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Autore: Ran92_    25/04/2021    2 recensioni
[…] Non poteva far nulla.
Era il fidanzato peggiore che Ran avrebbe mai potuto meritarsi. […]
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Shinichi ✘ Ran
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ran Mori, Sera Masumi, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Sonoko Suzuki | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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たった一日
Solo per un giorno.

 

Si era ripromessa di non rimanerci male.
Di non lamentarsi.
Di non rattristarsi.
Se lo era ripromessa ferocemente, e per alcuni giorni si era perfino illusa di esserci riuscita. Man mano che i giorni di quella settimana scorrevano pigri e noiosi, ogni mattina fissava i numeri sul calendario senza troppa amarezza. Era davvero fiera di sé, e così serenamente era arrivata a quel venerdì mattina, la fetta biscottata con una copiosa porzione di marmellata in mano, mentre guardava con gli occhi luccicanti il calendario di fronte a lei.
Il giorno dopo sarebbero stati diciotto.

Si sentiva così pericolosamente grande, matura, ma nello stesso tempo le pareva di aver vissuto un migliaio di anni in più, per il semplice fatto di essere stata perennemente catapultata in un universo di misteri e intrighi praticamente ogni giorno negli ultimi sei mesi.
Sei mesi.
Sospirò profondamente, avvertendo per un lasso di tempo quasi impercettibile un minuscolo senso di tristezza nel suo cuore. Tuttavia bastò per farle scemare il debole sorriso che aveva disegnato sul viso, e senza davvero volerlo avvertì una seconda fitta di delusione alla base dello stomaco.
Si era ripromessa di non cedere.
Di essere forte.
C’era riuscita, da quando si era resa conto due settimane prima che il suo compleanno era realmente molto vicino.
C’era riuscita, si era sentita orgogliosa di sè.
Non poteva cedere adesso, non così. Voleva dire che tutta la corazza creata fino a quel momento era finta, fragile, e che bastava pensare a quegli ultimi dannati sei mesi per crollare impietosamente ai suoi piedi.
Scosse energicamente la testa, e decise di dedicare tutta la sua attenzione alla colazione che teneva rigidamente fra le mani. Mangiare qualcosa l’avrebbe sicuramente aiutata, e comunque non c’era nulla per cui rattristarsi.
Il giorno dopo era il suo compleanno, dopotutto. Non aveva motivo di essere giù di morale.
Deglutì, girando la schiena al calendario dove la data del giorno successivo era stata colorata di rosso, piena di cuoricini e fiorellini, stupidamente disegnati da Sonoko un pomeriggio che era andata a studiare a casa sua.
Con le gambe molle si sedette al tavolo, provando davvero a dare tutta la sua attenzione al libro di inglese abbandonato lì dalla sera prima, ma ben presto si scoprì a rileggere la stessa frase impietosamente per cinque minuti buoni.
Morsicò con più forza la fine del toast, per poi ripulirsi le mani con fin troppa enfasi, facendo volare briciole tutto intorno a lei.
Basta.
Si impose di ritrovare nuovamente la calma, la serenità che avevano contraddistinto le ultime settimane. Dannazione, era stata così fiera di sé fino al giorno prima! Cosa diavolo era successo quella mattina per mandare a monte il suo intero autocontrollo così a lungo guadagnato?
Lo sai benissimo.
Ran soffocò uno sbuffo leggero, lanciando uno sguardo veloce al telefono maledettamente silenzioso appoggiato accanto al suo libro.
Sì, lo sapeva. Sapeva il perché. Ma non voleva davvero pensarci.
Dopotutto, era vero: si era ripromessa di non rimanerci male, di non lamentarsi, di non rattristarsi.
Di non illudersi.

