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Autore: yachan    27/04/2021    1 recensioni
Cosa significa "essere se stessi"?
Da bambino non me ne preoccupavo.
Se qualcosa mi infastidiva, mi arrabbiavo. Se qualcosa mi piaceva, lo dicevo.
Ma tutti noi cambiamo nel tempo.
Così come le cose che vogliamo proteggere...
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doraemon, Hidetoshi Dekisugi, Nobita Nobi, Shizuka Minamoto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono tornata, alé! Non lo credevo possibile, visto che da un capitolo all'altro ci impiego molto più tempo solitamente. Ma l'ispirazione è arrivata quando meno me l'aspettavo, e quindi sono riuscita a scrivere. Sto cercando di dirigere la storia verso la sua conclusione, vorrei evitare di fare sempre lo stesso errore di dilungarmi. Anche perché in principio la storia doveva racchiudersi in due capitoli massimo.

Per semplificare la lettura ho tolto quei suffissi ai nomi e cognomi, come chan o kun. Inizialmente li avevo inseriti per rendere più evidenti i rapporti tra i vari personaggi, ma ora non servono più.

Bene, non voglio dilungarmi oltre, vi lascio alla lettura.

 

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Personaggi: Doraemon - Nobita Nobi - Shizuka Minamoto - Takeshi Goda (Gian) - Suneo Honekawa - Hidetoshi Dekisugi - Jaiko Goda - Hiro Kuroyama - Chika Tanaka - Aki Sasaki - Yoshino Saotome - Yukio Mori - Toshio Tsutomu

 

*

 

  • Dekisugi, sei il migliore! - esclamò una bambina al suo fianco. Le altre tre bambine annuirono altrettanto emozionate.

  • Sei l'unico che ha saputo rispondere alla domanda del maestro.

  • Sei così intelligente!

Il moro si limitò a sorridere imbarazzato, mentre scuoteva le mani in avanti.

  • Vi sbagliate, ho solo studiato di più- cercò di spiegare con modestia. Era vero che si era impegnato, come sempre, ma lo metteva a disagio venire sommerso dai complimenti. E poi, lui non si vedeva così straordinario come gli altri lo dipingevano - Non per questo sono migliore degli altri.

  • Però è ugualmente sorprendente - prese la parola la bambina con i due codini, che finora era stata in silenzio. Dekisugi la guardò, mentre lei gli rivolgeva uno sguardo ammirato - Sei tra i più bravi del nostro anno.

Lui non poté evitare di sentirsi ancora più imbarazzato e grato, dopo le sue parole. Shizuka aveva quel modo piacevole di sorridere, che era certo, nessun maschietto poteva rimanerne impassibile.

  • Sei gentile, ma ho ancora molto da imparare... - ammise, rimanendo ancora a bearsi del suo sorriso.

  • E pure modesto - s'inserì un'altra bambina - Altri al tuo posto non farebbero che vantarsi e... ehi! - non terminò la frase, perché un bambino arrivando di corsa e facendosi largo in mezzo al gruppetto, le aveva quasi travolte.

  • Nobi! - si lamentarono le bambine.

  • Scusate! - gridò il bambino con la maglietta gialla, senza fermare la sua corsa agitata.

Dalla direzione da cui era arrivato, spuntando da dietro un angolo, comparvero due bambini che si fermarono a guardarsi intorno.

  • Eccolo lì! - gridarono all'unisono, indicando non poco lontano il fuggiasco.

Subito i due ripresero a correre, tagliando in mezzo al gruppetto, come aveva fatto l'altro bambino. Le bambine per fortuna si erano già spostate, quindi non furono travolte.

  • Se ti prendo, me la pagherai cara! - gridò il bambino dalla carnagione abbronzata e di grossa stazza. La sua faccia era ricoperta da un liquido verde, forse gettata da qualcuno.

  • Non è colpa mia! - Nobita gridò la sua innocenza in lontananza, senza azzardarsi a voltarsi o rallentare la fuga.

  • Ci risiamo. Sempre i soliti - commentò una delle bambine sbuffando - Perché non cercano di essere un po' come te?

  • Bah, andiamocene - disse un'altra sbuffando e dando le spalle ai tre bambini che ormai erano distanti da loro.

Dekisugi che aveva seguito con lo sguardo l'inseguimento, distolse per un attimo la sua attenzione per seguire le altre. Ma poi notò la bambina che era rimasta ancora ferma, fissando un punto in lontananza.

Nel suo viso trasparivano l'ansia e la preoccupazione, anche se non aveva proferito una parola.

  • Shizuka, non vieni? - la chiamò un'amica, essendo l'unica a essere rimasta indietro rispetto al gruppetto.

Al sentire il suo nome, lei si risvegliò dai suoi pensieri e tornò a sorridere gentilmente al gruppetto. Annuì e li raggiunse.

Dekisugi con discrezione continuò a osservarla, mentre proseguivano la loro camminata. Solo per un altro breve istante rivide nei suoi occhi marroni l'ansia di prima, nascosta dietro un sorriso.

Era preoccupata per lui...

 

DORAEMON AND NOBITA PRESENT:

 

JUST LIKE YOU

Che significa “essere sé stessi”?

 

Cap. 8

 

Di lui dicevano molte cose. Che era un genio, che riusciva in tutto, che era destinato al successo. Che non avrebbe neanche dovuto sforzarsi, perché avrebbe ottenuto sicuramente tutto dalla vita.

Era un preconcetto un po' stupido.

Non aveva tutto, e quello che aveva se l'era guadagnato. Ma agli occhi degli altri, doveva sembrare così.

Non poteva darli torto, erano poche le volte che qualcosa gli andava storto. Ma non era certo perché fosse baciato dalla fortuna.

Semplicemente fin da bambino aveva coltivato molte passioni. Era un bambino affamato di conoscenze e ciò che più lo affascinava era lo spazio. Divorava i libri e talvolta fantasticava di trovarsi anche lui nello spazio a osservare la Terra da lontano. C'era così tanto da esplorare e scoprire...

Con questo pensiero, era rimasto assorto per qualche minuto, seduto sul letto appena rifatto.

La libreria nella sua stanza era piena di libri che aveva letto su tanti argomenti. Il restante dei libri erano nel salotto di casa, e altri ancora erano stati regalati per mancanza di spazio.

Appoggiata sulla scrivania c'era ad attenderlo la cartella, già precedentemente preparata la sera prima, e sulla sedia la giacchetta della divisa scolastica.

La stanza era impeccabile come sempre. Si occupava personalmente di pulirla, una abitudine appresa già da bambino.

Diede un'occhiata all'orologio sul comodino. Era ora di avviarsi.

Con tranquillità si infilò la giacchetta e passò davanti allo specchio per sistemarsi il colletto.

Si soffermò a fissare il suo riflesso impeccabile, il viso pareva immerso in qualche pensiero, per poi incamminarsi fuori dalla stanza e salutare la madre prima di dirigersi a scuola.

Camminava in silenzio, mentre mentalmente ripassava le ultime nozioni apprese. Non ne aveva realmente bisogno, aveva studiato per bene con largo anticipo, ma ugualmente lo faceva sentire sicuro.

  • Dekisugi! - lo salutò un gruppetto di ragazze, quando lo riconobbero.

Il ragazzo si limitò a ricambiare il saluto, evitando si soffermarsi a chiacchierare.

L'esperienza in quei ultimi anni lo aveva reso cauto nei confronti delle ragazze. Non aveva problemi con loro, ma spesso le ragazze potevano avere un comportamento un po' ossessivo nei suoi confronti. Mentre da bambini si limitavano a semplici complimenti e a fare la strada con lui, da grandi avevano addirittura scovato il suo indirizzo e lo aspettavano sotto casa, impedendogli di dedicarsi con tranquillità ai suoi impegni e allo studio. Senza contare le lettere, regali e dichiarazioni d'amore che riceveva almeno una volta al giorno.

Forse visto dagli altri ragazzi, poteva essere qualcosa di cui vantarsi, ma non c'era niente di divertente nel venire inseguito da ragazze, di cui la maggior parte non conosceva, e sentirsi obbligato a essere gentile anche quando invadono la sua privacy.

Alcune erano anche troppo audaci, tentando di baciarlo con la forza, nonostante avesse messo in chiaro più volte che non poteva ricambiare i loro sentimenti. A lui non piaceva essere sgarbato o crudele quando le rifiutava, per questo cercava di essere gentile. Ma questo era controproducente perché tornavano alla carica.

A volte si sorprendeva come potevano diventare alcune ragazze. Non tutte per fortuna.

Da quel cumulo di fanatiche, se ne salvava qualcuna con un po' di cervello.

E tra queste, ce n'era una che era speciale.

La vide proprio in quel momento camminare davanti a lui lungo la stradina in salita. Era riconoscibile per i codini color castano scuro e quella camminata aggraziata.

Con un sorriso sulle labbra, accelerò il passo per poterla raggiungere e mettersi al suo fianco, ma quando le fu abbastanza vicino notò che il suo sguardo era fisso in un punto distante.

Seguendo il suo sguardo, individuò una persona ancora più avanti di loro che, ignara di essere osservata, camminava tranquilla verso la scuola.

Con lo sguardo tornò alla ragazza, che ancora non si era accorta del suo arrivo, e ritrovò nel suo viso lo stesso sguardo di apprensione e preoccupazione di quando era bambina.

 

Tanti discorsi sulla vostra amicizia eppure vi ostinate a mentire su ciò che provate davvero. Bisogna davvero essere proprio stupidi per non accorgersene.

 

Non era esatto. Lui lo sapeva, anche troppo bene.

Lo aveva notato già da quando erano bambini, e anche nei anni seguenti.

Non poteva criticarla per questo. Shizuka era il tipo di persona che si preoccupava per il prossimo, senza fare distinzioni, ed era capace di esprimere carità e premure verso chi ne aveva bisogno.

Ma c'era qualcuno nel loro gruppetto, a cui dedicava particolare attenzione. Uno per cui lei stessa sembrava non accorgersi di provare dei sentimenti speciali. L'unica persona in grado di farle tornare il buon umore dopo un dispiacere, l'unico in grado di farle uscire una risata genuina, l'unico che la facesse perdere la pazienza, l'unico in grado di esporre lati della sua personalità che solitamente teneva nascosti.

L'unico che sapesse davvero comprenderla.

