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Autore: Fran Truth    24/04/2021    0 recensioni
Crowley non si aspetta più nulla dalla vita: una laurea in astronomia presto ridotta a un hobby solitario e notturno, il lavoro come insegnate di fisica, il sabato sera al bar con gente sconosciuta. Una routine fiacca e maniacale rotta solo da qualche pomeriggio in compagnia di Anathema, sua collega e vicina di casa, e nulla più. Finché una telefonata dall’Italia non rompe tutti gli schemi, perché la figlia di sua sorella Helen, morta quasi sedici anni prima, è rimasta orfana e senza parenti. Isotta si vede così costretta a lasciare Trieste, il mare e Ilenia, il suo primo e ancora fragile amore.
Aziraphale credeva di aver finalmente trovato il suo equilibrio, barattando il mondo esterno con quello dei suoi libri, ma a un certo punto si ritrova a soffocare nella sua stessa bolla. Preso da un impellente desiderio di sfuggire a quella solitudine, pubblica un annuncio di lavoro alla porta della sua libreria. Isotta coglie quella che sembra una piccola possibilità di ripartire, ammaliata da quell’angolo di mondo che odora di carta e tè, una luce in fondo a quel tunnel di delusione. Quel fioco bagliore si avvicina sempre di più e, infine, illumina tutti e tre.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La pausa pranzo durò meno del solito. Leslie era arrivato con un carico mastodontico di ordini a causa del ritardo accumulato nei giorni precedenti e una montagna di scatoloni disseminava il retrobottega. Mentre Aziraphale armeggiava con le forbici, avendo cura di non graffiare i libri, Isotta faceva avanti e indietro portando due pacchi per volta.

«Sei sicura di farcela, cara?». Di solito lasciava si organizzasse come più preferiva, ma le guance porpora e le braccia tremanti sotto il peso dell'ennesimo giro tradirono i suoi sì accennati con la testa. «Quanti ne mancano?»

«Pochi» rispose appoggiando un pacco sul tavolo. «Ce la faccio».

Aziraphale avrebbe voluto dirle che non c'era alcun bisogno di fare l'eroina, ma Isotta sparì di nuovo nel retro. Sospirando, scartò la scatola che gli aveva appena portato, decorata con un ghirigoro nero che non lasciava spazio a dubbi: i suoi acquisti personali di novembre, in ritardo di due settimane. Si infilò i guanti e le alette di cartone rivelarono quattro volumi a stampa dall'austera copertina marrone. Sollevandola, la laguna di Venezia si erse dall'inchiostro del frontespizio, con il campanile di San Marco che troneggiava dietro alla Marciana. Era ironico come avesse visto più immagini di quel tipo su Venezia che cartoline.

Isotta tornò con altro cumulo di scatole. «Finito» esalò lasciandosi andare sulla sedia. «Sono arrivate le nuove edizioni dei classici americani, lì ci sono i saggi di Eva Cantarella e Leslie ha detto che i manoscritti da Manchester non sono ancora partiti».

Aziraphale lasciò il manuale. «Riposati un attimo». Le versò un po' d'acqua. «Non serve mettere tutto a posto subito, prendi un respiro».

«È tutto in ritardo».

«Non certo per colpa nostra. Tranquilla e bevi».

Il campanello suonò di nuovo e oltre il vetro Leslie agitò il braccio.

«Ancora?» Isotta si alzò, ma Aziraphale la fermò con un cenno. «Vado io».

Aprì la porta e Leslie quasi gli schiacciò il pacco contro il petto. «Scusi, era rimasto in fondo. Buona giornata!» e saltò sul furgone.

Aziraphale controllò l'etichetta: romanzi freschi di pubblicazione che ordinava solo per guadagnare qualche extra, nulla di interessante. Lasciò la scatola accanto alla cassa, tornò nel retrobottega e trovò Isotta con il visino immerso nel pacco con i manuali. Il cuore gli si fermò un attimo, ma si calmò quando vide le mani bianche e secche dietro la schiena e non a sporcare le pagine di sudore.