Era così presa dai suoi più contorti pensieri da non essersi realmente accorta di un paio di occhi azzurri fissarla da dietro la porta appena oltre le sue spalle, la fronte aggrottata e le labbra tese in una smorfia involontaria.
Si era incantato così, quella mattina, mentre cercava di leggere sul suo viso qualsiasi cosa non fosse così tremendamente doloroso come il senso di abbandono che, sapeva benissimo, stava provando. Poteva mentire, poteva far credere a tutti intorno a lei di stare bene, che il giorno successivo sarebbe stato solo un giorno come un altro.
Poteva ingannare suo padre, sua madre, perfino la sua migliore amica.
Tutti. Perfino se stessa.
Ma attraverso gli occhi di Conan Edogawa, Shinichi Kudo aveva scorto tutto. Ogni ruga di espressione, ogni smorfia malcelata, ogni sorriso fin troppo profondo da apparire terribilmente finto. E, senza davvero poter far nulla, aveva incassato nelle ultime due settimane un lento, inesorabile e progressivo stato di delusione invadere la sua amica di infanzia, la sua ragazza. Incassato perché sapeva benissimo da dove derivasse quel suo improvviso e repentino cambio di umore, incassato perché era consapevole di esserne per l’ennesima volta la causa.
E si maledisse interiormente. Di nuovo.
Reprimendo un gemito di nervosissimo si ritrasse dallo spiarla ulteriormente, preferendo rientrare in camera e finire di prepararsi per quella nuova, tediosa giornata di scuola elementare.
Non era una persona impulsiva, non lo era davvero. Era metodico, razionale, preferiva usare la logica piuttosto che seguire le sue emozioni. Perlomeno, lo era quando non si trattava di lei, e quello era uno di quei momenti in cui si rendeva conto di ciò che aveva fatto senza pensare alle conseguenze.
Con una crescente rabbia nascosta sotto le mentite spoglie di Conan Edogawa, Shinichi si morsicò internamente le labbra, fino al punto in cui avvertì il fastidioso sapore di sangue far capolino.
E dire che c’era stato un momento in cui, di fronte ad Haibara e Agasa-Hakase, si era lasciato sfuggire perfino che avrebbe preferito non avere più posto nel suo cuore, se questo voleva dire non vederla piangere più. Ci aveva pensato così tanto, così a lungo dopo che lei involontariamente aveva aperto il suo cuore a Conan, e sebbene questa decisione fosse tutt’altro che semplice, aveva deciso che era più facile per entrambi che non sapesse realmente cosa provasse Shinichi per lei.
Perché, se solo l’avesse saputo, le telefonate non sarebbero più bastate. Le bugie, i segreti, la continua assenza non potevano essere sostenute attraverso uno stupido telefono.
Lo sapeva. Se le avesse rivelato i suoi sentimenti, lei lo avrebbe voluto vedere di più, stare con lui.
Era normale, non poteva certo giudicarla. Ma non poteva permetterlo.
E, dopo tutto quel ragionamento, dopo tutte queste belle parole, cosa aveva fatto?
Aveva ceduto, più e più volte, non capendo quando fermarsi anche dopo un momento di debolezza.
Le aveva egoisticamente chiesto di aspettarlo, quella sera al ristorante.
Aveva pensato poi, a mente lucida, che sicuramente lei aveva compreso fra le righe i suoi sentimenti. Ma anche a quel punto Ran pareva brancolare nel buio, nella sua più totale ingenuità e incredulità. A quel punto avrebbe potuto ancora salvaguardare la sua protezione così, semplicemente zittendosi e facendo un passo indietro. E invece no.
C’era stata Londra.
C’era stata la gita a Kyoto.
Sebbene non gli sembrasse ancora vero, ora stavano a tutti gli effetti insieme.
Dannazione, aveva dei messaggi che glielo ricordavano in continuazione, provocando sempre in lui un patetico sorriso e un brivido lungo la spina dorsale. Si vergognava internamente di quella silenziosa felicità, per il semplice fatto che non c’era niente per cui essere davvero felici.
Stavano insieme.
La sua copertura era saltata. Per colpa sua, poteva essere in pericolo in qualsiasi momento, bastava che la notizia arrivasse alle orecchie sbagliate, e Ran poteva ritrovarsi addosso l’intera Organizzazione.
Sospirò, portandosi una mano alla testa. Cominciava a scoppiargli, e benché il pensiero di Ran torturata o chissà cos’altro da qualcuno come Gin o Vodka fosse di per sé già abbastanza nauseante, c’era un altro tarlo a insistere in un angolino del suo cervello.
Quello stesso tarlo di cui aveva avuto paura, lo stesso motivo per cui all’inizio si era imposto di non dirle niente.
Lei voleva vederlo.
Fece una smorfia sarcastica, aggiustandosi il cravattino ma stringendolo fin troppo in uno strattone di fastidio.
Lei voleva vederlo, perché era il suo ragazzo. E il giorno dopo, sarebbe stato il suo compleanno.
Poteva, si chiese nuovamente, giudicarla? Assolutamente no. Da che mondo e mondo qualsiasi ragazza avrebbe aspettato con ansia un appuntamento, un mazzo di fiori, un invito qualunque.
Chiunque.
Ma lui non poteva.
Strinse la mascella così forte da fargli male, stringendo i pugni lungo i fianchi.
Da quando si erano messi insieme, stare nel corpo di Conan era diventato, se possibile, ancora più difficile. Ma non solo questo: anche mentirle, ometterle la verità, far finta di recitare la parte del suo fratellino.
Era frustrante, e si iniziava davvero a far schifo, specialmente quando lei lo nominava con Sonoko o Sera, con tono dolce e con lo sguardo speranzoso di chi attendeva un suo imminente ritorno che, tuttavia, tardava sempre ad arrivare.
Si odiava, e sempre più spesso si chiedeva se lei un giorno sarebbe stata realmente in grado di perdonarlo.
Si era spinto troppo in là, e sapeva benissimo che se fosse stato in grado di usare ancora la carta del migliore amico, perlomeno, in gioco non ci sarebbe stato tutto questo.
Sarebbe stato solo il solito Shinichi, il solito sbadato che per un caso si dimenticava di mangiare, di dormire, del suo compleanno.
Da un amico potevi passarci sopra, potevi tralasciare la sua assenza al tuo compleanno.
Ma da un fidanzato?
No, a meno che non aspiravi a passare per il fidanzato di merda dell’anno. E lui, sicuramente, non aveva davvero intenzione di farle questo.
Ma come rimediare, allora?
Chiedere ad Haibara era totalmente fuori questione; gli aveva dato l’antidoto per miracolo per andare in gita, e dopo il caos creatosi a causa di quel caso aveva davvero rischiato grosso. Sbuffò sonoramente, sentendosi maledettamente in trappola.
Per una volta il suo cervello non riusciva davvero ad elaborare una soluzione. Una fattibile, perlomeno.
Demoralizzato totalmente sciolse i pugni che fino a quel momento aveva stretto così tanto da intorpidire, e, al suono della voce dolce di Ran chiamarlo per andare a scuola, si sentì irrimediabilmente sfinito.
Non poteva far nulla.
Era il fidanzato peggiore che Ran avrebbe mai potuto meritarsi.
 