Ma quella persona era solo un ragazzo, ignaro di ciò che gli accadeva intorno.

 

Che dici. Non sono te. Ti ci vedi una ragazza innamorata di me?

 

Un ragazzo che preferiva scappare anziché affrontare. Come sempre aveva fatto da bambino.

Troppo chiuso in un idea che si era creato nella sua testa, troppo spaventato anche solo per guardare la realtà.

 

Congratulazioni. Ho saputo che finalmente ti sei deciso a dichiararti. Sono contento per te e Shizuka. Sapevo che alla fine lo avresti capito. Shizuka è in buone mani con te.

 

Ma lui non era stato da meno. Quella volta aveva preferito tacere, anziché dire la verità.

Perché non lo aveva fatto?

Forse perché inconsciamente quella situazione gli stava bene? Forse perché grazie a quel pettegolezzo, le fanatiche che lo assillavano erano diminuite? Forse perché ora non doveva preoccuparsi di ritrovarsi sotto casa qualche pazza?

Forse perché quello era il male minore?

Ma ciò non toglieva il fatto che fosse una bugia.

 

Lui ha voluto così. È stato lui il primo che ha preso le distanze da noi. Lo ricordi, no?

 

Oh, lui lo ricordava bene. Si era accorto per primo del cambiamento di Nobita, già dalla fine delle elementari.

Come se cercasse di trovare qualcosa che lo tenesse indaffarato, e lentamente distanziarsi dai suoi amici.

Nobita non era il tipo da rinnegare gli amici, neanche se si erano comportati da bulli nei suoi confronti. Eppure, dava sempre più l'impressione di voler allontanare da sé il passato.

Nei momenti che gli capitava di poterlo osservare da vicino, gli sembrava quasi tormentato da qualcosa. Ma in nessun momento aveva dato l'impressione di volerne parlare.

Pensava che fosse qualcosa di passeggero, che presto si sarebbe confidato con qualcuno dei suoi amici e tutto si sarebbe risolto.

Nobita però sembrava essersi trincerato nei suoi segreti. E fintanto che continuava a comportarsi così, i pensieri di Shizuka sarebbero rimasti legati solo a lui.

 

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  • Jaiko, sei in stanza? - bussò alla porta.

Sua sorella lo aveva rimproverato tante volte di non entrare senza bussare. E la loro madre ci teneva che imparasse almeno un po' di buone maniere.

Gli sembrava assurdo, visto che anche Jaiko faceva la stessa cosa, entrando in stanza quando invitava gli amici.

Bussò di nuovo, ma non sentì rispondere dall'altra parte, quindi aprì la porta. In stanza non c'era nessuno.

Takeshi si grattò la testa. Se lo sarebbe dovuto ricordare prima, quella mattina Jaiko aveva accennato alla loro madre che si sarebbe trattenuta a scuola, dopo le lezioni. Solitamente anche lui avrebbe fatto lo stesso, ma dopo che la sua squadra era tornata da una partita, l'allenatore aveva dato loro qualche giorno di riposo prima di riprendere l'allenamento. Avevano sconfitto una squadra forte, ma ne mancavano altre, prima di vincere il campionato. E i suoi muscoli avevano bisogno di un po' di riposo.

Però si era ricordato che aveva perso la gomma da cancellare, e voleva chiederla in prestito a sua sorella, visto che la madre gli avrebbe fatto la ramanzina per essere così distratto con le sue proprietà.

Si guardò intorno, con atteggiamento circospetto. Sua madre era al negozio e sua sorella era a scuola. Jaiko non avrebbe protestato se gli avesse preso una delle sue gomme, ne aveva così tante sulla sua scrivania. Frugò nella scrivania di lei, non sapendo dove nascondesse le scorte. Provò ad aprire un cassetto e trovò un po' di resistenza. Doveva essersi incastrato con qualcosa. Tirò con forza, ma non dosò la potenza. Il cassetto si sfilò dalla scrivania insieme a tutto il contenuto che si rovesciò in aria, compresi dei fogli.

Takeshi entrò in panico. Non aveva paura della sorella, ma se lo veniva a sapere la madre, sarebbero stati dolori.

Rimise velocemente tutto dentro, ma quando si ritrovò in mano una busta grande, si bloccò.

Gli era familiare, dove aveva visto una busta così l'ultima volta? Ricordava vagamente una delle volte che Nobita era venuto ad aiutare Jaiko, e li aveva sorpresi contendersi quella busta.

Jaiko non aveva mai accennato al contenuto o del perché sembrasse tenerci a non farlo aprire.

Finora non ci aveva pensato, ma ora gli era tornata la curiosità. Avrebbe dato solo una sbirciata e poi l'avrebbe rimesso dov'era.

Aprì la busta e tirò fuori dei disegni. Erano le tavole di una storia ultimata.

Iniziò a leggere.

 

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Spalancò gli occhi, con una tale velocità, che gli sembrò quasi di essersi stirato un muscolo. Allo stesso tempo aprì la bocca nell'intento di prendere una boccata d'aria. Si rigirò sul fianco e cercò di calmare il cuore che batteva rapido.

Si portò una mano al petto e con lo sguardo perlustrò intorno, cercando di convincersi di aver fatto solo un sogno.

Ma non era bravo a mentire a sé stesso.

Decise quindi di rimettersi in piedi. I suoi occhi si posarono sulla scrivania dove aveva lasciato i quaderni aperti con gli esercizi lasciati a metà. Da quando era tornato a casa non era riuscito a fare un granché, quindi aveva optato per riposare un po'.

Spostò lo sguardo sulla sveglia e grugnì con frustrazione scoprendo di aver dormito solo quindici minuti e avere ottenuto solo un gran mal di testa.

Quasi non ci credeva che da bambino era in grado di fare pennichelle lunghe delle ore, mentre negli ultimi anni il massimo che riusciva a fare erano quindici minuti scarsi prima di svegliarsi violentemente.

Si asciugò la fronte sudata e afferrò una felpa. Era certo che, anche sforzandosi, non sarebbe riuscito a concludere qualcosa. Aveva bisogno di uscire.

  • Nobita, stai uscendo?- la madre si sporse dal salotto e lo raggiunse all'ingresso, prima che lui si infilasse le scarpe.

  • Faccio solo una passeggiata - spiegò. Non voleva dilungarsi in spiegazioni.

  • Bene, già che ci sei, vai a comprare delle verdure per la cena di stasera - lei prontamente gli porse una borsa vuota.

Nobita preferì non protestare. In tanti anni aveva imparato che era inutile discutere con sua madre. Così prese la lista senza fiatare, mentre la madre lo seguiva con lo sguardo.

  • Aspetta - lo chiamò prima che lui aprisse la porta. Nel momento che si voltò a guardarla, lei appoggiò una mano sulla sua fronte, prendendolo un po' alla sprovvista - Sei molto pallido, sicuro di stare bene?

  • Ho solo dormito male - si giustificò lui, mostrandole un sorriso sereno.

La madre allontanò la mano, ma continuò a guardarlo un po' preoccupata. Lui ne approfittò per salutarla e filarsela in fretta.

S'incamminò velocemente verso il centro della città, in direzione del nuovo supermercato.

Si sentiva un po' in colpa per essersene andato così, ma non voleva che sua madre si preoccupasse come in passato. L'aveva già fatta spaventare abbastanza, quando l'anno precedente era svenuto all'ingresso di casa.

Cercò di non pensarci ed entrò nel supermercato e dopo aver preso qualcosa dal reparto dei freschi, si distrasse controllando la lista, senza accorgersi di essersi fermato al reparti dei surgelati.

Il suo sguardo si spostò dal foglio alla porta di vetro, dove il vapore freddo aveva reso più evidente il suo riflesso.

Un ragazzo con gli occhiali tondi lo fissava intensamente con uno sguardo serio. Le sue labbra poi, lentamente si aprirono da sole. Stava sussurrandogli qualcosa di impercepibile.

  • Nobita!

La voce squillante di una ragazza, lo risvegliò bruscamente da quella visione. Si voltò e trovò vicino a lui la sua compagna di classe Sasaki. La ragazza, con i suoi lunghi capelli raccolti in una treccia e un vestito azzurro, lo stava fissando chissà da quando.

  • Oh, ciao... non ti avevo sentito - si giustificò lui, con un sorriso imbarazzato.

  • Sì, l'avevo notato - commentò lei con una risatina, per niente offesa. Poi il suo sguardo si spostò dove un attimo prima gli occhi di Nobita si erano soffermati - Indeciso su cosa comprare?

Nobita tornò a guardare la porta finestra del frigorifero, vedendoci ora solo due riflessi sbiaditi, e dietro di loro dei sacchetti di verdura congelata.

Senza pensarci oltre, aprì la porta e afferrò il primo sacchettino. Non faceva parte della lista, ma non sapeva come altro spiegare la sua momentanea distrazione. Cercò quindi di spostare l'attenzione su di lei.

  • Anche tu a fare compere?

La ragazza annuì, e insieme comprarono le ultime cose prima di dirigersi alla cassa.

  • Vuoi dare una festa? - scherzò lui, per la sorpresa di vederla comprare molto cibo.

  • Qualcosa del genere... - ridacchiò lei imbarazzata, mentre Nobita le dava una mano per portare le borse.

I due s'incamminarono e nel frattempo chiacchierarono su più cose, finché lei dopo un breve silenzio lo guardò con incertezza.

  • Hai impegni?

  • No, non particolarmente - ammise. A casa c'erano i compiti che lo aspettavano, ma in quel momento non lo allettavano molto.

  • Ho un idea, perché non vieni da me? Non c'è nessuno in casa, mi farebbe piacere un po' di compagnia, e poi avrei bisogno di un aiuto.

Nobita ci pensò su. Non ci vedeva niente di male nel fare una sosta da Sasaki, ed era anche un modo di distrarsi. Non ci avrebbe impiegato tanto, e poi era curioso di sapere per chi era la festa. Annuì e vide il sorriso della ragazza illuminarsi.

Era la prima volta che andava da lei. Anche la volta che l'aveva accompagnata, si erano fermati un po' prima di raggiungere casa sua, che si trovava nel quartiere al di là del fiume.

Nobita ricordava di esserci stato in quel quartiere da bambino e di essersi soffermato a guardare un vecchio hotel. Ora al suo posto si ergeva un palazzo nuovo, e uno di quei appartamenti era della famiglia di Sasaki.

