Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: heliodor    24/04/2021    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Confessione
 
Lo scatto metallico della serratura la fece sussultare. Accucciata in un angolo della cella, le gambe raccolte contro il petto e la testa appoggiata alle ginocchia, si era assopita. Gli occhi le bruciavano dopo che aveva pianto e li aveva asciugati passandoci sopra il dorso della mano. Indossava ancora la blusa e i pantaloni di chissà quanti giorni prima, quando era tornata a palazzo.
Il ricordo doloroso di quel giorno tornò a tormentarla. La foresta, la ricerca dell’albero dei corvi, il vecchio che viveva nella tana e il ritorno a Ferrador, il viso sofferente di Doryon e poi le sue parole di ringraziamento dopo che lei l’aveva fatto stare meglio.
Quelli erano i ricordi felici di una vita che era crollata in pezzi come uno specchio infranto.
Dopo di questi iniziavano i ricordi dolorosi, quelli che la tormentavano nel buio. L’accusa della governatrice, lo sguardo di Dalkon simile a quello del lupo che ha messo in trappola la sua preda, il morso doloroso delle manette strette ai polsi e la durezza del pavimento sul quale era stata gettata, la porta della cella che si chiudeva alle sue spalle e che da quel momento non si sarebbe mai più riaperta e lei che batteva i pugni contro la porta implorando che l’ascoltassero.
Aveva battuto i pugni fino a ferirsi ma nessuno aveva risposto. Ogni tanto nel buio sentiva dei passi muoversi dietro la porta, ma nessuno si fermava più di qualche istante. Una volta al giorno uno sportello alla base si apriva e un vassoio veniva spinto all’interno.
La prima volta che era accaduto una voce resa metallica dalla porta che la divideva da essa aveva detto: “Quando hai finito avvicina il vassoio allo sportello e allontanati. Prova a tenerti il vassoio e non mangerai per tre giorni.”
“Chi sei?” aveva gridato Valya alzandosi di scatto. “Perché mi tengono qui? Che cosa ho fatto?”
Nessuno aveva risposto.
Il vassoio aveva un solo piatto pieno di brodaglia e una caraffa mezza piena d’acqua.
Il primo giorno aveva rifiutato il cibo e l’acqua, mettendo il vassoio accanto allo sportello come le avevano ordinato di fare.
Il vassoio era stato ritirato e niente era accaduto.
Il giorno dopo, anche se al buio era impossibile dire quanto tempo fosse passato, lo sportello si era aperto e il vassoio era stato spinto dentro la cella.
“Per favore” aveva detto Valya. “Posso parlare con la governatrice? Potrei spiegarle che è tutto un malinteso.”
Lo sportello si era chiuso per riaprirsi solo qualche tempo dopo, quando si era ritirata in un angolo per piangere.
Nella cella non c’erano giacigli dove stendersi e a parte un foro dove fare i propri bisogni non c’era altro. Dopo qualche tempo gli occhi si erano abituati al buio ma non c’erano particolari da studiare. Le pareti erano lisce e grigie, il pavimento era una lastra di pietra unica, anche se graffiata e consumata dal tempo.
Senza qualcosa a distrarla passava il tempo a dormire stesa sulla pietra. Ogni tanto si alzava per sgranchire le gambe e la schiena o faceva una ventina di giri della cella, ma le bastava qualche passo per coprirne il perimetro e si stancava più in fretta di quanto dovesse.
Quel giorno il vassoio non era arrivato e lei sentiva i morsi della fame e della sete tormentarla. Aveva l’impressione, anche se non poteva esserne sicura, che ogni pranzo giungesse sempre più tardi rispetto a quello precedente, acuendo la sensazione di sete e fame.
Morirò qui dentro, pensò. Morirò senza rivedere la luce del sole. Mio padre. Cambolt. Zane. Doryon. Ferg. Nessuno si ricorderà di me e se lo faranno mi conosceranno come una traditrice che ha cercato di avvelenare Doryon.
Il rumore metallico di qualcosa che veniva inserito nella serratura la fece trasalire. Alzò la testa di scatto fissando la porta che si apriva e una lama di luce che tagliava a metà il muro dietro di lei.