***


« Allora… ».
La voce cantilenante di Sonoko Suzuki le arrivò alle orecchie quasi minacciosamente, e fin da subito capì dove volesse andare a parare. Fece inconsciamente una smorfia che in principio aveva sperato apparisse come un sorriso, e che provò davvero a migliorare quando incontrò il viso allegro della sua migliore amica a poca distanza da lei, mentre riponeva i libri nella cartella. In lontananza la campanella risuonava ancora fra le mura del Liceo Teitan, segno che per quel giorno le lezioni erano finite, ma niente di tutto ciò le fece provare sollievo.
Quel giorno era finito.
Questo voleva dire solo una cosa.
« Cosa facciamo domani per il tuo compleanno? », continuò vivacemente Sonoko, sedendosi sul suo banco con uno slancio entusiasta.
« Potremmo provare quella gelateria nuova che abbiamo visto l’altra settimana », buttò lì Sera, affiancando Sonoko nel suo vano tentativo di tirare su il morale alla loro amica, che quel giorno era stata per nulla stranamente molto silenziosa.
Alla fine, molto probabilmente, il suo malumore e la sua delusione erano apparsi parecchio palesi perlomeno alle sue due amiche che la conoscevano bene, e il motivo era così ovvio da non richiedere nemmeno spiegazioni. Nel suo cuore avvertì un impeto di affetto per loro, ma anche così non riuscì a soffocare il senso di vuoto che la stava ormai inghiottendo in quella giornata iniziata col piede sbagliato. Così decise davvero di scacciare l’impellente voglia di piangere, e sfoggiare invece il sorriso più genuino che riuscisse a fare.
« Perché no », replicò sbattendo le ciglia così velocemente che non passò inosservata a nessuna delle due spettatrici di fronte a lei, ma che preferirono non insinuare niente per non farle pesare ulteriormente i suoi improvvisi occhi acquosi o il suo sorriso terribilmente triste.
« Poi potremmo fare un pò di shopping a Shibuya », aggiunse Sonoko, affiancando Ran che si era alzata e ora si incamminava fra loro verso l’uscita.
Lei si limitò ad annuire, per nulla convinta o sinceramente emozionata all’idea, ma fece di nuovo finta, insieme a Sera, di non notarlo.
Sapeva bene cosa stava succedendo, non era certo stupida.
Shinichi non si era fatto vivo.

