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Autore: The_Storyteller    30/04/2021    0 recensioni
Post DLC Jack lo Squartatore.
"L’aria fredda di novembre portava in anticipo i primi fiocchi di neve tra le strade di Crawley.
Nelle strade, i pochi pedoni che ancora passeggiavano a quell’ora di sera si affrettavano per tornare nelle proprie case, con la testa già rivolta alle festività di Natale del mese successivo.
Soltanto in una casa, tuttavia, non si sentiva l’atmosfera febbrile delle feste in arrivo."
Per Jacob non sarà per niente facile riuscire a superare i traumi legati al killer di Whitechapel.
Ci vorrà tempo e amore, e sua moglie Anna farà di tutto per aiutarlo a guarire la sua anima spezzata.
P.S.: questo è il sequel della mia storia "Nel segno del corvo", che potete recuperare a questo link: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3968709&i=1
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Evie Frye, Jacob Frye, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L’aria fredda di novembre portava in anticipo i primi fiocchi di neve tra le strade di Crawley.
Nelle strade, i pochi pedoni che ancora passeggiavano a quell’ora di sera si affrettavano per tornare nelle proprie case, con la testa già rivolta alle festività di Natale del mese successivo.
Soltanto in una casa, tuttavia, non si sentiva l’atmosfera febbrile delle feste in arrivo.
 
In quella che un tempo fu l’abitazione di Ethan Frye, una luce fioca illuminava la finestra al pianterreno. Nel piccolo salotto dove si trovava, Anna teneva in mano il quotidiano di quel giorno, osservando il titolo che campeggiava in prima pagina: “Lo Squartatore colpisce a Lambeth, la polizia brancola ancora nel buio”.
L’articolo riportava l’ultima macabra impresa del criminale che terrorizzava Londra ormai da due mesi, avvenuta due giorni prima al manicomio della città.
Il giornalista aveva avuto la decenza di non scendere nei particolari, anche se purtroppo la vignetta di accompagnamento sopperiva alla sua mancanza: corpi ovunque in laghi di sangue, con ferite sul corpo che avrebbero fatto accapponare la pelle a chiunque.
La donna accartocciò il giornale, furiosa per quel disegno così inopportuno, e lo gettò nel caminetto.
-Tutto bene, signora?- chiese una giovane con un forte accento irlandese.
Anna si girò verso Susan, la domestica, e le rivolse un sorriso cordiale: -Sto bene, Susan. Non preoccuparti.-
La ragazza le si avvicinò, per niente convinta dalla risposta della donna. La guardò in volto, notando la tristezza nel suo sguardo: -Sono certa che il signor Frye stia bene. E che tornerà presto- le disse con affetto.
Anna non riuscì a nascondere la sua preoccupazione. Si sentiva tremare tutto il corpo, forse per il freddo, o forse per la paura.
Non vedeva suo marito da metà settembre, da quando l’aveva scongiurata di lasciare Londra finché non avesse fermato per sempre i delitti dello Squartatore.
Ricordava ancora il suo sguardo risoluto, che tuttavia faceva trasparire un sentimento di paura. Le tornarono alla mente le sue ultime raccomandazioni e il suo ultimo bacio, prima che si lasciassero sulla banchina del treno diretto alla sua città natale.
E circa un mese dopo aveva appreso della sua scomparsa, grazie a una telefonata dell’ispettore Abberline in persona.
-Ho tanta paura, Susan. Ho paura che gli sia successo qualcosa di molto brutto...- si confidò con la domestica, cercando di trattenere le lacrime.
Susan le prese una mano per confortarla, cercando di rassicurarla sulle condizioni di suo marito.
Un rumore di passi catturò l’attenzione delle due donne: dal piano superiore stava scendendo una bambina di circa dodici anni. Si sfregava gli occhi azzurri e insonnoliti, mentre la sua chioma scarmigliata testimoniava un sonno difficoltoso.
Si avvicinò timidamente ad Anna, lo sguardo fisso in basso: -Non riesco a dormire. Mi racconti una storia, mamma?-
 
Anna sorrise a sua figlia: -Certo, Cecily. Andiamo in camera tua- disse, augurando poi a Susan la buonanotte. Prese per mano la bambina e insieme si incamminarono per le scale che portavano al piano superiore.
Durante il tragitto la donna diede un’occhiata al tavolo della cucina, dove tre pacchetti regalo aspettavano solo di essere aperti da Jacob. Sospirò appena, per non farsi sentire da Cecily, quindi entrò nella camera della bambina.
Nella vecchia stanza di Evie Anna si accomodò su una poltroncina, mentre sua figlia si sistemava sotto le coperte in attesa del racconto di sua madre.
-Allora, che storia vuoi sentire oggi? O vuoi la tua preferita?- le chiese Anna.
La bambina scosse la testa: -No, oggi non mi vanno le leggende norrene.-
Si sistemò meglio sotto le coperte e si girò verso sua madre: -Come vi siete conosciuti tu e papà?- domandò invece.
Anna sorrise e accarezzò la chioma castana della figlia: -È iniziato tutto da una festa della signora Fitzwilliam e dalla sua curiosa passione per l’occultismo...-
Le raccontò dell’origine della sua cicatrice alla mano e di come, qualche giorno dopo, si ritrovò in casa sua un affascinante giovane con una lettera di suo padre.
-E dovevi vedere tua zia Lottie com’era elettrizzata da quello strano incontro! Si fidava assolutamente del giudizio della nostra gatta, e non perse occasione per dimostrare il suo disprezzo nei confronti di quello che, a quel tempo, era il mio fidanzato- narrò Anna, persa nei suoi ricordi.
-E quando hai capito che vi volevate bene?- chiese Cecily.
-Questa è una storia che ti racconterò la prossima volta. Adesso è tardi, è ora di andare a dormire- replicò Anna, sistemandole le coperte e dandole poi un bacio in fronte.
Cecily trattenne sua madre per la manica, rivolgendole uno sguardo preoccupato: -Sai, mamma. È da qualche giorno che faccio un sogno strano: mi trovo in una foresta e c’è questo grosso corvo che vola, e poi c’è una donna vestita strana che mi sorride. Che cosa significa secondo te?-
Anna rimase sorpresa, ma presto sul suo volto apparve un sorriso: -Prova a parlarle. Scommetto che si rivelerà una persona interessante- le suggerì; non si aspettava di certo il ritorno di Eivor nei sogni di sua figlia, ma il pensiero che la sua antenata continuava a vegliare sulla sua famiglia la rassicurava.
 