Davanti alla luce intensa dell’esterno dovette socchiudere gli occhi.
“In piedi” disse una voce decisa.
Valya esitò.
“In piedi, svelta. Non fartelo ripetere.”
Si alzò su gambe incerte e dovette appoggiarsi con la schiena al muro per non crollare a terra.
“Esci” disse la stessa voce.
Valya si diresse verso la luce e ne venne immersa. Quando superò la soglia una mano le afferrò il braccio e lo tirò strappandole un grido di dolore e sorpresa.
“Zitta. Non una parola o torni nella cella. Al buio.”
Valya serrò le labbra. Guardò in alto, verso il volto della persona che aveva parlato. Era quello di Donn Ballard, il cane da guardia di Dalkon.
“Che hai da guardare, traditrice?”
Valya abbassò gli occhi.
Ballard la guidò per il corridoio fino a un banco di legno che era stato messo di traverso in mezzo al passaggio. Dietro di esso c’era una figura seduta e, al suo fianco una seconda in piedi.
Quello seduto era Dalkon.
Quella in piedi era una donna dal saio azzurro chiaro e i capelli spruzzati di grigio. In una mano aveva una pergamena srotolata e nell’altra una matita.
Ballard la condusse fino a due o tre passi dal banco. “Fermati qui” disse. “E non muoverti. Per nessun motivo. Se lo farai ti farò provare il dolore più intenso della tua vita. Hai capito?”
“Sì” rispose Valya.
Dalkon sembrò soppesarla per qualche istante, poi disse: “Sagana. Prendi nota di quello che diremo in questo interrogatorio.”
La donna col saio azzurro annuì. “Trascriverò ogni cosa, comandante.”
Dalkon tornò a guardarla con sguardo impassibile. Nella mano aveva qualcosa che poggiò sul tavolo con un gesto solenne.
Era il sacchetto che il vecchio della foresta le aveva dato. L’antidoto al veleno di Doryon.
“Lo riconosci?” chiese Dalkon.
Valya annuì.
“Devi rispondere con un sì o con un no.”
“Sì.”
“L’hai portato tu a palazzo?”
“Sì.”
“E hai costretto Doryon a berne un po’ mischiato in una coppa d’acqua.”
“Non l’ho costretto” disse Valya.
“Rispondi solo con un sì o con un no.”
“Ma io…”
La mano di Ballard scattò e la colpì col palmo aperto. Lei sentì la guancia avvampare. Guardò Ballard.
“Ti avevo avvertita” disse l’uomo.
“Sì o no?” chiese di nuovo Dalkon.
“Sì” rispose Valya.
“Sagana” disse Dalkon. “Che cosa contiene questo sacchetto?”
“Corteccia di albero dei corvi. Sminuzzata e ridotta in polvere per farne un infuso o mescolarla con l’acqua.”
“Quali sono i suoi effetti?”
“Dipendono dalla dose usata. Una piccola può indurre il sonno. Una grande dolori intesi alle ossa e alle articolazioni.”
“E una molto grande?”
“La morte.”
“Ma può curare il…” iniziò a dire Valya.
Ballard la colpì di nuovo, stavolta così forte da farle girare la testa dalla parte opposta.
“Devi parlare solo se ti viene rivolta la parola” disse l’uomo minaccioso.
“Volevo solo spiegare…”
Ballard le diede uno schiaffo sull’altra guancia.
Valya sentì le lacrime pizzicarle gli occhi.
Dalkon fece un gesto con la mano a Ballard. “Valya Keltel” disse con tono calmo. “Tu sapevi cosa conteneva questo sacchetto?”
“Sì” rispose.
“E sapevi che avrebbe potuto uccidere Doryon?”
“No” rispose con veemenza.
“Continua” disse Dalkon.
“Credevo che l’avrebbe curato. Ero sicura che sarebbe stato meglio, dopo.”
“Pensavi di curarlo dandogli un veleno?”
“Era l’antidoto per un altro veleno” disse Valya. “Non volevo fare del male a Doryon. Siamo amici.”
“È cercando di avvelenarlo che dimostri di essergli amico?”