Di nuovo.
Provò a reprimere l’improvviso senso di rancore che la investì al pensiero di quel dannato detective egoista e pieno di sé, sentendosi quasi in colpa nei confronti della ragazza al suo fianco.
Era stata lei, in fondo, a spingerli letteralmente uno nelle braccia dell’altro, a prenderli continuamente in giro e a far davvero credere a Ran che a lui interessasse di lei.
E ci aveva creduto davvero, sinceramente felice per la sua amica, quando aveva saputo della sua dichiarazione a Londra. Credeva davvero che lui avesse finalmente messo la testa a posto, e solo ed esclusivamente per questo motivo aveva detto a tutti di tifare per loro in gita, approfittando di ogni momento per lasciarli da soli, gioendo interiormente ogni qualvolta gli cogliesse particolarmente vicini a parlottare o ridere di qualcosa che sapevano solo loro.
Aveva sperando profondamente che lui abbandonasse quel suo dannato lavoro per stare un pò più vicino a Ran, magari non sempre ma, dannazione! Era il suo compleanno.
Si sentiva profondamente ferita nel vederla così demoralizzata, e ancora di più perché la poverina aveva davvero provato nelle ultime settimane a far finta di niente. Ma, ovviamente, l’imminente giorno sempre più vicino aveva inferto un duro colpo anche alla sua corazza, e senza forse rendersene conto il suo sorriso giorno dopo giorno aveva subito delle crepe sempre più profonde, fino a quel giorno, in cui era solo una mera imitazione del suo più bello e spontaneo che riservava sempre a chiunque avesse intorno.
No, pensò determinata, saltellando intorno alla sua amica nella speranza di strapparle un sorriso sincero.
No, non avrebbe permesso a quello stupido di rovinarle il compleanno. Sarebbe stata lei al fianco di Ran, e, alla prima occasione, gliela avrebbe fatta pagare sicuramente.
Dannato otaku di misteri del cavolo!„
 

***
 

« Non è necessario Conan-un, davvero ».
Conan sorrise mestamente, mentre la aiutava in silenzio a sparecchiare tavola, benché da sistemare ci fosse realmente poco. Ran quasi non aveva toccato cena, e Oji-san era stato più interessato alla televisione e alla sua birra per avere il tempo di mangiare il suo riso al curry. A dirla tutta, nemmeno lui aveva avuto questa gran fame, e poteva solo che ringraziare nuovamente se stesso se entrambi quella sera avevano lo stomaco chiuso.
Si era scervellato tutto il giorno, guadagnandosi anche un tremendo mal di testa, e ancora in quel momento non riusciva a non pensare al giorno dopo.
Non gli erano affatto passate inosservate le continue occhiate nervose di Ran ogni qualvolta il suo telefono vibrasse, o si illuminasse per un messaggio che poi si rivelava da parte di Sonoko o Sera. Ormai lo aveva stampato in testa, il continuo scintillio di speranza che le illuminava il volto, per poi scemare ogni qualvolta leggesse il mittente.
Ogni volta non era lui.

