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Autore: Glacyer    30/04/2021    0 recensioni
[Pairing: Sylvix, Sylvain x Felix. Post A+ Support]
Si voltò verso il cielo e si ritrovò faccia a faccia con un’infinita distesa di azzurro, calma e incontaminata come la pace che ormai regnava nel mondo.
Ma anche fredda e indifferente, che non si curava del fardello dei vivi.
La guerra era finita.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Felix Hugo Fraldarius, Sylvain Jose Gautier
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Qualcosa continuava a farlo sentire irrequieto.
Insistentemente. Inspiegabilmente. Qualcosa lo teneva ancora sulle spine. 
Eppure aveva visto coi suoi stessi occhi quanto Sylvain stesse bene e quanto quella ferita non avesse minimamente scalfito quella brutta faccia da idiota che si ritrovava. Aveva potuto constatare ancora una volta che, nonostante le apparenze, Sylvain avesse la pellaccia dura o forse, più probabilmente, una gran fortuna da vendere… e il profondo taglio che aveva subito non gli avrebbe procurato grosse difficoltà, tantomeno messo in pericolo di vita.
Stava bene. Stava meglio lui, di tutte le strane razze di pesci che sguazzavano senza pensieri nel laghetto del monastero. Sprizzava di energia e salute da ogni capello rosso che spuntava da quella stupida testaccia vuota che si ritrovava.
Felix se lo ripeteva tra sé e sé, continuamente, eppure c’era qualcosa dentro di lui che ancora non si convinceva, e quel qualcosa stava iniziando a fargli perdere la pazienza. Molto.
Camminava senza alcuna meta, preda di pensieri irrequieti e contrastanti, sperando e pregando la Dea stessa che nessuno incrociasse il suo cammino, perché non voleva farsi vedere in quelle condizioni. Non poteva sapere come poteva apparire la sua faccia in quel momento, ma era come se stesse andando letteralmente a fuoco, e non ricordava di aver mai sentito il suo stesso cuore battergli così forte. Mai. Nemmeno in mezzo al campo di battaglia, neanche ritrovandosi innumerevoli volte a faccia a faccia con la Morte.
Si fermò, sospirò.
Doveva calmarsi.
“Calmati, cretino”.
Fu solo dopo un lungo e lento sospiro, che si rese conto che le sue gambe l’avevano inconsciamente condotto nel posto in cui si sentiva più a suo agio nel monastero: il campo marzio. L’arena era vuota, calma, c’era solo lui, lui e le armi poggiate in maniera disordinata tra le numerose rastrelliere, che risposero al suo sguardo con un timido, silenzioso scintillio. 
Era una delle cose migliori delle armi. Non parlavano a vanvera, non sproloquiavano, non lo costringevano a conversazioni assurde o inutili e solo quando incontravano il ferro di un’altra lama, ecco che iniziavano a cantare. Una melodia ritmica, elettrizzante, mai noiosa; Felix sentì che i suoi muscoli si stavano già distendendo.
D’istinto, prese la prima spada che gli capitò a tiro e iniziò ad eseguire semplici mosse di scherma, movimenti che dopo anni e anni di allenamenti per lui erano diventati naturali come respirare. Movimenti familiari e rassicuranti che iniziarono subito a fare effetto: ad ogni fendente, sentiva che stava riacquistando un po’ del suo carattere, un po’ di calma, compostezza, lucidità. 
Ma venne anche la consapevolezza.
“Sylvain non mi è indifferente”. Questo pensiero lo trafisse con la stessa violenza con cui lui pugnalò l’aria, eseguendo un affondo rapido e preciso. Era come se fosse stato lì da anni, da sempre, evidente ed ingombrante come un elefante in una stanza, e Felix l’avesse ignorato fino a quel momento. Ma non poteva più fare finta di non vederlo, non poteva più negarlo. 