Anna augurò la buonanotte a sua figlia, uscendo quindi dalla sua cameretta e socchiudendo poi la porta.
Sospirò contro il legno, quando si accorse di una presenza in corridoio: un ragazzo di sedici anni, con capelli scuri e occhi nocciola, la stava fissando.
-Non riesci a dormire neanche tu, Emmett?- chiese la donna al figlio maggiore.
Il giovane scosse la testa tristemente: -Ho bisogno di parlarti, mamma- rispose invece, facendole cenno di seguirlo in camera sua.
Anna lo osservò mentre cercava qualcosa in un cassetto: dal punto di vista fisico, Emmett era la copia sputata di suo padre; ma la serietà e la determinazione le aveva prese da sua zia e da suo nonno paterni.
Lo vide ritornare con una scatola in mano, al cui interno giaceva una lama celata.
-Tu credi davvero che sia pronto ad usarla?- chiese il ragazzo.
Anna gli sorrise, accarezzando con affetto il suo braccio: -Ma certo che lo sei, tesoro. È da quando siamo qui che ti alleni e hai fatto molti progressi. Vedrai che anche papà sarà dello stesso parere.-
Emmett rimase in silenzio e sistemò la sua lama nel cassetto. Guardò sua madre, titubante, come se avesse avuto timore di dire ciò che gli passava in testa in quel momento.
-Che cosa ti turba?- chiese sua madre, accortasi del suo stato.
Suo figlio si passò una mano tra i capelli, nervoso: -E se papà fosse morto?- mormorò.
Il silenzio calò nella stanza, impadronendosi di madre e figlio. Anna fece una fatica enorme a trattenere le lacrime: già quando l’ispettore l’aveva informata della scomparsa di Jacob, l’uomo le aveva fatto intendere che praticamente non c’era nessuna probabilità di ritrovare suo marito ancora vivo.
Prese fra le mani il volto del figlio e lo guardò con serietà, tentando di nascondere i suoi timori: -Finché non vedrò il suo corpo con i miei occhi, tuo padre è ancora vivo. Sei d’accordo con me?-
Emmett annuì, colpito dallo sguardo così serio di sua madre. La abbracciò, appoggiando la testa contro la sua spalla: -Ho tanta paura, mamma.-
-Anch’io tesoro, ma dobbiamo avere speranza- lo incoraggiò Anna, prima di dargli una carezza e di augurargli la buonanotte.
 