Fece una smorfia silenziosa, mentre posava con fin troppa rabbia i piatti sul ripiano della cucina (non senza doversi mettere su quelle dannate punte dei piedi).
Certo, avrebbe potuto mandarle un messaggio, ma per dirle esattamente cosa?
Di nuovo scuse? Di nuovo bugie?
La felicità di ricevere un messaggio da lui sarebbe durata la manciata di qualche secondo, e non appena avesse letto il suo contenuto sapeva bene che lei si sarebbe sentita solo peggio di prima. Ragion per cui si era fino a quel momento astenuto anche solo dal mandarle un misero “ciao”, provando davvero a racimolare ancora qualche minuto prezioso per ragionare velocemente ed arrivare ad una soluzione. Fra la testa che gli scoppiava, e la mente totalmente rivolta a contorti e lontani pensieri, quasi non si accorse che Ran lo stava chiamando da almeno un minuto buono.
« Conan-kun! », provò nuovamente, alzando di un tono la voce. A quel punto, finalmente, il suo fratellino si risvegliò dalla trance in cui pareva essere caduto, e le rivolse sobbalzando i suoi grandi occhi azzurri.
« S-sì, Ran-neechan? », balbettò preso in contropiede.
« Stai bene? », alzò un sopracciglio Ran, avvicinandosi a lui e mettendosi in ginocchio esattamente all’altezza del suo viso rotondo.
« Sì, ho solo un pò di mal di testa ».
In fondo, non era una bugia. Almeno quella.
« Ti faccio un the caldo? », gli chiese corrugando la fronte, improvvisamente preoccupata. Tutto ciò non fece che farlo sentire peggio. Lei, che si prendeva cura di lui in quel modo… come se se lo meritasse.
Era così preso dal provare profondo disgusto per se stesso, che non si rese nemmeno conto di essersi perso a fissarla negli occhi, la mente nuovamente altrove.
E, in quel momento, senza nemmeno rendersene conto, la sconvolse.
Se ciò che aveva provato fino a un momento prima era preoccupazione per il suo fratellino, il modo in cui la stava guardando in quel preciso momento la mise davvero in imbarazzo.
I suoi occhi azzurri erano quasi contratti di malinconia, e dentro poteva leggerci una frustrazione tale da apparirle assurdo che un bambino di quell’età potesse provare una tale tristezza. Non riuscì nemmeno a chiedergli il motivo di tanto dispiacere, da quanto si sentì incatenata a lui in un modo che la mise a disagio.
Era Conan, solo Conan.
Eppure quei due occhi azzurri la stavano ipnotizzando, e senza volerlo sentì quasi l’impulso di piangere.
Non seppe per quanto tempo rimasero a fissarsi, mentre tutto intorno a loro cominciò ad apparirle sfumato e incolore. Non seppe nemmeno dirsi se suo padre fosse ancora nei paraggi, per lei in quel momento c’erano solo quei due occhi azzurri a fissarla, e nella sua testa una voce rimbombarle incessantemente.
Aspettami.
Si sbilanciò leggermente verso di lui, cogliendolo probabilmente di sorpresa, solo per capire meglio cosa stesse succedendo. Tuttavia, mentre era ancora confusa su quell’improvvisa tensione creata fra loro, qualcosa la fece notevolmente sobbalzare dallo spavento.
Senza preavviso tutto tornò vivido intorno a loro, complice lo stridio fastidioso del suo telefono cellulare che aveva preso a suonare sul tavolo a poca distanza. Le ci volle qualche secondo per ritornare coi piedi per terra, ma non appena si rese conto del momento abbastanza strano e sconcertante appena creatosi, quasi inciampò nei suoi stessi piedi da quanto in fretta si allontanò da lui. Era così intontita che non guardò nemmeno da chi provenisse la telefonata, e solo quando rispose un’eventualità le balenò così rapidamente in testa da farsi travolgere da una furiosa speranza.
Speranza che fu presto sbattuta letteralmente a terra, quando sentì la voce di sua madre dall’altro lato della cornetta, e le ci volle tutta la sua forza di volontà per sforzarsi ad apparire normale e per nulla delusa.
La telefonata riportò coi piedi per terra anche Conan, che, seppur involontariamente arrossito dall’insolita intensità con la quale Ran lo aveva guardato, provò a continuare a sparecchiare solo per la necessità di riportare le sue guance ad una tonalità normale distraendosi con qualcosa da fare.
Non prestò nemmeno tutta questa attenzione alla telefonata mentre riponeva le stoviglie in cucina, troppo occupato comunque a continuare a pensare ad una eventuale soluzione.
Soluzione che ancora non arrivò, e quando alla fine sentì Ran salutare sua mamma e chiudere la telefonata, si apprestò pigramente ad affiancarla per asciugare i piatti non appena iniziò a lavarli.
« Ne, Conan-kun? », esordì dopo cinque minuti buoni di silenzio Ran, mentre gli passava l’ennesimo bicchiere gocciolante.
« Ci guardiamo un film in tv, ti va? », chiese dolcemente. Conan annuì provando a sfoggiare un sorriso entusiasta, volendo a tutti i costi scacciare dalla mente il suo malumore che, ora dopo ora in quella cupa giornata, stava divenendo sempre più profondo, e capace di inghiottirlo, fino a farlo sprofondare in una pozzanghera nera.
Decise che, per quanto avesse voluto e fin quanto ancora ci avesse pensato, tanto non avrebbe potuto fare nulla, quindi tanto valeva farsene una ragione. Non appena finì di asciugare l’ultima stoviglia, ripose tutto ordinatamente e con un salto scese dalla sedia sulla quale si era issato per arrivare al bancone. Con fare fintamente disinvolto si diresse nella camera che condivideva con Kogoro, dove lo trovò a russare già sonoramente con una lattina di birra ancora preziosamente stretta al petto. Alzò gli occhi al cielo ma, approfittando del suo stato comatoso, si mise in ginocchio nell’armadio e a tentoni cercò il suo zaino. Lanciando un’occhiata fugace alla porta e accertatosi che Ran fosse ancora in cucina, prese al volo il telefono di Shinichi e se lo mise velocemente in tasca.
Se si stava davvero arrendendo, tanto valeva mandarle un misero messaggio. Doveva solo trovare il coraggio, l’ennesimo, per deluderla di nuovo.
Accese la schermata, e cercò la sua chat, laddove trovò gli ultimi messaggi che si erano scambiati.
Lo stomaco si contrasse vorticosamente, senza poterci davvero far nulla, e un lieve rossore colorò nuovamente le sue guance. Con un calore crescente rilesse quei messaggi che si erano condivisi subito dopo la sua fuga durante la gita scolastica, e senza rendersene conto un sorriso si formò sul suo viso infantile.