«Isotta».

Lei si girò di scatto e imprecò in italiano. «Non volevo fare niente!»

«Lo so, lo so». Chiuse il pacco e se lo caricò fra le braccia. Guardò Isotta grattarsi il collo con lo sguardo piantato in basso. Una bambina scoperta con le mani nella marmellata. «Se sei curiosa basta chiedere, Isotta».

Inarcò un sopracciglio. «Me li lascerebbe vedere?»

«Mh» strinse il pacco con gelosia. «Non da sola. Non tutti». Isotta sorrise come una ragazzina davanti ai regali di Natale e Aziraphale capì che la sua coscienza non gli avrebbe mai permesso di ritirare la promessa, a quel punto. «Su torniamo a lavoro».

Gli scaffali mezzi vuoti recuperarono colore in meno di un'ora, con largo anticipo rispetto all'ora di apertura. In attesa del rintocco delle tre si sedettero entrambi su divani al centro, ognuno col proprio libro. Aziraphale sbirciò oltre il suo "Paradiso Perduto" per guardare il titolo del romanzo di Isotta: "Far From The Madding Crowd" capeggiava sulla copertina dell'ultima edizione che lui stesso aveva acquistato per la libreria. Non l'aveva mai vista leggere romanzi che non fossero in italiano.

«Thomas Hardy?» domandò.

Isotta girò la pagina senza sollevare lo sguardo. «Era da un po' che volevo provarlo. Ho visto il film».

«Quindi sai già come finisce».

«Ma leggerlo è diverso». Dopo qualche minuto gli chiese: «Signor Fell, può spiegarmi una frase? Penso ci sia un modo di dire ma non lo conosco».

«Certo, vieni cara».

Saltò giù dal divano con uno slancio e prese posto accanto a lui, investendolo col fievole profumo di cocco che l'accompagnava ogniqualvolta si facesse la piega. I capelli le erano cresciuti fino a sfiorarle il collo all'altezza della tiroide.

«Dove?» le chiese. Gli indicò l'ultimo paragrafo della pagina, ma prima che potesse leggere la campanella trillò. Aziraphale alzò gli occhi al cielo. «Siamo chiusi!».

«Siamo noi, Aziraphale!».

Raggelò. La voce morbida di Gabriel era accompagnata da un doppio rumore di passi sui tappeti. Isotta gli rivolse un'occhiata confusa. «Chi sono?»

«I miei fratelli» mormorò. Le restituì il libro. «Resta qui un attimo».

Scese le scale del pianerottolo rialzato sistemandosi il papillon. Oltre una serie di scaffali Gabriel stava soppesando un grosso manuale dalla copertina cremisi e ridacchiava con Sandalphon.

«Ciao... » si limitò a dire.

Gabriel alzò la testa. «Ancora in pausa, Azi? Non conosco un negozio in tutta l'Inghilterra che stacchi per quasi tre ore».

Aziraphale rispose con un sorriso imbarazzato. «Avete bisogno di qualcosa?»

«Volevamo parlarti dei disegni».

«Daniel ve li ha portati?».

«Sì» il sorriso rigido di Sandalphon si spense. «Ma averli in un file e non solo su carta non avrebbe fatto per niente male, sai».

Aziraphale si tormentò le mani dietro la schiena. «Ma ho sempre disegnato su carta...»

«In azienda le cose sono un po' cambiate. In generale tutto il mondo è andato avanti, Azi, l'epoca della carta» Gabriel si guardò intorno ghignando, «sta volgendo al termine».

Aziraphale si limitò ad annuire trattenendo il suo disgusto. «Volete dirmi qualcosa sui disegni, allora?».

Gabriel allargò le braccia. «Sì e no, ma non c'è fretta, andiamo. Piuttosto, perché non ci presenti la tua piccola amica?».

Uno schiaffo nella voce. Aziraphale impiegò un secondo in più per rispondere. «Scusa?»