Dopo essere uscita dalla stanza del figlio, Anna dovette appoggiarsi al muro per riprendersi dalla loro ultima conversazione: e se i timori di Emmett fossero stati reali? E se Jacob fosse veramente morto?
La donna scosse la testa, tappandosi la bocca per trattenere un singulto: non poteva, non voleva credere a quella triste ipotesi. In cuor suo sperava che suo marito fosse ancora vivo, ma il tarlo del dubbio cominciava ad insinuarsi nella sua testa.
Si ricordò che Susan aveva preparato in precedenza una caraffa di camomilla, perciò decise di scendere in cucina per prenderne una tazza. Stava per scendere gli ultimi gradini quando le parve di udire delle voci soffuse provenire dal salottino. Si avvicinò alla sala, tendendo l’orecchio per capire a chi appartenessero quelle voci. Udì la voce di Susan, quindi la chiamò: -Susan? Che cosa sta succedendo?-
Aprendo appena la porta, la giovane domestica le andò incontro a passo veloce. Appariva agitata, ma le rispose a voce bassa: -Oh cielo, signora... Non so come dirvelo...-
Anna la interruppe, cercando di mantenere la calma: -C’è qualcuno in salotto? Chi è?-
Susan deglutì con fatica: -Vostro fratello, signora. È insieme all’ispettore Abberline e...-
Senza aspettare che finisse la frase, Anna superò la domestica e si diresse verso la porta della stanza. Si sentiva il cuore in gola e il respiro diventare sempre più difficoltoso, mentre la peggiore delle ipotesi sembrava diventare sempre più reale.
“No, no, no... Ti prego, non può essere...” si ripeteva in testa, cercando disperatamente un ultimo barlume di speranza.
Stava per afferrare la maniglia, ma qualcuno aprì la porta prima di lei: un uomo di trent’anni, con occhi chiari e capelli biondi, le bloccava la via.
-Theo? Perché sei qui? Che cosa succede?- chiese la donna in presa all’ansia.
Suo fratello la guardò con affetto e le prese una mano: -Fai piano- le mormorò, per poi farla entrare in salotto: in piedi, vicino a una poltroncina, Frederick Abberline la salutò con un cenno del capo, mentre sul divano, uno accanto all’altra, sedevano i gemelli Frye.
Anna rimase immobile. Si portò lentamente una mano alla bocca, mentre le prime lacrime minacciavano di scenderle dagli occhi.
-Jacob...- sussurrò. Osservò suo marito, notando il suo stato. Era pallido e col volto smagrito, ma ciò che più la colpì furono i suoi occhi: il destro la guardava sorpreso, come se fosse stata una specie di fantasma; il sinistro, invece, era completamente avvolto da alcune bende.
-Anna...- la chiamò suo marito con un sussurro rauco.
Lacrime di gioia solcarono le guance di Anna, mentre correva verso l’uomo che amava. Gli gettò le braccia al collo, stringendolo quasi col timore che sparisse da un momento all’altro.
-Sei vivo, amore mio. Sei vivo...- ripeteva la donna fra le lacrime, sorridendo.
Sentì le braccia di Jacob cingerla dietro la schiena, lente e timorose, come se l’uomo non credesse di averla veramente davanti a sé. Chiuse gli occhi, finalmente felice di riavere suo marito a casa.
Avrebbe voluto rimanere abbracciata a Jacob per sempre, quando udì dei passi frettolosi che si fermarono alla soglia del salotto.
-Papà!- esclamarono Emmett e Cecily, avvertiti da Susan. Anna si staccò da Jacob, lasciando il posto ai loro figli che corsero immediatamente ad abbracciarlo. Altre lacrime di gioia e altri sorrisi apparvero sui visi dei ragazzi, riuniti al loro padre dopo così tanti giorni di lontananza.
Anna ne approfittò per salutare sua cognata Evie, che non vedeva ormai da anni. La abbracciò, piena di riconoscenza: -Grazie per averlo salvato- le mormorò all’orecchio.
Evie le sorrise, ma poi le fece segno di appartarsi per poter parlare in privato con lei. Vennero raggiunte anche da Theo, chiamato da un cenno della cognata. Anna iniziò a preoccuparsi, turbata dalla loro riservatezza.
-Dimmi che lo Squartatore è morto- fu la sua prima richiesta, quella che più temeva.
Evie fu più che lieta di risponderle: -Jack lo Squartatore è morto per mano mia, Anna. Ormai sta bruciando tra le fiamme dell’Inferno da cui proviene- disse risoluta; ad Anna venne quasi il dubbio che la sua metafora fosse molto più reale di quanto avesse inteso.
L’Assassina proseguì: -Frederick mi ha aiutato a portare via Jacob senza incappare nei giornalisti arrivati a Lambeth. Non è stato facile, viste le sue condizioni; inoltre, avevamo bisogno di un dottore di cui poterci fidare. E, con mia grande sorpresa, ho scoperto che il mio cognato preferito è un ottimo medico.-
Theo la ringraziò con un cenno della testa, poi si rivolse alla sorella: -Purtroppo devo dirti alcune cose che non ti piaceranno, Anna. Jacob è stato picchiato più volte e l’occhio... Mio Dio, quel mostro glielo ha portato via con una coltellata, e lo percuoteva ripetutamente in quel punto. È un miracolo che non si sia infettato.-
-Oltre all’occhio, ha anche alcune costole incrinate. Deve stare a riposo per molto tempo, Anna. Ma più delle ferite fisiche, mi preoccupano soprattutto le ferite della sua mente. Non oso immaginare le torture che ha dovuto subire, e non so come potrebbe reagire nei prossimi giorni- concluse Theo.
La donna annuì appena, turbata dal resoconto del fratello. Osservò Jacob, ancora insieme ai loro figli e all’ispettore: da quel poco che faceva trasparire, suo marito appariva cauto, come se ancora non credesse di trovarsi veramente lì.
-Farò tutto il possibile per aiutarlo- promise Anna alla cognata. Intanto, Theo si era allontanato per andare a prendere qualcosa dalla sua borsa, e poco dopo ritornò con tre bottigliette di vetro.
-Mi tratterrò qui a Crawley per una settimana, Anna. Per ora posso darti queste medicine, ma passerò ogni mattina e ogni sera per visitare Jacob- spiegò, passandole i contenitori.
Anna osservò e lesse le diciture dei tre medicinali: un disinfettante, un sedativo e del laudano.
Aggrottò le sopracciglia, turbata dall’ultimo contenitore: -È proprio necessario?-
Theo annuì con gravità: -Anch’io non sono un fautore degli oppiacei, e capisco il tuo timore. Ma purtroppo è l’unico antidolorifico che conosco che può aiutarlo. Cercherò in farmacia qualche rimedio più leggero, e comunque gliene devi dare pochissimo, al massimo due cucchiaini al giorno.-
La donna assentì, per poi rivolgersi a Evie: -Anche tu starai qui a Crawley per un po’?-
L’Assassina scosse la testa: -Solo per domani, per stare con Jacob, poi ripartirò per Londra: devo fare un po’ di pulizia tra i Rooks- rispose seria, corrugando la fronte dalla rabbia.
 