Quando entrò in casa Nobita si stupì di quando spaziosa e graziosa fosse la casa. Non era grande come quella di Chika, o disposta in due piani come la sua, ma lo spazio era ben distribuito. L'arredamento era adornato di oggetti graziosi e dai colori vivaci. La cucina, aperta sul salotto, era provvista di elettrodomestici piccoli ma moderni.

Sasaki gli si avvicinò per prendere le borse e depositarle sul bancone della cucina. Al suo interno c'erano diversi dolci e salatini, ma c'erano anche dei ingredienti per farne qualcuno e decorarli.

  • Quindi, di che festa si tratta? - chiese Nobita guardandosi distrattamente intorno.

Non ricordava che Sasaki gli avesse detto di avere fratelli o sorelle, ma vista la quantità di cibo forse aveva invitato dei parenti. Sasaki nel frattempo aveva tirato fuori una scatola da un mobile e l'aveva appoggiata sul tavolo coperto da una tovaglia ricamata.

  • Oh, mio padre - rispose lei con un sorriso vago, mentre apriva la scatola contenente dei nastri e festoni.

Nobita fece caso a una delle tante cornici sul mobile. Era ritratta una famiglia di tre persone.

  • È tuo padre? - domandò. Sasaki annuì e iniziò a trafficare con degli utensili da cucina - Che lavoro fa?

Sasaki smise di fare rumore con delle pentole e abbassò lo sguardo.

  • Lui era un vigile del fuoco - gli rivolse un sorriso triste.

Nobita si rese conto che la ragazza si riferiva di lui al passato e si sentì mortificato per la gaffe.

  • Mi dispiace, non dovevo...

  • Tranquillo - disse subito lei, tornando serena - Sai, mio padre non c'è ormai da anni, però è come se non ci avesse mai lasciato. Per questo ogni anno, al suo compleanno, io e mia madre abbiamo la tradizione di fare una festicciola.

  • È un gesto dolce - le sorrise comprensivo - Vuoi una mano? - si affrettò a chiedere, mentre la vedeva rompere malamente delle uova.

Non poté evitare di ricordare con terrore i dolci preparati da lei alla festa di Natale. Da quella volta l'aveva vista sforzarsi per migliorare, anche se finora tendeva a dimenticare qualche ingrediente o aggiungerne a fantasia. Le era difficile seguire fedelmente i libri di cucina.

  • Oh sì, grazie - gli fece posto in piedi accanto a lei - Di solito è mia madre che prepara tutto per la festa, ma da quando abbiamo cambiato casa e lavoro, sono poche le sere che torna presto. A volte mi manca trovarla in casa ad aspettarmi - aggiunse con una nota di tristezza.

Nobita la osservò ricordando che, quella sera di Natale che si erano salutati, Sasaki aveva accennato che sarebbe rimasta alzata ad aspettare la madre che tornasse a casa. Quella volta non si era posto la domanda se il motivo per insistere per la festa, era per non trovarsi a festeggiare da sola a casa.

  • Quindi ho pensato che... - sorrise emozionata - Be', avrei potuto preparare io qualcosa, per farle una sorpresa.

Il genuino entusiasmo di lei, fece sorridere Nobita.

Sapeva cosa significasse sforzarsi di fare qualcosa per cui non si è portati, solo per rendere felice qualcuno. Solo per dimostrare di tenerci a quella persona.

  • Non so quanto potrò esserti d'aiuto, ma se ci dividiamo i compiti, potremmo finire prima - propose lui, contagiato dal suo entusiasmo.

Lei annuì grata, e insieme cominciarono a darsi da fare. Provarono alcune ricette facendosi aiutare da qualche video su internet e abbellendo la casa con gli adorni fatti in casa. Ogni tanto combinavano qualche disastro, ma senza perdere il buon umore e ridendo insieme, riuscirono a terminare. Il salotto era addobbato a dovere e anche il tavolo era imbandito, in tempo per l'arrivo della madre di Sasaki.

  • Mamma! - la ragazza le corse incontro abbracciandola affettuosamente, dando l'impressione di essere una bambina - Auguri!

La madre, una donna molto bella e dall'aspetto giovane, ricambiò l'abbraccio con la stessa energia.

Nobita osservandole si sentì un po' a disagio, forse non doveva trovarsi lì, trattandosi di un momento familiare.

  • Auguri, amore - l'accarezzò sulla testa e si guardò intorno - Oh, ma che gradita sorpresa! Mi spiace che ci abbia dovuto pensare tu...

  • Ma non ero sola - si affrettò a dire Sasaki, lasciando andare la madre - Mamma, lui è il mio compagno di classe, Nobita. Mi ha aiutato lui.

La madre, da prima confusa, notò solo dopo la presenza del ragazzo. Nobita in qualche modo aveva cercato di mettersi un po' in disparte.

  • Oh, ma che maleducata! Piacere di conoscerti - rise imbarazzata - Ero rimasta distratta dal cibo in tavola. Mia figlia confonde spesso gli ingredienti - Sasaki mise il broncio per scherzo - Sei stato gentile ad aiutarla.

  • Non ho fatto un granché - ammise lui - E poi, è stato divertente.

  • Avanti mamma, vieni a sederti - la figlia la trascinò per mano verso la tavola. Poi prontamente afferrò il braccio del ragazzo - Unisciti a noi Nobita. Sarai il nostro invitato speciale - congiunse le mani, con una risatina - Ti prego, ti prego! Non ci impiegheremo tanto.

  • Sì, più siamo e più ci divertiamo - insistette la donna, con la stessa energia - È il minimo per il disturbo.

Nobita avrebbe insistito per andarsene, ma non se la sentiva di rifiutare. Entrambe sapevano essere molto persuasive con i loro sguardi entusiasti.

La madre poi, aveva molti gesti ed espressioni simili a Sasaki, così come il suo modo di sorridere. Se non avesse saputo che erano madre e figlia, avrebbe potuto scambiarle per sorelle.

Sasaki gli fece posto a tavola e si sedette anche lei, dopo aver preparato per quattro persone. Nobita osservò quel posto libero e si chiese chi altro era stato invitato. Forse Saotome. Infatti si sorprese di non vederlo lì. Ma era anche vero che Saotome era solito dare buca a Sasaki, lasciando la ragazza molto triste.

Dopo essersi seduto, Nobita notò che la donna lo stava fissando con un sorriso pensieroso. Si chiese se gli fosse finita della farina tra i capelli.

  • Quindi tu sei il famoso Nobita di cui tanto mi parla mia figlia.

  • Famoso? - ripeté perplesso. L'unica cosa in cui poteva essere famoso, era la sua abilità nel mettersi nei pasticci.

  • Mamma! - sentì esclamare Sasaki, con un leggero colorito sulle guance. Forse imbarazzo, ma era difficile dirlo visto che si colorava un po' le guance.

La madre di risposta, rise divertita per l'espressione imbronciata della figlia. Dava l'impressione di essere una ragazzina per come rideva.

  • Tranquillo. Mia figlia dice solo che sei un bravo ragazzo e un buon amico - Nobita sorrise grato e Sasaki sembrò rilassarsi. La donna iniziò a versarsi una bevanda nel bicchiere, mentre smetteva di ridere - Anche mio marito era un brav'uomo, anche se a tratti un po' goffo - il suo sguardo malinconico si posò a un lato del tavolo - Gli saresti piaciuto.

Nobita seguì lo sguardo e si accorse solo in quel momento di una foto incorniciata, appoggiata dal lato del posto libero del tavolo, dove credeva ci sarebbe stata un'altra persona. La foto era un primo piano di un uomo.

La donna alzando il bicchiere nella sua direzione, aveva rivolto il suo sguardo carico di nostalgia e dolore. Anche Sasaki fece lo stesso, quindi Nobita le imitò.

  • Buon compleanno, tesoro - disse, come se stesse effettivamente parlando con l'uomo - Noi stiamo bene.

Nobita sbirciò il viso dell'amica, trovandola con gli occhi lucidi per la commozione, anche se non perdeva il suo sorriso.

  • Auguri, papà.

Nobita si unì al brindisi, sentendosi commosso dall'affetto che moglie e figlia provavano per quell'uomo. Per un istante provò a immaginarsi nella stessa situazione di Sasaki, senza più un genitore. Avrebbe avuto la forza di festeggiare ogni anno il suo compleanno?

  • Bene, adesso via quell'espressione e divertiamoci - disse la madre con entusiasmo abbracciando per la spalla la figlia. Sasaki la seguì nell'euforia, trascinando il povero ragazzo.

Dopo essersi riempiti di cibo, per fortuna commestibile, i tre si sistemarono nel salotto e diedero inizio a sfide di canto. Una delle tanti attività in cui Nobita era una frana, perché gli era difficile stare a tempo con la musica. Ma in nessun momento si erano burlate di lui, anzi lo spronavano a cantare di più, unendosi al coro. Poi si dedicarono ad altri giochi, tra cui prove di equilibrio o indovinare le parole mimando.

Passando del tempo con la madre di Sasaki, Nobita provò sincera simpatia per lei. Era una donna giovale, e forse per questo Sasaki le assomigliava, ma non doveva essere facile sorridere a un posto vuoto nelle loro vite. E si domandò se questo modo di comportarsi a tratti un po' fanciullo di Sasaki, nascondesse un bisogno di colmare quel vuoto.

La festa durò un oretta circa, finché Nobita non si rese conto che si stava facendo tardi. Aveva ancora la spesa da portare a casa e immaginava al suo ritorno la faccia di rimprovero della madre.

Scusandosi, si avviò verso l'ingresso. La donna lo salutò allegramente e lo invitò a tornare di nuovo, anche insieme ad altri amici. Sasaki poi lo accompagnò fino a fuori dal palazzo, dove sostarono per salutarsi.

  • Mi spiace - disse d'improvviso lei, cercando di sorridere - Dovevi fare la spesa, ma io ti ho costretto a restare.

Lui scosse la testa.

  • Mi sono divertito. E ne avevo bisogno - le sorrise - E poi tua madre è simpatica. Mi è sembrato di stare con una coetanea - poi si zittì pentito dell'ultima frase. Forse poteva suonare irrispettoso - Eh, volevo dire...

Lei lo fermò prima ridacchiando.

  • Non preoccuparti, sono in molti a pensarlo.

Poi lo sguardo di Sasaki si fece di colpo serio e si soffermò a guardare le sue lunghe unghie.