«Solo curiosità, Aziraphale» disse Sandalphon. «Poi possiamo parlare di affari. Vogliamo vedere chi ha fatto breccia nel tuo mondo».

Quei continui attacchi indiretti alla sua solitudine – o misantropia, così loro la definivano – erano l'arma che portavano sempre con sé, un continuo sparo al cuore del suo vivere. Non volevano vedere Isotta, Aziraphale era certo che volessero soltanto un altro punto in cui colpirlo, ora che non potevano più definirlo un puro eremita. «Credo sia meglio di no».

«Oh avanti, non c'è Angélique, nessuno la morde» Sandalphon rise e Gabriel lo seguì. «Non è educato escludere le persone. Mica hai qualcosa da nascondere, no?».

Aziraphale si morse il labbro dall'interno. Sorridevano con lo stesso sorriso finto e cortese, come marionette mosse dal medesimo burattinaio. Cosa avrebbero detto di lui tornati a casa, se non avessero visto Isotta? Cosa avrebbe pensato Isotta di loro, di quel gruppo che per grazia del Signore non aveva mai varcato le soglie della libreria dall'inizio del suo contratto?

«Aziraphale, cosa diamine hai da essere così titubante? Non siamo bestie. È questo che pensi di noi? Davvero?» Gabriel mosse un passo verso di lui e gli diede qualche pacca sulla spalla. Aziraphale si scostò dal suo tocco e annuì.

Raggiunse il piccolo atrio al centro. Isotta si era infilata tra le pile di libre sopra i tavoli e piccola com'era non avrebbero mai potuto vederla dalla cassa. Aziraphale le toccò la spalla, coperta dal maglioncino verde, e lei lo guardò con i suoi occhi da bambina che parevano dire "non mi faccia uscire, non voglio vederli". Non disse nulla, ma il suo silenziò gli provocò un senso di nausea verso se stesso. «Solo un attimo».

Lo seguì a testa bassa. Gabriel allargò le braccia e con entrambe la mani fece loro segno di avvicinarsi. «Oh, ecco la graziosa fanciulla straniera».

Isotta si bloccò all'istante e fece un flebile versetto indignato. Riprese a camminare solo quando Aziraphale le poggiò la mano sulla nuca: era colorita e bollente. Non vedeva il suo volto a causa delle ciocche brune che aveva portato davanti mentre scendeva le scale, ma se lo immaginò rosso vivo.

Rimase un passo indietro rispetto a lui, ma sollevò la testa e si portò la mano alla giugulare. «Buon... giorno».

«I miei fratelli» disse Aziraphale. «Gabriel e Sandalphon. Ragazzi, Isotta». Il cuore gli batteva come se avesse corso per miglia.

Gabriel si avvicinò e, con un sorriso smagliante stampato in volto, allungò la mano verso Isotta. Lei lo imitò, ma invece di ricambiare l'offerta di una stretta Gabriel le prese una guancia tra le dita.

«Ma che fa?!»

«Gabriel!» Come mosso da una mano invisibile, Aziraphale agguantò Isotta per le spalle e la tirò a sé, staccandola dal tocco di Gabriel.

Lui ridacchiò. «Addirittura, Azi? Volevo solo essere amichevole!» si abbassò per guardare Isotta in faccia e Aziraphale la lasciò. Si stava massaggiando la guancia e Gabriel indietreggiò di un passo quando sollevò la testa, ma ritrovò presto la sua compostezza. «Da dove vieni, tesoro?».

«Italia» rispose atona.

«Il bel paese!» s'inserì Sandalphon. «Ora sono curioso. Firenze? Roma? Venezia?»

«Trieste».

Entrambi storsero il naso. Aziraphale si maledì mille volte per averla trascinata davanti a loro.

«E sei qui per...?»

Isotta esitò. «Imparo l'inglese» mormorò incerta. Gabriel e Sandalphon si guardarono perplessi, ma Aziraphale prese la parola prima che potessero commentare.