Ricordò come si era sentito durante la battaglia, quando Sylvain si era fatto scudo per proteggerlo.
«Stupido…» gli scappò, quasi mordendosi la lingua.
L’immagine del suo compagno a terra, l’armatura sporca di fango e di sangue… troppo sangue… il suo sangue sulle sue stesse mani… l’aveva tormentato per tutta la notte, non facendogli chiudere occhio. Felix non riusciva tutt’ora a farsene una ragione.
Non era cambiato niente da nove anni prima. Stupido e debole era prima, stupido e debole era ora. Come aveva potuto? A cosa erano serviti anni, anni e ancora anni di allenamenti estenuanti, se poi nel momento di maggiore bisogno non era riuscito a proteggere la persona…
“… la persona più importante?”
 Dovette fermarsi. Non seppe capire se per la rivelazione che l’aveva appena folgorato, centrandolo in pieno come un fulmine a ciel sereno, o se per il fatto che ci era andato giù pesante con la scherma – aveva il fiato corto.
Altro che non indifferente… Sylvain era per lui la persona da proteggere. “La persona più importante”.
“No”.
E invece sì.
Era inutile girarci intorno. Era assurdo continuare a prendersi in giro. Il miscuglio di sensazioni che non era riuscito subito a decifrare, quel nodo alla gola che gli aveva tolto il respiro quando si era precipitato nella stanza di Sylvain, aspettandoselo in fin di vita, e incontrando invece il suo solito, stupido, odioso, caldo, irresistibile sorrisetto, solo così trovava una spiegazione. Disperazione, angoscia, sollievo, felicità, la voglia di abbracciarlo, di stringerlo forte, la voglia di cancellargli quel dannato ghigno con le sue stesse labbra, quel tamburo impazzito nel petto, il fuoco nei suoi zigomi… erano tutti piccoli pezzi di un unico grande mosaico, che solo adesso acquistava un senso. 
Un mosaico chiamato “Quell’imbecille di Sylvain Jose Gautier... mi piace”.
Felix si avvicinò la lama al volto, e ringraziò nuovamente la Dea di essere l’unica anima presente nel campo marzio, lontano da occhiate indiscrete. Il riflesso della spada non era perfetto, anzi era piuttosto deformato e poco distinto, ma fu sufficiente per fargli ammirare lo spettacolo più pietoso che avesse mai visto in tutta la sua vita: un uomo adulto, un forte spadaccino, niente di meno che l’erede del casato dei Fraldarius, preda di sentimenti che non aveva idea di come mettere a tacere, con due guance così violacee da far invidia a un peperone maturo.
«Dannazione…»
Era fregato.
Una cosa era sicura: non poteva permettere a quei sentimenti di prendere il sopravvento e farlo vacillare. Non di nuovo. 
Le emozioni erano bastarde, traditrici. Confondevano, distraevano, prendevano il sopravvento sulla lucidità, riempivano la testa di ideali irrealizzabili e di pensieri intrusivi, che durante l’impazzare di una guerra potevano fare la differenza tra la vita e la morte. Per delle emozioni era caduto Glenn; per delle emozioni era caduto suo padre. Non poteva permettersi di fare la loro stessa fine.
Doveva tenerli a bada.
Senza troppa fretta, Felix si asciugò il sudore dalla fronte, posò la spada dove l’aveva trovata, si sedette sul terreno arenoso del campo e pensò, a lungo. Era meditabondo.
Volse lo sguardo al cielo. Un cielo limpido, senza alcuna nuvola, ma anche ironico e incredibilmente beffardo, dal momento che proprio sotto quella volta celeste pura e incontaminata infuriava una guerra come non se ne vedevano da secoli.
Una guerra in cui loro erano i diretti protagonisti e che dovevano assolutamente vincere.
«Dopo la guerra» affermò infine, tra sé e sé.
Dopo la guerra avrebbe detto a Sylvain che lo amava.
 