  • Sai, a mio padre non piaceva quando eravamo tristi. Perciò si sforzava di tenerci di buon umore. Diceva sempre che un sorriso era la miglior cura alla tristezza. Per questo ogni anno, in occasione di questo evento, mi sforzo di non rattristarmi davanti a mia madre. Non voglio vanificare i suoi sforzi per rendere gestibile l'assenza di mio padre.

  • Hai provato a parlarne con lei? Di come ti senti.

  • Io e mia madre parliamo di tutto... ma questa è l'unica cosa che ancora non me la sento di affrontare. Voglio che lei continui a credere che il ricordo di mio padre non mi addolori più. Per te sto sbagliando? - lei alzò lo sguardo su di lui. I suoi occhi erano lacrimosi.

Non fece in tempo a rispondere, che lei lo sorprese con un abbraccio. Nobita sentì il suo viso stringersi sul suo petto mentre la sentiva singhiozzare. Avrebbe voluto domandare, ma sentiva così forte il suo abbraccio, che si limitò ad accarezzarle la testa.

Si sentiva mortificato per non essersene accorto prima. Sasaki era una ragazza solitamente solare, sempre pronta a organizzare eventi per divertirsi con i suoi amici. Ma allo stesso tempo era molto fragile nei suoi sentimenti.

Era sua amica, eppure non sapeva come aiutarla.

L'immagine di un gatto blu tornò alla mente. Il giorno che lasciò andare la sua mano e il cassetto della scrivania si chiuse dietro di lui. Quel silenzio che si era creato in quella stanza e si era protratto negli anni.

  • Ci sono momenti dove l'assenza di una persona torna a farsi presente nelle mie giornate - iniziò a dire, soffermandosi a guardare il proprio riflesso dai vetri del portone - Vorrei poter dire che ho tirato avanti, che il ricordo non faccia più male... ma mentirei. Non possiamo semplicemente voltare pagina. È difficile, e spesso ci si trova da soli ad affrontarlo. Però... - fece una pausa - Se ci fosse una persona con cui condividerlo, non sarebbe meglio? Anche se hai paura che qualcosa possa cambiare, tua madre è la persona più vicina a comprendere quello che provi. E ho l'impressione che lei stia aspettando il momento che ti sentirai pronta per parlarle.

Sasaki rimase in silenzio e poi annuì. Lentamente si staccò da lui, ma non alzò subito lo sguardo.

  • Grazie - mormorò - Per essere qui. Per essere così gentile con me. Vorrei che fosse così semplice aprirsi con Saotome, però mi risulta così difficile a volte...

  • Immagino - Nobita conosceva quei lati presuntuosi del compagno di classe.

  • Non fraintendermi. Saotome, a dispetto di come vuole apparire, ha dei lati buoni. Ma è come se non mi volesse rendere partecipe dei suoi pensieri, come se provasse piacere nel rendersi antipatico con le sue parole. A volte penso di essere l'unica a vederlo per come è davvero - sospirò demoralizzata - Ma finché continuerà a comportarsi così, mi è difficile...

Nobita non sapeva cosa dirle. Era vero che Saotome era una vera spina nel fianco quando lo voleva, ma in passato aveva già avuto a che fare con dei presuntuosi. E le persone potevano dimostrarsi migliori di quel che ci si può aspettare.

  • Un giorno capirà... - cercò di risollevarle il morale - Anche se ci vorrà molta pazienza - aggiunse alzando gli occhi al cielo.

  • Già - lei annuì ridacchiando.

Si asciugò gli occhi e tornò a sorridere. Poi fece un passo indietro per dargli spazio per andare.

  • Ci vediamo domani in classe - lo salutò con la mano.

Nobita ricambiò il saluto, e con la borsa della spesa in mano, si avviò verso casa.

Lungo la strada di ritorno si soffermò a pensare a quanto l'amore fosse complicato. Era in grado di unire le persone anche dopo la morte, e farti guardare oltre i difetti della persona.

Anche lui un tempo credeva nell'amore profondo, in grado di far fare le più folli spericolatezze, e fargli sperare in quel futuro che gli sembrava così roseo.

Ora il suo futuro... be', quelle tinte così rosee si erano sbiadite da tempo.

 

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"Il tuo futuro"

Nobita grugnì silenziosamente quando si ritrovò davanti il titolo del loro questionario.

"Cosa sogni di fare da grande?"

"Quali sono i tuoi progetti futuri?"

"Come ti vedi tra dieci anni?"

Davvero? Era un po' ironico parlare di futuro a una persona che letteralmente aveva viaggiato tra passato e futuro.

Non era nuovo a queste domande sui formulari. Sia alle elementari, che alle medie, ne erano stati sommersi.

Ma rispetto a prima, che poteva essere molto vago nelle sue rispose, alle superiori non poteva permettersi quel lusso, giusto?

I suoi compagni di classe sembravano molto concentrati a rispondere alle domande.

Diede una veloce occhiata al banco affianco. Hiro aveva un espressione scocciata e sembrava intenzionato ad accartocciare il foglio. Chika era pensierosa, e si soffermava su ogni frase che buttava giù. Sasaki scriveva e si fermava per sorridere al foglio, soddisfatta delle sue risposte. Yukio non sembrava particolarmente spaventato, né troppo felice, mentre scriveva qualcosa.

Saotome era quello che più di tutti sapeva cosa scrivere, uno dei pochi che sembrava avere già ben in chiaro i propri obiettivi. Non ne era sorpreso, non faceva altro che vantarsi di aver pianificato tutto il suo futuro.

Invidiava un po' quella sua sicurezza.

Anche lui, in un momento della sua vita, aveva avuto ben in chiaro il suo futuro. Non esattamente tutti i particolari, ma sapeva cosa il futuro gli riservava e con chi l'avrebbe condiviso. E ciò lo aveva sempre rasserenato.

 

Devi prendere una decisione. Decidi a cosa credere. A quale verità sceglierai di credere?

 

La verità, è che ora non poteva evitare di provare una paura pazzesca.

Anche solo mettere nero su bianco, lo sentiva come una condanna.

L'occhio si posò sulla penna quando notò che si stava muovendo a scatti. Solo in quel momento si rese conto che la sua mano aveva iniziato a tremare. Da quando era cominciato?

Con l'altra mano ci si appoggiò sopra e la bloccò, sperando che nessuno ci avesse fatto caso. Per fortuna gli altri studenti erano concentrati nel loro foglio.

  • Ancora dieci minuti - informò il loro insegnante Tsutomu. Si sentì un generale respiro trattenuto e l'aumento di penne sul foglio.

Nobita tornò al suo foglio quasi bianco. E con frustrazione si sforzò a scrivere qualcosa.

 

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  • Il tempo è finito. Consegnate i fogli prima di uscire dalla classe - disse l'insegnante ai suoi studenti. Uno dopo l'altro sfilarono davanti alla sua scrivania, lasciando i fogli compilati.

Shizuka tenne il foglio tra le mani qualche secondo in più prima di alzarsi dal banco. Suneo era stato tra i primi a finire, seguito da Dekisugi e poi Takeshi.

  • Com'è andata? - le chiese Dekisugi, mentre lei raggiungeva il trio impegnato a parlare.

  • Bene - annuì con un sorriso di cortesia. Dekisugi ricambiò il sorriso e tornò ad ascoltare la discussione tra Suneo e Takeshi su chi avesse il futuro più interessante.

Shizuka rimase in loro compagnia, senza effettivamente prestare attenzione a quella conversazione.

I suoi pensieri stavano valutando le risposte lasciate sul questionario. Rispetto a qualche anno prima, aveva indugiato nelle sue risposte. Forse aveva qualche ripensamento?

Era come essere tornata all'ultimo anno delle medie, quando era indecisa sulla scuola superiore da frequentare. Si era impegnata per poter passare il test d'ingresso per la scuola femminile Nakamura, la scuola che sua madre le aveva scelto, e che a lungo si era convinta che fosse ciò che desiderava. Ma era bastata una piccola incertezza a farle cambiare tutto il suo percorso.

E ora? Non aveva idea se il futuro che aveva pianificato era ciò che voleva.

Guardò il trio di amici e si sentì per un attimo isolata. Dalle loro parole e dai loro volti disinvolti, non sembravano altrettanto dubbiosi. Magari avrebbe dovuto confidarsi con qualche sua amica, ma una parte di lei sentiva che non l'avrebbero compresa.

Non potendone parlare neanche con i suoi genitori, che l'avrebbero confusa di più, decise di andare a suonare il violino. Era un buon metodo per schiarirsi le idee, e ultimamente aveva avuto anche fin troppa confusione nella testa.

In alcuni pomeriggi, finite le lezioni, l'aula di musica era solitamente vuota, quindi lei ne approfittava per scivolare dentro e immergersi nel suono del suo violino. Nessuno l'avrebbe disturbata, perché a quell'ora la maggior parte dei studenti era andata a casa. Neanche Dekisugi l'avrebbe cercata, perché non lo sapeva. E preferiva così. Dekisugi era un buon amico, ma a volte preferiva rimanere sola.

Avanzando a passo spedito per il corridoio, con il sole che filtrava dalle finestre colorando i suoi codini di un tono rossiccio, si diresse all'aula di musica, ma quando aprì la porta la trovò un po' in disordine con i mobili spostati. Ci doveva essere qualcuno verso il fondo dell'aula, perché sentì un distinto lamento dopo che qualcosa era probabilmente caduta per terra. La sua improvvisa entrata doveva averlo spaventato.

  • Saotome, ti sei deciso finalmente di venire a...? - borbottò con voce un po' risollevata.

Un ragazzo con dei occhiali, riemerse da uno dei armadietti e allungando lo sguardo verso l'ingresso, la sua voce si arrestò. Shizuka era altrettanto sorpresa di vederlo lì, che rimase ferma all'ingresso con in mano la custodia del suo violino.

Il ragazzo si allontanò da una pila di libri e le venne incontro.

  • Scusa, mi era stato detto che oggi l'aula non veniva usata - il suo sguardo si posò sul violino.

  • No, io non... - un po' impacciata si aggiustò un ciuffo di capelli. Non sapeva come giustificarsi, quindi cercò di cambiare discorso - Non ha importanza. Cosa stai facendo?

  • Domani devono passare dei tecnici a fare dei controlli per l'impianto elettrico e mi è stato chiesto di spostare qualche mobile per fare spazio.