Questo vuol dire che usciamo insieme?„
Barou, non lo stiamo già facendo?„

Erano stati così felici, in quei giorni. Poteva leggerglielo sul viso, e allo stesso modo si era sentito lui, come un vero imbecille, a dire il vero.
Non pensava davvero di potersi sentire così, non lui, non Shinichi Kudo. Eppure la potenza con cui lo investì quel suo bacio sulla guancia e la conferma che fossero ufficialmente una coppia, fu così potente da travolgerlo, e far cadere a terra ogni sorta di orgoglio di cui amava tanto rivestirsi per mettere le distanze con chiunque incontrasse.
Ma, in quel momento, quello in cui avrebbe dovuto nuovamente allontanarla da sé, ogni sorta di felicità sfumò lestamente, lasciandolo quasi intontito.
Cosa avrebbe dovuto scriverle?
Con la crescente voglia di prendere a calci l’armadio davanti a lui, iniziò a scrivere l’incipit di quello che doveva essere un poco convincente modo di scaricarla il giorno del suo compleanno, con la validissima scusa del caso impegnativo.
No, davvero, ma a chi voleva darla a bere?
Non ci credeva nemmeno più lui. Non ci avrebbe creduto più nemmeno un bambino dell’asilo. Quale caso non poteva lasciarlo libero per almeno un paio di ore?
Non poteva davvero approfittare della sua eterna pazienza, non con una scusa tanto trita e davvero poco credibile ormai.
Si morse un labbro, tentennando, finché non sobbalzò terrorizzato quando una figura apparve sull’uscio della porta.
« Conan-kun? », domandò incerta Ran, sbirciando nella stanza senza voler fare troppo rumore.
« Arrivo Ran-neechan », mormorò Conan, buttando frettolosamente il telefono di Shinichi sotto il cuscino del suo futon. Leggermente nervoso dall’essere stato quasi beccato, si ripromise di mandarle quel dannato messaggio una volta che lei fosse andata a dormire. Ci mancava solo abbassare la guardia e fare un passo falso a quel punto dei giochi. La seguì con noncuranza malcelata sul divano, dove si sistemarono alla ricerca di qualcosa di interessante in televisione. Tuttavia doveva ancora avere un’espressione tesa, perché Ran riprese a fissarlo di sottecchi, per poi esordire ancora una volta con voce preoccupata.
« Davvero, Conan-kun, sei sicuro che vada tutto bene? », chiese indagatrice, facendo sprofondare ancora un pò di più nel divano il diretto interessato.
« E’ solo quel mal di testa, non mi lascia in pace », rise senza allergia ma, anzi, con un tono piuttosto stridulo. Ran lo guardò non convinta, per poi rivolgere la sua attenzione alla porta del bagno.
« Devo avere qualcosa, però non so se è adatto alla tua età », disse alzandosi e dirigendosi verso il cassetto delle medicine. Si chinò alla ricerca di qualcosa a basso dosaggio da dargli per attenuare quel malessere che, glielo leggeva in faccia, doveva non dargli tregua da ore. Trovò proprio in fondo un blister che faceva al caso suo, e con questo in mano tornò dal suo fratellino, che la stava seguendo con lo sguardo da quando si era allontanata.
« Ecco qui! Mi è avanzata una volta che ne avevo presa una », la fece scattare appena fuori dall’involucro, facendo cascare la piccola pillola nel palmo della sua mano.
« Ne ho solo una, spero basti ».
Alzò lo sguardo su Conan con un sorriso, per poi immobilizzarsi, confusa.
Non seppe davvero spiegarsi il motivo ma, per un rapido, fugace secondo, vide negli occhi di Conan guizzare qualcosa. Incerta aggrottò la fronte, sbattendo le palpebre un paio di volte.
« Conan-kun? », lo chiamò cautamente, mandando giù il groppo che le si era appena formato in gola. Perché quello sguardo luminoso, le labbra ripiegate in un sorriso appena accennato ma tutt’altro che infantile, gli ricordò ancora una volta lui.
Ancora una volta Shinichi.
« Sì », replicò lui con voce squillante infine, facendola trasalire dalle sue fantasticherie e  fissandola per la prima, vera volta quel giorno.
« Sono sicuro che basterà, Ran-neechan », asserì convinto, con un sorriso finalmente sincero in volto.
 