***
 
Si lasciò cadere a peso morto sul letto, rimbalzando almeno due volte sul morbido materasso, completamente esausto, ma anche completamente confuso.
Ma anche completamente pazzo di Felix.
«Ammetto che a vedere il tuo viso sorridente, mi viene quasi voglia di abbracciarti. Quasi».
Sylvain sarebbe crollato in un sonno profondo nell’istante stesso in cui avrebbe posato la testa sul cuscino, se non fosse caduto vittima di una eco infinita che non gli avrebbe permesso di riposare tanto facilmente: le parole di Felix. Felix, che lo voleva abbracciare, quasi. La ferita sulla spalla pulsava e ad ogni pulsazione il dolore aumentava fino a fargli quasi perdere i sensi, ma non si pentiva affatto di aver finto di stare benone, anzi, ne era valsa la pena. 
Una felicità strana, un’euforia simile alla spensieratezza di un ubriaco, compensava perfettamente il dolore.
“Perché non mi hai abbracciato davvero?” 
Pensò, e la mente cominciò a viaggiare a briglia sciolta verso scenari che potevano definirsi ben poco casti o innocenti. Se l’avesse abbracciato veramente, sarebbe riuscito a resistere dal baciarlo? Avrebbe dato un freno alla tentazione di prenderlo di peso, facendolo sdraiare su quello stesso letto? Avrebbe messo a tacere tutte quelle fantasie che lo tormentavano da così tanto tempo, alcune tanto audaci e tanto spinte da farlo vergognare?
L’ennesima lancinante fitta alla spalla lo riportò sul Fódlan, alla realtà dei fatti. Era ferito e non sarebbe riuscito a muovere un dito su Felix senza gemere, sì, ma di dolore. E il dilemma proprio non si poneva, perchè Felix non provava niente per lui, né si erano abbracciati. Era uscito in fretta e furia e come sempre, quando Felix se ne andava, era Sylvain a dover fare i conti con la tempesta interiore scatenata dalla sua mancanza.
Neanche ricordava bene la prima volta che era apparsa, quella tempesta.
Conosceva Felix da una vita, da quando erano bambini, dai remoti tempi in cui l’unica preoccupazione che avevano era decidere i turni a nascondino o giocare a fare i cavalieri con spade di legno e cavalli a dondolo. Erano cresciuti insieme. Sylvain poteva vantarsi di conoscere lati di Felix che qualsiasi altra persona ignorava e c'erano segreti che condivideva, forse, solo con Ingrid: il fatto che da piccolo fosse un bambino timido, cagionevole e piagnucolone, la gelosia che provava nei confronti del fratello e delle attenzioni che il padre gli rivolgeva, la determinazione a superarlo e l’obiettivo di dimostrare a tutti di essere lui il miglior spadaccino; Sylvain ricordava bene quanto affetto e quanta stima dimostrasse per Glenn, così come l'insistenza e la caparbietà con cui ogni volta gli chiedeva la rivincita. Finiva sempre allo stesso modo, con la schiacciante vittoria di Glenn e con Felix a terra a seguito di qualche manciata di fendenti - o semplicemente troppo stanco per continuare -, ma nonostante tutto non si era mai arreso.
Poi Glenn morì. E Sylvain non avrebbe mai potuto dimenticare il cambiamento di Felix nell’affrontare quella perdita. Non avrebbe più potuto sfidarlo a duello, mai più. Non poteva più vincere contro Glenn, nè superarlo. Da quel giorno il suo volto si era fatto più maturo, ma anche più severo, e il suo carattere divenne sempre più scostante, più difficile. Si rinchiuse in una corazza inaccessibile, forse per sembrare più forte agli occhi degli altri, forse per timore che qualcuno potesse ferirlo di nuovo.
In tutta questa storia, non sapeva proprio quando aveva iniziato a provare dei sentimenti per il suo compagno d'infanzia. Era stato prima o dopo il suo cambiamento? Lui non ne aveva idea, ma quelle riflessioni lo condussero verso un’altra terribile, inaspettata consapevolezza. 
Tornò a sedersi sul letto, ignorando il dolore, stringendo i pugni e combattendo con il suo carattere impulsivo, per non cedere al desiderio di precipitarsi fuori dalla sua stanza e andare alla ricerca di Felix. Doveva chiedergli scusa per quello che aveva fatto, perché - era arrivato a capirlo solo in quel momento - c’era mancato poco che facesse la stessa fine di Glenn.