Ormai si era fatta notte inoltrata, quindi i visitatori si congedarono dopo gli ultimi saluti.
Trattenendo a stento gli sbadigli, Emmett e Cecily abbracciarono ancora una volta Jacob, per poi recarsi ognuno nella propria stanza a godersi un buon sonno ristoratore.
Anna prese sotto braccio suo marito e lo accompagnò nella loro camera da letto, porgendogli quindi un pigiama. Si tolse la vestaglia e si sistemò sotto le coperte, ma Jacob non si era mosso di un centimetro: si guardava intorno, spaesato, osservando quel luogo familiare come se fosse stato sconosciuto.
-È tutto vero?- chiese con un filo di voce.
Anna si alzò immediatamente e lo raggiunse, accarezzandogli il braccio: -Certo, amore. Sei a Crawley, nella tua vecchia casa insieme alla tua famiglia. Sei al sicuro- disse per rassicurarlo.
Jacob non le rispose. Si avvicinò a un tavolo per sistemare i vestiti e notò le bottigliette dei medicinali di suo cognato. E fece l’errore di guardarsi allo specchio.
Per la prima volta da quando Evie lo aveva liberato dalla sua prigionia, Jacob poté vedere com’era il suo volto dopo tutto quel tempo: notò il colorito pallido, le guance appena incavate e una profonda occhiaia sotto l’occhio destro; l’occhio sinistro, sotto tutte quelle bende, non esisteva più.
Anna si accorse troppo tardi di quello che stava succedendo. Si avvicinò al marito, notando il suo respiro tremante. Lo chiamò per nome, sfiorandogli appena il braccio, ma Jacob si allontanò di colpo coprendosi la faccia con la mano.
-Non mi guardare...- mormorò agitato.
-Jacob, ti prego. Non devi vergognarti di nulla. Vieni con me, andiamo a dormire- disse con dolcezza, tendendogli la mano.
L’uomo osservò più volte sua moglie e la mano stesa davanti a lei, e con lentezza si avvicinò finalmente alla donna, sfiorandole appena le dita.
Chiedendogli il permesso, Anna aiutò suo marito a cambiarsi d’abito; fece un enorme sforzo a non soffermarsi sulle ferite del torso, avvolto da alcune bende, cercando di non far trapelare il suo dolore a Jacob. Sempre tenendolo per mano, la donna accompagnò l’Assassino sul letto, aiutandolo a sistemare i cuscini, e infine si coricarono nella speranza di trascorrere una notte tranquilla.
 
Un urlo disperato fece svegliare Anna di soprassalto. Spaventata, accese la lampada sul suo comodino e si voltò verso il lato di Jacob, trovandolo seduto e con il respiro affannato.
L’uomo guardava dritto davanti a sé con uno sguardo smarrito, perso in chissà quali pensieri terribili.
-Jacob?- lo chiamò Anna.
L’Assassino sembrò notarla solo in quel momento: lentamente si girò verso di lei, mentre sul suo volto c’era sempre un’espressione terrorizzata.
-Era nella mia mente, Anna! Ancora lui, e la sua voce, le sue minacce...- farfugliò agitato.
Sua moglie cercò di calmarlo: -Jacob, è finita. Lo Squartatore è morto, non farà più del male a nessuno. Sei al sicuro, tesoro.-
L’uomo scosse la testa: -È tutta colpa mia... Le mie mani sono sporche del sangue di quegli innocenti...-
Anna si sentì un peso al cuore al sentir quelle parole: -No Jacob. Non sei stato tu. Non sei stato tu a uccidere quelle persone...- tentò di controbattere.
Si sentì afferrare per le braccia, mentre Jacob appariva sempre più disperato: -Non capisci? Jack era uno di noi! Jack era un Assassino!-
Un silenzio tombale calò sulla coppia. Jacob, ormai in lacrime, si coprì il volto con le mani, singhiozzando con amarezza: -Volevo solo aiutarlo, dargli una vita migliore... e invece ho creato un mostro. Ho permesso che uccidesse e seminasse il terrore, temendo che potesse scoprire di voi. Io... io non merito di essere vivo.-
Quell’ultima frase fu la goccia che fece traboccare il vaso: sconvolta, Anna abbracciò suo marito, unendosi al suo pianto di dolore.
-Ti prego Jacob, non dire mai più quelle parole...- lo implorò tra le lacrime.
-Anna, io...- tentò di dire Jacob, ma venne interrotto subito dalla donna.
-Ascoltami, ti prego. Siamo sposati da vent’anni, e ho potuto vedere ogni santo giorno come ti sei adoperato per la sicurezza di Londra e dei suoi abitanti. Dicevi che senza Evie non ce l’avresti mai fatta, invece hai garantito la pace per tutti questi anni. Quanti orfani e disperati hai accolto nella Confraternita, dando loro una nuova vita? Quante persone hai salvato da un destino di miseria? Pensa solo alla nostra cara Susan, che suo zio voleva vendere a un bordello quand’era solo una ragazzina!-
-Hai fatto così tanto per così tanta gente, amore mio, e intanto abbiamo costruito una famiglia. Abbiamo due figli che sono la nostra gioia e che ti ammirano così tanto che Emmett ha deciso di seguire le tue orme! Ci hai provato anche con quel Jack, ma non sempre le buone intenzioni vengono accolte. Ti prego, non lasciare che il suo fallimento distrugga tutto il resto.-
Jacob restò in silenzio, colpito dalle parole di sua moglie. Si strinse a lei, appoggiando la testa contro la sua spalla, notando il suo profumo di lavanda.
-Perdonami, Anna. Perdonami per tutto- mormorò singhiozzando.
La donna lo baciò sulla guancia, accarezzandogli allo stesso tempo i capelli. Diede un’occhiata veloce alla porta, accorgendosi solo in quell’istante che Emmett e Cecily erano immobili, appena visibili sulla soglia e con il viso sconvolto.
Fece loro segno di andare via, volendo evitare a Jacob di sentirsi ulteriormente umiliato. Rimase insieme a suo marito per tutto il tempo che ritenne necessario, mormorandogli parole d’affetto per tranquillizzarlo.
-Come ti senti?- gli chiese, una volta che ebbe terminato di piangere.
-Non lo so, Anna. Ho paura di rivederlo per sempre nei miei incubi- confessò l’uomo.
-E io sarò qui al tuo fianco, pronta ad aiutarti. Hai la mia parola- ribatté la donna con dolcezza.
Sempre tenendolo fra le sue braccia, Anna fece accomodare Jacob sul cuscino e continuò ad accarezzarlo e a cullarlo finché non sentì il suo respiro farsi più lento e regolare, segno che si era addormentato. Ancora scossa dalle parole di suo marito, Anna riuscì solo più tardi ad addormentarsi, chiedendosi cosa potesse fare per aiutare l’Assassino a superare il suo trauma.
 