  • Tu da solo?

  • In realtà doveva aiutarmi Saotome, ma come sai... - Nobita alzò lo sguardo al cielo, spazientito.

  • Oh, capito.

A Shizuka le sfuggì una risatina di comprensione. Sapeva dai racconti di Dekisugi, quanto Saotome facesse esasperare sia lui che Nobita.

  • Serve un aiuto? - si azzardò di chiedere. Nobita le rivolse lo sguardo, per poi scuotere la testa.

  • Non preoccuparti, non sono così debole come alle elementari - rispose con un tono un po' scherzoso, per poi tornare a guardare l'aula.

Shizuka indugiò lì ferma, mentre lui tornava al suo lavoro. Nobita se ne accorse e tornò a guardarla.

  • Non torni a casa?

  • Ho detto ai miei genitori che avrei tardato un po', e in casa adesso non c'è nessuno. Ti dispiace se rimango qui ad aspettare?

In realtà in casa c'era la sua famiglia, ma non se la sentiva di rincasare in quel momento.

Nobita sembrò soppesare la richiesta per qualche secondo, e a Shizuka ricordò malauguratamente la sua risposta l'ultima volta che gli aveva chiesto di fare la strada insieme.

  • Se non ti annoia... - alzò le spalle.

Shizuka scosse la testa, un po' sollevata che il ragazzo non l'avesse cacciata via. Da un po' di tempo aveva l'impressione che Nobita non la volesse vicino e questo la feriva.

Lei lo osservò mentre tornava agli armadietti. Non sembrava più fare caso a lei.

Shizuka lasciò appoggiata alla parete il suo violino e la cartella, e si guardò indecisa le punte delle scarpe. Con lo sguardo tornò a guardare il ragazzo. Stava spostando dei spartiti un po' polverosi e la polvere lo fece tossire.

Lei scivolò verso Nobita che gli dava le spalle, districandosi tra banchi e scatole.

  • Sono spartiti che nessuno usa da anni - spiegò lei, quasi alle spalle del ragazzo.

La sua voce calma arrivò improvvisa alle orecchie del ragazzo, che quando si voltò a guardarla, sussultò preso alla sprovvista. Probabilmente non l'aveva sentita arrivare, ma non era sua intenzione spaventarlo. I suoi occhi incrociarono quelli di lei per un solo istante, incomodando visibilmente il ragazzo che spostò velocemente lo sguardo. Le sue labbra si erano tese in una chiusura forzata.

Un comportamento che lasciò anche lei un po' in imbarazzo, senza un motivo apparente.

  • Lascia che ti dia una mano - si offrì lei, cercando di rompere quel silenzio innaturale che si era creato - In due finiremo prima.

Nobita la osservò pensieroso e annuì silenzioso, mentre discretamente cercava di spostarsi in un altro angolo dell'aula.

I due iniziarono a spostare alcuni banchi, e poi passarono a svuotare gli armadietti. Nessuno dei due parlò, se non strettamente necessario. Shizuka si sorprese quanto Nobita fosse diventato serio e lavoratore in quei anni. Anche se più di una volta durante lo spostamento Nobita rischiò di venire sommerso da alcune scatole. Non poté evitare di sorridere di nascosto, almeno il suo lato goffo non era cambiato.

Dopo una ventina di minuti, si fermarono a riprendere fiato. Nobita uscì un momento dall'aula portando via uno scatolone e Shizuka si soffermò a guardare fuori dalla finestra. A quell'ora anche i membri dei club sportivi stavano per andarsene.

  • Prendi - quando si voltò, il ragazzo era tornato e le stava porgendo una lattina fresca - Sarai assettata.

Shizuka accettò la bibita e ringraziò. Cercò una sedia libera dove sedersi e si portò la lattina alla bocca. Era rinfrescante. Si rigirò la lattina tra le mani, mentre si lasciava cullare da quel dolce tepore del pomeriggio.

Nobita si era appoggiato a una pila di sedie e stava sorseggiando la sua bibita, mentre volgeva anche lui lo sguardo alla finestra. Lei gli lanciò uno sguardo furtivo.

Quell'atmosfera le ricordava uno dei pochi pomeriggi che si erano incontrati all'interno della scuola quasi deserta. E lei osservandolo di nascosto, le capitava di domandarsi cosa passasse per la testa dell'amico. Quali pensieri lo tenessero così impegnato, da dimenticarsi persino di avere qualcuno vicino.

Tornò a guardare la lattina fredda e la luce che si rifletteva sull'alluminio.

“Come ti vedi tra dieci anni?”

La frase tornò alla sua mente. Alla bambina di dieci anni che aveva risposto alla stessa identica frase.

  • ... Qualcosa non va? - chiese lui dopo un lungo silenzio. Shizuka alzò lo sguardo e lo vide ancora con lo sguardo fuori dalla finestra.

  • ... come? - chiese un po' presa alla sprovvista. Il ragazzo finalmente diresse il suo sguardo su di lei e la guardò serio.

  • Sembri preoccupata per qualcosa.

Shizuka tornò a fissare la lattina, sentendosi a disagio nel guardarlo. Avrebbe voluto rispondere come al suo solito negando e rivolgendogli un sorriso di cortesia per non destare sospetti, ma non ci riuscì. Già, Nobita riusciva con poche parole ad abbattere il suo muro d'esitazione. Le sembrava di vivere in un deja-vù.

  • Conosci il tuo futuro?

La domanda doveva aver preso alla sprovvista il ragazzo, perché lo sentì quasi inciampare tra le sedie.

  • Il questionario di oggi. Sai, quello sul futuro... - spiegò lei, continuando a fissare la lattina - Fino a oggi non credevo di avere qualche dubbio al riguardo. Eppure, non faccio che pensarci e chiedermi se sia quello che voglio davvero...

Il ricordo la portò al giorno dell'arrivo della lettera di accettazione alla scuola Nakamura, a cui aveva puntato da anni. Ricordò la felicità di sua madre, le felicitazioni di Dekisugi e delle sue amiche.

Ma ricordò anche il suo riflesso mentre ricambiava i sorrisi. Era un sorriso sforzato e vuoto. Non ci aveva fatto caso prima di quel momento.

  • … O se in realtà non l'abbia mai capito.

Shizuka fece una pausa non sentendolo fiatare, quindi alzò lo sguardo su di lui. Lo vide in piedi appoggiato alla pila di sedie, a fissarsi pensieroso le scarpe.

  • Forse è sciocco che ci stia ancora a pensare... - cercò lei di sdrammatizzare, sentendosi un po' a disagio ad averne parlato - Non esiste neanche un modo per scoprirlo. Dimentica quello che ti ho detto.

Nobita non parlò ancora, fino a che non lasciò andare un sospiro stanco.

  • Futuro... eh? - disse infine e volgendosi alla finestra, le diede le spalle - Non dovresti preoccuparti. Qualsiasi cosa tu scelga, il tuo futuro sarà radioso.

  • Che intendi dire?

  • Che sono certo che farai le scelte giuste - si aggrappò al bordo della finestra. I suoi capelli neri erano avvolti dalla luce calda del tramonto - Anche se adesso sei confusa, anche se l'ignoto ti spaventa, riuscirai ad affrontarlo. Il futuro che sceglierai ti renderà felice.

  • Come fai a saperlo? - abbozzò un sorriso timido.

Nobita fece un'altra pausa mentre si girava lentamente verso di lei. Sul suo volto c'era un sorriso gentile.

  • Lo so, fidati - affermò con decisa convinzione, senza lasciare spazio ad altri commenti.

Shizuka rimase in silenzio a fissare gli occhi del ragazzo dietro quei occhiali. Era da tanto tempo che non incrociava il suo sguardo così a lungo. Il colore delle sue iridi, di solito tendenti al grigio, erano di un nero opaco. Non c'era nessuna luce nei suoi occhi mentre sorrideva.

  • E a te Nobita, cosa renderebbe felice? - chiese spontaneamente Shizuka, senza distogliere il contatto visivo.

Il ragazzo sembrò a disagio a quella domanda imprevista, e cercò di distogliere velocemente lo sguardo.

  • Ah, io sono una persona semplice, lo sai - la sua voce che doveva assomigliare a un tono scherzoso, sembrava in realtà nascondesse della titubanza - Mi basta poco - poi si grattò dietro la testa con un certo nervosismo e guardò l'aula - Direi che qui abbiamo finito.

Shizuka annuì e andò a prendere il suo violino. Si passò tra le mani la cinghia della custodia e ripensò alle parole del ragazzo.

  • Grazie - disse lei con tono di voce dolce, continuando a fissare la custodia.

  • Non ho fatto niente - disse il ragazzo con tono spensierato, accatastando l'ultimo scatolone- Anzi, ti ringrazio io di avermi aiutato con questo lavoro.

  • No, ti sbagli - scosse la testa, stringendo le mani sul manico della cartella.

La sua mente la riportò a un pomeriggio, dove lei afflitta dai suoi pochi progressi sul violino, aveva ricevuto da lui parole consolatorie, offrendosi di aiutarla. O quando alle elementari scappava il suo canarino, lui era insieme a lei a cercarlo. O alle tante altre volte che appariva alla sua porta con un sorriso.

Era così abituata a vederlo correre in suo aiuto, che ormai aveva dato per scontata la sua presenza.

  • Hai sempre una parola gentile per me. Fin da quando eravamo bambini. Mi dispiace solo che da un po' di tempo ci siamo distanziati - Nobita non replicò a quella frase, quindi lei proseguì - Cosa ci è successo? Vorrei davvero capirlo... - lei si voltò verso il ragazzo in piedi - Perché vorrei riavere la nostra amicizia.

  • Noi siamo amici, Shizuka - cercò di confermare Nobita, anche se il suo sguardo tradiva l'incertezza - Saremo sempre amici.

  • Non ci credo - lei gli andò incontro decisa, così vicino che il ragazzo fece istintivamente un passo indietro - Nobita, riesci a guardarmi negli occhi e dirmi che tra noi non è cambiato niente?

Il moro non si azzardò a guardarla, tenendosi comunque a debita distanza. Il suo corpo era rigido, come lo era la sua espressione e le sue labbra erano tornate a serrarsi con forza.

  • Si sta facendo tardi - la voce che ne uscì era un po' biascicata - I nostri genitori si staranno preoccupando.