C’era mancato poco che lo abbandonasse.
E così, senza neanche pensare alle conseguenze, aveva finito per ferirlo.
Sylvain si alzò di scatto e, come un animale in gabbia, cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro lungo il ristretto perimetro della sua stanza. L’illuminazione improvvisa l’aveva fatto precipitare in uno stato di trance tale da non curarsi più di niente, persino della stanchezza e della ferita.
Adesso capiva, era tutto chiaro. 
Non aveva ancora recuperato pienamente i ricordi dell’ultima battaglia, ma al suo risveglio si era fatto raccontare cos’era successo: Felix si era ritrovato accerchiato e, nonostante la differenza numerica, stava avendo la meglio sui suoi avversari, quando un soldato nemico era apparso dal nulla, attaccandolo alle spalle. Era stato in quel momento che il corpo di Sylvain si era mosso da solo e si era frapposto tra Felix e l’affondo del soldato. La sua memoria era ancora parecchio fallace e confusa, tuttavia c’erano delle immagini che erano sopravvissute all’oblio, come segni marchiati a fuoco nel suo cervello: l’ascia nemica che tagliava l'acciaio della sua armatura come burro, affondando nella carne; sangue, troppo sangue, che copiosamente sgorgava dalla sua spalla, circondandolo in una pozza scarlatta che si estendeva a dismisura; Felix, il suo volto disperato, sempre più sfocato, e la sua voce, sempre più distante, che provava a chiamare il suo nome.
Era stato fortunato. La lama aveva danneggiato pelle, tessuti, muscoli e pure ossa, ma non aveva reciso un’arteria importante per un soffio. Se l’ascia l’avesse colpito solo un paio di centimetri più a destra, Sylvain sarebbe morto dissanguato nel giro di pochi minuti.
E Felix sarebbe stato solo, di nuovo, a fare i conti con un lutto incolmabile. 
Adesso capiva, era tutto chiaro.
Persino lo strano comportamento di Felix aveva molto più senso. Per anni aveva pensato che i suoi sentimenti non sarebbero mai stati corrisposti e che doveva farsene una ragione, ma se invece a Felix non stesse indifferente? Questo spiegava molte cose: quel precipitarsi nella sua stanza, agitato e preoccupato come mai l’aveva visto in vita sua, l’espressione di sollievo che non era riuscito a reprimere quando aveva capito che non era più in pericolo di vita e persino il modo in cui era arrossito quando Sylvain l’aveva provocato… erano tutti piccoli pezzi di un unico grande mosaico, che solo adesso acquistava un senso. 
Un mosaico chiamato “Potrei piacere a quello stupido di Felix Hugo Fraldarius”. 
E per la prima volta - ne era sicuro - il suo Segno non c’entrava niente. 
Questo pensiero folle fu sufficiente a farlo scattare in direzione della porta, stavolta con l’intenzione di trovarlo e baciarlo, quell’idiota. Aveva represso i suoi sentimenti per settimane, mesi, anni, aspettando un minimo segnale. Aveva persino cercato di metterci una pietra sopra, paralizzato dalla paura di rovinare la loro amicizia e di perderlo per sempre, ma adesso era come se quella pietra fosse stata spazzata via dal cratere di un vulcano in piena eruzione. Il tanto agognato segnale era arrivato e Sylvain si maledì per non averlo recepito subito. Che cosa stava aspettando? Doveva uscire, trovarlo e dimostrargli quanto lo amasse, non gli importava più delle conseguenze. 
Eppure, la sua mano non gli obbedì. Rimase salda sul pomello della porta, senza aprirla, evitandogli di compiere simili stupidaggini.
Sylvain sospirò. 
«Non è il momento giusto» dovette ammettere a se stesso. 
Volse lo sguardo verso la finestra. Là fuori la giornata era splendida, il sole splendeva come un gioiello e il cielo era così limpido da fargli quasi dimenticare della guerra che infuriava per tutto il continente.
Una guerra in cui loro erano i diretti protagonisti e che dovevano assolutamente vincere.
«Dopo la guerra» affermò infine, tra sé e sé.
Dopo la guerra avrebbe detto a Felix che lo amava.
 
