distratto. "Ho incontrato un amico, facevamo
due chiacchiere. Ti ricordi di Serge? Una persona squisita." Lui mi
guarda
trattenendo l'ira, e finisce per abbozzare, sa che possiedo la memoria
con le
password, fa un falso inchino ad Anthea.
"Bene signorino Holmes. Alla
prossima volta, mi saluti suo padre." Ghigna mentre si gira e se ne va
altezzoso.
Anthea sorride nella sua
direzione, mentre mi pianta le unghie sul braccio. "Sei impazzito?"
Mormora a denti stretti. "Stavi mandando tutto a puttane." Mi
trascina via, fingendo di prendermi sotto braccio.
"Ti ha colpito?" Le
rispondo sempre sorridendo, come se parlassimo del panorama o della
giornata
soleggiata.
"Si, un robusto ceffone, ma
io gli ho dato un bel calcio." Lei stringe il mio braccio
più forte.
"L'ho visto, veramente una mossa da imbecille. Ma che cosa ti
è preso
oggi? Ti ho lasciato sereno e ti ritrovo arrabbiato con tutti."
Mi guarda mentre saliamo in auto.
Quando è dentro alza subito la voce. "Idiota, vuoi farti
ammazzare? Sono
dovuta intervenire. Serge è un assassino, se non lo sai.
Uccide le persone per
molto meno." Non so cosa dire, mi volto dalla parte del finestrino
cercando
d'ignorarla. "Guardami Hayc, non fare il bambino. Hai fatto una
cazzata,
ma non c'è da stupirsi visto che spesso fai di testa tua. Se
inaffidabile,
quale Holmes si comporterebbe così?" Si zittisce, poi
diventa acida.
"Tuo padre non sarà fiero di questo."
Mi giro lentamente, la rabbia
dentro è tanta, improvvisamente sono consapevole di non
essere all'altezza.
"Non sono un Holmes, è vero, non mi accetteranno mai in
famiglia,
certamente non Sherlock. Nessuno nemmeno io posso scalfire il loro
amore
fraterno." Ritorno a guardare dal finestrino, ma la voce mi ha tradito.
Anthea rimane muta di colpo, forse intuisce qualcosa. "Hai discusso con
Sherlock e John, dopo che sono uscita?" Si è leggermente
calmata, adesso è
più dolce.
Non ho voglia di dire
più nulla,
scusa Anthea." Le mormoro senza girarmi, guardando la strada che scorre
veloce, come tutta la mia vita. "Su di una cosa hai ragione. Sono un
Sinclair, non un Holmes." Mi chiudo in un mutismo feroce, so che
sbaglio
in continuazione e il fatto di non maturare mi rende infelice.