  • Non riesci più neanche ad affrontarmi? - lei rimase decisa in quella posizione. Era stanca di aspettare di avere una risposta. Era stanca di rincorrere dei ricordi - È questo ciò che resta della nostra amicizia? - aggiunse con una nota di dispiacere.

  • Shizuka... - Nobita tornò a guardarla dispiaciuto, ma non riuscì ad aggiungere altro.

Per Shizuka bastava come risposta.

  • Lascia stare - sentendo gli occhi inumidirsi, si voltò rapidamente e marciò verso l'uscita. Non riuscì ad avanzare oltre, perché si sentì prima fermata dal braccio. Girandosi vide che Nobita l'aveva raggiunta e l'aveva afferrata - Nobita... - Ma ancora non sembrò intenzionato a parlare e lentamente lasciò andare il suo braccio.

  • Mi spiace - mormorò abbassando lo sguardo. Poi, come se cercasse di porre rimedio a quella strana situazione, tentò di sdrammatizzare con un sorriso poco convincente - Non credo che ti convenga avermi come amico, sono un disastro, lo sai. Ho sbagliato a chiederti di parlarne, avrei dovuto dirti subito di rivolgerti a Dekisugi.

  • Che c'entra ora Dekisugi? - fece lei con una nota di risentimento. Le sembrava di sentire le sue amiche.

  • Be', lui ha certamente più talento a consigliarti e... - fece una pausa, visibilmente a disagio e pensieroso - Già, non va neanche bene che Dekisugi non sia qui.

  • Nobita, perché tiri fuori sempre Dekisugi! - si spazientì - Stavamo parlando di te. Perché stai cambiando discorso?

  • Non sto cambiando discorso - si difese - È solo che... - ma non finì la frase. Shizuka si innervosì ulteriormente. Anche Nobita sembrava dello stesso umore - Dico solo che non dovresti preoccuparti della nostra amicizia, ma solo parlare dei tuoi dubbi sul futuro con Dekisugi. Del resto è il tuo ragazzo.

Shizuka rimase senza parole sul momento e un istante dopo un forte calore ricoprì le sue guance.

  • Il mio... cosa?! - la sua voce suonò un po' stridula per l'incredulità.

Un veloce flash la riportò alle parole delle sue compagne di classe. Quella loro affermazione su una sua relazione con Dekisugi, che in quel momento le sembrò così assurda che non le prestò tanta attenzione, convinta che sarebbe svanita nel giro di poche ore. E invece la voce aveva continuato a girare per la scuola raggiungendo tra i suoi amici d'infanzia, anche Nobita. Perché non aveva pensato prima a questa eventualità?

Una parte di lei avrebbe voluto sprofondare nel calore del suo imbarazzo, ma invece lasciò trasparire la sua incredulità tenendo lo sguardo fisso sul ragazzo, che era visibilmente a disagio con l'argomento. Lo vide spettinarsi distrattamente i capelli e guardare altrove.

  • Shizuka, si sta facendo buio, è meglio tornare a casa - cercò di tagliare corto, in un evidente tentativo di scivolare da quella situazione.

  • No! Adesso tu mi ascolti attentamente! - esclamò infervorata di disappunto, afferrandolo per il polso. Nobita quasi sobbalzò dalla sua reazione alterata - Mi hai recriminata perché io ho creduto a un pettegolezzo, e tu invece ci hai creduto senza problemi a questa diceria?

Nobita sembrava essere stato punto sul vivo, perché assunse una smorfia offesa.

  • Non l'ho fatto - si difese lui, con tono poco convincente - Dekisugi non me l'aveva smentito, quindi... - si staccò bruscamente dalla sua presa - E comunque, non è affare mio quello che c'è tra te e Dekisugi.

Quell'affermazione ferì ulteriormente Shizuka, che si piegò per raccogliere la cartella.

  • Hai ragione. Non ti riguarda - disse con un tono insolitamente freddo, evitando di guardarlo mentre si voltava versa l'uscita - Non so neanche perché mi prendo la briga di spiegarti - aggiunse con una nota di amarezza, e sussurrò - Non so neanche perché continuo a insistere sulla nostra amicizia.

Con passo svelto, uscì dall'aula di musica e si avviò verso casa. Intenzionata a non guardarsi indietro. Nobita non provò a seguirla, né a fermarla. Ma a lei non importava ugualmente.

 

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  • Takeshi, è questa l'ora di tornare? - rimproverò la madre, mentre le porte scorrevoli dell'ingresso si aprivano - Ti avevo chiesto di tornare prima oggi! - la sua voce proveniva dalla cucina.

Il ragazzo non fiatò mentre si toglieva le scarpe.

  • Per fortuna c'era tua sorella ad aiutarmi in negozio - continuò a brontolare la donna.

  • Dai mamma, non prendertela - la sorella era insieme a lei a lavare i piatti - Lo sai che è preso dagli allenamenti.

La madre brontolò, ma alla fine sospirò.

  • Dagli pure la cena. Ma la prossima volta lo lascio a digiuno.

Jaiko sorrise vittoriosa e andò a riempire i piatti di cibo. Takeshi era appena entrato in salotto, ma non aveva fiatato davanti al tavolo vuoto.

  • Noi abbiamo già mangiato - spiegò lei, mentre appoggiava i piatti - Oggi la mamma ci ha comprato della carne di cervo.

Il ragazzo appoggiò il suo borsone e si sedette a gambe incrociate sul tatami. Ma non aprì bocca davanti al gustoso cibo. Fissava la carne, senza particolari emozioni.

Questo sorprese un poco la sorella, che era abituata a vederlo reagire diversamente. Ma provò ad associarlo alla stanchezza degli allenamenti.

Ciononostante Takeshi aveva uno sguardo stranamente serio e solenne, come se stesse pensando a qualcosa tanto intensamente che lo distoglieva dall'esterno.

Lei si sedette vicino a lui incuriosita.

  • Non hai appetito?

Takeshi, che doveva essersi come risvegliato dai suoi pensieri, rivolse il suo sguardo alla sorella. Sembrò sul punto di chiederle qualcosa, ma rimase con la bocca semiaperta. Poi frustrato tornò a guardare la tavola imbandita. Prese la ciotola di riso e iniziò ad abbuffarsi di cibo.

Jaiko tornò a tranquillizzarsi, vedendolo mangiare con foga. Almeno mangiava come al solito. Era raro vederlo rifiutare del cibo. Fece per alzarsi, ma il fratello tornò a guardarla.

  • Hai più sentito Motayo?

Jaiko sbatté più volte le palpebre sorpresa. Motayo era un suo amico dai tempi delle elementari, e suo fratello gli aveva parlato poche volte. Da quando gli interessava?

Certo, suo fratello era spesso invadente e impiccione nelle sue amicizie, ma era da un pezzo che non si toccava l'argomento, da quando lo aveva pizzicato sbirciare tra la sua corrispondenza e gli aveva urlato contro. Questo improvviso interesse, la fece insospettire.

  • Perché?

  • Niente, solo curiosità - rispose lui con disinteresse mentre afferrava il bicchiere per bere.

  • Be', io e Motayo siamo un po' presi dagli impegni - disse lei un po' vaga. Il che era vero. Non riceveva sue notizie da un bel po' di tempo. E neanche lei si sforzava di farsi sentire.

Takeshi non fiatò, ma riprese a mangiare con espressione stranamente seria. Jaiko lo osservò ancora più confusa, ma alla fine si arrese alla stranezza del fratello.

  • Vado in stanza, voglio finire le tavole entro stasera, per poterle consegnare domani a Nobita.

Lo sguardo di Takeshi guizzò immediatamente sulla sorella.

  • Continua ancora ad aiutarti?

  • Certo- rispose con ovvietà - Adesso è più veloce a tinteggiare di nero. E ho una scadenza a breve.

  • Posso aiutarti io - disse appoggiando sul tavolo la ciotola di riso ormai vuota.

  • Preferisco il suo aiuto. Tu t'innervosisci troppo in fretta e l'ultima volta hai brontolato.

Takeshi fece per replicare, ma poi ci ripensò.

  • Ti sta davvero aiutando tanto... - commentò lui serio fissando il tavolo.

Jaiko lo guardò perplessa, ma decise di lasciare stare perché aveva del lavoro da fare.

 

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  • Ouch! - esclamò, sentendo un colpo sul fianco. Subito si voltò verso il biondino - Hiro, perché!

  • Scusa, ma era l'unico modo - il biondino incrociò le braccia con fastidio - È la terza volta che ti perdi nei tuoi pensieri - aggiunse con un tono sarcastico.

Nobita solo in quel momento notò gli sguardi dei suoi quattro amici che lo stavano fissando, chissà da quando. Stavano tornando in classe dopo l'ora di pranzo e si erano soffermati in corridoio a chiacchierare, non ricordava neanche su cosa. Ma dovevano aver notato il suo silenzio.

  • Nobita oggi sei stranamente assente - disse Sasaki preoccupata.

  • Più del normale, voleva intendere - aggiunse Chika.

  • Sto bene - disse subito, ma il sopracciglio inarcato degli amici, indicava quanto poco credessero alla sua bugia - Ho solo qualche pensiero che mi affolla la testa - si giustificò, evitando di guardarli.

“Un buon modo per risolverlo è parlarne con qualcuno” - scrisse Yukio.

  • Giusto - disse Sasaki - Siamo amici, puoi parlarcene.

Nobita guardò il gruppetto, che era ben disposto ad ascoltarlo, ma lui scosse la testa.

  • Non è niente d'importante - cercò di sorriderci su - E poi dobbiamo rientrare in classe.

  • Nobita, diciamo sul serio - intervenne Chika, prima che il ragazzo desse loro le spalle - Pensi che non potremmo capire?

Il moro li osservò. Erano lì riuniti che lo fissavano come in attesa che lui dicesse qualcosa.

Lui si toccò il braccio incerto, nell'intento di dare una risposta convincente. Ma non ci riuscì perché qualcuno arrivato alle sue spalle con passo affrettato, lo afferrò per la giacchetta e lo sbatté con forza contro il muro del corridoio. L'impatto fu così forte che gli occhiali da vista volarono a terra.

  • Nobita! - esclamarono i suoi amici, altrettanto sorpresi come il moro.

Nobita stava fissando con smarrimento il ragazzo dalla carnagione abbronzata e la corporatura muscolosa, frutto di tanti allenamenti. Le mani di lui lo stavano ancora trattenendo contro la parete, facendogli male.