Anna cominciò a sognare, ritrovandosi dopo molti anni nella sua foresta. Venne accolta da un’atmosfera fredda, quasi invernale, con alberi spogli ed erba rada. Ma la donna non badò a questi particolari, desiderosa soltanto di ritrovare Eivor.
La trovò al solito punto della radura, vicino al cerchio di pietre. Anna corse nella sua direzione, gettandole le braccia al collo e scoppiando nuovamente a piangere: -Che cosa ha fatto quel mostro al mio Jacob? Cosa posso fare?- chiese singhiozzando.
Eivor attese che si sfogasse e si calmasse del tutto, poi le rispose: -Anch’io mi sono fatta quelle domande, tanti secoli fa con mio fratello.-
Anna la guardò sorpresa, quindi la norrena iniziò a raccontare: -In vita mia, pensavo che non avrei mai odiato qualcuno più di Kjotve lo Spietato, l’assassino dei miei genitori e di gran parte del mio clan. Invece in Inghilterra incontrai Fulke, una Maestra dell’Ordine degli Antichi che con l’inganno era riuscita a prendere Sigurd come ostaggio. Un giorno Basim riuscì a trovare l’ultimo nascondiglio di quella pazza: trovammo una stanza delle torture, con appunti su una specie di “risveglio” di Sigurd; e come regalo, quella strega ci aveva lasciato una scatola con dentro l’avambraccio insanguinato di mio fratello.-
-Credevo che il giorno in cui lo salvai e riuscii a uccidere quella pazza avrebbe significato il ritorno alla normalità, ma mi sbagliavo: Sigurd non era più lo stesso, era arrabbiato, mi accusò di aver tergiversato a salvarlo per poter godere dei suoi poteri di jarl, e farneticava sulla sua vera natura di uomo dicendo di essere in realtà un dio. Il mio cuore soffriva di incredulità e tristezza nel constatare che mio fratello non sarebbe mai più tornato come quello di un tempo.-
Anna ascoltò in silenzio, lasciando a Eivor il tempo di riprendersi dai suoi ricordi: -Poi che successe?-
La norrena riprese il suo racconto: -Con mia grande sorpresa, Sigurd non era arrabbiato con Fulke, nonostante le sofferenze che aveva patito a causa sua. Anni dopo, quando tornammo brevemente in Norvegia, egli mi portò in un luogo misterioso, dove entrammo in una specie di Valhalla. Ma quello non era il nostro destino, non per il momento, così riuscii a convincerlo a rinunciare a quello strano sogno. E così scoprimmo il tradimento di Basim e il nostro strano legame che, in qualche modo, ci univa da millenni. Alla fine io e Sigurd ritornammo in Inghilterra dove, ormai certo della mia lealtà nei suoi confronti, mio fratello decise di abdicare e di cedermi il suo posto di jarl.-
Terminata la sua storia, Eivor si rivolse quindi alla sua discendente: -Tuo marito ha subito un trauma diverso da Sigurd, ma il dolore nella loro mente è lo stesso. Non lasciare che la solitudine si impadronisca di lui: ci vorranno settimane, mesi, forse anche anni, ma se tu e i tuoi figli starete al suo fianco gli sarete di grande aiuto. Non dimenticherà mai del tutto ciò che è successo, ma almeno può riuscire a conviverci e, col tempo, a lasciarlo andare.-
Anna sospirò, sentendosi più sollevata dalle sue preoccupazioni: -Farò tutto il possibile, Eivor.-
-Lo so, Anna. Come lo sa tua cognata e, in fondo, anche il tuo uomo- replicò la guerriera. Le si avvicinò e le diede un bacio in fronte per incoraggiarla, per poi salutarla e inoltrarsi nella foresta.
 
*****
Era quasi trascorsa una settimana dal ritorno di Jacob. Come promesso, Theo si era trattenuto a Crawley per visitarlo due volte al giorno e ne aveva approfittato anche per trascorrere del tempo coi suoi nipoti.
Anna gli aveva accennato del suo primo incubo, preoccupata che potesse capitare ancora; durante le sue visite il medico chiedeva sempre a Jacob come avesse passato la notte, notando che giorno dopo giorno i suoi brutti sogni diventavano sempre meno realistici e meno duraturi.
Anche Evie aveva mantenuto la sua parola, tornando il giorno dopo la visita a sua cognata per stare con Jacob prima del suo rientro a Londra.
Anna aveva preferito lasciarli soli per non disturbarli, anche se aveva ascoltato per caso alcune frasi che si erano scambiati i due fratelli a proposito della permanenza della donna nella capitale inglese.
-Ma come farai da sola?- aveva chiesto Jacob.
-Non sarò sola. Ora che Jack è morto, gli altri Assassini usciranno allo scoperto e saranno più che lieti di aiutarmi ad eliminare gli ultimi seguaci di quel mostro. Nei prossimi giorni scriverò anche al Consiglio e vedrò cosa mi diranno- gli aveva risposto Evie.
-E poi? Quando tornerai in India?-
-Non ci torno più in India, Jacob. Non dopo che ti ho quasi perso.-
Dal lungo silenzio dell’uomo, Anna capì che la risposta della sorella lo aveva lasciato di stucco.
-E Henry?- aveva domandato.
Sentì Evie sospirare, prima che rispondesse: -Henry capirà. Gli scriverò quello che è successo e gli spiegherò i miei motivi. Chissà, magari potrei convincerlo a tornare a Londra.-
-A me non dispiacerebbe, è da un sacco che non vedo più Greenie- aveva replicato Jacob.
Il fatto che avesse usato il soprannome che aveva coniato anni prima diede un filo di speranza ad Anna; forse, il pensiero che Evie non avrebbe più lasciato Jacob aveva avuto un impatto positivo sull’uomo. Sapeva che il percorso di recupero sarebbe stato lungo, ma era pur sempre un primo passo.
 