***

 

Quella settimana Ran si era sentita in molti modi.
Speranzosa, in primo luogo.
Un pò triste, a momenti alterni.
Delusa, perfino.
Ma una cosa non aveva ancora mai provato: rabbia.
Rabbia.
Incontrollabile, profonda, malcelata rabbia.
Perché poteva capire, perdonare, far finta che non fosse importante averlo fisicamente al suo fianco quel giorno. Si era preparata a questo, era pronta anche a ricevere l’ennesima buca da parte sua.
Ma non aveva davvero messo in conto ciò che realmente accadde: niente.
Niente.
Non una telefonata, un messaggio, una diavolo di lettera portata da qualche postino del cavolo.
Questo fu la causa scatenante della sua immensa rabbia impellente, motivo per cui ben presto sia suo padre, sia Conan capirono che fosse meglio girarle alla larga, subito dopo aver biascicato un poco convinto “buon compleanno!”, e aver provato a darle il loro pacchetto regalo presto abbandonato con ben poca eleganza sul suo letto disfatto.
Fu così che, non seppe bene nemmeno lei, entrambi sparirono dalla sua vista, probabilmente per lasciarla sbollire quell’improvviso impeto di ira.
Tuttavia, per quanto si sforzò, riuscì a malapena a mangiucchiare qualcosa a pranzo. Improvvisamente perfino l’idea di uscire con Sonoko e Sera-chan le diede la nausea, esattamente come il riso che stava tentando di mangiare da almeno mezz’ora con scarsi risultati.
Era incredibile, ma era davvero successo.
Si era dimenticato il suo compleanno.
Shinichi si era ufficialmente dimenticato il suo diciottesimo compleanno.
Non se ne era dimenticato uno, mai, in tutti quei lunghi anni di amicizia. E, ironia della sorte, ecco che si dimenticava il primo in cui stavano insieme.
Ne avevano trascorsi tanti, insieme, e poteva ricordare in particolare la sua espressione seccata ogni qualvolta lei insistesse per festeggiare il suo. Tuttavia aveva sempre ceduto, talvolta battibeccando, altre alzando ripetutamente gli occhi al cielo, ma in ogni caso avevano sempre passato i rispettivi compleanni così.
Insieme.
Tranne quello.
Sbuffò, mentre sentiva l’orrida voglia di piangere farsi sempre più prepotente, e si impose con tutte le sue forze di non farlo. Non voleva davvero rovinarsi la giornata in quel modo, non così.
Provò con tutte le sue forze a pensare razionalmente, cercare di calmarsi e pensare che in quel momento forse era davvero in una posizione difficile, magari sommerso da quel caso così importante. Era davvero così di vitale importanza il suo compleanno, alla fine?
Fissò il telefono sul suo comodino, morsicandosi un labbro.
Forse aveva le sue ragioni, forse davvero era impossibilitato.
Però quanto tempo poteva rubargli un singolo, breve messaggio di auguri?
Sospirò di nuovo, buttandosi di pancia sul letto, affondando il viso nel cuscino.
Accanto a lei il pacchetto di Conan e suo padre non le diede nemmeno voglia di aprilo, e preferì giocherellare con il fiocco color amaranto piuttosto che scartarlo totalmente. Rimase così almeno dieci minuti, a pancia in giù e con alcuni ciuffi di capelli malamente spettinati sul viso. Era quasi riuscita a calmarsi, quando l’improvviso squillo del suo telefono la fece sobbalzare sul materasso. Con speranza ritrovata si voltò di scatto, afferrandolo con così tanto fervore da farlo rimbalzare per terra.
« No, no, no », imprecò velocemente, accasciandosi a recuperarlo. Lo girò sottosopra ma ben presto, per l’ennesima volta, il suo sorriso scemò, e la rabbia ritornò ad investirla come una furia.
« Sonoko », accettò la chiamata con voce acuta.
« Hey! », esclamò vivamente la voce della sua migliore amica dall’altro lato del telefono.
« Pronta per il nostro pomeriggio di shopping selvaggio? ».
‟No, voglio rimanere a piangere tutto il giorno nel letto„
« Certo », mentì, deglutendo a fatica.
« Ottimo! Allora ci vediamo direttamente a Shibuya per le quattordici! », annunciò Sonoko solennemente. « Ah, Ran? ».
« Sì? », rispose distrattamente lei, con l’ultima nota di pazienza rimasta.
« Vestiti carina, mi raccomando ».
« Carina? », chiese confusa Ran, corrugando la fronte.
« E’ il tuo compleanno! Dobbiamo festeggiare dai, prova a metterci un pò di entusiasmo! ».
Ran alzò gli occhi al cielo, per poi acconsentire per il semplice motivo che contestare Sonoko in quel momento non le avrebbe fatto cambiato idea, anzi. Glielo avrebbe ripetuto fino allo sfinimento e basta, e sicuramente non aveva voglia di battibeccare con lei solo per aumentare, se possibile, la sua già elevata irritazione giornaliera. Ancora pochi convenevoli e chiuse la telefonata, per arrendersi definitamente.
Shinichi se ne era dimenticato.
Non sarebbe venuto.
Tanto valeva farsene una ragione.
 