Nobita cercò d'incrociare il suo sguardo e lo trovò puntato su di lui con un'aria bellicosa.

  • Takeshi? - chiese incerto, non spiegandosi l'improvvisa rabbia del ragazzo, e inconsciamente sentendosi catapultato all'età di dieci anni, con i bulli che lo prendevano di mira senza un motivo.

  • Ti credevo un amico! - esclamò il ragazzo afferrandolo per il colletto. Nobita lo guardò ancora più confuso - Ma a quanto pare ti piace giocare con i sentimenti delle persone - E fece per tirargli un pugno dritto in faccia, ma Hiro si scagliò contro di lui.

  • Lascialo! - gli gridò con rabbia.

  • Non ti intromettere!

Takeshi lottò per sbarazzarsi del biondino, ma finirono per cadere e continuare ad azzuffarsi.

  • Fermi! Basta! - esclamò spaventata Sasaki ai due ragazzi. Yukio era paralizzato sul posto, mentre Chika cercò di aiutare Nobita che, liberato dalla presa di Takeshi, era scivolato per terra.

  • Levati di mezzo! - ringhiò Takeshi a Hiro - Sei così codardo Nobita, che adesso ti fai proteggere!

Il moro si toccò il colletto sgualcito e guardò a scoppio ritardato i due che continuavano a lottare sul pavimento del corridoio. Chika senza dirgli niente, gli passò il suo paio di occhiali un po' scheggiati.

  • Hiro! Takeshi! - Nobita si rialzò subito e cercò di dividerli.

Nello stesso momento dal corridoio accorse Suneo, facendosi largo tra gli alunni che si erano fermati a osservare, e lo aiutò a dividere i due contendenti.

  • Takeshi, smettila! - supplicò quasi Suneo, perché per poco non si prendeva una gomitata.

I due ragazzi infine furono divisi, anche se era difficile per Suneo e Nobita trattenere quelle furie scatenate.

  • Si può sapere cosa ti prende Takeshi! - esclamò infine Nobita, uscito dallo stupore iniziale.

  • Cosa prende a me? - tornò a dirigere la rabbia verso di lui - Ti diverte così tanto prenderti gioco di mia sorella?

Nobita cascò dal pero per la confusione. Notò che i suoi amici allungarono lo sguardo su di lui con sospetto e curiosità.

  • N-non so di cosa sta parlando! - si giustificò subito imbarazzato.

  • Ah sì? Vorresti dirmi che non ti sei accorto dei sentimenti che prova per te! - esclamò con rabbia, ancora trattenuto faticosamente da Suneo.

Nobita spalancò gli occhi dalla sorpresa e lasciò andare Hiro, che nel frattempo aveva smesso di lottare per accanirsi contro Takeshi.

  • Io non... - cercò di dire, ma era tale lo sconcerto, che non riuscì a proseguire.

  • So quello che dicono di te. Ti atteggi da playboy, provandoci con tutte - e lanciò un'occhiata accusatoria alla ragazza alta del gruppo.

Nobita aveva assunto un espressione ancora più meravigliata, addirittura allibita. Le parole di Takeshi rasentavano la follia.

  • Quando mai avrei... ! - tentò di giustificarsi, ma l'altro lo precedette.

  • Vorresti dirmi che la vostra chiacchierata di ieri, tra te e Shizuka, non significa niente?

Nobita si ammutolì immediatamente, guardando Takeshi con grandi occhi. Nel frattempo il ragazzo si era liberato di Suneo e si era avvicinato a grandi passi a lui.

  • Sembri un tipo innocuo, ma ti piace illudere le ragazze - disse guardandolo con disprezzo. Nobita non batté ciglio - Non t'interessa farle soffrire con il tuo comportamento sconsiderato e incurante. Sono le persone come te, che mi viene voglia solo di riempirle di pugni.

Hiro fece per mettersi in mezzo, ma fu frenato dal braccio di Nobita. Takeshi fece una smorfia in direzione del biondino e tornò a guardare Nobita.

  • Sei solo stato fortunato, oggi. Ma non ti voglio più vedere vicino a mia sorella.

  • Non accadrà - rispose con tono altrettanto serio.

Takeshi si spolverò la divisa e senza dire altro, tirò dritto passandogli vicino. Suneo lanciò un'occhiata veloce a Nobita, ma poi corse dietro a Takeshi.

Un brusio si levò nel corridoio tra gli studenti che avevano assistito. Tutti loro si mantennero a debita distanza, per poi disperdersi lungo i corridoi, lasciando soli i cinque ragazzi che non si mossero da lì. Nessuno dei quattro si azzardò a proferire parola, né il moro tentò di rompere quell'improvviso silenzio.

Nobita rimase impassibile e stranamente calmo anche all'arrivo di un professore.

 

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  • Si può sapere cosa ti è preso? - chiese un ragazzo di bassa statura, mentre camminava avanti e indietro con affanno - Lo sai che potresti avere seri problemi se la cosa arrivasse alle orecchie del preside?

  • Non m'importa - rispose il ragazzo abbronzato, che se ne stava seduto su una panchina dello spogliatoio del club di baseball, con le braccia appoggiate alle ginocchia e la testa un po' china.

  • Deve importarti! - esclamò indicandolo - Ti ricordo che sei nel pieno di un campionato - puntualizzò - Non ci tieni a partecipare?

  • Ovvio - disse lui con tono serio senza scomporsi.

  • Allora perché iniziare un litigio proprio a scuola? - fece esasperato Suneo - Credevo che avessi smesso di comportarti così impulsivamente. Non sei più un bambino delle elementari.

Takeshi gli lanciò un'occhiata omicida e Suneo sudò freddo.

  • Lo so - tornò a fissare il pavimento - Ma lo hai detto anche tu che li avevi visti tenersi per mano.

  • È vero, però... - alzò lo sguardo un po' a disagio.

Suneo ricordava quella mattina, quando aveva scorto da lontano Jaiko e Nobita che si stringevano la mano, mentre si dirigevano a scuola. Ed era qualcosa d'insolito tra loro. Ammesso che non ci fosse del tenero tra i due.

E quando Takeshi aveva accennato ai sospetti che aveva su loro due, gli fu naturale spiattellarglielo. Non avrebbe certo immaginato che dopo un lungo rimuginare, si sarebbe lanciato alla ricerca di Nobita. Il tempo passava, ma certe abitudini rimanevano uguali.

Sospirò e andò ad appoggiarsi su uno degli armadietti degli atleti. Si pentì subito dopo. A colpo d'occhio dovevano essere sporchi di sudore e terra. E anche se la squadra non aveva allenamenti quel giorno, Takeshi aveva avuto l'insana idea di andare a riflettere in quello spogliatoio maleodorante.

  • Ascolta - cercò di attirare la sua attenzione e provare a calmarlo. Soprattutto perché voleva andarsene al più presto da lì, e Takeshi non glielo avrebbe perdonato se si fosse dileguato - Forse è anche vero quello che dicono di Nobita, ma se Jaiko è innamorata...

  • Non lo permetto - disse deciso.

Suneo tornò a sospirare.

  • Takeshi...

  • Tu non puoi capire - lo zittì - Sei figlio unico, non sai cosa significhi avere una sorellina.

Suneo incrociò le braccia e alzò lo sguardo.

  • Questo è vero, però...

  • È normale voler proteggere una sorella, soprattutto se temi che possa soffrire. Non hai idea di come ci si sente, quando la vedo piangere in stanza sua.

  • Non sarà perché gli avevi fatto un dispetto? - puntualizzò, ma l'altro tornò a guardarlo minaccioso.

  • No - affermò convinto, fissandosi le mani piene di calli - Deve essere per forza a causa di Nobita. Li ho lasciati troppe volte da soli in stanza, credendo che non potesse succedere niente tra loro - strinse i denti - E poi vengo a sapere di lui e la sua compagna di classe. Non posso credere di essere stato così cieco.

  • Intendi quella ragazza di cognome Sasaki? È famosa tra i ragazzi, forse si voleva prendere gioco di Nobita.

  • No, da come me ne hanno parlato, non sembrava un innocuo abbraccio.

Suneo alzò lo sguardo, non sapendo come ribattere. Una parte di lui era segretamente invidiosa della strana popolarità di Nobita tra le ragazze. Si era sempre considerato lui il più bello del gruppo.

  • Certo che fra tutti, Nobita è l'ultima persona che avrei immaginato come un playboy - ammise Suneo sedendosi sulla panchina - È sempre così distratto e va in giro con una faccia da babbeo. Devono proprio essere disperate le ragazze per innamorarsi di lui - ridacchiò per sdrammatizzare.

  • Ehi! - Takeshi gli affibbiò un pugno sulla spalla - Ti ricordo che stai parlando anche di mia sorella!

  • Scusa, scusa - si massaggiò la spalla - Però ti ricordo che sei arrabbiato con Nobita, non con me - sbuffò e si soffermò a osservare qualche calzino abbandonato sotto gli armadietti - Non mi sembra neanche leale provarci con Shizuka, se sta con Dekisugi. Persino io ci ho rinunciato. È un nostro amico.

Takeshi si girò per guardarlo con un'occhiata perplessa. Dubitava che Suneo lo avesse fatto solo per Dekisugi. Tornò a guardarsi le scarpe.

  • Eppure li ho visti appartati nell'aula di musica. Non ho capito molto dei loro discorsi, ma Shizuka sembrava sconvolta quando è uscita.

  • Come credi che la prenderà Dekisugi?

  • Non lo so, e non mi interessa ora. Sono preoccupato solo per Jaiko e per come reagirà.

  • Be', immagino che sarà contenta che tu...

  • Takeshi! - un urlo furioso seguì una porta che veniva aperta violentemente. Neanche il tempo di reagire, che una ragazza si scagliò verbalmente contro il ragazzo abbronzato - Tu, idiota di un fratello!

  • Jaiko? C-cosa ci fai qui? - fece sorpreso Takeshi.

Suneo nel frattempo si era messo dietro il ragazzo, spaventato dallo sguardo omicida che tanto gli ricordava quello di Takeshi.

  • Mi ha messo al corrente un'amica - avanzò a grandi passi - Come hai potuto dire quelle cose! Con che diritto!

  • L'ho fatto per te - si difese subito - Nobita non è la persona giusta per te.

  • Ma di che stai parlando!