Domenica sera, dopo cena, Theo stava finendo di medicare l’occhio di Jacob. I due uomini erano rimasti in silenzio per tutto il tempo, con l’Assassino che evitava di guardare suo cognato.
-L’occhio sta guarendo piuttosto in fretta, Jacob. Ancora una settimana e poi non sarà più necessario bendarlo- disse il medico.
Jacob non sembrò accogliere con gioia la notizia. Anzi, il suo volto appariva intristito.
Theo si accorse del suo stato d’animo e cercò di tirargli su il morale: -Lo so che sei preoccupato per le reazioni della tua famiglia, ma loro ti vogliono bene. Dovranno farci l’abitudine, come tu per primo, ma ciò che conta è che tu stia migliorando.-
-Forse per il fisico, sì. Ma per la mente...- borbottò Jacob.
Theo gli mise una mano sulla spalla: -Anche i tuoi incubi smetteranno di tormentarti. Ci vorrà del tempo, ma so che ci riuscirai- replicò sorridendogli.
Il giovane dottore stava mettendo via i suoi strumenti, ma a un certo punto qualcuno bussò alla porta della camera.
Dopo una risposta affermativa da parte di Theo, Cecily si sporse appena dalla soglia e notò che i due uomini avevano finito.
-Papà, puoi venire giù in cucina?- chiese. Jacob annuì e, dopo che sua figlia lo ebbe preso per mano, scese le scale e si recò nella stanza che gli aveva detto. Qui, vicino al tavolo, trovò anche sua moglie e suo figlio maggiore, mentre sul mobile vide tre pacchetti avvolti da carta colorata.
-Buon compleanno, caro. Anche se in ritardo- disse Anna, porgendogli una piccola torta al cioccolato.
All’inizio Jacob rimase confuso, ma poi si ricordò in quel momento che il suo compleanno era già passato da più di una settimana. Per la prima volta da quando era tornato, sul volto dell’uomo apparve un timido sorriso.
-Dai papà, apri i regali!- esclamò Cecily sorridendo.
Jacob osservò i pacchetti e prese quello più grosso: si passò tra le mani un lungo contenitore rettangolare, e quando scartò l’involucro scoprì un nuovo kukri dall’elsa di giada finemente decorata.
-Me lo sono fatto spedire da zio Henry, spero ti piaccia- spiegò suo figlio.
-È stupendo, non vedo l’ora di provarlo insieme. Grazie Emmett- rispose Jacob, guadagnandosi un sorriso sincero dal giovane. Passò quindi al regalo successivo, una scatola più piccola e quadrata e, con grande sorpresa di tutti, ne tirò fuori una cravatta verde decorata con dei piccoli corvi stilizzati.
-E questa da dove arriva?- chiese divertito.
Anna ridacchiò: -L’ho presa questa estate e, non ci crederai, me l’ha consigliata mia madre.-
Jacob la guardò incredulo: -Cosa?! Mia suocera che ti consiglia qualcosa di così poco elegante?!- scherzò.
-Giuro! Mi ha proprio detto: “Anna cara, se non vedrò tuo marito con quella cravatta addosso puoi scordarti l’invito al prossimo pranzo di Natale!”, ben sapendo che tu non avresti mai rifiutato la sua sfida- spiegò sua moglie allegra.
Jacob baciò la donna, sentendosi sempre più alleggerito dal suo peso interiore, per quanto temporaneamente.
Prese quindi l’ultimo regalo, stuzzicato dalla sua forma sferica e un po’ irregolare. Incuriosito, Jacob scartò il pacchetto e rimase colpito dal suo contenuto: vi trovò un grosso pupazzo con le sembianze di un corvo un po’ grassottello, con un papillon verde attorno al collo. Rimase alcuni minuti a rimirare le cuciture sottili, gli occhi fatti da bottoni neri e tondeggianti e la scritta “Baby Rook” ricamata sul cordoncino del fiocco.
Guardò meravigliato sua figlia: -L’hai fatto tutto tu?- chiese, colpito da tutti i dettagli che aveva notato.
Cecily annuì, mentre le sue guance cominciavano ad arrossire: -Mi ha aiutato la mamma. Ti piace?- chiese timidamente.
Jacob la abbracciò con affetto e le diede un bacio in fronte: -Lo adoro. Grazie, grazie a tutti voi- disse, finalmente sorridente.
 