«Volevate parlarmi?».

Gabriel tornò a sorridere. «Certo, dei nostri affari importanti». Indicò Isotta con lo sguardo e con la mano fece segno ad Aziraphale di mandarla via. Pregò che non volessero rivederla.

«Andate pure nel retrobottega» disse loro. Sfiorò la schiena di Isotta. «Vi raggiungo subito».

Fecero come indicato. Aziraphale trascinò Isotta accanto alle scale e cercò invano il suo sguardo. Si toccava ancora la guancia, la bocca contratta in una smorfia di disgusto. «Mi dispiace Isotta, non pensavo che... Sono molto invadenti, lo so... » si fermò quando lei scosse la testa.

«Non fa niente» disse. «Devo andare via?».

«Vai pure di sopra» le porse le chiavi dell'appartamento. «Prendi quello che preferisci in cucina. Leggi i libri che vuoi, ma non toccare quelli sulla scrivania. Spero mi lascino libero per l'apertura».

«Mh, ok. Riprendo il libro». Saltellò fino ai divani, recuperò la sua copia di "Via dalla pazza folla" e salì i gradini due a due senza guardarlo.

Aziraphale prese due grandi respiri prima di andare nel retrobottega. Non si aspettava che i suoi fratelli sarebbero venuti a trovarlo così presto, o che, semplicemente, sarebbero venuti. La notte stessa in cui Gabriel gli aveva chiesto dei progetti si era messo subito di buona lena, lasciando da parte il manoscritto del "Beowulf" su cui stava lavorando. Aveva recuperato e rivisto vecchi disegni che non aveva mai mostrato a loro e aveva seguito il consiglio di Gabriel: "sbizzarrisciti". Non che potesse lavorare molto di fantasia su giacche, pantaloni e cravatte da uomo, non erano mai state il suo forte. Dopo due notti poté considerare concluso il suo lavoro. Gabriel non gli aveva detto di preciso quanti disegni volesse, per cui Aziraphale ne aveva preparati una ventina. Era un po' fuori esercizio e la stanchezza non era d'aiuto, ma se Gabriel avesse avuto bisogno di una revisione non aveva poche persone a cui richiederla. Evitando di farsi troppe domande, li aveva consegnati a Daniel il giorno del loro pranzo al Ritz e da allora non gli avevano nemmeno più sfiorato la mente. In fondo, sebbene nessuna dei suoi fratelli avesse mai apprezzato la sua decisione di mettersi in proprio, lui era fuori dalla Fell.

Trovò Gabriel e Sandalphon seduti al tavolo del retrobottega. «Volete del tè?» domandò. Sperava di addolcirli un po', dopo la scena di prima.

«Oh, sì» rispose Gabriel. «Hai ancora quelle infusioni da Birmingham?».

«Qualcuna».

Preparò l'acqua e tre classici. Appoggiò tre tazze sul ripiano e sciacquò in fretta le due rimaste dalla fine della pausa pranzo, la sua che ancora odorava di tè e quella che ormai era diventata "quella di Isotta", con le foglie verdi, sporca di caffè, e le infilò in lavastoviglie.

«È una ragazzina un po' strana» commentò Gabriel.

Aziraphale cercò di non guardarlo. «Strana?»

«Non guarda nessuno in faccia» disse. «E sei sicuro non abbia qualche problema agli occhi?».

Aziraphale impiegò un attimo a realizzare cosa intendesse: ormai non badava più al colore diverso delle iridi di Isotta. «Sono sicuro sia nata così. Non credo sia un problemaPuò succedere».

Gabriel schioccò la lingua. «Fosse mia figlia la farei sistemare. Almeno con le lenti a contatto, santo Dio».

Spero tu non abbia mai dei figli, allora pensò Aziraphale.

«Ha un accento un po' strano» aggiunse Sandalphon. «È diverso da quello del ragazzo che abbiamo avuto qualche anno fa, quello che portava sempre i dolci della Sicilia».