“No” disse Valya con tono implorante. “Io credevo che l’avrebbe salvato.”
“Tu credevi? Sei un’erudita? Una guaritrice?”
“No.”
“Allora come ti sei procurata questo veleno? E come hai imparato a usarlo?”
“Io” Valya esitò.
“Prosegui” disse Dalkon. “È il momento di dirci tutto, Valya Keltel. Dalla tua confessione dipenderà la tua vita.”
Valya sospirò e raccolse i pensieri prima di parlare. “È stato Brunolf a darci il sacchetto.”
“Brunolf?” fece Dalkon.
“Vive nella foresta poco fuori dalla città, in una specie di tana.”
Ballard rise. “Ci sta prendendo in giro. Forse dovrei passare ai calci per farla smettere.”
“Non ancora” disse Dalkon. “Voglio sentire tutto, poi valuterò che cosa fare. Continua. Hai detto che questo Brunolf vi ha dato il sacchetto. Non eri da sola?”
“No” disse Valya. “Ero con Ros Chernin.”
“Ros Chernin?”
“È l’allievo di Jangar. Ha una bottega in città.”
“È una specie di guaritore” disse Sagana. “Uno schifoso ubriacone che è stato scacciato dall’accademia per i suoi eccessi e il suo comportamento bizzarro.”
Dalkon annuì grave. “Tu e questo Ros Chernin avete deciso insieme di usare il veleno?”
“Lui, Ros, disse che era l’unico modo per neutralizzare il veleno che Doryon aveva già ingerito.”
“Doryon è stato esaminato dai migliori guaritori della città” disse Dalkon. “E non hanno trovato alcuna traccia del veleno. Però questo Ros, un allievo di Jangar, dice il contrario. Come l’ha scoperto?”
Valya deglutì a vuoto. “Lo ha capito esaminando la colazione che Doryon aveva rigettato la mattina in cui si è sentito male.”
Ballard rise di nuovo. “Ma la senti? Dobbiamo continuare a farci prendere in giro da questa qui?”
“No, Donn, ti sbagli” disse Dalkon. “Non vedi che Valya Keltel è davvero convinta di quello che dice? Lei ci crede davvero. Tu eri sicura che Doryon sarebbe stato meglio se avesse ingerito quel veleno, no?”
“Sì” disse Valya.
“Perché è stato quel Ros Chernin a convincerti che avrebbe funzionato.”
“Sì, ma…”
Dalkon annuì grave. “E tu ti sei fidata di lui sperando di fare una cosa giusta, anche se nel modo sbagliato.” Scosse la testa. “Credo che per il momento sia tutto. Abbiamo fatto molti progressi, oggi. Riferirò alla governatrice che hai collaborato.”
“Quando potrò vederla?” chiese Valya speranzosa.
“È ancora prematuro per un incontro” disse Dalkon alzandosi. “La governatrice è arrabbiata con te e non ha intenzione di vederti prima del processo.”
“Processo?”
“Quello che ti faremo non appena avremo radunato tutti i testimoni e raccolto le prove. Ma non temere, non sarai sola. Con la confessione che hai reso oggi, potremo accusare quel Ros Chernin di essere il responsabile. Tu potresti anche salvarti, se continuerai su questa strada.”
“Volete arrestare Ros?” chiese Valya incredula.
“Lui è un tuo complice, no? L’hai confessato tu stessa. È stato lui a dirti del veleno e costringerti a darlo al povero Doryon.”
Valya rimase in silenzio.
“Donn, portala in una cella del livello superiore. Una con un giaciglio pulito e assicurati che mangi almeno tre volte al giorno.”
Donn rispose con un grugnito e la prese per il braccio.
Valya si lasciò condurre fino alla nuova cella senza protestare. Come promesso da Dalkon vi era un giaciglio sotto il muro alla destra dell’entrata e dei vestiti puliti sopra di essi.
Quando la porta si chiuse alle sue spalle, Valya andò a sedersi sul giaciglio. La guancia le faceva ancora male ma non come prima. Fissò in silenzio la porta chiusa, lo sguardo perso, chiedendosi quando si sarebbe riaperta.

 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: heliodor