Era giunta l’ora di coricarsi per la notte, e Cecily aveva chiesto a Jacob di raccontarle una storia.
Un po’ titubante, suo padre le domandò cosa volesse sentire, al che la bambina rispose: -Quando hai capito che volevi bene alla mamma?-
Jacob si lasciò scappare un sorriso, quindi iniziò a raccontare: -Ci ho messo un po’ a capirlo. Sai, all’inizio pensavo che tua madre fosse una splendida ragazza, intelligente e appassionata di mitologia norrena. Pensavo anche che avesse degli occhi meravigliosi, che adoravo il modo in cui arrossiva quando le facevo un complimento, o il fatto che avesse sempre qualche ciocca ribelle che le sfuggiva dallo chignon.-
-Un giorno, però, avevo fatto un gravissimo sgarbo a tua madre. Dio mio, ricordo ancora la sfuriata di tua zia Evie! Comunque, mi sentivo un totale idiota e il giorno seguente volevo farmi perdonare. La mamma era ancora molto arrabbiata con me, ma poi successe che una fabbrica stava andando in fiamme. Ti ricordi Clara?- chiese l’uomo, e la bambina annuì.
-Ebbene, Clara mi disse che c’era una bambina, poco più piccola di te, ancora imprigionata nell’edificio. Stavo per entrare a salvarla, quando sentii qualcuno trattenermi per il braccio e mi ritrovai tua madre con l’espressione più sconvolta e preoccupata che le avessi mai visto. Per fartela breve, salvai quella bambina e tua madre mi aiutò a pulirmi dal fumo che avevo in faccia. Ed è stato allora, quando la vidi di nuovo serena per il fatto che fossi ancora vivo, che nella mia testa pensai solo a una cosa: che avrei voluto vedere quel sorriso per il resto dei miei giorni- concluse l’uomo.
Cecily rimase per qualche secondo in silenzio, poi chiese: -Ma non era fidanzata con un altro signore, a quel tempo?-
Jacob fece un sorriso furbetto: -Era solo un mero dettaglio...- scherzò, facendo ridacchiare la bambina.
L’uomo rimboccò le coperte a sua figlia e le augurò la buonanotte, ma Cecily gli disse un’ultima cosa prima che se ne andasse: -Tieni Synin con te, ti proteggerà dai brutti sogni!-
Jacob rimase interdetto: -Synin? E chi sarebbe?-
-Il corvo che ti ho fatto! Si chiama come l’amica di Eivor!- esclamò la bambina sorridendo.
Ancora più confuso, Jacob salutò sua figlia e si diresse in camera sua, dove venne accolta da sua moglie.
-Tutto bene, caro?- chiese premurosa.
Jacob abbracciò la donna, stringendola con dolcezza: -Grazie ancora, Anna.-
-Per cosa?- chiese sorpresa.
-Per essere qui al mio fianco, a sostenermi e a sopportarmi. Grazie per essere parte della mia vita.-
Per poco Anna non si mise a piangere di gioia: non avrebbe mai creduto che, dopo poco più di una settimana, suo marito sarebbe tornato a sorridere, a godersi la propria famiglia e amici; nonostante il suo trauma, Jacob stava recuperando più in fretta di quanto avesse sperato.
-Volevo dirti anche un’altra cosa, riguardo Cecily- aggiunse poi Jacob: -Per caso ti ha parlato di un certo Eivor?-
Anna sorrise e prese per mano suo marito, accompagnandolo a letto: -È la mia “fonte”, Jacob. Colei che ha fatto partire tutto- spiegò, mostrandogli la cicatrice alla mano. Gli raccontò di come avesse conosciuto la vichinga nei suoi sogni e come l’avesse aiutata a trovare Excalibur grazie al dono che le aveva dato; e anche, infine, che lei stessa fosse una sua discendente.
-Lo so che è difficile da credere, ma è la verità- disse la donna.
Jacob rimase in silenzio, meditabondo: -Ora capisco perché riesci a leggere il norreno senza problemi...- commentò.
-Spero solo che la nostra Cecily non decida di seguire le sue orme. Sai, non credo che la società vittoriana sia pronta a vedere una donna che brandisce asce e spade invece di borsette e altri orpelli- scherzò poi, facendo ridere Anna.
 
*****
Dopo un’altra settimana a Crawley, Jacob si sentì pronto per ritornare nella capitale inglese.
Fu una sensazione strana, quando entrò dopo così tanto tempo nella propria casa: era stato via circa tre mesi, eppure gli sembrò che fossero passati anni.
Rimase ancora a riposo, venendo visitato spesso dai suoi parenti e dai suoi amici: i suoi suoceri e cognati furono tra i primi, preoccupati per le sue condizioni e per quelle di Anna e i ragazzi, di cui non avevano più avuto notizie dopo la loro fuga a Crawley; vennero anche i suoi amici Abberline e Bell, e un pomeriggio ricevette anche la visita del signor Singh.
 
Un giorno Evie andò a trovare suo fratello. Venne accolta calorosamente dalla cognata e dai nipoti, poi chiese se potesse rimanere sola con Jacob.
Lo trovò in camera sua, intento ad osservare ciò che rimaneva dell’occhio sinistro: un’orbita vuota, coperta da palpebre pesanti e contornata dagli ultimi segni rossi del trauma.
Sospirò, mettendosi al suo fianco destro: -Come stai?- gli chiese.
Jacob rimase in silenzio per qualche secondo, prima di rispondere: -Abbastanza bene. I miei incubi continuano a tormentarmi, ma non sono più terribili come all’inizio. Se non fosse stato per Anna e i ragazzi, immagino che adesso starei molti peggio.-
Evie gli diede una pacca amichevole sulla spalla, poi gli consegnò un pacchetto: -Per il nostro compleanno, fratello- disse sorridendogli.
L’uomo si rigirò il pacchetto tra le mani, colto di sorpresa: -Oh cielo, Evie. Io non ti ho fatto niente...-
-Il fatto che tu sia ancora vivo è il più bel regalo che potessi farmi, Jacob- replicò lei.
I due si scambiarono un abbraccio fraterno, quasi cercando di recuperare il tempo che avevano passato l’uno lontano dall’altra, quindi Jacob aprì il suo regalo, rimanendo colpito dal suo contenuto.
-Posso capire se non la vuoi usare- disse Evie, in attesa della reazione del fratello.
Jacob scosse la testa: -No, non è questo. Lo apprezzo molto Evie, davvero. È solo che... sarà strano.-
La donna sorrise, sentendosi più tranquilla: -Vuoi che ti aiuti a sistemarla?-
 