«Ovvio, viene dal confine con la ex Jugoslavia. Probabilmente sono tutti mezzi slavi, laggiù dove viveva lei».

Aziraphale portò le tazze sul tavolo reprimendo una rabbia che gli era salita in gola come fosse bile: Isotta era in parte slava ed era certo non fosse un caso isolato, ma il commento di Gabriel non era certo di lode.

«Sei sicuro sia qui per imparare l'inglese?» domandò Gabriel zuccherando il tè con due cucchiai pieni. «Non mi sembrava molto convinta. Non che possa dire granché, dato che parlava al pavimento».

«Anche a me ha detto così» mentì. Gabriel era veramente l'ultima persona a cui avrebbe raccontato cosa era successo a Isotta. «Non è raro».

«E dove vive? Avrà affittato un appartamento in periferia, presumo».

«A Camden Town».

Mossa sbagliata. Gabriel ghignò. «Ah, capisco dove sei andato a curare il tuo "mal di testa"».

Aziraphale era ormai certo che quel giorno sarebbe morto di infarto, se Gabriel non se ne fosse andato. «Non capisco cosa intendi».

«Michael ti ha visto uscire da un taxi a Soho, alle undici di sera» sbatté in malo modo la tazza sul tavolo, sporcandolo con qualche goccia di tè. «Un po' tardi, visto che te ne sei andato prima delle nove e mezza».

«Un cliente mi aveva chiamato» buttò lì Aziraphale, cercando di fermare il tremolio alle mani. Ringraziò Dio che non l'avessero visto a Camden a quell'ora, o mentre usciva dal palazzo di Isotta e del Signor Crowley. Conoscendo Michael, avrebbe riferito a Gabriel nomi e cognomi di tutti i condomini e non ci avrebbero messo molto a fare due più due. «Un tipo strano, il signor Ward. Chiama quando gli pare e insiste come se dovesse morire il giorno dopo. Prima ho fatto un salto in farmacia per compare un analgesico».

I suoi fratelli si guardarono con il dubbio in volto, ma non parevano avere nulla contro cui ribattere. Gabriel sospirò rumorosamente e, dalla ventriquattrore che si portava sempre appresso estrasse una serie di fogli ricolmi di segni rossi, come un professore che consegna le verifiche corrette. Una serie di verifiche andate assai male.

«Torniamo a noi. Abbiamo guardato i tuoi disegni, sono ok, ma... ».

Non un solo disegno era sopravvissuto al tratto color sangue. Gli dissero fosse opera di Daniel e Aziraphale preferì non esprimere la sua forte perplessità. Daniel amava i suoi lavori, lo aveva sempre fatto e amava soprattutto gli schizzi di abiti da donna che faceva quando, in ufficio, si annoiava e non poteva leggere.

Ascoltò a metà quello che gli dicevano sui disegni, non che fosse qualcosa di nuovo: troppo fantasioso, troppo informale, il tartan è passato da anni. Un disco registrato. Sperò che il cellulare squillasse, che Michael o Uriel lo chiamassero per un affare urgente, così che lui potesse tornare al suo John Milton e a spiegare a Isotta il passaggio che non aveva capito. Le sue preghiere rimasero inascoltate.

«Aziraphale».

La voce gelida di Gabriel lo destò. Suo fratello piantò gli occhi nei suoi, colmi di irritazione. Appoggiò il gomito sul tavolo e strinse fra le dita il ponte del naso. «Perché sei sempre da un'altra parte... ».

Sandalphon scosse la testa e si alzò in piedi. «Ti dispiace se uso il bagno?».

Si incamminò verso le scale ancora prima che Aziraphale gli dicesse «Vai».

«Lasciamo stare 'sta roba» Gabriel infilò in malo modo i disegni nella cartella. «Andiamo al punto. Ti ho già detto che alla Fell ci sono... dei problemi, no?»

«Sì».