***

 

Ci mancava solo quello.
Il ritardo di Sonoko e Sera-chan.
Ran batté freneticamente un piede a terra, stringendo fra le mani la cinghia della sua borsetta a tracolla.
Lanciò l’ennesimo sguardo all’orologio posto sopra la sua testa, esattamente in cima all’ingresso della metro che portava a Shibuya.
La folla immensa di gente intorno a lei non aiutava a mantenere la calma, e ogni qualvolta un turista le sbatteva addosso per andarsi a fare la foto con la statua di Hachiko, un ultimo grammo della sua pazienza pareva evaporare nell’aria. Non era lei, non davvero, ma ogni minuto di ritardo delle sue amiche non faceva che farle venire voglia di tirare un pugno al muro più vicino.
Riguardò l’orologio.
Le quattordici e undici.
Si schiarì la gola, soffocando un gemito isterico, e presa da una furia cieca ragionò velocemente sul fatto che, qualora non si fossero presentate entro le quattordici e trenta, se ne sarebbe tornata nella sua camera.
Si convinse assolutamente della cosa, e sebbene fosse arrabbiata perfino con loro per quel stupidissimo ritardo, decise di dare ad entrambe il beneficio del dubbio afferrando il cellulare e mandando ad entrambe un messaggio piuttosto diretto.
Sei in ritardo, dove sei?!
Con fin troppa enfasi cliccò sul tasto invio, e borbottando qualcosa di incomprensibile alla folla intorno a lei, ricacciò malamente il telefono nella borsa. Incrociò sospirando le braccia al petto con fare indispettito, riprendendo a sbattere il piede a terra. Rimase in quella stessa posizione ancora qualche minuto ma, complice il fatto che nessuna delle due rispose al suo messaggio, infine qualcosa dentro di sé esplose quando le lancette sul grande orologio della metro segnò le quattordici e quindici.
In uno scatto fulmineo si voltò senza preavviso, ben intenzionata a camminare velocemente via da lì.
Almeno, era quello che aveva avuto intenzione di fare.
Qualcosa intralciò il suo passo deciso, e andò non intenzionalmente a sbattere contro di esso, rimbalzando leggermente all’indietro.
Portandosi una mano alla testa per la botta, abbassò il capo, notando un paio di gambe longilinee appena di fronte a lei, capendo così che non era propriamente andata a sbattere contro qualcosa, bensì contro qualcuno.
« Ma che diavolo… », borbottò senza prestare alcuna cura al linguaggio, specialmente di fronte ad un estraneo. Alzò con sguardo fiammeggiante gli occhi in direzione di colui che le era praticamente finito addosso (o il contrario? Poco le importava in quel momento), pronta a investire con la sua furia il povero e ignaro malcapitato. Ma non appena i suoi occhi incontrarono i suoi, improvvisamente le si seccò la gola, e le labbra si richiusero senza emettere un fiato.
Rimase sotto shock per qualche secondo, e potè giurare che il mondo intorno a lei si fosse improvvisamente fermato.
Era lì.
Con i suoi occhi azzurri, l’espressione fintamente seccata e l’inclinazione della bocca lievemente divertita.
Era lì, di fronte a lei.
« Aspettavi qualcuno? ».

   
 
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