Anna, Emmett e Cecily si trovavano in salotto, ognuno intento nei propri passatempi: chi leggeva, chi disegnava o ricamava.
Ad un certo punto udirono dei passi provenire dalle scale. Rimasero in silenzio, attendendo l’arrivo di Jacob e Evie e l’esito del loro incontro. Ancora qualche passo e i gemelli si palesarono sulla soglia della sala: Evie accennò un sorriso a Jacob, che si mostrò alla sua famiglia con una benda nera sull’occhio mancante.
-Come sto?- chiese. Evie notò che, nonostante la sua calma, Jacob era comunque nervoso per la loro reazione. Ma i sorrisi sui loro volti lo rassicurarono.
-Ti sta davvero bene, tesoro. Sembra anche molto comoda- commentò Anna, per poi fare un cenno ai figli.
-Adesso puoi fare anche il pirata, come Edward Kenway- scherzò Emmett, facendo ridacchiare il padre.
-No no, adesso sei come Odino!- replicò Cecily, andando ad abbracciare l’uomo.
Jacob ricambiò il suo affetto, chiedendole il motivo di quella strana somiglianza. Cecily cominciò a raccontare una delle storie che aveva imparato dalla madre e suo padre ascoltò con molto interesse.
Approfittando di quella pausa, Anna ringraziò ancora una volta la cognata per essere stata così preziosa nell’aver salvato Jacob.
-Lo rifarei ancora, se fosse necessario- rispose Evie con una punta di malinconia.
 
*****
Mancavano due settimane a Natale. La neve aveva già imbiancato le strade di Londra e ovunque si respirava aria di festa: i bambini giocavano a palle di neve o costruivano pupazzi dall’aspetto bizzarro, mentre i piccoli cori in strada rallegravano le giornate e l’animo dei passanti.
 
Anna aveva appena nascosto i regali che aveva preparato per i figli. Soddisfatta, ritornò in salotto dove trovò suo marito intento a leggere una lettera.
-È di Greenie- disse Jacob, anticipando la domanda di sua moglie: -Dice che spera di arrivare in tempo per Natale, ma di sicuro sarà qui per Capodanno.-
-Ma è magnifico!- esclamò Anna, contenta di poter rivedere anche Henry dopo tanti anni di lontananza.
Si avvicinò a Jacob e lo abbracciò da dietro, appoggiando la testa sulla sua spalla.
-Qualcuno sembra avere voglia di coccole...- scherzò Jacob, girandosi e abbracciando a sua volta la moglie.
Rimasero per alcuni secondi così, insieme, godendosi la compagnia reciproca e quasi cullandosi a vicenda.
-Ti amo tanto, Jacob- sussurrò Anna, prima di dargli un bacio sulle labbra. Jacob ricambiò il gesto, baciandola a sua volta con tenerezza. Pian piano, i suoi baci divennero più intensi e passionali, ricambiati da alcuni gemiti che la donna non riuscì a trattenere.
Anna venne colta di sorpresa quando, d’un tratto, Jacob interruppe le loro effusioni e la prese in braccio. Guardò il suo unico occhio, notando il suo desiderio.
-Conosco quello sguardo, Sir Jacob Frye...- disse maliziosa. Jacob sorrise, mentre iniziò a salire le scale con sua moglie fra le braccia.
-E che cosa desidera la signora?- chiese furbescamente.
Per un attimo, Anna sembrò titubante: -Sei sicuro?- chiese, ancora preoccupata per le sue condizioni fisiche.
Jacob le sorrise per rassicurarla: -Ormai le mie ferite sono guarite, Anna. E se invece ti preoccupano eventuali “incidenti”, sappi che Cecily starà da tua sorella fino alle diciotto, Emmett è impegnato in una missione facilissima con Evie e Susan sarà fuori a far compere per ancora due ore, conoscendola. Dunque, ritornando alla domanda di poco fa...- disse, ormai davanti alla porta della loro camera.
Anna sorrise, cominciando ad avvertire il proprio desiderio nei confronti di suo marito: -Fammi tua- sussurrò all’orecchio dell’uomo, mordicchiandogli appena il lobo.
Jacob non attendeva altro: aprì la porta della stanza con un piede e, dopo aver posato sua moglie sul letto, fu più che lieto di poter esaudire la sua richiesta.
Finalmente, dopo i mesi di terrore provocati dallo Squartatore e gli incubi della sua convalescenza, Jacob si sentiva felice. Felice di essere vivo, di sentirsi amato dalle persone a lui care e di poter amare la donna più importante della sua vita.
 
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Salve a tutti!! Rieccomi con il sequel della mia storia “Nel segno del corvo”, con i miei OC e il mio caro Jacob ^-^
Non è stato semplice immaginare cosa possa essere successo a Jacob dopo il periodo di prigionia ad opera dello Squartatore, ma mi piace pensare che, in qualche modo, sia riuscito almeno un po’ a superare i suoi traumi.
Lo so che la realtà è molto più complessa, che non basta così poco per superare qualcosa di così pesante; ma sono convinta che l’affetto e la perseveranza delle persone che ami abbia comunque la sua importanza nel processo di guarigione.
Eeeeeeeeee niente, spero che vi piaccia ^-^!
   
 
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