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Autore: Merry brandybuck    25/04/2021    0 recensioni
Gli Americani sono finalmente arrivati e Stefano sperava in questo giorno più che nell’arrivo di babbo natale; ora è davanti a San Vittore in compagnia degli zii, perché oggi è un giorno speciale. Oggi è il 25 Aprile.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
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40 dì e 40 nott

 

25 Aprile 1945

Stefano non vedeva nulla: la folla lo stritolava. Era arrivato finalmente il giorno tanto agognato da tutti e finalmente il profumo della libertà si poteva sentire nelle strade: gli americani erano arrivati e i tedeschi erano scappati via con la coda tra le gambe; gli abitanti urlavano festosi per le strade e a nessuno fregava più niente delle macerie accatastate in ogni dove. Anche se l’aria era calda e soffocante, il cielo leggermente ingrigito tutto sembrava più roseo e l’estate era già lì; si potevano udire i canti che sostituivano il suono delle bombe e la gente ciarlava piena di gioia: qualcuno era persino andato a tirare fuori dallo scantinato la Madonnina, che era stata tirata giù ad inizio guerra, quando si era capito che sarebbe potuta diventare un punto di riferimento per gli aerei nemici. Anche lo zio Eugenio, o come si faceva chiamare da quando era stato in America Eugene, sorrideva e abbracciava persone a caso per strada; anche nella loro città natale Sesto San Giovanni, il regno delle fabbriche, la liberazione si era fatta sentire: al mattino presto tutti i capiscala erano stati richiamati fuori dalle loro case e presi a sassate dagli altri condomini. La mamma gli aveva detto di tenersene fuori, che questa era una crudeltà da lasciare agli animali; piuttosto avrebbe fatto meglio ad andare con i suoi due zii a cercare il suo babbo al carcere: glielo aveva chiesto con i lucciconi agli occhi e lui non era riuscito a dirle di no, visto che era lui l’ometto di casa. I fratelli del papà erano preoccupati, ma di buona lena avevano preso, messo le gambe in spalla ed erano partiti alla volta di San Vittore: l’uomo era stato catturato in un’imboscata mentre tornava a casa la sera del 15 marzo; era stato il suo principale a denunciarlo alle autorità, dopo aver avuto dei sospetti sulle sue credenze politiche. La polizia aveva ammazzato come cani alcuni dei colleghi operai che lavoravano con lui e i cadaveri era stati mollati un po’ dove capitava, lasciandoli dissanguare sul cemento; erano stati sepolti nella torba accanto all’acciaieria, dove buttavano la monnezza: erano state versate ben poche lacrime per questi poveracci. Dopo aver cercato in lungo e in largo Ge-ge, Egidio e il piccolino, assistendo ai bestemmioni tirati dai due giovani, avevano trovato quel posto strano, tetro e inquietante che era la galera di Milano: pareti grigie, muraglie altissime, tegole che cascavano ovunque, le cerchie e i familiari dei carcerati che tentavano di buttare giù il portone. Finalmente i soldati erano arrivati e con una piccola carica esplosiva avevano fatto saltare le cancellate; adesso erano entrati e avevano cominciato a portare su uomini e donne di ogni età, estrazione sociale, stato di salute, famiglia, pelle e religione: erano tutti cenciosi, malnutriti, pestati e a malapena si tenevano in piedi a stento. Alcuni degli stranieri erano rimasti fuori a controllare che la calca non facesse brutti scherzi; il piccolo Ste’ faceva sempre più fatica a respirare quindi lo zio maggiore se lo prese in collo: “ Pènen, guarda sò e vedi se riesci a scorgere il papà” la sua voce era speranzosa anche se non ci credeva più di vedere suo fratello vivo e vegeto. “ Stay away ! Stay away !” gridavano i salvatori grigioverdi mentre respingevano le genti indietro fino al perimetro della piazzetta. Da sopra le spalle di Egidi riusciva a scorgere l’uscita e improvvisamente una visione gli fece venire il batticuore e lo liberò dall’angoscia: un uomo corvino era sostenuto da altri due ragazzi. Era claudicante, denutrito tanto da far