«Ho parlato un po' con Michael e Uriel e anche con la mamma» si appoggiò allo schienale e sospirò. «Hanno visto anche loro i disegni. Siamo disposti a farti tornare al tuo posto».

Aziraphale per poco non sputò il tè. Lasciò la tazza sul tavolo e si alzò in piedi. «Gabriel, ma che stai dicendo?»

«Che puoi tornare ad aiutarci».

«Non ve l'ho mai chiesto».

«Cosa?»

«Di tornare».

«Non importa, le porte sono aperte».

Aziraphale lo ascoltava come stessero parlando due lingue diverse. «Non m'interessa. Questo è il mio lavoro, adesso». Gli tremò la voce. Aveva l'impressione che Gabriel potesse appiccare un fuoco da un momento all'altro.

Si alzò in piedi anche lui. Erano alti uguali e con soli tre anni a separarli, ma Aziraphale si sentì infimo. Vulnerabile, di fronte a quell'espressione di velenosa affabilità. «Questo? Vendere romanzetti?».

Una fiamma gli bruciò il petto. «Non vendo romanzetti».

«No, scusa, tu vendi cultura. Così diceva lo zio, no? Migliaia e migliaia di sterline in carta ingiallita!».

«Non... non cambia i fatti. Ve l'ho detto, io resto qui» fece per uscire dal retrobottega. Aveva caldo, sentiva il sangue fluire alla testa. «Chiama Sandalphon e andate, se era questo che volevate dirmi. Devo aprire».

Gabriel gli afferrò il braccio e lo costrinse a rientrare. «Giusto, perché adesso il tuo lavoro è anche coccolare una ragazzetta straniera? La nostra presenza interrompe il vostro salottino letterario?».

«Lascia stare Isotta» deglutì scrollandosi di dosso la mano di Gabriel. «Non c'entra niente».

«Eppure preferisci la sua compagnia alla nostra» ghignò. «Dillo che sei andato da lei, quando sei scappato a Camden».

«Ti ho detto di no». Dovette fare appello a tutte le sue forze per stare calmo. Sbraitare lo avrebbe solo messo in una posizione di svantaggio.

«Allora sono curioso: di cosa voleva parlare questo "signor Ward"? Poemi cavallereschi?».

«Testi germanici della prima metà del dodicesimo secolo sull'uso delle erbe mediche in Baviera» esalò tutto d'un fiato dopo aver adocchiato un testo tedesco di medicina appartenuto a un monaco.

Gabriel assunse un'espressione contrita. «Che razza di roba vendi?».

Aziraphale si limitò a fare spallucce. «Tornando a noi, la mia risposta non cambia».

«Ma ci serve il tuo aiuto! Altrimenti va tutto in malora!».

Aziraphale sbuffò. Gabriel doveva essere impazzito: per anni lo aveva deriso e ora lo trattava come il salvatore del patrimonio di famiglia e lui non ne capiva il motivo. Era tutto così vago, il telegramma confuso di un disastro lontano. «Gli affari vanno e vengono, Gabriel. Sono sicuro che riuscirete a tirarvi su». Rumori di passi, Sandalphon rientrò nel retrobottega a Gabriel lo guardò in tralice. «Se avete bisogno di qualcuno che faccia il mio mestiere, il mondo ne è pieno».

«Non abbiamo tempo da perdere».

«Non ci vorrò molto e io di certo non sarei il benvenuto».

«Nessuno tirerà fuori la storia di Oscar, nessuno ti darà fastidio».

«Non importa. Io resto fuori» indicò loro la porta. «Questo è tutto quello che ho da dirvi».

Lo schiaffò arrivò come un tuono nel buio della notte, uno schiocco assordante nel silenzio. Aziraphale si massaggiò la guancia e guardò Gabriel sconcertato. Lui e Sandalphon gli camminarono oltre con passi di ferro.

«Stronzo, finocchio pigliainculo!».

Il vetro della porta vibrò con la campanella. Aziraphale si voltò e incontrò il viso scioccato di Isotta sulle scale.

 

   
 
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