***
 
Ingrid risaliva su per la collina a passi lenti, ma mai incerti, stringendo un mazzo di fiori tra le mani. Stavolta aveva optato per delle peonie bianche, ravvivate qua e là da delle belle primule color canarino, come segno che la primavera era ormai alle porte e che le giornate erano sempre più calde, soleggiate, gradevoli.
Risaliva su per la collina, come ogni domenica mattina. Non importava quali e quanti gravosi impegni avesse da svolgere nel suo giorno libero, si era ripromessa che si sarebbe sempre ritagliata un po’ di tempo per far visita ai suoi migliori amici.
Quello ormai era il suo personale rituale, il suo dovere da sopravvissuta.
Infine, arrivò in cima. Si disse che doveva essere forte, che non poteva scoppiare a piangere di nuovo, ma anche stavolta le lacrime ebbero la meglio su di lei e, prima che potesse rendersene conto, le stavano già solcando il viso. Inevitabili.
Posò i fiori davanti alle pallide lapidi e si sedette sul prato. Come ogni domenica mattina, piano piano il pianto lasciò spazio alle parole e Ingrid parlò. Raccontò loro molte cose, di come stavano andando gli affari del regno, di quanto velocemente stesse cambiando quel mondo, al punto che era diventato difficile stargli dietro, e di come se la passavano gli altri. Re Dimitri era a dir poco inarrestabile e non c’era settimana in cui non lo rimbeccasse affinché si concedesse un po’ di riposo, ma era come parlare al vento perchè lui continuava imperterrito a lavorare fino allo stremo. La Professoressa, Byleth, avrebbero dovuto vederla; dopo aver preso il posto di Lady Rhea, non c’era giorno in cui non si dedicasse alla restaurazione della Chiesa di Seiros ed era forse più impegnata ed oberata di lavoro di Dimitri. Dedue, Annette, Mercedes e Ashe stavano bene e ognuno di loro mandava i propri saluti.
«Però… mancate, ragazzi. Mancate terribilmente, a tutti».
Ma soprattutto, mancavano a lei.
Tra un singhiozzo e l’altro, riuscì a raccontare anche di se stessa, del sogno che finalmente era riuscita a realizzare. Essere un Cavaliere non solo era un onore e le riempiva il petto di orgoglio, ma avrebbe persino risolto la maggior parte delle problematiche che affliggevano il suo casato da decenni. I Galatea stavano già riacquistando lustro e valore e suo padre non avrebbe mai più dovuto morire di fame, né scendere a pietosi compromessi, per assicurare una vita dignitosa a sua figlia. 
Era il suo sogno, fin da quando era bambina. Loro lo sapevano bene, e finalmente era realtà.
Eppure, c’era ancora qualcosa che mancava, lasciandole un senso di vuoto e di amarezza. C’era una voragine dentro di lei, che continuava a divorarla da dentro e che niente e nessuno avrebbe mai più calmato.
Che senso aveva aver esaudito tutte le sue ambizioni, se non poteva condividerle con le persone più care?
Si rimise in piedi, lentamente e pigramente. Non voleva andare via, ma il tempo era passato in fretta e Ingrid non poteva più trattenersi; doveva far visita a un’altra tomba. Provò a riacquistare un po’ di contegno, prima di asciugarsi gli occhi arrossati per il pianto e volgere un ultimo, nostalgico, malinconico sguardo verso i suoi amici.

 
SYLVAIN JOSE GAUTIER
1160 - 1185
 
FELIX HUGO FRALDARIUS
1163 - 1185

 
Erano caduti insieme. E insieme erano stati seppelliti.
Si voltò verso il cielo e si ritrovò faccia a faccia con un’infinita distesa di azzurro, calma e incontaminata come la pace che ormai regnava nel mondo.
Ma anche fredda e indifferente, che non si curava del fardello dei vivi.
La guerra era finita.

   
 
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