vedere le costole, tutto scheletro, scialbo, mezzo morto, con gli occhi appallati, i lividi, le ferite aperte, i segni di calci, pugni e seggiolate; era pallido come uno spettro, stanco e affaticatissimo, le vene gli correvano su tutte le braccia e i muscoli erano sviluppati quanto gli consentiva il poco cibo che gli era stato dato durante la sua permanenza. A differenza degli altri poveri uomini spompati quello lanciava lo sguardo tra le persone che attendevano e si batteva il pugno sul cuore, cantando con tutto il fiato che aveva in gola: “ Serom in quatter col Padola, El Rodolfo, el Gaina e poeu mi: Quatter amis, quatter malnatt, Vegnu su insemma compagn di gatt.Emm fa la guera in Albania,Poeu su in montagna a ciapà i ratt:Negher Todesch del la Wermacht, Mi fan morire domaa a pensaghì Poeu m'hann cataa in d'una imboscada: Pugnn e pesciad e 'na fusilada… Ma mi, ma mi, ma mi,Quaranta dì, quaranta nott, A San Vittur a ciapaa i bott, dormì de can, pien de malann !... Ma mi, ma mi, ma mi, Quaranta dì, quaranta nott, Sbattuu de su, sbattuu de giò: Mi sont de quei che parlen no ! El Commissari 'na mattina El me manda a ciamà lì per lì: "Noi siamo qui, non sente alcun- El me diseva 'sto brutt terron ! El me diseva - i tuoi compari Nui li pigliasse senza di te… Ma se parlasse ti firmo accà Il tuo condono: la libertà ! Fesso sì tu se resti contento d’essere solo chiuso qua ddentro..." Ma mi, ma mi, ma mi, Quaranta dì, quaranta nott, A San Vittur a ciapaa i bott, Dormì de can, pien de malann !... Ma mi, ma mi, ma mi, Quaranta dì, quaranta nott, Sbattuu de su, sbattuu de giò: Mi sont de quei che parlen no ! Sont saraa su in 'sta ratera Piena de nebbia, de fregg e de scur, Sotta a 'sti mur passen i tramm, Frecass e vita del ma Milan… El coeur se streng, venn giò la sira, Me senti mal, e stoo minga in pee, Cucciaa in sul lett in d'on canton Me par de vess propri nissunìL'ì pegg che in guera staa su la tera: La libertà la var 'na spiada ! Ma mi, ma mi, ma mi, quaranta dì, quaranta nott, A San Vittur a ciapaa i bott, dormì de can, pien de malann ! Ma mi, ma mi, ma mi, quaranta dì, quaranta nott, sbattuu de su, sbattuu de giò: mi sont de quei che parlen no ! Mi parli no !”* Il tono fiero e cristallino risuonava ovunque e i parenti gioiosi accorsero; il bambino scese dal suo accompagnatore e spintonando a destra e a manca, riuscì ad arrivare in prima fila; svicolò sotto il braccio di un soldato e con un tuffo al cuore dei due sostenitori. Stavano per tirargli un colpo col calcio del fucile quando con il suo scarso inglese lo zio Eugenio lo difese: “ He-h-he is h-hi-his son…” Il babbo lo strinse tra le braccia e tentò di farsi sorreggere; i fratelli lo presero per le ascelle e lo aiutarono ad arrancare zoppicante fino ad una vietta laterale. Dopo una breve pausa, lacrime di gioia, abbracci e baci riconoscenti, si diressero lentamente verso il tram, che forse andava o forse no: il bimbo faceva strada tra la gente gaia e festosa, stando attento ad aprire un varco per consentire al genitore di passare. Quando vide la carrozza sulle rotaie fu preso da un tumulto di gioia; presto sarebbero stati tutti a casa.

 

La tana della scrittrice 

Pershendetje te gjitheve ! Si jeni ? Buona festa della Liberazione a tutti voi ! Il primo ( ed unico) asterisco che voglio spiegare è una canzone di Enzo Jannacci chiamata “ Ma mi” ( anche se è del 2005 credo che sia la migliore per descrivere questo giorno con un minimo di divertimento); comunque oggi mi sono svegliata e ho subito pensato che nel pomeriggio avrei potuto iniziare a scrivervi ( e poi portarvi su questo sito) una brevissima fan fiction un po’ sentimentale su una riunione padre-figlio dopo l’arrivo degli americani a Milano. Come al solito vi chiedo cosa ne pensate nei commenti e spero vivamente che vi sia piaciuta anche se piuttosto cortina; mi scuso per eventuali errori nel testo o se non è stato di vostro gradimento, saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry 

   
 
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