  • Di te e Nobita! Vi hanno visti tenervi per mano!

  • Cosa? - fece perplessa, cercando di ricordare - Chi te l'ha detto?

  • Suneo - afferrò l'amico e lo trascinò in avanti. Suneo sembrava una piccolo gomitolo, in confronto ai due colossi.

Jaiko spostò lo sguardo sul piccoletto e lo squadrò.

  • Be', ha dimenticato di menzionarti che quel giorno Nobita non aveva gli occhiali. L'ho solo aiutato a non finire in qualche buca.

Takeshi diede uno sguardo accusatore all'amico, che nervosamente cercò di sorridere per l'equivoco. Ma Takeshi non aveva intenzione di demordere.

  • Ti vedono spesso con lui.

  • È ovvio, ha aiutato me e il mio club. E mi aiuta anche con i fumetti. Quindi ogni tanto ricambio il favore.

  • E cosa mi dici del tuo manoscritto che tanto custodisci segretamente?

Jaiko spalancò gli occhi. Per un momento Suneo credette che un'aurea maligna uscisse dal corpo della ragazza. Ma quanto si assomigliavano?

  • Tu... cosa?! - esclamò incredula - Come hai potuto frugare tra le mie cose! Non hai nessun rispetto!

  • È stato un caso, però mi è servito per capire!

  • Ah sì? E cosa!

  • Di te e Nobita. Nella storia racconti di un bambino sfortunato e di una bambina che lo osserva a distanza, innamorandosi poco alla volta. E non ci vuole molto per capire a chi ti sei ispirata per i due protagonisti. Quindi non negare quello che provi per Nobita.

Jaiko divenne tutta rossa e trattenne il fiato. Suneo cercò di spostarsi, nel caso fosse esplosa.

  • Punto primo: è vero che mi sono ispirata a Nobita. È una storia che ho scritto tanto tempo fa e cercavo qualcuno con una personalità particolare per il tipo di storia comica che volevo creare. Inoltre tendo a dare un po' della mia personalità ai personaggi femminili. Questo non prova che io sia innamorata di Nobita - Takeshi fece per obiettare, ma lei lo ignorò - Secondo: per chi, o non, provi qualcosa, è affare mio! Non puoi fiondarti in camera mia e uscirtene con teorie assurde.

  • E perché lo custodivi così gelosamente?

  • Perché... - fece una pausa e cercò di sviare lo sguardo - Be', era un fumetto vecchio e... - tornò a guardarlo con rabbia - E non è una cosa che ti riguarda! Non c'è niente tra me e Nobita.

  • Non puoi negare che ti ho vista imbarazzarti in sua compagnia - insistette lui.

  • Davvero? È quella la prova che ti ha convinto? - fece lei con sarcasmo mentre incrociava le braccia - Suona strano da uno che è un vero disastro nel capire le femmine.

Suneo guardò l'amico e desiderò internamente essersela svignata prima.

Takeshi fece una smorfia offesa e si alzò in piedi per poter replicare con più forza.

  • Cercavo solo di proteggerti!

  • E da cosa? Dall'amicizia di Nobita?

  • Sei così ingenua! Non senti quello che dicono su di lui?

  • Le persone sparlano in continuazione. Non hai idea delle cose che dicono anche su di voi.

  • Le persone mi adorano - puntualizzò Suneo con una smorfia di disapprovazione.

  • Lo avrei saputo - disse Takeshi convinto.

Jaiko si trattenne dal ridergli in faccia, quindi si limitò ad alzare lo sguardo al cielo.

  • Quello che mi stupisco di più, è che non ti sei fatto problemi a litigare con un tuo amico! Da quanto lo conosci? - era così frustrata che gli diede un pugno sul braccio. Non era per niente forte come il fratello, ma sicuramente qualche segno lo avrebbe lasciato. Il fratello fece una smorfia di dolore, ma non provò a difendersi - Sei andato in giro a parlare di cose che non sai e invece di rimediare, preferisci rintanarti qui con il tuo amichetto! - gli diede un'altra serie di pugnetti, ma Takeshi non sembrava sentirli - Sei odioso quando ti comporti così! È per questo che le persone scappano da te e cercano di evitare me! - i colpi erano sempre meno forti, mentre sentiva un enorme gozzo in gola - E la cosa peggiore, è che hai rovinato l'amicizia tra me e Nobita con queste tue insinuazioni. Ora mi eviterà come facevano gli altri!

Jaiko si fermò per prendere fiato e guardò gli altri due. Erano in piedi e guardavano pensierosi il pavimento.

  • Quello che non mi spiego è... perché Nobita? - chiese Takeshi, confuso e meno alterato dalla discussione - Ci sono tante altre persone.

  • Tu stesso dovresti saperlo. Siete amici da così tanti anni, nonostante tu lo tormentassi... non ti sei mai chiesto perché? - lei fece marcia indietro e raggiunse la porta - Non c'è niente di romantico tra me e Nobita... e a essere sinceri, c'è solo una persona per cui lui potrebbe provare quel sentimento.

Jaiko sbatté la porta dietro di sé e lasciò i due ragazzi lì a riflettere.

 

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Si rigirò gli occhiali tra le mani, sforzandosi di osservarli per bene.

Sì, c'era qualche graffio dovuto alla caduta.

Sospirò con pesantezza e li appoggiò accanto a sé sul tatami su cui era disteso.

Sua madre gli aveva preso quel nuovo paio di occhiali l'ultima volta, il mio economico e senza particolari modifiche alle lenti, perché ne aveva bisogno al più presto. E anche perché l'oculista si stava arricchendo a ogni occhiale che rompeva.

Si girò di lato e gli sfuggì un lamento. La schiena gli doleva dopo la spinta di Takeshi contro il muro.

Sospirò e osservò i riflessi della luce provenienti dalla finestra posarsi sulle lenti.

Era da quando aveva fatto ritorno a casa che non si era alzato dal pavimento. Nella cartella aveva degli esercizi che doveva terminare e qualche capitolo da studiare. Ma il suo corpo non si era mosso da lì. Era come essere catturati da quei riflessi di tanti colori.

Era quasi certo di aver visto in mezzo un bell'azzurro. Come un cielo schiarito dalle nuvole o...

Fermò quel pensiero prima che il ricordo risalisse a galla, e tornò a pancia in su, con lo sguardo rivolto al soffitto della sua stanza.

Aveva la testa che gli girava da un po'. I pensieri della sera prima si erano moltiplicati e creavano un vortice di voci fastidiose.

Chiuse gli occhi in un tentativo disperato di chiuderli fuori.

Provò con la memoria a riportare sé stesso all'età di dieci anni, sdraiato in quell'esatto punto. Se faceva attenzione, poteva sentire dei passi familiari salendo le scale e avvicinarsi alla porta. Socchiuse gli occhi, chinando la testa di lato nella direzione della porta, come se si aspettasse da un momento all'altro che si aprisse. Tornò a chiudere gli occhi e sentì gli stessi passi oltrepassare la porta e fermarsi vicino a lui.

E una voce comprensiva e paziente, si sarebbe rivolta a lui.

 

Cosa succede questa volta, Nobita?

 

  • Credo di aver fatto un guaio - confessò lui, spostando la testa al centro e tenendo gli occhi chiusi - Uno di quelli che mi ero ripromesso di non fare.

 

Ah sì? E cosa pensi di fare adesso?

 

  • Io... non lo so – ammise - È da un sacco di tempo che non so più cosa fare.

 

E perché? Tu sei una brava persona. Saprai come rimediare.

 

  • Io credo che... - fece una pausa - sia questo il problema. Non credo di volerlo fare. Mi sento così stanco... così stanco di provarci.

 

Nobita...

 

  • C'è una cosa che volevo chiederti da tanto tempo - fece una pausa - Tutto quello che mi raccontasti a quei tempi, tutto ciò che mi insegnasti... c'è stato un solo momento in cui hai provato rimorso, per avermi sempre mentito... Doraemon?

 

 

Un bambino di dieci anni si portò le mani alle orecchie, in un disperato tentativo di proteggersi.

Un robot azzurro giaceva a terra, così lontano che anche volendo allungare il braccio, non sarebbe riuscito a sfiorarlo.

Non lo avrebbe protetto questa volta, da tutte quelle visioni proiettate dai cristalli e le voci arrabbiate che si riversavano contro di lui. Serrò le labbra mentre le lacrime spingevano per uscire.

Non poteva scappare, anche se era pienamente in grado di correre.

  • Devi prendere una decisione - disse l'individuo in carne e ossa che gli girava intorno.

Era coperto in parte da un mantello con il cappuccio. La sua voce un po' roca, sovrastava quelle altre provenienti dai cristalli. Riusciva anche a rendere invano il suo tentativo di tapparsi le orecchie.

  • Decidi a cosa credere - insistette.

Il bambino si costrinse a guardare i cristalli. La poca luce di quella grotta produceva un arcobaleno di luci. Al centro di quei colori, un immagine si rifletté davanti a lui.

Fissò attraverso i suoi occhiali da vista quell'immagine di ragazzo che ricambiava lo stesso sguardo.

  • A quale verità sceglierai di credere? - proseguì l'individuo.

Nobita lasciò andare lentamente le mani dalle orecchie, facendo riposare le braccia sui fianchi, e chinò la testa, quasi arrendendosi. Ma ancora non si mosse.

La persona sotto il cappuccio lo osservò attentamente rimanendo in attesa.

Poi finalmente vide reagire il bambino. Serrando le mani in pugni, alzò la testa cercando il suo sguardo. Si stava mordendo le labbra sforzandosi di mostrarsi deciso, nonostante i suoi occhi umidi e pieni di dolore.

Senza dire niente, i suoi piedi finalmente ebbero la forza di muoversi, e si diressero a gran velocità verso il robot azzurro, ignorando i grandi cristalli e le voci.

Il bambino si inginocchiò accanto al robot, mentre l'individuo scivolava verso di loro.

  • E così hai scelto lui.

La testa del bambino annuì in risposta, senza alzare lo sguardo su di lui. Le lacrime che scendevano dai suoi occhi mentre si aggrappava al robot immobile.

  • Sempre - mormorò.

  • Capisco - l'individuo si allontanò - Quando comprenderai a quale sofferenza ti avrà portato la tua scelta, spero ricorderai questo giorno. Il giorno che hai deciso di credere alle sue menzogne.

 

   
 
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